sabato 28 gennaio 2012

27 GENNAIO GIORNO DELLA MEMORIA

27 gennaio, “Giornata della Memoria”. Ogni Comune, ogni scuola, ogni classe, ogni docente avrà promosso certamente qualche iniziativa. L’ho fatto anch’io, in modi diversi a seconda dell’età degli studenti che avevo di fronte, cercando, soprattutto, di suscitare in loro una riflessione sul senso del nostro “ricordare”, che altro non è se non “ridare al cuore” i fatti, le storie, le persone, affinché quei fatti, quelle storie, quelle persone arricchiscano il cuore in cui trovano dimora. E lo rinnovino, rendendolo più umano.



Discutendo insieme abbiamo capito una cosa importante: un’ora, una giornata dedicata al passato non servono, se non sono richiamo per noi, per la nostra vita, per la società in cui viviamo. Se dal passato, se dalla storia non sappiamo o non vogliamo imparare, i morti, quei morti che oggi ricordiamo, son morti per nulla ed anche il 27 gennaio diventa solo un giorno in cui si salta il programma e si parla d’altro. Una parentesi che si apre, si chiude e, come nulla fosse accaduto, tutto poi torna quel che era prima.

Oggi, in una classe, abbiamo letto l’editoriale scritto da Elio Vittorini sul primo numero del Politecnico. Era il 29 settembre 1945.

“Per un pezzo sarà difficile dire se qualcuno o qualcosa abbia vinto in questa guerra. Ma certo vi è tanto che ha perduto, e che si vede come abbia perduto. I morti, se li contiamo, sono più di bambini che di soldati; le macerie sono di città che avevano venticinque secoli di vita; di case e di biblioteche, di monumenti, di cattedrali, di tutte le forme per le quali è passato il progresso civile dell’uomo; e i campi su cui si è sparso più sangue si chiamano Mauthausen, Maidanek, Buchenwald, Dachau. Di chi è la sconfitta più grave in tutto questo che è accaduto?

 Vi era bene qualcosa che, attraverso i secoli, ci aveva insegnato a considerare sacra l’esistenza dei bambini. Anche di ogni conquista civile dell’uomo ci aveva insegnato ch’era sacra; lo stesso del pane; lo stesso del lavoro. E se ora milioni di bambini sono stati uccisi, se tanto che era sacro è stato lo stesso colpito e distrutto, la sconfitta è anzitutto di questa «cosa» che c’insegnava la inviolabilità loro. Non è anzitutto di questa «cosa» che c’insegnava l’inviolabilità loro?

Questa «cosa», voglio subito dirlo, non è altro che la cultura: lei che è stata pensiero greco, ellenismo, romanesimo, cristianesimo latino, cristianesimo medioevale, umanesimo, riforma, illuminismo, liberalismo, ecc., e che oggi fa massa intorno ai nomi di Thomas Mann e Benedetto Croce, Benda, Huizinga, Dewey, Maritain, Bernanos e Unamuno, Lin Yutang e Santayana, Valéry, Gide e Berdiaev (…) L’insegnamento di questa cultura non ha avuto che scarsa, forse nessuna, influenza civile sugli uomini. Pure, ripetiamo, c’è Platone in questa cultura. E c’è Cristo. Dico: c’è Cristo. Non ha avuto che scarsa influenza Gesù Cristo? Tutt’altro. Egli molta ne ha avuta. Ma è stata influenza, la sua, e di tutta la cultura fino ad oggi, che ha generato mutamenti quasi solo nell’intelletto degli uomini, che ha generato e rigenerato dunque se stessa, e mai, o quasi mai, rigenerato, dentro alle possibilità di fare anche l’uomo. Pensiero greco, pensiero latino, pensiero cristiano di ogni tempo, sembra non abbiano dato agli uomini che il modo di travestire e giustificare, o addirittura di render tecnica, la barbarie dei fatti loro.

È qualità naturale della cultura di non poter influire sui fatti degli uomini? Io lo nego. Se quasi mai (salvo in periodi isolati e oggi nell’U.R.S.S.) la cultura ha potuto influire sui fatti degli uomini dipende solo dal modo in cui la cultura si è manifestata. Essa ha predicato, ha insegnato, ha elaborato princìpi e valori, ha scoperto continenti e costruito macchine, ma non si è identificata con la società (…)”
Leggendo questo editoriale abbiamo pensato a noi. Ci siamo chiesti chi siamo e chi desideriamo essere. Abbiamo pensato all’Italia e all’Unione Europea che, oggi più di sempre, se vuole guardare avanti è bene che guardi indietro, ricordando la sua storia e riconoscendo le sue radici. La linfa di cui ha bisogno per vivere, la linfa che cerca non è nella tasca a destra o a sinistra; non sta nel portafoglio. Si trova lì, nel suo cuore…

Autore: Saro, Luisella Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it

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