giovedì 29 settembre 2011

YOSEF NADARKHANI

Ventiquattr’ore di tempo

per salvare dal cappio

dell’Iran il prete apostata
Dice al Foglio la ong che difende Nadarkhani: “Ogni giorno può essere messo a morte dagli ayatollah”

“Ventiquattr’ore per salvare la vita di Yosef Nadarkhani”, recita un banner sul sito di Christian Solidarity Worldwide, la ong inglese che difende il pastore cristiano condannato a morte in Iran.

Il Washington Post scrive che “c’è ancora tempo per salvargli la vita”, ma anche che l’esecuzione potrebbe scattare nella mattinata di oggi. Il “prete apostata” è in carcere dall’ottobre 2009, inizialmente accusato di aver protestato contro l’obbligo per tutti gli alunni di leggere il Corano, poi sotto processo per “apostasia” e per aver cercato di “evangelizzare i musulmani”. La condanna a morte è del settembre 2010 e lo scorso luglio la corte ha confermato la sentenza. Altre ong dubitano che l’Iran voglia imbastire un simile spettacolo d’odio. Ma al Foglio spiegano gli attivisti di Christian Solidarity Worldwide: “Ieri Nadarkhani era di nuovo in tribunale e si è rifiutato ancora di convertirsi all’islam. Aspettiamo la decisione”. C’è il timore che gli ayatollah possano eseguire la sentenza dopo la legge ratificata dal Parlamento che inasprisce la pena per apostasia.

L’ultimo cristiano giustiziato per legge fu nel 1990, quando venne impiccato Hossein Soodmand (ora suo fratello Ramtin è in carcere per la stessa accusa). Nadarkhani ha respinto la richiesta di “pentimento” avanzata dal giudice del tribunale di Gilan per la terza volta in una settimana. Secondo il giudice, il religioso cristiano ha “antenati islamici” e per questo motivo “deve abiurare la sua fede in Gesù Cristo”. “Pentirsi significa tornare indietro, verso cosa dovrei ritornare? Alla blasfemia in cui ero prima di trovare la fede in Cristo?”, così avrebbe risposto Nadarkhani al giudice. Nadarkhani è un famoso religioso delle “chiese domestiche”, la rete di comunità cristiane più represse dagli ayatollah.

Sono discendenti di musulmani convertiti al cristianesimo durante l’occupazione britannica della Persia. Nel 2011 finora sono stati trecento i cristiani arrestati dal regime. Cristiani “impuri” perché non musulmani, a proposito dei quali Khomeini metteva in guardia gli iraniani con suggerimenti del tipo “non toccate i loro oggetti” e “non mangiate con loro”.

La legge elenca due tipi di apostasia: innata o parentale. Nel primo caso, l’apostata ha genitori musulmani, si dichiara musulmano e da adulto abbandona la fede di origine; nel secondo, l’apostata ha genitori non musulmani, diventa musulmano da adulto e poi abbandona la fede. La legge stabilisce che “la punizione nel caso di apostasia innata è la morte”, mentre “la punizione nel caso parentale è la morte, tuttavia dopo la sentenza finale, per tre giorni il condannato sarà invitato a tornare sulla retta via ed incoraggiato a ritrattare. In caso di rifiuto, la condanna a morte verrà eseguita”.

Secondo la ong Open Doors, che stila la celebre World Watch List, il secondo paese al mondo più pericoloso per i cristiani è l’Iran. Le stime danno un totale di centomila cristiani in Iran: armeni, assiro-caldei cattolici e ortodossi, protestanti, latini e armeno-cattolici. Tanti i pastori assassinati in esecuzioni extragiudiziali. Il primo nel 1979, un anglicano a cui fu tagliata la gola. Nel 1980 fu la volta di Bahram Deghani-Tafti, Hossein Soodman nel 1990, Mehdi Dibaj nel 1994, Haik Hovsepian venne ucciso e sepolto in una fossa comune con un musulmano convertito al cristianesimo e Mohammad Bagheri Yousefi fu trovato impiccato a un albero nel 1996. Da allora migliaia di cristiani sono stati arrestati.
Molti osservatori di vicende iraniane parlano della “fase più oscurantista dei rapporti fra il cristianesimo e la Rivoluzione islamica”, da quando nel 1979 l’ayatollah Khomeini chiese la chiusura immediata delle scuole cattoliche e concesse a tutti i sacerdoti, religiosi e religiose cattolici stranieri, un mese di tempo per lasciare il paese.

E, come allora, molte chiese oggi sono state chiuse, decine di giovani iraniani, gran parte convertiti dall’islam, sono stati torturati così come molti pastori sono finiti sotto sorveglianza. Intanto da Teheran sono arrivati in Vaticano quattro religiosi, membri del Giureconsulto islamico. La visita di cinque giorni è il prosieguo di una politica di avvicinamento all’Iran avviata dalla Segreteria di stato vaticana. Un anno fa il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, venne ospitato a Teheran dal presidente Mahmoud Ahmadinejad. A giugno la Santa Sede ha spedito Edmond Farhat a Teheran per una conferenza “contro il terrorismo”. La nuova visita iraniana in Vaticano non è passata inosservata all’ambasciata d’Israele presso la Santa Sede.

da ILFOGLIO

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