giovedì 8 settembre 2011

ANGELO SCOLA E LA VERA LAICITA'

La sfida di Scola e la vera laicità

di Giacomo Samek Lodovici
Labussola quotidiana08-09-2011

«Scola: cristiani e vita pubblica, più coraggio».

Così venerdì scorso Avvenire titolava efficacemente una sintesi dell’intervista rilasciata di recente ad alcune testate dal cardinal Scola, l’unica concessa dopo che il Papa lo ha nominato a Milano. Per il neo successore di Ambrogio – che il 9 settembre, tramite un procuratore, prenderà possesso canonico dell’arcidiocesi, con una celebrazione che si terrà in Duomo – «Nel prossimo decennio la questione dell’impegno politico dei cristiani e della dimensione sociale della vita di fede, sul piano personale e comunitario, sarà bruciante» e «Bisognerebbe che i cristiani si interrogassero molto di più sulla modalità con cui attuare la dimensione pubblica della fede. […] Penso ai temi scottanti della nascita, della morte, della bioetica in generale, dell’educazione, della giustizia sociale e altri».

È un invito cruciale, che va assolutamente raccolto e rilanciato, ma che si scontra con alcune convinzioni che sono molto frequenti, sia tra i non credenti sia fra i credenti. Infatti, molti (anche tra gli stessi cattolici, lo ripetiamo) pensano che i cattolici non possano pronunciarsi nella sfera pubblica sulle questioni menzionate da Scola − questioni che in larga misura coincidono con i «valori non negoziabili» e primari che tanto stanno a cuore a Benedetto XVI − perché ritengono che le convinzioni di fede non debbano valere per chi la fede non ce l’ha.

A maggior ragione, l’interdetto viene rivolto nei confronti dei pronunciamenti della Chiesa su questi temi, a cui viene imputato il reato (per così dire) di lesa laicità.
Ora, non è ovviamente qui possibile soffermarsi sulle diverse accezioni (talvolta scorrette) con cui viene utilizzato il termine «laicità».

Diciamo solo che, attingendo all’evangelico «rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Lc, 20, 25), fin dalle sue origini è stata proprio la Chiesa ad elaborare un concetto di laicità intesa come distinzione tra religione e politica, tra Chiesa e Stato. Distinzione non vuol dire opposizione (come vorrebbe il laicismo), né comporta il silenziamento laicista della religione da parte dello Stato: del resto, esigere il silenzio della Chiesa vuol dire violare il diritto alla libertà di espressione, che deve valere per tutti (e va revocato solo a chi ne approfitta per fare apologia di reato) e quindi anche per la Chiesa.

Quest’ultima, inoltre, ha da proporre un giacimento di esperienza e di insegnamenti accumulati per 2000 anni e già solo per questo motivo sarebbe ragionevole ascoltarla, beninteso dubitando molto spesso delle sintesi giornalistiche e leggendo direttamente quanto essa propone, come oggi è possibile fare attraverso internet.
Piuttosto, distinzione tra religione e politica vuol dire che (diversamente da quanto avviene nelle teocrazie) i chierici non devono (eccetto casi particolari) essere politici e che le norme religiose non devono tradursi in leggi dello Stato.

Ora, questa laicità non viene affatto violata dalla Chiesa, perché essa svolge il suo magistero usando due registri: talvolta usa sì argomenti che provengono dalla fede ma, in questi casi, non chiede allo Stato di adottare certe iniziative o certe leggi su questa base; quando si rivolge allo Stato e ai politici lo fa sulla scorta di argomenti ‘laici’, razionali (come ha ricordato anche il cardinal Bagnasco domenica scorsa), che a buon diritto hanno titolo di cittadinanza nella sfera pubblica.

Ovviamente questi argomenti in un Angelus o in una dichiarazione alla stampa, ecc. non possono essere formulati o possono essere solo accennati, e un’omelia non è il luogo per svolgerli; ma nelle encicliche e in altri documenti sono invece dispiegati. Solo che i mass media spesso non li riportano.

Così, per una rovinosa incomprensione, anche molti cattolici pensano che le posizioni della Chiesa discendano solo dalla fede. Le cose non stanno così ed è fondamentale, imprescindibile chiarirlo: i valori non negoziabili e gli altri valori che la Chiesa promuove sono già condivisibili dalla ragione ‘laica’, tanto è vero che i cattolici hanno avuto e hanno diversi compagni di strada anche tra i non credenti: si pensi, per fare solo alcuni nomi recenti e italiani, a Norberto Bobbio, Oriana Fallaci, Giuliano Ferrara e Marcello Pera. Inoltre, la Chiesa, da sempre, chiede ai credenti di promuovere, proporre, difendere la visione cristiana della vita, sia con la testimonianza, sia sforzandosi di «rendere ragione» (1 Pt, 3, 15).

Lo chiede dunque già con la Lettera di Pietro e per ovvii motivi razionali: chi espone ad un interlocutore degli argomenti che fanno leva sola sulla ragione naturale può condurlo verso la verità molto più facilmente, perché tali ragionamenti non richiedono nell’interlocutore stesso una fiducia previa nella Rivelazione e nel Magistero e perciò possono avere presa su chiunque.

Per ciò che attiene al tema dell’impegno cultural-politico dei cattolici, ciò vuol dire che i credenti hanno una missione da svolgere: proporre e promuovere nella vita sociale i veri beni dell’uomo, anche facendo leva su argomenti razionali. Pertanto, oggi il compito dei cattolici è sempre più quello di formarsi intellettualmente (ovviamente nei limiti delle proprie possibilità), di leggere e/o elaborare ed imparare quegli argomenti laici che consentono di promuovere i valori − specialmente quelli non negoziabili, dato che sono i più importanti, quelli «per i quali vale la pena di morire», come ha detto Bagnasco − nella sfera pubblica: essi hanno il compito di proporli con coraggio, coniugando carità e verità, dolcezza e determinazione (un validissimo libro recente che espone e difende questi valori con una nutrita serie di ragionamenti stringenti e con dati di fatti e ricerche sociologiche è quello di Luigi Negri e Riccardo Cascioli, Perché la Chiesa ha ragione. Su vita, famiglia, educazione, aids, demografia e sviluppo, Lindau).

Infine, a chi sostiene che la laicità dello Stato equivale alla sua neutralità etica, si può rispondere che la neutralità etica è impossibile: già solo quando lo Stato vieta il furto, la tortura e l’omicidio, lo fa alla luce di una concezione morale che biasima queste pratiche come mali morali. Si può ribattere che lo Stato le vieta perché sono dannose, non perché sono dei mali morali. Tuttavia, perché non dobbiamo danneggiare gli altri? A che titolo lo Stato ce lo impedisce? Non li dobbiamo danneggiare se e perché danneggiarli è malvagio. Infatti, ci sono diversi casi in cui gli uomini si danneggiano senza malvagità e perciò con il beneplacito della legge: un manager che licenzia un impiegato disonesto lo danneggia, e lo fa con il beneplacito della legge, perché l’atto del licenziamento (se è giusto) non è un male morale.

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