giovedì 6 ottobre 2011

CAFFARRA E LA SUSSIDIARIETA'

 «Esiste ancora
nel cuore dei
bolognesi
l'amore
per la loro
città?

4 OTTOBRE FESTA DI SAN PETRONIO
OMELIA DEL CARDINALE CARLO CAFFARRA


La Solennità del Santo Patrono della nostra città ci riunisce ogni anno nella sua basilica, vanto ed onore di ogni bolognese e delizia dei nostri occhi. Momento grave e solenne questo che stiamo vivendo, poiché offre a noi tutti l’occasione di riflettere sullo «stato di salute» della nostra città. Essa è uscita da poco da una condizione istituzionale straordinaria, e desidero rivolgere il mio augurio più sincero a Lei, Signor Sindaco, alla Giunta municipale, e ai Signori Consiglieri. L’augurio è accompagnato dalla quotidiana preghiera perché il Signore voglia donarvi la sapienza necessaria, memore del precetto dell’Apostolo di elevare preghiere per chi ha pubbliche responsabilità. [cfr. 1 Tim 2, 2] Dicevo poc’anzi che questa è occasione propizia per riflettere sullo «stato di salute» della nostra città. Ciascuno lo può fare, secondo la sua responsabilità e competenza istituzionale e non.

(...)

 L’amicizia civile non basta. Non basta infatti evitare che il bene comune sia avvertito come meno «interessante» del proprio individuale profitto. L’amicizia civile deve generare il coinvolgimento operativo di tutti per il bene comune della nostra città, senza restringerlo dentro gli schemi utilitaristici, della legalità per la legalità, di ideologie astratte e false. Cari fratelli e sorelle, ciò che in questo momento tanto difficile anche per la nostra città è richiesto, è un vero e profondo cambiamento culturale, una vera e profonda trasformazione di mentalità. È a questo che ci invita la Parola di Dio: «Abbiamo… doni diversi secondo la grazia data a ciascuno».

La conversione culturale, la trasformazione di mentalità ha un nome: si chiama sussidiarietà. Cari fratelli e sorelle, se questa conversione accade, è l’architettura stessa della nostra cittadinanza, della nostra civile convivenza, che cambia profondamente. Non abbiamo forse il diritto di sperare che Bologna possa diventare un vero laboratorio sociale della sussidiarietà? Altre volte essa si è mostrata capace di essere un vero laboratorio sociale. Non è certamente questo il luogo ed il contesto per sviluppare come meriterebbe questo tema. Mi limito ad un paio di riflessioni.

La prima. Sussidiarietà significa che «tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto […], quindi di sostegno, promozione e sviluppo rispetto alle minori» [Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, 186]. Sussidiarietà significa corrispondentemente che il bene comune della nostra città è raggiunto solo mettendo assieme sui contenuti essenziali del medesimo bene municipalità, imprese, e la società civile organizzata nel cosiddetto terzo settore. Questa architettura sociale favorisce la responsabilità delle singole persone e dei gruppi sociali; impone ai tre soggetti suddetti di cooperare secondo la propria natura e la finalità propria. Né la municipalità, né l’impresa, né la società civile nel senso suddetto da sole, ossia considerate separatamente, possono rispondere in modo soddisfacente alle necessità della nostra città. Come dicevo, è una vera conversione culturale che solamente può rigenerarla. Non sarebbe forse utile che si istituisse un «Consiglio permanente per la sussidiarietà» che aiuti a progettare questa nuova architettura sociale di cui la nostra città ha così urgente bisogno?

La seconda. Perché la nostra vita cittadina possa edificarsi secondo questo modello di sussidiarietà, dobbiamo abbandonare definitivamente due pregiudizi.
Il primo è costituito dalla contrapposizione tra pubblico e privato. È un vecchio pregiudizio ideologico, falso sul piano di dottrina della società, devastante sul piano pratico, e che la storia stessa si è già incaricata di condannare. Va pienamente riconosciuta la funzione sociale del privato: si pensi alla famiglia. Trattasi di un riconoscimento che non va pensato in termini di una conciliazione fra due ambiti della vita tendenzialmente confliggenti. Ma va pensato in termini di una armonia che vede pubblico e privato nella loro diversità, reciprocità e complementarietà.
Il secondo è una concezione ancillare del rapporto della società civile colle istituzioni pubbliche. È una sorta di sussidiarietà rovesciata: imprese, società civile diventano semplicemente funzionali all’amministrazione, alla sua programmazione ed organizzazione.

Cari amici, la nostra città non può rassegnarsi a gestire l’eredità passata. Essa sarà capace di costruire il nuovo, solo se vorrà veramente ripensare e riprogettare l’architettura spirituale della sua convivenza. È questo anche un grave dovere verso le nuove generazioni, che non possono essere private del loro diritto di sperare. Non lasciarci, Signore; non abbandonarci: illumina su questa città il tuo volto, e saremo salvi. Amen

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http://www.miradouro.it/node/53746

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