giovedì 10 novembre 2011

LA POLITICA COME INCONVENIENTE

La crisi che sta travolgendo Grecia, Italia e Spagna, sta rischiando di far scomparire la politica insieme alla sovranità nazionale. Si sta sostituendo la democrazia con la tecnocrazia, il ricorso a esperti e istituzioni che sfuggono a qualsiasi controllo democratico. E' l'esito inevitabile delle ideologie moderne - marxismo e liberalismo - come aveva profetizzato il filosofo Francesco Gentile.


MARIO PALMARO, da LABUSSOLAQUOTIDIANA

(…) La politica, pur con tutti i suoi orribili difetti, rappresenta il tentativo di discutere i problemi della polis e di trovare delle soluzioni per il bene della comunità. Perfino le tanto vituperate ideologie del ‘900 e i partiti che ne sono il prodotto rappresentano la forma storica di questa idea sostanzialmente umana di gestione della cosa pubblica. Che il sistema sia democratico o meno, il politico è comunque costretto dai fatti a confrontarsi con il popolo e a rendere conto al popolo: tanto è vero che nemmeno un dittatore può permettersi il lusso di governare a lungo senza consenso.
Ma la tecnocrazia è un’altra cosa: è potere esercitato da “esperti” e da elite non rappresentative, che decidono in modo totalmente autonomo rispetto al mondo reale degli uomini. Il passaggio dalla politica alla tecnocrazia è purtroppo, secondo Gentile, un esito scritto nella tragedia delle ideologie moderne – marxismo e liberalismo – nient’affatto opposte fra loro, ma complementari e progressive, essendo entrambe rivoluzionarie. Alla fine, lo sbocco è quello di consegnare il governo nelle mani di chi detiene il potere finanziario, di chi maneggia le leve dell’economia globalizzata. Ecco che la politica diventa un inconveniente, cioè un ostacolo da togliere di mezzo perché disturba il manovratore, agitando totem anacronistici come l’interesse nazionale, il bene comune, la volontà del popolo. E magari – perché no? – i principi non negoziabili.

Sembra molto difficile non scorgere, in quello che sta accadendo alla Spagna, alla Grecia, e ora all’Italia, il sigillo di questa operazione di “sgombero” della politica nazionale, a favore dei poteri finanziari. Forse la sciagura si sarebbe potuta evitare non accettando la trappola mortale dell’Euro, e tenendoci stretta la facoltà di battere la nostra cara vecchia Lira, come strumento di compensazione agli squilibri della finanza internazionale. Ora il nuovo Presidente del Consiglio italiano, qualunque sarà il Premier dopo Berlusconi, sarà costretto a presentarsi in Europa come un peone messicano dei vecchi film hollywoodiani: pigiama bianco, sombrero in mano e sguardo basso.

In uno scenario del genere, c’è da chiedersi se abbia ancora senso organizzare una campagna elettorale, litigare nelle piazze e nelle tribune politiche, e andare a votare. Non più a Roma, ma altrove, si decidono le sorti del nostro Paese.

Siamo già in una tecnocrazia? Difficile dirlo. Certo è che il modo più sicuro per imboccare quella strada sarebbe il famoso “governo tecnico”. Magari fra mille scodinzolii e sguardi di compiaciuta deferenza di fronte all’esperto di economia “super partes”, al tecnico apprezzato ad Harward; insomma, all’uomo della Provvidenza. Pardon: della Previdenza.

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