martedì 7 febbraio 2012

LA NEVE CI INTERROGA


Cesena 5 febbraio

di Luigi Negri*
Con il popolo cristiano della mia diocesi siamo stati travolti da questo eccezionale evento atmosferico tale che viviamo sotto una spessa coltre di oltre due metri di neve. Ma dentro questa situazione si fanno strada nel mio cuore e nella mia coscienza suggestioni che non posso evitare di esplicitare a me stesso e a coloro nei confronti dei quali ho una responsabilità educativa.
I pastori che ci hanno preceduto e nei confronti dei quali almeno io mi sento – per dirla con Bernardo di Chartres – un nano sulle spalle di giganti, si sarebbero preoccupati subito di illuminare il cuore e la coscienza del popolo cristiano per una comprensione più adeguata di ciò che accadeva, di ciò che li aveva travolti.

Tento di farlo anch’io per l’inderogabile dovere di coscienza che ho verso la verità e per l’amore che ho verso il popolo che mi è stato affidato, per la sua educazione cristiana e umana.
Mi sembra che avesse profondamente ragione Amleto quando nell’omonima tragedia shakespeariana, dice a un certo punto: “Ci sono molte più cose fra cielo e terra, mio buon Orazio, che nella tua filosofia”.

Questa società piena di volontà di benessere, piena di volontà di possesso - con l’inevitabile conseguenza di tanta, di troppa violenza - questa società in cui tutto è così prevedibile e previsto, ricondotto a criteri di carattere scientifico e a manipolazioni di carattere tecnologico, questa società è stata schiaffeggiata da un evento che non sa dominare, che non può dominare. Che l’ha messa in ginocchio, come dice la stampa. L’Italia è stata messa in ginocchio.

C’è uno spazio di imponderabilità, di impossibilità di ridurre gli eventi che accadono alla propria capacità di comprensione e alla capacità di manipolazione. E questo è un primo dato su cui occorre riflettere.
Ma su questo primo dato, mi chiedo: è così irragionevole pensare che aldilà di questi eventi venga fatto a ciascuno di noi un singolare appello? Cioè, è così irragionevole che questa - nella sua terribilità – sia la voce di un dialogo che il Mistero di Dio intende riaprire con il cuore di ciascuno di noi? Perché aldilà di questo evento c’è evidentemente la presenza di un soggetto, di una realtà che è irriducibile a noi, ed è non manipolabile da noi. La vita, la storia, la società, il cosmo non sono assolutamente e totalmente a disposizione dell’uomo. Dentro gli eventi che dominano, noi possiamo sentire come una Presenza, una Presenza grazie alla quale è disponibile la vita la storia, la natura, il cosmo. E’ come se il Mistero di Dio – perché bisogna chiamare le cose con il loro nome – ci chiedesse di misurarci con questa sua presenza misteriosa, eccedente le nostre misure ma inesorabile.

E’ necessario che di fronte a questi eventi ci chiediamo con tanta umiltà ma con tanto realismo: chi siamo? Qual è il senso della nostra vita? Qual è l’origine, il fine del nostro cammino? Qual è il senso di tanta fatica e di tante difficoltà che investono la nostra esistenza e la segnano profondamente come la stanno segnando per migliaia e migliaia di persone in questi tempi?
Occorre riprendere la coscienza del proprio essere, strutturalmente in dialogo con l’Altro. Riprendere coscienza che tutto non si chiude nel breve spazio del nostro cuore, o della nostra intelligenza o della nostra volontà. Ma che il nostro io è aperto verso un Mistero che qualche volta si fa presente in modo così radicalmente imprevedibile.
Che Provvidenza sarebbe se l’Italia si mettesse veramente in ginocchio, ma non confessando o recriminando sulla propria incapacità o sulla incapacità delle istituzioni e quant’altro. Ma che si mettesse in ginocchio nei confronti di Colui che guida la storia della nostra persona, la storia, la società e il cosmo.

Io spero questo e prego per questo, così come sono lietamente grato per tutte le grandi testimonianze di carità cristiana, di solidarietà umana che punteggiano la vita delle nostre popolazioni in questi momenti.
Prego per questo, così come prego – ed è un punto di radicale dolore per me – per quel povero bambino di 16 mesi gettato dal padre - ma si può ancora chiamare padre? - nelle gelide acque del Tevere perché non potendo essere di colui che voleva possederlo non poteva e non doveva essere di nessuno. Terribile tragedia nella tragedia, e anche qui ci dobbiamo chiedere: che cosa ci viene chiesto per queste orrende realtà di cui è piena la nostra vita sociale?

* Vescovo di San Marino-Montefeltro
tratto da Labussola quotidiana 6/2/2012

Nessun commento:

Posta un commento