martedì 23 novembre 2010

L'INGANNO CULTURALE DI FAZIO E SAVIANO

PANDOLFI CORRADI E SOCCI



C’è un inganno culturale dietro i discorsi di questi giorni su Fazio, Saviano, malati, disabili, Welby ed Englaro, vero o presunto fine vita, par condicio.
Già, la par condicio. Adesso sembra quasi che il problema vero sia quello di bilanciare l’imbarazzante e vergognoso spot pro eutanasia lanciato lunedì scorso da Fazio e Saviano con la presenza in studio, a ‘Vieni via con me’, di persone malate o disabili che la pensino diversamente da Fazio, Saviano, Mina Welby o Beppino Englaro.
Come dire: loro credono che sia giusto fare A, sentiamo anche chi vuole fare B. Cioè: si mettono sullo stesso piano A e B, la morte e la vita. E’ l’apoteosi della deriva nichilistica, è la vittoria dei cultori (anche in buona fede, per carità) della morte: non esiste una verità, esistono solo le opinioni, tutte rispettabili. Invece no, una verità c’è.
E non lo scrivo da presuntuoso e intollerante ‘ultra’ della vita. Lo scrivo da povero e dubbioso mendicante che ogni giorno, di fronte al mistero di due occhi che possono chiedere aiuto, pietà, compassione e condivisione, compagnia e misericordia, non sa quasi mai cosa fare, come comportarsi, Ma prova a starci dentro quel mistero, non si tappa gli occhi, prova a viverlo quel mistero.
Ecco, lo scrivo: hanno torto marcio Fazio, Saviano, Mina Welby ed Englaro. E’ un fatto, non un’opinione. Non vanno soltanto bilanciate le loro dichiarazioni pro eutanasia. Vanno cancellate, dall’umanità che c’è in ogni essere umano, nel mio cuore e nel tuo che leggi, confusi e un po’ smarriti di fronte a questa ideologia che fa sembrare buono ciò che buono non è. Perché se un malato o un disabile grave (mettiamo Pier Giorgio Welby ed Eluana Englaro, con i rispettivi familiari) a un certo punto non ce la fa più, dice che non ha più senso vivere così, vuole farla finita, chiede che lo Stato consenta loro di farla finita, anzi metta pure un timbro di legalità su questa sua volontà, la risposta vera di una società civile, la risposta vera di un uomo, la risposta vera di ognuno di noi, è semplice: dobbiamo cercare di aiutare chi non ce la fa più, trovare la maniera di dar a lui un senso, un significato a un’esistenza che ad un certo punto sembra solo piena di nebbia, inutile.
Dobbiamo restituirgli il sole, non diventare i notai di una volontà, quasi che l’uomo, quasi che ognuno di noi, sia sempre certo di tutto e di tutti e non ci sia mai consentito cambiare idea. Cambiare idea perché qualcuno sta con noi, ci sorride, ci accarezza, oppure piange, oppure… chissà perché ma la vita è fatta così: si cambia idea. Questa è una testimonianza ragionevole che può e deve fare chiunque, non soltanto un prete.
Non è questa una partita fra preti e laici. E’ una partita fra uomini.
Perché se tanti testimoni (e allora sì che in questa ottica è giusto dar voce a loro: non come contraltari, ma come testimoni, appunto!) dimostrano che si può vivere ed essere felici anche in situazioni estreme, ecco dobbiamo partire da loro per contagiare tutti, col sorriso fra le labbra, senza puntare l’indice contro nessuno, ma sporcandoci le mani alla ricerca di una chiave che può restituire a chiunque (sì, a chiunque!) il gusto della vita. Anche se sei attaccato a un respiratore 24 ore su 24, anche se non parli più, anche se sei paralizzato, anche se mi guardi negli occhi e sei un Mistero. Un uomo è fatto così.
di Massimo Pandolfi
Tratto dal sito Cultura Cattolica.it il 21 novembre 2010

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