mercoledì 30 marzo 2011

SCEGLIERE FRA DANTE E L'UNESCO


Il filosofo Hadjadj e la Corte dei Gentili

A Parigi l’inaugurazione del “Cortile dei gentili” è diventata, a sorpresa, una tribuna contro la cultura antinatalista che ha segnato origini e pratiche dell’agenzia Onu per l’educazione e la cultura.

Il “Cortile dei gentili”, tre giorni di colloqui tra credenti e non credenti organizzati dal 24 al 26 marzo, a Parigi, dal Pontificio consiglio della cultura presieduto dal cardinale Gianfranco Ravasi, ha avuto il suo momento più solenne con il messaggio di Papa Benedetto XVI, proiettato venerdì sera, a conclusione dell’iniziativa, di fronte alla cattedrale di Notre Dame. “Credo profondamente che l’incontro tra la realtà della fede e quella della ragione permetta all’uomo di trovare se stesso”, ha detto il Pontefice. Il quale ha voluto sottolineare, “nel cuore della città dei Lumi”, che nella costruzione di “un mondo di libertà, di uguaglianza e di fraternità, credenti e non credenti devono sentirsi liberi di essere tali, eguali nei loro diritti a vivere la propria vita personale e comunitaria restando fedeli alle proprie convinzioni, e devono essere fratelli tra loro”.

Nelle intenzioni del Papa, la funzione del Cortile dei gentili (è il nome dello spazio accanto al Tempio di Gerusalemme, dove anche chi non condivideva la fede nel Dio di Israele poteva incontrare gli scribi, parlare di fede e pregare il “Dio ignoto”) è “di operare a favore di questa fraternità al di là delle convinzioni, ma senza negarne le differenze”.

Un saggio imprevisto di quelle differenze si è avuto durante l’apertura ufficiale del “Parvis des Gentils”, organizzata nella sede principale dell’Unesco, di fronte a una platea di funzionari dell’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione e la cultura, di diplomatici, di prelati, di accademici. Una scelta, considerate le molte occasioni di contrasto che da sempre segnano i rapporti tra Santa Sede e Onu, fata in omaggio al valore di apertura e di dialogo del Cortile dei gentili.

Nessuno però si aspettava che uno dei relatori, il filosofo Fabrice Hadjadj (nato quarant’anni fa in una famiglia ebrea laica, figlio di sessantottini maoisti, convertito al cattolicesimo dopo una giovinezza da ateo), evocasse un convitato di pietra piuttosto ingombrante, responsabile di certi peccati originali dell’organizzazione, proprio in casa sua e in una circostanza così ufficiale.

Di fronte a un pubblico che non è difficile immaginare – almeno in parte – basito, Hadjadj ha ricordato che colui che fu dal 1946 al 1948 il primo direttore generale dell’Unesco, Julian Huxley, nello stesso 1941 in cui Hitler eliminava con il gas malati mentali e “difformi”, scriveva che “l’eugenismo diventerà senza dubbio una parte della religione del futuro”. Un parere pubblicato in Francia, senza modifiche, nel 1947. Julian, fratello del creatore dell’utopia totalitaria del “Mondo Nuovo”, lo scrittore Aldous Huxley, non per questo si dimostrò vaccinato contro la seduzione eugenista, ha aggiunto Hadjadj. Sviluppando il darwinismo, ha semmai sostenuto la possibilità di “migliorare la qualità degli esseri umani, come fossero prodotti”, a detrimento della loro quantità. La “religione” sostenuta dal primo direttore generale dell’Unesco (negli anni Trenta tra i fondatori della Eugenics Society) si è cercata un nuovo nome dopo la Seconda guerra mondiale, perché su “eugenetica” pesava ormai l’ipoteca nazista.

Julian Huxley ricorse a “transumanismo”, ha ricordato Hadjadj, assonante ma opposto, nel significato, al “trasumanar” dantesco. Il quale indica l’apertura verso il divino che nasce dallo “stupore dell’esistenza” provato, tra tutti gli esseri viventi, solo dall’uomo.

Quanto di più lontano, quindi, dall’idea di redenzione attraverso la tecnica che sfocia (nelle intenzioni di Huxley, mai smentite dall’Unesco) nelle politiche antinataliste.

E’ arrivato il momento di scegliere tra Dante e Julian Huxley, ha affermato Hadjadj: “La nostra modernità è arrivata a un punto estremo, perché non si tratta tanto di dialogare tra credenti e non credenti, quanto di porre la questione di chi è l’uomo, di riconoscere che la sua specificità non è quella di un super animale più potente degli altri”. Non “scimmia evoluta”, dotata di massime “capacità di adattamento”, ma colui che “decifra il mondo come una foresta di simboli”, che “cerca un al di là. Non significa necessariamente un altro mondo, ma un modo di penetrare il mistero del mondo e di bere a quella sorgente”.

da: Il Foglio del 29 marzo

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