venerdì 16 dicembre 2011

IL BULLO DI TURNO

IL PRESIDE E GLI SCOLARETTI


Bisognava capirlo nel momento in cui disse: “Preferisco che ascoltiate, anziché applaudire”. Era il giorno del debutto di Mario Monti al Senato, e l’aria da alto e disciplinante tecnocrate velò al pubblico l’anima un po’ bulla, che si faceva già beffe dei senatori (io non ho bisogno di applausi, a differenza vostra, io ho delle cose da spiegare che fareste bene a memorizzare, cari i miei piccoli inadeguati contadinelli).

Poi lui ascoltava e ascoltava, prendeva appunti, immobile, ruotava il busto quel minimo necessario per intercettare la traiettoria dell’onorevole parlante di turno, non aveva bisogno né di sbattere le palpebre o respirare né di andare in bagno a incipriarsi il naso (in sedute da otto ore circa). Si stava riscaldando. Sparava una battuta qui e là, “Vespa, non sono qui per compiacere lei”, “Fornero, commuoviti ma correggimi”, “Cronista, faccia pure le sue domande” (tanto io non le risponderò mai, miserello), “Come ho già detto prima che lei arrivasse” (in ritardo), “I premier passano, i professori restano”, ma sembrava solo il retaggio universitario (gli studenti di Monti arrivavano terrorizzati agli esami), l’abitudine a trattare con esseri inferiori.

Quest’abitudine quasi secolare, unita evidentemente alla sensazione di essere un incrocio molto riuscito fra Robert Schuman e Altiero Spinelli, un ego per niente sobrio insomma, hanno liberato il bullo (intellettuale) che è in lui. “Scusatemi se valorizzo il Parlamento”, ha detto ieri il premier, ironico, al Senato, durante le proteste della Lega: “Dal punto di vista metodologico, cosa diversa è semplicemente, come certo è facile e magari appagante fare in casa nostra, scagliarsi contro la supremazia di certi paesi e presentare proposte in modo tale che ci sia l’assoluta sicurezza che vengano respinte”, cioè autodistruggersi stupidamente, altro è fare “un lavoro pedagogico che in passato l’Italia non ha molto tentato” (Monti, a differenza dei predecessori incapaci e pasticcioni, prenderà per mano l’Europa e le insegnerà il mondo passo passo). Ieri è toccato all’Europa, l’altroieri all’Italia: alle ventidue (un bell’orario, un’ottima alternativa alla fiction e alle televendite) Monti ha presentato il maxi emendamento e ha fatto qualche precisazione forzuta, gliele ha cantate insomma (per l’occasione il volto ha quasi tradito un’espressione).


“Rifiuto risolutamente l’idea che questa sia solo una manovra di meccanica fiscale”, innanzitutto: Monti ha spiegato di avere introdotto cose mai pensate prima da quegli altri bifolchi. “Non occorrevano professori per questa manovra, verissimo, parole sacrosante, ma allora perché non l’avete fatto voi?” (e di nuovo, per i sordi: “Perché non l’avete fatto voi?”). Perché non l’avete fatto voi, poveri disperati? Perché “eravate paralizzati, sennò non saremmo arrivati noi, non ci avreste chiamati. Io spero (sottotitolo: non credo) che torni presto il tempo in cui non avrete bisogno di professori o di tecnici, il tempo in cui voi sappiate guardare abbastanza lontano per fare le cose che servono”. Se avesse avuto più tempo, se non fosse stato così tardi, Mario Monti avrebbe chiesto l’interdizione legale di tutto il Parlamento per manifesta incapacità. Invece li ha solo bocciati tutti, con sadismo professorale

di Annalena Benini

Tratto da Il Foglio del 15 dicembre 2011

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