domenica 30 gennaio 2011

IN PIAZZA CON SANTORO E TRAVAGLIO


DUE STUPIDI SONO DUE STUPIDI.
DIECIMILA STUPIDI
SONO UNA FORZA POLITICA.

Leo Longanesi

DOPO PRIAPO VERRANNO LE MEZZESEGHE


di MARCELLO VENEZIANI

Quando Berlusconi mollerà, tirerò un sospiro di sollievo perché il sesso non sarà più organo di Stato, non andrà più in viva voce nel pianeta, non servirà più per abbattere i governi e far scattare allarmi costituzionali, ma riguarderà so­lo intimi piaceri e vite private. Quando Berlusconi mollerà, tirerò un sospiro di sollievo perché i magistrati mammasan­tissima non avranno più alibi per deci­dere sui governi, la tv, la vita e il voto de­gli italiani. Dovranno occuparsi di giusti­zia e non origliare sesso, dovranno far funzionare i tribunali e non sfasciare i governi.

Quando Berlusconi mollerà, sarò feli­ce perché Di Pietro, l'Italia dei livori, i media e gli altri dovranno trovarsi un mestiere, avendo perso la loro unica ra­gione pubblica d'esistere. E in tv non ve­dremo più Porca a Porca. Quando Berlu­sconi mollerà, sarò felice perché la sini­stra non potrà più campare sulle erezio­ni del premier satiro. Quando Berlusco­ni mollerà, sarò felice perché le Tre Gra­zie Gian Pier Fran, indossatori del Nul­la, dovranno dire da che parte stanno e non potranno più gufare sugli errori e sulle zoccole altrui. La satiriasi è una ma­­lattia ma non vale una crisi al buio che inguaia l'Italia intera. Se Berlusconi è il male, i suddetti sono nell'ordine il Peg­gio, il Vuoto e il Nulla. Il Peggio è il Paese che odia, il Vuoto è la sinistra che man­ca, il Nulla è il terzismo che affumica.

Dicono in coro che ci vuole decoro. Giusto. Ma il decoro è una categoria eti­ca, in parte politica, per nulla giudizia­ria. Non sono i giudici a sanzionarlo. Mi­sura il contegno, non la fedina penale. Se è in gioco la morale si esprimano con­danne morali, non penali né politiche. Perfino Kant diceva «la legge morale dentro di me», mica invocava magistra­ti, gendarmi e parlamento. Il priapismo è un male antico del potere e non è tra i più gravi. E il decoro dei politici non ri­guarda solo i peccati di sesso, ma il ri­spetto dei ruoli e del popolo sovrano, l'uso e l'abuso delle risorse pubbliche, la lealtà. Quando resteranno i decorosi, i decorati, i decoratori, capiremo cosa ci siamo risparmiati in questi anni. Dopo Priapo verranno le mezzeseghe.  

martedì 25 gennaio 2011 IL GIORNALE


LA SFACCIATAGGINE DEI LAICISTI E DEI MONACI DA SBARCO



Se noi “atei devoti” diciamo che forse bisognerebbe salvare il matrimonio tra uomo e donna dalla legislazione eticamente indifferente di Zapatero, che ha abolito i nomi di marito e moglie e di padre e madre in favore di un più neutrale progenitore A e progenitore B, precisiamo subito che si tratta di critica culturale e civile, e che l’incontro con le posizioni del clero cattolico e del magistero ecclesiale su quel terreno si risolve, distinguendo kantianamente peccato e reato, e coniugando con molte sfumature ethos e legge.

Lo stesso facciamo quando, da laici, critichiamo l’indifferenza morale all’aborto, la kill pill, l’eugenetica del figlio sano, la fabbricazione della prole, tutti fenomeni una punta più rilevanti, in senso pubblico, di alcune cene nella villa di Arcore rese note da quella che il cardinal Bagnasco ha eufemisticamente chiamato, con scandalo dei benpensanti laicisti, “una ingente mole di strumenti di indagine”.

Quando tocca a loro, ai laicisti, ragionare sull’ethos privato di un uomo pubblico che considerano nemico, Berlusconi, lo fanno invitando esplicitamente la chiesa all’ingerenza, alla scomunica, alla condanna iperpolitica.

Criticando la gerarchia perché sceglie una posizione di equilibrio e un modo di ragionare laico e incline alle distinzioni, insinuano interessi obliqui e patti col demonio del potere per chi non faccia vibrare il bastone canonico contro il reprobo.

Pubblicano su MicroMega e su Repubblica invettive moraleggianti di vescovi emeriti, indicono crociate clericali (con l’eccezione dei loro unici moralisti veri, Serra e Sofri), mentre i monaci da sbarco scoprono sulla Stampa di Gianni & Lapo il peccato della lussuria.

E questo incredibile battage neoclericale, questo lungo comizio integralista, lo chiamano profezia.

(tratto da "Il Foglio" del 26/01/2011)

I tormenti dei cattolici progressisti in cerca dei moralismi più avanzati


di Paolo Rodari


Tratto da Il Foglio del 26 gennaio 2011
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Alla prolusione con la quale il cardinale Angelo Bagnasco ha aperto l’altro ieri il “direttivo” dei vescovi italiani, risponde su MicroMega il vescovo emerito di Caserta, Raffaele Nogaro.
Per lui esiste una chiesa prona al potere berlusconiano, contrapposta alla “chiesa di Cristo”, quella chiesa che “non ci sta a mettere in mora i propri princìpi per compiacere il potere”.
Bagnasco “ha puntato nella giusta direzione”, scrive Vito Mancuso su Repubblica. Peccato però che poi “abbia girato le artiglierie contro i magistrati”. Anche per Aldo Maria Valli su Europa Bagnasco ha mostrato “un surplus di prudenza”.
Insomma: la chiesa di sinistra è delusa da un Bagnasco che non cede alle sirene dei puritani. Perché l’equilibrio della chiesa? Piero Gheddo, scrittore, è un prete missionario del Pime, dice: “La chiesa è una ed è la chiesa del Papa e dei vescovi in comunione con lui. Non esiste una chiesa maggiormente di Cristo di un’altra. La verità è una. Ed è che la chiesa da sempre ‘tratta’ del tema della prostituzione con accenti diversi da quelli che una certa cultura laicista vorrebbe. Lo fa con intelligenza. Sa che le singole persone rispondono del proprio agire solo di fronte a Dio e non di fronte all’opinione pubblica. Anche Berlusconi, se davvero ha delle colpe, per la chiesa ne dovrà rispondere davanti a Dio. E soltanto davanti a lui. Si fa bene a citare Gesù e i Vangeli. Gesù ovviamente condanna ogni comportamento immorale. Ma nello stesso tempo non condanna le prostitute. Anzi, dice ai farisei: ‘Queste vi precederanno nel regno di Dio’. La posizione della chiesa è giusta nei confronti di tutti. Non cerca pubblici peccatori da appendere ai pali o da bruciare in roghi di piazza. Cerca la salvezza delle anime, il bene dei singoli, il bene di tutti. Questa è la chiesa di Cristo. Non ne conosco altre. Se poi si vuole dire che a un Berlusconi forse sarebbe meglio un De Gasperi si può anche essere d’accordo. Ma non è questo il punto. I politici la chiesa li valuta sui fatti, non tanto sulla vita privata. Certo, se insieme ai fatti corrisponde anche una condotta di vita esemplare è meglio per tutti. Ma la richiesta di una condotta di vita consona a certi princìpi non giustifica atteggiamenti censori e moraleggianti”.
Massimo Camisasca è stato portavoce di Cl in Vaticano negli anni di Wojtyla, dice: “Quando la chiesa esprime dei giudizi deve sempre cercare di non farsi condizionare dalla politica contingente. I suoi giudizi sono sempre generali e mai particolari. Per le colpe dei singoli esiste la confessione. Le condanne pubbliche della chiesa non sono mai con nome e cognome. I giudizi sull’immoralità, se espressi, debbono poi essere letti dal singolo nell’esame operato dalla propria coscienza. E’ su questo piano che si muove la chiesa. Credo che sia su questo piano che si è mosso Bagnasco”.

giovedì 27 gennaio 2011

Il disprezzo (perdente) per chi vota il nemico


Camilleri & C.
di Pierluigi Battista
Tratto da Il Corriere della Sera del 26 gennaio 2011

Umberto Saba, dopo la batosta del ’48, inveì contro l’orrore della «porca Italia» che aveva osato votare contro gli auspici del grande poeta.
Sono invece quindici anni che si replica stancamente il rito dell’invettiva contro alcuni milioni di elettori considerati l’Italia peggiore, ripugnante, corrotta, sciocca, incolta, «barbara». Ora Andrea Camilleri, su MicroMega, porta a compimento la deprecazione indignata contro «l’homo berlusconensis». Non contro Berlusconi, come sarebbe normale per chi lo avversa, ma contro chi lo vota. Disprezzare chi ha contratto il vizio morale di votare contro la tua parte ha un duplice, tonificante effetto. Gratifica l’Ego di chi si sente superiore e si considera titolare del diritto di far parte honoris causa dell’Italia dei «migliori».
Consente inoltre di autoconsolarsi, attribuendo le ragioni della sconfitta non già ai propri errori, ma alla tara genetica degli italiani incapaci di apprezzare chi, incompreso, meriterebbe un destino più favorevole. È una forma di superbia antropologica, che Luca Ricolfi già chiamò (inascoltato) «razzismo etico», che talvolta assume forme macchiettistiche. E infatti non c’è figura più patetica di chi, sentendosi parte di un’aristocrazia spirituale non contaminata dalle bassezze del popolo volgare e grossolano, fa di questa presunzione un titolo di cui vantarsi. Una presunzione, tra l’altro, del tutto arbitraria. E immeritata.
Questo sussiego è talmente insopportabile che una parte dell’elettorato, pur di non consegnarsi nella mani della casta dei «migliori», preferisce affidarsi a chi, almeno, non ne fa oggetto di disprezzo e di disgusto antropologico. Se ci si chiede come mai non parta nell’elettorato berlusconiano una vigorosa «rivolta morale» nei confronti della deplorevole condotta del suo leader, pochi alfieri dell’antiberlusconismo antropologico sono disposti a concluderne che l’alternativa proposta a quell’elettorato non è poi così attraente come appare agli occhi degli ottimati. E perciò, come in un circolo vizioso, gli ottimati afflitti dal «complesso dei migliori» trovano in ogni sconfitta l’ennesima riprova del loro assunto: essendo il popolo bue e puerile, massa di manovra imbottita di spot pubblicitari e dunque vulnerabile ai richiami incantatori del Nemico, ergo la minoranza colta e illuminata non potrà che andare incontro a un numero impressionante di sconfitte.
Si tratta di un tic mentale per la verità molto più diffuso tra gli intellettuali, gli attori, i comici, gli scrittori, i cantanti che non tra i responsabili dei partiti. A differenza degli intellettuali, infatti, chi ha una responsabilità di partito sente la mancanza di consenso come una maledizione e il recupero del consenso come una missione ineludibile. Ma molto spesso sono gli intellettuali, anziché i leader di partito, a dettare il «tono» generale del discorso, a fissare le priorità emotive del popolo che si riconosce nell’opposizione. Tanto che i leader politici appaiono sempre in difesa, come se dovessero rincorrere l’oltranzismo verbale di chi, nel grido di disprezzo verso l’Italia «inferiore» degli altri, sente vibrare le corde della piazza, le ovazioni dei seguaci, il ruggito del «popolo contro».
Ecco perché il razzismo antropologico, oltre a essere una malattia culturale, rischia di diventare anche un permanente e invalidante handicap politico. Invece di conquistare il consenso e strapparlo all’avversario, perpetua una divisione insanabile con la parte maggioritaria, ma corrotta, dell’elettorato. E perciò consegna per sempre quella fetta del popolo tanto disprezzato all’egemonia berlusconiana tanto deplorata. Un boomerang micidiale, che prolungherà i suoi effetti anche alla fine di questa lunga stagione politica di bipolarismo primitivo e di guerra civile strisciante. Quando le due Italie, oggi divise da un muro di disprezzo e di ostilità, dovranno ricominciare a parlarsi.

mercoledì 26 gennaio 2011

ACCECATI DAL DISPREZZO PER BERLUSCONI

Di Luca Ricolfi
Tratto da “La Stampa
……Accecati dal disprezzo per Berlusconi, i dirigenti della sinistra non sembrano rendersi conto che la loro scelta di cavalcare gli scandali sessuali per disarcionare il capo del governo è un’arma a doppio taglio.
Non solo perché indirettamente rivela che essi non hanno molti altri argomenti da spendere, ma perché proprio la politicizzazione delle vicende private del premier può portare voti al suo partito, come Bossi - con il suo innato fiuto politico - ebbe immediatamente ad avvertire.
Capisco che chi non è abituato ad entrare nella testa degli altri stenti a farsene una ragione, ma bisognerà pur rendersi conto, prima o poi, che quando il dispiegamento di mezzi («l’ingente mole di strumenti di indagine», come l’ha definita il cardinal Bagnasco) supera una certa soglia, e l’uso politico della morale diventa troppo spregiudicato, nel pubblico scattano reazioni diverse da quelle ordinarie.
Se la magistratura avesse operato con mezzi più sobri, e i suoi avversari non avessero preteso di incassare subito il dividendo politico dello scandalo, lasciando che il Cavaliere consumasse da sé la propria parabola, oggi probabilmente l’opposizione sarebbe più forte.
Avendo invece deciso di cavalcare un’azione giudiziaria già di per sé fuori misura, l’opposizione ha scatenato anche la reazione opposta: quella di chi vede Berlusconi come vittima, o semplicemente pensa che i giudici abbiano esagerato, e che quel che è toccato a Berlusconi potrebbe capitare a chiunque.
Un’osservazione che Gianni Agnelli ebbe occasione di fare ai tempi dello scandalo Lewinsky, quando così ebbe ad esprimersi sul malcapitato Bill Clinton: «Un Presidente venuto dal nulla, che si è fatto da solo e che finisce maciullato nei verbali. Come capiterebbe a chiunque, intendiamoci, se le sue cose intime finissero squadernate, sezionate e amplificate da inquisitori, giornali, televisioni e Internet».

E un segnale che qualcosa del genere stia succedendo nel pubblico, lo rivelano - di nuovo - proprio i dati dell’ultimo sondaggio di Mannheimer. Da cui risulta che, contrariamente a quanto si poteva supporre, l’elettorato di centrodestra non si sta rifugiando nei partiti alleati, esenti dagli scandali (Lega Nord e Futuro e libertà), ma semmai sta rientrando nel Pdl, quasi a serrare le file. Un altro capolavoro degli strateghi del Pd.

qui l’intero articolo

EUGENIA ROCCELLA


Io, cattolica, in coscienza non posso che difendere Berlusconi

di Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare
Tratto da Il Foglio del 25 gennaio 2011

Il cardinale Bagnasco ha parlato. Lo ha fatto con l’atteggiamento pastorale che gli è proprio e con grande equilibrio.
La prolusione, tanto attesa, delude quei cattolici adulti, e laici infantili, che pretendevano che la chiesa svergognasse pubblicamente il Grande Peccatore Berlusconi. Forse ora smetteranno di chiedermi perché “come cattolica” (in alternativa “come donna”) non mi affretto a esprimere una severa condanna nei confronti del presidente del Consiglio. E magari aggiungono: ma come, proprio tu, che vieni dal Family day! (Quanto fastidio deve aver dato quella manifestazione sorridente e mite, se ancora a tanti è rimasta sullo stomaco: il popolo cattolico che scende in piazza e difende i semplici fondamenti della vita, detti anche “valori non negoziabili”). Invece io, in coscienza, oggi non posso che difendere Berlusconi. Come si fa a giudicare qualcuno da brandelli di conversazioni intime, in cui persone che non c’erano riferiscono cose che non hanno visto a persone che non c’erano, o in cui qualcuno che c’era svela prima di tutto la propria umana pochezza e scarsa affidabilità?
E’ per questa scivolosa opinabilità degli elementi di conoscenza, forse, che i dibattiti televisivi sul tema tendono ad assomigliare alla versione cupa di un reality. Giudicare moralmente una persona, tanto più “da cattolico”, richiede infinita cautela; il pubblico peccatore, chi l’ha detto che è più peccatore di me? Chi può sapere cosa accade nella coscienza del singolo, per fortuna ancora impenetrabile alle intercettazioni, e quali siano davvero le intenzioni, i fatti e i misfatti? Cosa ne sappiamo noi, oltre a quello che qualcuno ha voluto farci sapere, violando il segreto istruttorio? E come possiamo non preoccuparci della vulnerabilità della presunzione di innocenza, ormai bandiera inutile e strappata di una civiltà giuridica a cui non si crede più?
Non c’è, nella dottrina cattolica, la gogna pubblica per chi sbaglia, e anzi si ripetono nel Vangelo gli inviti a guardare la trave nel proprio occhio prima che il fuscello in quello altrui, e a non scagliare la prima pietra. Se c’è un reato, cosa ancora da dimostrare, si vedrà nell’eventuale processo, e solo chi non ha fiducia nella magistratura può accusare Berlusconi di ostacolare l’accertamento dei fatti perché chiede di essere giudicato dal Tribunale dei ministri. Solo chi conta sull’antiberlusconismo della procura di Milano, sostiene che quelli, e soltanto quelli, sono i magistrati che devono occuparsi della vicenda. Chi ha a cuore il bene del paese dovrebbe preoccuparsi, più che del privato di Berlusconi, del visibile gioco al massacro nei suoi confronti, dell’ennesimo tentativo di una procura di interferire pesantemente negli equilibri politici. L’operazione è trasparente: si tratta di rovesciare la maggioranza voluta dagli elettori, o almeno di decapitarne il leader per via giudiziaria e mediatica. Se c’è qualcosa che si può giudicare, perché ci sono tutti gli elementi, è l’operato di alcune procure negli ultimi venti anni.

WHAT A WONDERFUL WORLD




COM'E' BELLO IL MONDO (E COME E' GRANDE DIO)


LOUIS ARMSTRONG



I see trees of green, red roses too
I see them bloom for me and you
And I think to myself, what a wonderful world

I see skies of blue and clouds of white
The bright blessed day, the dark sacred night
And I think to myself, what a wonderful world

The colours of the rainbow, so pretty in the sky
Are also on the faces of people going by
I see friends shakin' hands, sayin' How do you do?
They're really saying I love you

I hear babies cryin', I watch them grow
They'll learn much more than I'll ever know
And I think to myself, what a wonderful world
Yes, I think to myself, what a wonderful world

Oh yeah
I see trees of green, red roses too
I see them bloom for me and you
And I think to myself, what a wonderful world

I see skies of blue and clouds of white
The bright blessed day, the dark sacred night
And I think to myself, what a wonderful world

The colours of the rainbow, so pretty in the sky
Are also on the faces of people going by
I see friends shakin' hands, sayin' How do you do?
They're really saying I love you

I hear babies cryin', I watch them grow
They'll learn much more than I'll ever know
And I think to myself, what a wonderful world
Yes, I think to myself, what a wonderful world

Oh yeah
Vedo alberi verdi, anche rose rosse
Le vedo sbocciare per me e per te
E fra me e me penso, che mondo meraviglioso

Vedo cieli blu e nuvole bianche
Il benedetto giorno luminoso, la sacra notte scura
E fra me e me penso, che mondo meraviglioso

I colori dell'arcobaleno, così belli nel cielo
Sono anche nelle facce della gente che passa
Vedo amici stringersi la mano, chiedendo "come va?"
Stanno davvero dicendo "Ti amo"

Sento bambini che piangono, li vedo crescere
Impareranno molto più di quanto io saprò mai
E fra me e me penso, che mondo meraviglioso
Sì, fra me e me penso, che mondo meraviglioso

martedì 25 gennaio 2011

CARI COMPAGNI, FERMATEVI

Il sito internet “thefrontpage” è opera di alcuni politici giornalisti di centro-sinistra. Ha preso alcune decisioni che si muovono nella speranza di una ripresa del confronto che esuli dall’intervento dei PM di Milano per affrontare con realismo i problemi che abbiamo difronte.

Care compagne e cari compagni, per carità, per il nostro bene, fermatevi.
Il nostro avvenire, la libertà, i nostri diritti e quelli delle persone colpite dalla crisi e dall’ingiustizia sociale, non possono essere affidati alla legge e alla violenza dello Stato. Ai tribunali. Alla repressione. In passato ci è capitato, qualche volta, di pensarlo. Poi abbiamo capito che sbagliavamo.
Non possiamo sperare nel carcere, nell’arresto dell’avversario più detestato, nei sistemi di intercettazione a tappeto, nella logica dei corpi separati e persino nell’intervento del Vaticano per ottenere ciò che non abbiamo ottenuto con il consenso.
Nel giustizialismo non c’è meno oscurità che nel comportamento arrogante della politica di potere.
Rischiamo di trasformare il popolo della sinistra, dei democratici, in tricoteuses compiacute e senza idee, che se ne stanno lì davanti alla ghigliottina e assistono al Terrore rivoluzionario mediatico e alle controffensive della Vandea. Oppure in castigatori moralisti dei comportamenti privati e sessuali di chicchessia, fino ad invocare l’ingerenza della Chiesa sulla politica, e a scagliarci contro le donne poco castigate, contro i libertini, contro gli eccessi sessuali, o contro il peccato.
Certo, cari compagni, nel nostro passato abbiamo qualcosa che non va. Vi ricordate quando pensavamo che la “celere” e le leggi speciali e le carceri e le proibizioni fossero il modo giusto per risolvere  il disagio sociale o la ribellione dei giovani? E mettere in salvo la linea del partito? Vogliamo liberarci di quel passato, oppure vogliamo riprodurlo tale e quale, ma senza avere più il partito, né la linea, e senza esserci accorti di quanto sono cambiate le cose?
Che vuol dire per noi essere di sinistra? Più o meno significa questo: indicare una missione e obbiettivi per la crescita dell’equità, della giustizia, della libertà. Giusto? Ma qualcuno ci dice: “D’accordo,  avete ragione, ma per ora c’è una emergenza più grande della giustizia sociale o della libertà. Questa emergenza è la lotta contro la corruzione e contro il malcostume”.
Giusto, la corruzione va perseguita. Ma non è l’emergenza delle emergenze. E la corruzione va perseguita, ma non, come fu nel ’92-’94, decapitando una classe politica, o esercitando la pressione della carcerazione preventiva, a volte abusiva. E’ troppo lunga la lista di errori, di vittime, di interferenze nella vita politica dovute a processi mediatici o sbagliati. Dobbiamo difendere il sistema dei diritti dell’imputato la cui salvaguardia risale a prima della stessa Rivoluzione francese. E la corruzione va combattuta sì con le indagini, ma soprattutto con l’efficienza e la trasparenza delle funzioni pubbliche, come dicono i rapporti dell’Ocse sull’argomento: perchè una società in cui lo Stato non funziona finisce per avere bisogno di corrotti o servi per funzionare.
L’esercizio della giustizia deve essere efficace, ma esemplare nel rispetto delle regole e nella sobrietà dei comportamenti, più di quanto non spetti agli imputati. Il braccio della legge deve esercitarsi senza ossessioni di protagonismo. I poteri di indagine non devono ridurre i cittadini, testimoni o sospettati, a numeri di telefono intercettabili e a condannati molto prima del giudizio, né a quei poteri debbono sommarsi considerazioni moralistiche, né va utilizzato in modo devastante il circuito mediatico come prima ed ultima sede  di sentenza.
Non lo credevamo, ma oggi la sinistra rischia una involuzione autoritaria, rischia di abituarsi a pratiche liberticide.
E per di più questa involuzione si realizza circondata da una sorta di consenso totalitario, che si somma alla paura del dissenso per meschine finalità politiche o elettorali. E’ una doppiezza che abbiamo allontanato da tempo, e che non renderà più credibili i propositi di riscatto sociale, non sanerà le divisioni, ma renderà la società meno libera e più ingiusta.
Cari compagni, evitiamo di trasformare la sinistra in una nuova destra, pulita e reazionaria, bigotta e illiberale, antifemminsita, moderata e populista. Siamo ancora in tempo. L’Italia ha bisogno della sinistra. Non ha bisogno di manette né di intellettuali o di politici che giocano a fare gli sbirri.
Piero Sansonetti
Fabrizio Rondolino
Ottaviano Del Turco
Claudio Velardi
Massimo Micucci
Enza Bruno Bossio

lunedì 24 gennaio 2011

BAGNASCO denuncia un clima di reciproca delegittimazione

Occorre leggere per intero il testo in cui il Card.Bagnasco analizza lo scontro fra i poteri in Italia senza lasciarsi suggestionare dalle tesi di destra o di sinistra.

.....Come ho già più volte auspicato, bisogna che il nostro Paese superi, in modo rapido e definitivo, la convulsa fase che vede miscelarsi in modo sempre più minaccioso la debolezza etica con la fibrillazione politica e istituzionale, per la quale i poteri non solo si guardano con diffidenza ma si tendono tranelli, in una logica conflittuale che perdura ormai da troppi anni.
Si moltiplicano notizie che riferiscono di comportamenti contrari al pubblico decoro e si esibiscono squarci – veri o presunti – di stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza, mentre qualcuno si chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di indagine.
In tale modo, passando da una situazione abnorme all’altra, è l’equilibrio generale che ne risente in maniera progressiva, nonché l’immagine generale del Paese. La collettività, infatti, guarda sgomenta gli attori della scena pubblica, e respira un evidente disagio morale.
La vita di una democrazia – sappiamo – si compone di delicati e necessari equilibri, poggia sulla capacità da parte di ciascuno di auto-limitarsi, di mantenersi cioè con sapienza entro i confini invalicabili delle proprie prerogative.
«Muoversi secondo una prospettiva di responsabilità − ammoniva il Papa in occasione dell’ultima Settimana Sociale − comporta la disponibilità ad uscire dalla ricerca del proprio interesse esclusivo per perseguire insieme il bene del Paese» (Benedetto XVI, Messaggio alla 46a Settimana Sociale dei cattolici italiani, 12 ottobre 2010). Come ho già avuto modo di dire, «chiunque accetta di assumere un mandato politico deve essere consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda (cfr art. 54)» (Prolusione al Consiglio Permanente, 21-24 settembre 2009, n. 8).
Dalla situazione presente – comunque si chiariranno le cose – nessuno ricaverà realmente motivo per rallegrarsi, né per ritenersi vincitore.
Troppi oggi – seppur ciascuno a modo suo – contribuiscono al turbamento generale, a una certa confusione, a un clima di reciproca delegittimazione.
E questo − facile a prevedersi − potrebbe lasciare nell’animo collettivo segni anche profondi, se non vere e proprie ferite. La comunità nazionale ha indubbiamente una propria robustezza e non si lascia facilmente incantare né distrarre dai propri compiti quotidiani. Tuttavia, è possibile che taluni sottili veleni si insinuino nelle psicologie come nelle relazioni, e in tal modo – Dio non voglia! – si affermino modelli mentali e di comportamento radicalmente faziosi.
Forse che questo non sarebbe un attentato grave alla coesione sociale? E quale futuro comune potrà risultare, se il terreno in cui il Paese vive rimanesse inquinato? È necessario fermarsi − tutti − in tempo, fare chiarezza in modo sollecito e pacato, e nelle sedi appropriate, dando ascolto alla voce del Paese che chiede di essere accompagnato con lungimiranza ed efficacia senza avventurismi, a cominciare dal fronte dell’etica della vita, della famiglia, della solidarietà e del lavoro.
Come Pastori che amano la comunità cristiana, e come cittadini di questo caro Paese, diciamo a tutti e a ciascuno di non cedere al pessimismo, ma di guardare avanti con fiducia. È questo l’atteggiamento interiore che permetterà di avere quello scatto di coscienza e di responsabilità necessario per camminare e costruire insieme.
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BUONA FORTUNA ITALIA



Roma, basilica della Minerva, vicino al Pantheon. Un politico è seduto sui banchi della chiesa, prega di fronte alla Vergine Maria. Esce. Saluta i cronisti. Sale in macchina. Destinazione carcere di Rebibbia.
Alle 16. 35 di un pomeriggio grigio e piovoso Totò Cuffaro non è più un uomo libero. È una scena carica di dolore, intrisa di pietas.
Stesso giorno, stesso pomeriggio piovoso, stesso penitenziario dove sono rinchiusi essere umani. Un’entità di uomini e donne che si fa chiamare «popolo viola» festeggia l’ingresso in carcere di Cuffaro offrendo cannoli. Niente dolore. Niente pietas.


Stesso giorno, stesso pomeriggio, altra metropoli. Genova, università degli Studi. Roberto Saviano riceve una laurea honoris causa in giurisprudenza. Ringrazia. E nel momento solenne della celebrazione dedica il riconoscimento ai magistrati della procura di Milano che indagano contro Berlusconi. Nessun umanissimo dubbio su dove sia il torto e il diritto. Niente pietas
Altra città, le tenebre si sono fatte avanti, è sera, è l’ora degli sciacalli. Reggio Calabria, parla Gianfranco Fini: «Il giustizialismo è un male, ma non può esserci giustizialismo quando si ribadisce che la presunzione di innocenza non possa essere confusa con la presunzione di impunità». Immagino sia lo stesso Fini che quando l’ex moglie fu indagata disse: «Le gogne mediatiche non fanno onore a chi le mette in campo». Niente pietas.

Una serie di fatti distinti, storie in apparenza lontane l’una dall’altra, ma in realtà con un terribile tratto comune: il rumore sordo della cavalcata dei mozzaorecchi, il rullo dei tamburi degli squadroni che portano i ceppi, il digrignare di denti e la bava alla bocca di chi urla «nessuna pietà».

 Ha ragione la tostissima Marina Berlusconi quando dice che le parole di Saviano le fanno «orrore», ma vorrei ricordarle che quella cultura talebana, intollerante, giustizialista, illiberale, a senso unico, è ben veicolata proprio dalla Mondadori, la sua casa editrice che, en passant, pubblica Saviano e molti altri paladini della libertà. Faccia uno sforzo, lasci perdere i guru del marketing di Segrate e scorra con attenzione le collane di libri, saggi, romanzi e tutto il resto della paccottiglia da libreria da rive gauche che sfornano quelli del laghetto. Scoprirà che il pluralismo culturale è ben diverso dalla narrazione di una società a una dimensione costruita con i soldi del Cavaliere Nero.

Voglio esser chiaro, a costo di scartavetrare le parole. A Berlusconi non è stato risparmiato nulla, ma anche lui non si è risparmiato nulla. Doveva essere un falco, è rimasto una colomba. La sua avventura politica resta incompiuta proprio perché non ha fatto le riforme più dure e coraggiose.
Serviva una dose massiccia di reaganismo e thatcherismo per smantellare il sistema che impedisce all’Italia di crescere come potrebbe. Abbiamo atteso invano. È dovuto arrivare sedici anni dopo un signore che si chiama Sergio Marchionne per far saltare il sistema corporativo. Silvio invece ha perso tempo a mediare, a occuparsi di cose che non servivano a niente, a vedere improbabili amici e aspiranti cortigiani che gli hanno procurato solo guai e rotture di scatole. Doveva usare il napalm per defoliare la giungla dello Stato parassita ed entrare nel pantheon dei riformatori al titanio, rischiamo di vederlo ricordato solo per le evoluzioni arcoriane con quella sventolona della Nicole Minetti. Eppure, se si lasciano perdere i cani rabbiosi che abbaiano e mostrano le zanne, la vista dei suoi accusatori fa riflettere.

I tifosi dei tribunali del popolo sono antropologicamente contrari all’idea di democrazia. Sono una massa informe che se ti vede per strada ti sputa addosso perché la pensi diversamente, perché sostieni che le ipotesi di reato restano ipotesi finché non c’è una sentenza definitiva; perché ricordi loro che tutti sono presunti innocenti fino al terzo grado di giudizio; perché fai presente che la presunzione di colpevolezza non si è mai trasformata in voti vincenti; perché en passant fai notare che tutte le accuse vanno provate; perché in punta di diritto il pm è una parte, quella dell’accusa, e non il giudice terzo; perché spieghi sommessamente che i governi cadono per mano degli elettori non delle procure che selezionano i bersagli politici; perché dici che è una barbarie pubblicare online il numero di telefonino del presidente del Consiglio o di qualsiasi altro cittadino per poi procedere a un insultificio elettronico; perché fino a prova contraria in casa propria ognuno di noi fa quel che crede finché non limita la libertà di un altro. Il problema è che sta saltando tutto e forse è davvero troppo tardi. Nei Paesi decenti sono abituati a mettere a posto anche l’indecenza con una soluzione a presa rapida che si chiama «ragion di Stato».
Qui non esiste né lo Stato né tantomeno la ragione, perché i nuovi giacobini sono impegnati a issare la ghigliottina virtuale e ne sono fieri. Nei prossimi giorni usciranno altri verbali, altre intercettazioni e foto sul Cavaliere a luci rosse. Poi passeranno alla fase delle monetine in piazza e al giudizio sommario, è solo una questione di tempo. Ho già visto montare questo clima durante Mani Pulite. Ne ho un ricordo vivissimo. Arresti in massa. Manette. Suicidi. Fughe. Esili. Vigliaccate. E un’opinione pubblica che chiedeva la testa dei segretari politici del Caf (Craxi, Andreotti e Forlani) in nome di una rivoluzione che in poco tempo si rivelò falsa e strumentale.

La differenza tra ieri e oggi è che ieri la caccia al «Cinghialone» (Craxi) avveniva in presenza di uno scollamento fortissimo tra l’opinione pubblica e i leader di partito, mentre oggi la caccia al Cavaliere e alla politica tout court (non si illudano le altre sagome del Palazzo, la stessa furia colpirà anche loro) si svolge in uno scenario in cui gli elettori sostengono le proprie fazioni e i consensi di Berlusconi per ora sono solidi. Per questo una caduta rovinosa del Cavaliere oggi sarebbe un evento traumatico come pochi, un problema istituzionale che non si risolverebbe voltando pagina e facendo finta di niente.
Avanti così, senza una soluzione e un soft landing per il premier, sarà un disastro assicurato. Mi viene in mente uno straordinario testo teatrale di Georg Buchner, «La morte di Danton». Qui si racconta come Robespierre decida di decapitare Georges Jacques Danton, uno dei protagonisti della Rivoluzione francese. Viene fatto tutto in fretta e furia, non c’è bisogno di prova e processo, perché «la rivoluzione sociale non è ancora finita, chi fa una rivoluzione a metà si scava da sé la propria fossa. La buona società non è ancora morta, la sana forza popolare si deve mettere al posto di questa classe rovinata in ogni senso. Il vizio dev’essere punito, la virtù deve dominare per mezzo del terrore». Buona fortuna, Italia.

MARIO SECHI
TRATTO DA IL TEMPO 23/1/2011
http://www.miradouro.it/node/48153

sabato 22 gennaio 2011

PENSIERI TURBATI



IL MIO pensiero turbato è dedicato al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Lui è preoccupatissimo perché il paese è turbato.
Io però ricordo che in un’altra occasione il nostro paese è stato molto più turbato di adesso, ma lui sembrò – diciamo così – molto meno sensibile. Mi riferisco al suo rifiuto di firmare il decreto – proposto dal governo Berlusconi, da QUESTO governo –che avrebbe salvato Eluana.
Un rifiuto che motivò dicendo che non c’erano le condizioni per l’urgenza …. non c’erano festini a “turbare” il paese, ma una donna che stava morendo disidratata. Come è andata a finire lo sappiamo: i “turbamenti” altrui non gli fecero cambiare idea.
Due anni prima invece era stato tanto turbato dal fatto che Piergiorgio Welby non riuscisse a ottenere l’eutanasia.
Ma per molti anni, prima, non era parso turbato dai gulag dell’Unione Sovietica o dalle dittature sovietica, polacca e negli altri paesi dell’Est, quando Woityla era ancora cardinale, e chiedeva libertà per il suo popolo e per la Chiesa perseguitata.
Per quanto mi riguarda, sono questi gli episodi che mi fanno definire con CHIAREZZA l’uomo Giorgio Napolitano.


LETTERA AI CATTOLICI


in un momento tanto confuso e delicato per il nostro paese vorremmo evitare che la marea dei pettegolezzi che invade ogni giorno le pagine dei giornali finisca per oscurare il senso del nostro lavoro quotidiano per il bene comune. C’è il rischio di farsi tutti confondere o trascinare dall’onda nera, lasciandosi strumentalizzare da un moralismo interessato e intermittente, che emerge solo quando c’è di mezzo il presidente Berlusconi. Un moralismo che nulla ha a che fare con quella “imitatio Christi” a cui la Chiesa ci invita, e che anzi non si fa scrupoli a brandire per fini politici, e in senso opposto a seconda delle convenienze di parte, l'idea della morale cristiana.

L’enorme scossone mediatico e politico di questi ultimi giorni non si comprende appieno se non come l’ultimo atto di un’offensiva giudiziaria  iniziata con Tangentopoli: il tentativo di una piccola ma agguerrita minoranza di magistrati di interferire pesantemente negli assetti politici, per determinare nuovi equilibri che prescindano dal consenso popolare.

Diciassette anni fa c’erano gli arresti spettacolari: politici e personaggi pubblici sfilavano in manette sotto  telecamere impietose, e la carcerazione preventiva era lo strumento privilegiato di alcune procure. Ma quante di quelle accuse, urlate da certi magistrati con tanta sicurezza da sembrare indubitabili, si sono rivelate poi vere? Certamente sono stati riconosciuti dei colpevoli, anche se altri pur imputabili delle stesse responsabilità sono stati risparmiati e in alcuni casi nemmeno sfiorati dall'ombra del sospetto. Quel che è più grave, però, in numerose occasioni processi condotti nelle aule dei tribunali sono giunti a ben altre conclusioni rispetto alle accuse iniziali. Le tante assoluzioni che pure ne sono seguite, però, non potranno mai ripagare l’ingiustizia subita da chi vi si è trovato coinvolto, soprattutto da chi non ce l’ha fatta e si è tolto la vita.

E intanto, il paese ha pagato e paga ancora oggi le conseguenze di indagini a senso unico che hanno azzerato il ceto politico moderato, rallentato e inibito la capacità decisionale delle pubbliche amministrazioni, indebolito la grande impresa italiana.

Adesso la carcerazione preventiva è stata sostituita dalla gogna preventiva. Si butta nella pubblica piazza con una violenza inusitata la presunta vita privata delle persone (presunta perché contenuti frammentari di intercettazioni e commenti di persone terze non offrono alcuna garanzia di veridicità), e la si chiama “trasparenza”.

Abbiamo bisogno di giustizia, una giustizia che sia però veramente giusta, che segua  regole certe, assicuri l'inviolabilità dei diritti di tutti i cittadini compreso chi si trova ad essere oggetto di accuse, e offra le garanzie necessarie, a partire dall’imparzialità del giudice e dal rispetto del segreto istruttorio. Una giustizia nella quale i magistrati formulino ipotesi di reato e non si occupino di costruire operazioni finalizzate ad emettere sentenze di ordine morale.

Chiediamo a tutti di aspettare, di sospendere il giudizio, di non farsi trascinare nella facile trappola del processo mediatico e sommario al Presidente del Consiglio, e chiediamo che si rispetti una vera presunzione di innocenza nei suoi confronti, finché il percorso di accertamento dei fatti sarà completato. Ve lo chiediamo non solo perchè è un elementare principio di civiltà giuridica, ma anche perché noi all’immagine abietta del Presidente Berlusconi così come dipinta da tanti giornali non crediamo.

Noi conosciamo un altro Berlusconi, conosciamo il Presidente con cui abbiamo lavorato in questi anni, e che ci ha dato la possibilità di portare avanti battaglie difficili e controcorrente, condividendole con noi.

Siamo certi che il tempo ci darà ragione: ma è di quel tempo che adesso c’è bisogno. Sarebbe assurdo e deleterio per il futuro dell’Italia consentire che, nell’attesa di un esito incerto della vicenda giudiziaria si producesse il danno certo di un cambiamento politico nel segno della conservazione sociale, della recessione economica e del relativismo etico come conseguenza di indagini asimmetriche che colpiscono alcuni risparmiando altri.

Ciò che non intendiamo invece tenere in sospeso è la responsabilità di noi, credenti e non credenti, impegnati convintamente nel Popolo della Libertà. Non abbiamo alcuna intenzione di interrompere il lavoro politico e legislativo che ci vede dediti alla costruzione del  bene comune, dalla difesa della famiglia alla libertà di educazione, dalle leggi in difesa della vita alla attuazione concreta del principio di sussidiarietà.

Aspettiamo che la polvere e il fango si depositino, diamo tempo alla verità e alla giustizia.

Raffaele Calabrò Roberto Formigoni Maurizio Gasparri Maurizio Lupi Alfredo Mantovano
Mario Mauro Gaetano Quagliariello Eugenia Roccella Maurizio Sacconi

BATTERE I MORALISTI DELLA POLITICA


Pietro Barcellona, da Ilsussidiario.net

(…) il moralismo è quello degli scribi e dei farisei, che si aggrappano alla superficie esteriore delle apparenze illusorie per non affrontare mai con la propria responsabilità personale i dilemmi che ogni giorno la vita di relazione ci pone. Il moralismo è la precettistica arida che promuove rituali e sacrifici all’idolatria dell’astrazione della legge priva di cuore, e dimentica totalmente la concretezza esistenziale del rapporto con gli altri.

Il moralismo è una vera e propria malattia sociale.Intanto perché introduce nelle relazioni l’idea perversa che qualcuno abbia il diritto di giudicare gli altri secondo parametri e normative precostituiti all’azione concreta. Non giudicate se non volete essere giudicati. Il moralismo è un orpello con il quale si cerca di coprire il verminaio dei propri istinti selvaggi, invece di sottoporli al filtro della consapevolezza amorevole e dell’elaborazione affettiva, e ci si appiglia al rigorismo formale per farne uno strumento di lotta e di condanna degli altri.

Oggi nel momento in cui, nel nostro Paese, il moralismo ipocrita e bacchettone viene usato come mezzo di lotta politica in contrasto con ogni visione misericordiosa che Cristo ha incarnato come misura vera del rapporto con le altre persone. Tutta la nostra vita pubblica è oggi inquinata dal moralismo farisaico e dall’idolatria delle regole formali di fronte invece a un degrado della vita etica delle persone, diventate sempre più indifferenti alla sorte della comunità umana e dell’intero pianeta.

Chi si affida al moralismo è inoltre involontario portatore di una logica manichea in cui si è pronti a vedere la pagliuzza nell’occhio dell’altro ignorando la trave che pesa e annebbia il proprio occhio.

Il moralismo è il contrario della fraternità, della partecipazione consapevole all’edificazione di una città più umana. Il moralismo è all’origine di ogni settarismo manicheo e la negazione di ogni spazio alla comprensione reciproca. Il moralismo è la negazione dell’affettività che vive nelle relazioni umane come misura di reciprocità senza gerarchie e presunte superiorità.

L'ALTERNATIVA NON C'E'



Su due quotidiani italiani ieri alcuni commentatori avevano chiesto che il Vaticano rompesse il suo silenzio, che qualcuno parlasse. E il segretario di Stato Tarcisio Bertone ha parlato. Lo ha fatto dicendo innanzitutto di condividere la preoccupazione già espressa dal capo dello Stato. Un segnale in questo senso, a dire il vero, era già arrivato quattro giorni fa con la decisione di mettere in pagina su L’Osservatore Romano la nota del Quirinale che esprimeva preoccupazione per lo scandalo. Il cardinale non deve aver gradito di essere stato dipinto da qualcuno come un acritico sostenitore del Cavaliere e ha dunque ritenuto opportuno di far sapere che quanto sta accadendo non passa certo inosservato Oltretevere. Ha scelto dunque di rispondere alle inevitabili domande sul caso Ruby che gli sono state rivolte al margine dell’inaugurazione della casa di accoglienza del Bambin Gesù. Ha risposto perché aveva deciso di dire qualcosa. «La Chiesa – ha spiegato il principale collaboratore di Benedetto XVI – spinge e invita tutti, soprattutto coloro che hanno una responsabilità pubblica in qualunque settore amministrativo, politico e giudiziario, ad avere e ad assumere l’impegno di una più robusta moralità, di un senso di giustizia e di legalità». Parole che si applicano innanzitutto al presidente del Consiglio, ma che vengono estese anche alla magistratura, esplicitamente citata nella risposta del Segretario di Stato.


Sarà adesso la gerarchia a dover gestire i complessi rapporti con uno stato come l’Italia da sempre in prima fila negli interessi vaticani. Ed è prevedibile che arriverà il momento della realpolitik.

Berlusconi non sarà un santo ma finora ha garantito non solo gli interessi (anche quelli, vedi il caso Ici) quanto piuttosto i valori cui la Chiesa tiene: la scuola paritaria, la legge sul fine vita, le politiche contro l’interruzione volontaria di gravidanza, i no a coppie di fatto e adozioni omosessuali, la difesa della famiglia fondata sul matrimonio.

C’è al momento un interlocutore di cui la Chiesa possa fidarsi per evitare anche in Italia una deriva zapaterista? No. Casini è per adesso troppo debole e legato al laico Fini; i cattolici nel Pd non contano in pratica niente, o per lo meno non riescono a incidere, come si vede nelle regioni dove il Pd governa, e nelle quali sono state approvate varie normative tutte improntate a ideali laicisti. Vendola sarà pure cattolico, citerà un santo o un papa in ogni discorso, ma resta un omosessuale dichiarato convivente more uxorio con un giovane fotografo.

Pare quindi che al di là delle inevitabili e quasi dovute prese di principio sulle cene di Arcore, per il Vaticano ci siano poche altre strade percorribili al di fuori di questo centrodestra. Magari sognando, al posto di Berlusconi, il gentiluomo di sua Santità Gianni Letta o l’ex laico Tremonti, negli ultimi tempi molto attivo (e prodigo) col Vaticano.

SUOR BONINO

EMMA BONINO PARLA COME UN BERSANI QUALSIASI.
CIOE' DA BACCHETTONA POSTCOMUNISTA

Pur di attaccare Berlusconi spaccia il moralismo per "problema politico" e dice frasi come:" ci vogliono comportamenti consono alla carica, ci vogliono moralità e decoro".

Quasi quasi era meglio quando si drogava in pubblico o praticava aborti,
Atti di grande moralità.

SQUALLORE E IPOCRISIE

di Vittorio Messori
Di fronte a ciò che sta accadendo in questi giorni, e che riempie le pagine dei giornali di intercettazioni e di particolari piccati sulle avventure del premier, mi è tornata alla mente una massima dei moralisti gesuiti che recitava: nisi caste, tamen caute. Vale a dire: se non riesci a vivere castamente come dovresti, almeno sii cauto nel compiere i tuoi peccati per non dare scandalo.

Si applica benissimo proprio agli uomini con incarichi pubblici. Il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, qualche tempo fa ha ricordato che a ogni ruolo pubblico devono corrispondere atteggiamenti e sobrietà adeguate. È per questo che lo sguardo di un cattolico, prima di essere indignato per l’immoralità, si rivolge l’opportunità politica.

La Chiesa stessa non è autorizzata a lanciare anatemi contro un capo di Stato per la sua moralità privata – questione che l’interessato deve risolvere con il suo confessore, se ne ha uno – ma fa benissimo, invece, a preoccuparsi se le vicende private del presidente del Consiglio diventano l’agenda quotidiana del Paese e se la vita politica viene monopolizzata dalle inchieste sulle escort invece che dai problemi reali dei cittadini, creando un clima di instabilità e conflittualità permanente che danneggia l’Italia.

Certo, rimango colpito da un fatto: proprio quelli che sono sempre pronti a denunciare l’intrusione del Vaticano e delle gerarchie ecclesiastiche nella politica italiana, auspicano che la Chiesa metta il naso nella moralità privata del premier e sarebbero pronti ad applaudirla e osannarla se lo facesse. Proprio quelli che hanno sempre predicato il libertinaggio e la sessualità senza regole come una conquista di civiltà, si scoprono improvvisamente bacchettoni quando si tratta dell’inquilino di Arcore.
La storia è piena di esempi di ministri e capi di Stato sciupafemmine e talvolta persino sessuomani che per le loro politiche sono stati sempre rispettati e talvolta decorati dalla Chiesa. Penso ai cardinali e ministri del re di Francia, Richelieu e Mazzarino. Quest’ultimo si diceva che fosse l’amante della regina. Penso a Enrico VIII, che faceva strage di suddite eppure venne proclamato «defensor fidei». Penso al presidente argentino Juan Domingo Perón, cattolicissimo e donnaiolo, o al primo presidente cattolico degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, il quale, nonostante le reiterate infedeltà coniugali, ebbe sempre rapporti eccellenti con la Chiesa americana.

Sia chiaro: con ciò non intendo assolutamente assolvere Berlusconi o minimizzare la portata di ciò che sta purtroppo venendo alla luce e che ci parla di uno squallore morale diffuso. Preferirei certo che vi fossero politici e uomini delle istituzioni dalla vita privata irreprensibile, che fanno buone leggi. Ma è meglio un politico puttaniere che faccia leggi non in contrasto con quelli che il Papa ha definito «valori non negoziabili», piuttosto che un notabile cattolicissimo che poi però fa leggi contrarie alla Chiesa.

venerdì 21 gennaio 2011

IL CATTOLICO ADULTO

MONS. GIAMPAOLO CREPALDI ARCIVESCOVO DI TRIESTE
Dalla Lettera al Presidente dell’Azione Cattolica triestina
“Vorrei infine toccare l’argomento della laicità dei cristiani adulti. Il cristiano “adulto” è il cristiano maturo, che si è fatto invadere da Cristo e dal suo Spirito santo e abbracciare dalla Chiesa, non chi mette da parte la propria fede per entrare in una indistinta laicità dove si fa di tutto per non mostrare il proprio volto con il pretesto di non offendere gli altri che la pensano in maniera diversa. In Cristo, Dio ci ha fatto vedere il suo Volto, ci ha mostrato il suo Volto umano e, così facendo, ci ha rivelato la piena verità di noi stessi e della nostra umanità. La Chiesa annuncia il Dio “absconditus”, che tutti gli uomini cercano senza possederlo perché non ne hanno ancora visto il Volto. Quale forma di “rispetto umano” potrebbe trattenerci dall’annunciare al mondo, in maniera chiara e convinta, il Volto di Dio? Quale riduzionismo della portata e del valore incommensurabile della fede potrebbe farci dimenticare che “tutte le cose verranno ricapitolate in Cristo”, quelle del cielo come anche quelle della terra? Come potremmo, in ossequio ad un concetto limitato di laicità, separare la vocazione terrena dell’uomo da quella eterna e dimenticare che in ogni frammento della nostra vita, anche della vita pubblica, si gioca un destino di eternità? Quando l’Azione Cattolica – e non solo essa - dovesse cedere a queste lusinghe, finirebbe per cadere vittima delle separazioni che mortificano la vita, delle rivendicazioni di parte che corrodono l’unità, si separerebbe dal “sentire cum Ecclesia”, che è invece la sua stessa ragion d’essere e abituerebbe i suoi membri a “pensare in proprio”, che è cosa ben diversa dal pensare in quanto tale e, soprattutto, dal pensare nella fede.”

SERMONI SENZA DECENZA

La sacerdotessa laica e il monaco che prima rampognavano chi osasse criticare la liceità di tutte le voglie, ora moraleggiano sulla lussuria privata (e non vietata) del capo. Ipocriti, ripassino un’altra volta

  Sono imbarazzato. Come ateo devoto (definizione che mi sono appiccicato con ironia mal compresa da una cultura politica grossolana), mi ero messo nei guai. Guai seri, guai spirituali. Per aver predicato la “buona vita” come necessità razionale dell’esistenza moderna, per aver provocato e smaniato con i miei laici no all’aborto, al divorzio, alla pillola del giorno prima, del giorno dopo e alla kill pill (ho perfino presentato una lista di ispirazione etica che ha portato via 135. 000 miseri voti a Berlusconi alla Camera); e per aver detto che il preservativo non può essere una bandiera, e che va bene il piacere ma il matrimonio è una cosa seria e si fa quando serve a fare famiglia e figli, non per soddisfare il legittimo Io gay e le sue voglie, e per aver sostenuto battaglie antieugenetiche nel referendum sulla fecondazione assistita, per tutto questo mi sono preso rampogne e sermoni di decenza da molti tra i quali Barbara Spinelli ed Enzo Bianchi, l’una sacerdotessa laica, l’altro monaco della Comunità di Bose.
La differenza cristiana, mi spiegava il monaco, è la libertà morale, di coscienza, e nel pluralismo delle forme spirituali possibili occorre cercare una verità non normativa, non dogmatica, aperta. Se un laico, che affetta una devozione posticcia, maurrassiana, da scomunica, predica criteri etici con disinvoltura, è che vuol fare politica, usare la religione come instrumentum regni, roba da imperatore Costantino, da patto scabroso tra chiesa e potere, una vergogna: firmato Bianchi. Se un laico non capisce le libertà di comportamento e di costume del moderno, tradisce se stesso, compie un’operazione ambigua, svilisce la religione e la ragione insieme, si mette al servizio di un ratzingerismo da gendarmi pontifici: ed è una vergogna, ha sostenuto la Spinelli contro di me e le mie povere idee.
Ora la sacerdotessa mi edifica con il “sermone della decenza”, ieri su Repubblica, giornale interessante e vario in cui adesso si apre anche un capitolo di educazione spirituale dell’umanità, ciò di cui in fondo potrei anche compiacermi. E il monaco addirittura discetta sulla Stampa (sempre a prescindere da quel peccato originale che i preti progressisti considerano un ferrovecchio teologico, bizzarria psicoanalitica di un Agostino peccatore pentito) intorno alla lussuria, con la sua solitudine, la sua riduzione del piacere a cosa, la scissione del sesso dalla procreazione, e altre indecenze. Il tutto perché oggi politicamente conviene, ad atei e credenti della sinistra moralistica e teologica, criminalizzare moralmente un Berlusconi che, secondo me, va messo sotto accusa politicamente, ma lasciato in pace sul piano della sua morale privata, la quale non è un crimine e, se è un peccato (cosa che a me pare incontrovertibile) riguarda la sua coscienza e il suo direttore spirituale, visto che le feste di Arcore non sono atti pubblici, norme o leggi.
Per i lettori ignari di Repubblica e della Stampa, passi. Ma per me e per i lettori del Foglio, dico che dovrebbero essere risparmiati sermoni sulla decenza di vivere e sulla lussuria. Nessuna norma pubblica di morale o di diritto vieta di amare le ragazze, far loro dei regali, e convocarle per feste private in cui la messinscena del piacere, e scampoli di piacere anch’essi privati, rivestono un ruolo esteticamente grottesco ma moralmente iscritto nella sfera personale dell’Autore del copione, della sua libera coscienza, del suo modo di vivere molto moderno, della specifica differenza cristiana in cui è collocabile la sua cultura e la sua smania esistenziale. Gli stessi che chiudono un occhio (e anzi due) sulla deriva nichilista e mortuaria della civiltà d’oggi, sui suoi tic, sulle condizioni in cui vivono le minorenni e i minorenni a scuola, sul conformismo della trasgressione che avvilisce la maternità e la natalità, sulla manipolazione della vita e sulla distruzione di matrimonio e famiglia, tutto così fatale e inattaccabile se non da orrendi devoti turbati dal loro stesso accecamento conservatore; quegli stessi bardi di morale e di decenza abbiano la compiacenza di ripassare un’altra volta con le loro ipocrisie sulla vita lussuriosa del capo e sulla censurabilità dei suoi criteri di condotta. Non si può passare la vita ad abbassare la soglia della norma etica, e poi issare un muro di filisteismo moralistico contro il nemico politico. La lezione è rinviata a tempi migliori. Grazie.
 Giuliano Ferrara
Tratto da Il Foglio del 20 gennaio 2011

giovedì 20 gennaio 2011

L'UMANITA' PERDUTA

LA DOPPIA MORALE CHE APPLAUDE NICOLE KIDMAN
E RECLAMA SDEGNO PER I COMPRATORI DI BAMBINI

Nicole Kidman e Keith Urban hanno avuto un secondo bambino, questa volta senza gravidanza. Si sono serviti di un “corriere gestazionale”, come hanno chiamato, ringraziandola, la ragazza che si è portata per nove mesi quel figlio nella pancia. Corriere gestazionale è come portalettere, come incubatrice, come facchino, come cicogna: la madre surrogata che ha permesso a Nicole Kidman di diventare mamma senza partorire è soltanto una tappa necessaria nel ciclo di produzione industriale di bambini. Con in mezzo agenzie scrupolose e disinfettate, con donatrici (venditrici) di ovuli tenute distinte dalle ragazze che affittano i propri uteri per evitare che esista una madre biologica in grado un giorno di creare problemi e suonare alla porta alla ricerca del figlio perduto.
Sul magazine Ok! ci sono le foto della famiglia di Elton John, botulinato e felice, con il marito e il bebè in braccio. Anche Sarah Jessica Parker ha avuto da poco due gemelle nello stesso modo ed è contentissima. Sono le nuove forme di maternità e paternità, è la libertà di fare quello che si vuole e quello che si può, è una nuova espressione, “madre surrogata”, che è stata velocemente accettata, applaudita, ricoperta di commozione e di desideri finalmente esaudibili. Storie a lieto fine, in cui tutti sorridono con le labbra turgide e le interviste esclusive e gli spettatori riflettono, storditi ma contenti, sulle nuove frontiere della modernità. Sono genitori che hanno acquistato un figlio, anche se non è bello dirlo: a volte hanno dato una parte di sé e a volte no, hanno affittato una signora in buona salute per avere un bambino che ameranno moltissimo e quindi bisogna accogliere con gioia le mille possibilità offerte, l’opportunità di essere madri anche quando è tardi e niente più angoscia per i maledetti limiti biologici.
Intanto“Save the children” è preoccupata per la storia squallida dei ladri di bambini, quelli che comprano figli da madri incinte che hanno acconsentito a cederli, appena nati, perché hanno bisogno di soldi (le madri in affitto e le venditrici di ovuli lo fanno quasi sempre per lo stesso motivo): sulla Stampa di ieri è riportata la vicenda di una coppia di cinquantenni che ha acquistato un neonato da una ragazza ucraina per venticinquemila euro e l’ha chiamato Gennaro. Senza agenzie di maternità, con brutti ceffi di mezzo, con pagamenti a rate e senza sorrisi radiosi e conferenze stampa. Massima riprovazione morale, in questo caso, e preoccupazione per una pratica subdola, in cui spesso la madre porteuse va a partorire in ospedale, da sola, poi l’acquirente maschio riconosce il figlio come proprio, lo inserisce nel proprio nucleo familiare e se lo porta a casa. Oppure, come per il piccolo Gennaro, la consegna avviene subito dopo la nascita, con occhiatacce e gesti furtivi da spaccio di droga.
Commercio di bambini, una cosa orribile e terrificante, giovani donne sfruttate, bambini che non sapranno di chi sono davvero figli. Ma nella sostanza, qual è la netta differenza tra una ragazza incinta che decide di vendere a una coppia senza figli il bambino che nascerà e il “corriere gestazionale” da ringraziare con gli occhi lucidi, qual è il discrimine non venale che fa commuovere e intenerire per Nicole Kidman ed Elton John e inorridire per la cinquantenne che si portava in giro per il paese, fiera, un figlio nuovo di zecca? In entrambi i casi c’è il desiderio, la domanda, l’offerta, l’attesa, senz’altro anche l’amore.




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