lunedì 30 aprile 2012

QUINDICI MINUTI CON UN PRETE N. 2

CULTURA E MISSIONE  E IL CROCEVIA

Chicago 2005 Way of the Cross

 
DIECI LEZIONI DI DON AGOSTINO TISSELLI
SUL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA


SECONDA LEZIONE

Le categorie di tipo culturale ed esistenziale

trascendenza
metafisica
etica
morale
giustizia
affettività



NELLE PAGINE A LATO

L'ESSENZIALE, IDEALE E RELAZIONI


Gli editoriali di SamizdatOnLine

Perché non muoia l’essenziale, l’ideale e le relazioni che lo fanno essere
Cosa c’è in ballo? Ideali e rapporti. Ciò per cui, soltanto, vale la pena dare la vita. «Quello che è stato fatto in Lombardia è frutto della mia famiglia ed è un bene per tutti. E lo difendo». Lettera a Tempi.
Caro direttore,
Nel seguire sulle pagine del suo e di altri giornali la cronaca di quanto sta succedendo in Lombardia, vorrei tentare di focalizzare cosa c’è in ballo, provocato da tanti amici che pongono domande in merito. Per questo motivo, prenda questa mia lettera come quella di un cattolico romagnolo che percepisce che qualcosa di sé (di suo) oggi è in discussione. Sì, perché proprio questo ritengo essere il punto della questione: ciò che si gioca in Lombardia oggi è, in qualche modo, la revisione di un pezzo di storia alla cui origine stanno due aspetti considerati normalmente astratti, e che invece sostanziano la vita quotidiana di tutti gli uomini: l’ideale e le relazioni umane, o meglio, l’inscindibile, materiale, vitale legame che unisce le due cose.

Partiamo dalla prima grande questione “astratta”: l’ideale. Le confesso che quando uso questa parola con amici della mia età, padri di famiglia, vedo calare sui loro occhi una coltre di tristezza, che subito scivola via per non diventare nostalgia, un po’ come si tace di una speranza ineffabile, d’altri tempi, o, molto di più, un po’ come si tace di un’onta. Ecco, una vergogna. Sì, perché ammettere che l’ideale del cristiano nel mondo coincide con il tentativo di “rispondere al bisogno della Chiesa” non è cosa da poco, per noi poco coerenti. Quanti di noi, cattolici, si alzano la mattina con questa preoccupazione? Il bisogno della nostra famiglia Chiesa!

E di cosa ha bisogno la nostra famiglia? Che si testimoni Cristo nella vita comune e soprattutto in quello che nella vita comune è più stimato: il lavoro, «che è la religione di oggi». Sembra che siamo ormai condannati tra la vergogna della nostra incoerenza e il cinismo del mondo, che assorbiamo a pieni polmoni. E così, pur usando le parole giuste, il motivo della nostra azione è altrove.

Qualche tempo fa don Giussani ci ricordava che «la paternità genera l’io; anzi l’autorità genera l’azione dell’io, genera non l’io, ma l’azione dell’io». Mi sono chiesto perché questa correzione in tempo reale, mentre stava parlando: non l’io, ma l’azione dell’io. Perché quello che tu sei lo si vede da ciò che fai. Non da ciò che fai, ma dal motivo per cui lo fai, che gli dà la sua “forma” caratteristica. Lo “informa”.

domenica 29 aprile 2012

I NUOVI UNNI SCRIVONO SUL "CORRIERE"

da "Il Cavallo Bianco"

..............................................

Aggiungi didascalia
anche se arriveranno con carta e penna
e avranno l’aspetto serio e pulito dei chierici

da questo segno li riconoscerete
dalla rovina e dal buio che portano
da masse di uomini devoti al nulla..”
………………………………………………
da questa rovina silenziosa
dalla vita considerata una pozza di fango,

da un cuore spezzato nel seno del mondo,
dal desiderio che si spegne nel mondo;

dall’onta scesa su un Dio e sull’uomo,
dalla morte e dalla vita rese un nulla,
riconoscerete gli antichi barbari,
saprete che i barbari sono tornati.


Quando Chesterton dice che la caratteristica di questi uomini è essere devoti al Nulla, in fondo dice che per questi uomini non c’è nessun senso che si offra dentro al quotidiano lavoro dell’uomo, nell’amarsi di un uomo e una donna, nelle grandi esperienze della vita. Che cosa ne è allora dell’uomo? Che vive senza sapere perché vive, che esercita la sua libertà senza sapere perché è libero, che lavora senza sapere perché lavora, e alla fine muore senza sapere perché muore. Questo è l’uomo di oggi, che Benedetto XVI descrive ogni giorno nei suo in interventi, cercando di prendersene cura.

CHE COSA VUOLE IL CORRIERE?

La nuova moda. Cacciare senza prove

Il «Corriere» chiede la testa del presidente di Finmeccanica perché indagato. E Formigoni? Non è inquisito, ma deve lasciare.
di Filippo Facci
Siamo all'apoteosi del cir­colo mediatico-giudiziario, al punto che in un caso è diventato solo mediatico senza il giudizia­rio. Prendiamo due casi pur molto diversi: il caso Orsi (Finmeccanica) e il caso Formigoni. E obblighiamoci a premettere noiosamente, come ossequio a Lapalisse, che ciascun giornale può chiedere le dimissioni di chiunque per le ragioni più va­rie, chiamiamole ragioni politi­che. No, non è obbligatorio attendere una condanna in Cassa­zione per chiedere le dimissioni di chicchessia, anzi: per chieder­le non è neppure strettamente necessario che tizio sia inquisito e che l'alveo giudiziario sia sem­pre il parametro di ogni cosa. Quello che però non va bene, quello che appare pretestuoso e allarmante, è nascondersi dietro le ragioni giudiziarie (inesisten­ti, talvolta) per giustificare delle ragioni che sono appunto di­screzionali, politiche.

Il caso Orsi, anzitutto. Ieri Massimo Mucchetti, sul Corrie­re della Sera, ha scritto le se­guenti cose, e ci scusiamo se la citazione è lunga: «La sola ipote­si accusatoria getta discredito sull'intero sistema delle nostre imprese all'estero... Il governo Monti deve onorare le sue re­sponsabilità di azionista di Finmeccanica. Orsi e la società hanno negato ogni colpa. È possibile che abbiano ragione e in ogni caso l'onere spetta all'ac­cusa. Ma oggi la questione per il governo azionista non è se Orsi abbia o meno ragione... (i citta­dini) esigono gestioni al di sopra di ogni sospetto... Il governo dei tecnici deve dunque dire se a Finmeccanica basta l'autodife­sa del suo presidente... Negli ul­timi mesi tutti hanno notato uno stato di incomunicabilità tra i ministri di riferimento e il capo dell'azienda. È una distan­za che non va bene. L'azionista dica se ha fiducia in Orsi. Se sì, lo sostenga apertamente. Se no, lo induca a compiere un passo in­dietro... Ma forse lo stesso Orsi dovrebbe riflettere se la sua resi­stenza, in linea di principio per­fettamente legittima, sia utile al­la società o sia arrivata l'ora di un gesto di responsabilità».


Traduciamo con parole no­stre: siccome Finmeccanica ha una reputazione importante nel mondo, per il suo presidente non valgono le garanzie che var­rebbero se Finmeccanica fosse un'impresa che nessuno conosce; per i cittadini in questo caso basta il sospetto, e Monti - che i cittadini oltretutto non hanno eletto - dovrebbe sollevare di­rettamente Orsi perché il pm Henry Woodcock, noto per la solidità delle sue accuse, gli ha semplicemente mandato un'in­formazione di garanzia; a que­sto si aggiunga che Orsi va poco d'accordo col governo dei tecni­ci e piace poco anche a noi del Corriere, quindi, insomma, Monti ne approfitti e lo mandi a casa, oppure si dimetta diretta­mente Orsi che facciamo prima. Extra-sintesi: basta una cartac­cia di Woodcock (di Woodcock) per rimuovere all'istante il pre­sidente di una holding colossa­le. Abbiamo capito male?


Il caso Formigoni è molto più semplice: qui non c'è neppure un'inchiesta. Sono stati inquisiti altri uomini della giunta lom­barda e questo offre il fianco a valutazioni politiche (rieccoci) circa l'opportunità che Formigoni tenga in piedi il suo gover­no: valutazioni legittime, come detto. Ma questo non c'entra niente col fantomatico «caso Bacco» di cui si legge su tutti i quotidiani: secondo i quali - non è chiaro perché - Formigoni do­vrebbe andare a casa. Cioè. Non è inquisito, dalle carte non è emerso nulla, nessuno ha con­testato rapporti professionali e affaristici tra lui e Daccò, non ri­sulta alcun trattamento di favo­re che l'imprenditore avrebbe ricevuto dalla Regione Lombar­dia: c'è solo che Formigoni è sta­to in vacanza con Daccò il quale è inquisito ed è in galera; c'è che questo Daccò gli avrebbe paga­to le vacanze - circostanza che Formigoni nega - il che non comporterebbe comunque nessun reato. È tutto qui: non c'era neppure bisogno dell'autodifesa un pizzico megaloma­ne che Formigoni ha fornito a Matrix, laddove ha spiegato che dopo Berlusconi, nel Pdl, il più importante è lui e quindi è sotto attacco; non serviva neppure ri­cordare che «l'accusa» delle va­canze pagate da Daccò proviene da un galeotto che traffica dena­ro in Svizzera. Però Formigoni dovrebbe dimettersi, in sostan­za, non perché sia inquisito o possa esserlo, ma perché è in­quisito Daccò. Abbiamo capito male?


26 aprile 2012

DOPO LA CIA ECCO FINMECCANICA

venerdì 27 aprile 2012

Comunione e Liberazione è intervenuta con un comunicato stampa ufficiale per denunciare quello che viene definito "un linciaggio mediatico". Il riferimento è alle notizie circolate sui massimi organi di stampa nazionali secondo le quali il movimento fondato da don Luigi Giussani sarebbe stato destinatario di tangenti da parte dell'amministratore delegato di Finmeccanica, Giuseppe Orsi. Nel caso in questione, l'a.d. di Finmeccanica sarebbe indagato per aver contribuito a versare una tangente di dieci milioni di euro alla Lega Nord in una vendita al governo indiano di elicotteri. Alla Lega è stata poi aggiunta Comunione e Liberazione come possibile destinataria di parte della tangente. Riportiamo il testo del comunicato stampa che Comunione e liberazione ha diffuso in merito a questa vicenda.

Da alcuni mesi il nome di Comunione e Liberazione è costantemente associato sui mass media a vicende politico-giudiziarie di suoi appartenenti o di persone che hanno rapporti con alcuni di essi, in una continua identificazione del movimento nel suo insieme con le responsabilità di singoli e, viceversa, con l’attribuzione di responsabilità individuali - nel bene e nel male, di qualunque natura esse siano, essendo ancora da dimostrare se sono stati commessi reati - a CL in quanto tale.

Finora le nostre precisazioni al riguardo sembrano essere state inutili, comprese quelle rese da don Carrón in una recente intervista: «Noi teniamo alla natura dell’esperienza cristiana. E l’esperienza cristiana ha a che vedere con tutto. A voler verificare se la fede serve ad affrontare tutte le sfide, si corrono rischi. Nessuna istituzione, né la Chiesa né un partito, può evitare gli errori dei singoli. E questi non possono essere attribuiti alla comunità. Sarebbe ingiusto. Ciascuno è personalmente responsabile di quel che fa. Perciò l’identificazione non è legittima, vale per Cl come per qualsiasi altra istituzione. E noi dobbiamo sempre mantenere quella che don Giussani chiamava “una irrevocabile distanza critica” e non vi rinunceremo mai. Siamo una comunità cristiana e non un partito o una corrente» (Corriere della Sera, 16 gennaio 2012).

A dispetto di queste parole di chiarimento, oggi leggiamo sui giornali l’incredibile accusa di tangenti Finmeccanica a CL, quale emergerebbe dalle dichiarazioni di un ex dirigente dell’azienda, che lo avrebbe appreso da fonti non meglio precisate. CL non c’entra nulla, ma i titoli, i sottotitoli e gli articoli sono pieni di riferimenti diretti al movimento, salvo precisare che «i pm verificano le dichiarazioni». Intanto l’infamante accusa è stata lanciata. Quali saranno le conseguenze sull’opinione pubblica?

Torna alla mente un altro momento della vita di CL, il 1976: allora l’accusa - rivelatasi dopo tre anni assolutamente infondata - di finanziamenti della CIA a Comunione e Liberazione scatenò una campagna diffamatoria sui principali organi di informazione, alimentando un clima di sospetto veramente allarmante, che giunse fino al dileggio e all’ostilità negli ambienti di vita e di lavoro verso persone colpevoli solo di portare il nome di “ciellini” e causò violenze nei confronti di persone e sedi del movimento in tutta Italia.

A questo punto ci domandiamo: come impedire il linciaggio mediatico? E come assicurare il rispetto delle procedure e delle garanzie giuridiche?

Il peso di menzogne contro un’esperienza che tanti - anche autorevolmente - riconoscono come «una risorsa per il nostro Paese» sta assumendo il volto di un calvario che sinceramente pensiamo di non meritare. In ogni caso, è stato dato mandato ai legali di tutelare l’onorabilità di Comunione e Liberazione.


sabato 28 aprile 2012

NON VOGLIAMO ANIME BELLE

Da Clandestinozoom del 24 aprile
 
Un lettore si è arrabbiato perché abbiamo criticato la frase di Napolitano con la quale diceva che indegno di dirsi italiano uno che evade le tasse.


Ceausescu e Napolitano
 "Come si permette", dicevamo, uno che ha difeso l'invasione dei carri armati russi in Ungheria e la oppressione di quel popolo di dire chi è degno di dirsi italiano. A parte il fatto che grandi ravvedimenti - personali, quelli collettivi sono più facili - il Presidente non pare ne abbia fatti, il problema non è per noi attaccare Napolitano.

Ma l'uso di questo moralismo insopportabile per cui c'è chi dice chi è "degno" o no di dirsi italiano.
Non si tratta di attaccare Napolitano (semmai è lui il primo ad attaccare) né di difendere l'evasione. Si tratta di piantarla di fare i sacerdoti mentre si è politici. Da un politico non vogliamo giudizi sulla dignità. Ma questioni politiche e di diritto.
(Sia detto per inciso: dov'era Napolitano quando approvavano le leggi di finanziamento dei partiti? dov'era quando si consumavano le nefandezze di un sistema politico giudiziario che hanno prostrato la politica italiana? Dov'era negli ultimi 30-40 anni? Dov'era quando la sinistra italiana perdeva l'anima la cultura per ridursi a un sindacato di massa o a un partito radicale individualista? Troppo comodo cavarsene fuori e fare l'anima bella.)

Naturalmente quanto diciamo per il Presidente vale per tutti i politici che tendono a fare l'anima bella, cedendo a un ricatto moralista agitato da chierici e media mossi da interessi di potere evidenti e occulti
Dire che i politici devono essere onesti è scontato. Pensare che il governo degli onesti (o di coloro che i media dipingono come tali) sia di per sé indiscutibile è da dittatura.
dr

giovedì 26 aprile 2012

UNA FEDE PER VIVERE

25.000 PERSONE AGLI ESERCIZI SPIRITUALI DI CL A RIMINI


Basta guardare i volti. Al ritorno dal ritiro di Rimini, basta guardare i volti e ascoltare i brevi racconti che le persone si scambiano; parlano come chi ha incontrato il Signore e ha camminato con Lui lungo la via; alla fine, come i discepoli di Emmaus, hanno ricevuto la conferma e il conforto degli
apostoli. Nella celebrazione eucaristica conclusiva del ritiro, il cardinale Ouellet, prefetto della Congregazione dei vescovi, ha riferito della viva attenzione di Papa Benedetto verso don Giussani e il suo carisma; c'è stato un commosso abbraccio tra il cardinale e don Carron.
Un nuovo segno della viva partecipazione della Fraternità di Comunione e Liberazione alla vicenda
della Chiesa di Dio nel mondo di oggi. Nei due intensissimi giorni degli esercizi spirituali, che hanno raccolto 25mila persone nei padiglioni della Fiera di Rimini, don Julian Carron, indicato da don Giussani stesso come successore, ha testimoniato con vigore e chiarezza il carisma del movimento.

Sullo sfondo si percepiva il dramma della crisi economica e culturale che ci prende tutti, e anche la sofferenza per recenti avvenimenti nei quali si trovano coinvolte alcune persone del movimento impegnate nel mondo politico e imprenditoriale, con accuse che mirano a stravolgere anche la fisionomia e la storia di Cl. Una vicenda nella quale il potere, con un moralismo spietato e giustizialista, pretende di stritolare nello scetticismo e nel nichilismo l'avvenimento cristiano.

Carron cita Giussani: in tutte le circostanze e contingenze della vita del mondo e della storia, quello che conta e da cui sempre si può partire, quello che sostiene la verità, ha un luogo che si chiama persona; è il soggetto, che si chiama io, e quanto più i tempi sono duri, tanto più è il soggetto, è la persona che conta. Una persona non abbandonata nella sua solitudine, ma affidata a un'appartenenza a Dio, reso visibile nell'incarnazione del Figlio Gesù e presente nella storia cristiana. Il cristianesimo è la risposta umanamente compiuta alle esigenze del cuore umano, come aveva sperimentato per la propria vita lo stesso don Giussani; da giovane seminarista ebbe la ventura di scoprire Gesù incarnato e vivo attraverso l'insegnamento di don Gaetano Corti, che gli
fece balenare davanti agli occhi e al cuore la bellezza e la grandezza del Verbo fatto carne. ?

«Non vivo più io, ma Cristo vive in me», stava scritto sul fondo del salone della fiera. Colui al quale guardare, verso il quale, in tutte le vicende, dobbiamo volgere lo sguardo, è Cristo, il Verbo fatto
carne che abbraccia tutte le cose. L'incontro con Cristo nostro contemporaneo non fa sparire l'io ma lo fa emergere nel suo vero compimento; la condizione umana è lo spazio che domanda di essere abitato dalla sua Presenza. Nel grande silenzio della fiera, reso più intenso ed evocativo della Sua Presenza attraverso le immagini, musiche, i canti, la preghiera e le liturgie, l'annuncio dell'avvenimento cristiano è risuonato nuovo per la sua verità esistenziale, come per un nuovo inizio. Partecipiamo a un avvenimento grande che prende dentro la nostra storia umana. Le persone lo testimoniano. «Lascia che il mondo rida di te, se la tua vita cambiarlo potrà», erano le parole di un canto proposto la prima sera del ritiro.

I cristiani possono essere peccatori, come in tutti i tempi della storia della Chiesa; o possono venire perseguitati, come ancora oggi accade. Cristo permane come attrattiva e come fattore di verità e di giustizia, e continuamente risana ogni ferita con la Sua sconfinata misericordia. Il carisma riproposto da don Carron conduce ancor oggi a riconoscere Gesù Cristo presente qui ed ora, a chiedergli con umile certezza che l'inizio di ogni giornata sia un sì al Signore che ci abbraccia e rende fertile il terreno del nostro cuore, come diceva una preghiera consegnata alla fine del ritiro. L'energia e la grandezza del Signore Gesù permangono dentro tutte le condizioni del vivere, come una testimonianza che non a noi, ma a Lui dà gloria.

Le venticinquemila persone nella Fiera di Rimini e altre migliaia nel mondo si sono percepite accompagnate al Destino sulla scia del carisma di don Luigi Giussani, del quale è stata introdotta recentemente la causa di beatificazione. La santità genera sempre nuovi frutti di vita. Solo lo stupore li sa riconoscere.
di Angelo Busetto DA LABUSSOLA QUOTIDIANA
26-04-2012

mercoledì 25 aprile 2012

UNA MUSICA SINISTRA

Con uno stile da canzonetta (che ha fatto inorridire Muti) la musica cosidetta "sacra" continua ad esprimere mediocrità e confusione.
Fra chitarre, battimani, cori urlati, canzoni volgari, certe messe non hanno più nulla del mistero di fede. sono milizia terrena, arbitrio, artificio, falsità.
I cattolici "adulti" che disprezzano la tradizione esprimono la loro soddisfazione e fanno infuriare Socci.


Bach come Jovanotti? Ieri, sul Corriere della sera, il corsivista Alberto Melloni, campione di cattoprogressismo, per rispondere al mio articolo sui funerali di Morosini, stabiliva una sorprendente equivalenza, per la liturgia cattolica, fra le canzoni di Ligabue e la musica di Mozart.
Dunque cantare in chiesa, a un funerale, la Messa da Requiem di Mozart è la stessa cosa che schitarrare – come hanno fatto a Bergamo – le canzonette di Ligabue (con queste memorabili parole: “quando questa merda intorno/ sempre merda resterà/ riconoscerai l’odore/ perché questa è la realtà”).
Vorrei dire che, se Melloni detesta Mozart perché è amato da Ratzinger, provi a farsi spiegare la grandezza teologica del suo Agnus Dei da Karl Barth.
In ogni caso equiparare Mozart a Ligabue significa che manca o l’abc del giudizio culturale o il senso del ridicolo o la pietà. O forse tutti e tre.
Soprattutto manca la consapevolezza che la liturgia è la cosa più sacra della Chiesa e non se ne può disporre a piacimento, perché non è fatta da noi, non è il luogo delle nostre trovate, ma vi riaccade la passione e morte del Figlio di Dio.
Stabilito che in chiesa un corale di Bach non è la stessa cosa di una canzonetta di Vasco Rossi, c’è poi il capitolo della musica sacra della tradizione e delle moderne canzonette religiose.
Personalmente non ho pregiudizi, anche se la qualità dei testi e delle musiche va valutata. Ma quello che tracima dalla prosa di Melloni è soprattutto l’evidente disprezzo per la tradizione cattolica che lo induce a definire il gregoriano un “belare”.
E siccome Melloni sostiene che per avvicinarsi a Dio non c’è differenza fra “belare in gregoriano” e “quelle canzoni stile Pooh che riempiono le navate di tante parrocchie”, voglio informarlo che invece la Chiesa stabilisce una rigorosa gerarchia. In particolare definisce il gregoriano come il canto proprio della Chiesa (poi viene la polifonia).

IL GRAN BALLO DEL LORO GIORNALISMO



by Berlicche

http://berlicche.wordpress.com/2012/04/23/prima-pagina/

martedì 24 aprile 2012

UN FATTO E' LA COSA PIU' TESTARDA DEL MONDO

IL MISTERO DI BULGAKOV
E L'AMORE DI MARGHERITA

interventi di Adriano dell'Asta (tratto da La Nuova Europa)
e di Emmanuel Exitu (da Tracce)

il Diavolo agli Stagni dei Patriarchi, Mosca 1929

Il Diavolo è il piú appariscente personaggio del grande romanzo postumo di Bulgakov. Appare un mattino dinanzi a due cittadini, uno dei quali sta enumerando le prove dell’inesistenza di Dio. Il neo venuto non è di questo parere…Ma c’è ben altro: era anche presente al secondo interrogatorio di Gesú da parte di Ponzio Pilato e ne dà ampia relazione in un capitolo che è forse il piú stupefacente del libro… Poco dopo, il demonio si esibisce al Teatro di varietà di fronte a un pubblico enorme. I fatti che accadono sono cosi fenomenali che alcuni spettatori devono essere ricoverati in una clinica psichiatrica… Un romanzo-poema o, se volete, uno show in cui intervengono numerosissimi personaggi, un libro in cui un realismo quasi crudele si fonde o si mescola col piú alto dei possibili temi: quello della Passione… È qui che Bulgakov si congiunge con la piú profonda tradizione letteraria della sua terra: la vena messianica, quella che troviamo in certe figure di Gogol e Dostoevskij e in quel pazzo di Dio che è il quasi immancabile comprimario di ogni grande melodramma russo (Eugenio Montale).
“…. Che cosa vuoi infine?
Sono una parte di quella forza
Che desidera eternamente il male
E compie eternamente il bene”.
(Goethe, Faust)
INVITO ALLA LETTURA
Il mistero di Bulgakov
di Adriano Dell'Asta
10-04-2012

Anticipiamo questo articolo tratto dal numero in uscita de "La Nuova Europa", il bimestrale della Fondazione Russia Cristiana.

Michail Afanasevic Bulgakov nasce a Kiev il 3 maggio 1891 in una famiglia profondamente unita e ospitale, sempre aperta a tutti, dove si cantava e si suonava, dove la mamma era una regina luminosa e il padre era un punto di riferimento pacificante. Afanasij Bulgakov era professore di storia della teologia occidentale (esperto in anglicanesimo) all’accademia teologica di Kiev; è attraverso questa famiglia e gli amici del padre che Bulgakov conosce il cristianesimo; e anche quando la fede verrà scossa o sembrerà scomparire, la memoria di questa atmosfera e di questa gente resterà. (...)

Bulgakov non fa studi di carattere letterario, filosofico o teologico, studia medicina e diventa medico, esercitando anche la professione nei primi anni. Le esperienze di questo periodo sono conservate nei Ricordi di un giovane medico, dove tra le tante cose che il giovane scrittore ci trasmette ne ricordiamo due in particolare; innanzitutto che, per quanto i libri siano fondamentali, non ci trasmettono mai sino in fondo quella che è la vita nella sua completezza: «La mia ferita non assomigliava a nessun disegno», deve constatare sconsolato il giovane medico, così come altrove, deve ammettere che, nella realtà e dalla realtà, si impara che c’è qualcosa che nessun libro può insegnare: «Dalle parole staccate, dalle frasi lasciate in tronco, dai brevi cenni buttati là di sfuggita imparai la cosa più indispensabile, che non c’è in nessun libro». La seconda cosa che il giovane medico impara sul campo è che da solo non può salvare questa vita sorprendente; il suo compito come medico è esattamente questo, salvare la vita, ma, a differenza di quanto credono molti, conquistati dalle nuove potenzialità della scienza, lui non si fa nessuna illusione: è sempre lui e soltanto lui che deve mettersi in gioco e prendere le decisioni ultime, ma da solo non può fare nulla. (...)

Se si crede di salvare un malato o di trasformare il mondo da soli si rischi di fare degli sfracelli. È quello che è successo con la rivoluzione, ma è anche quello che Bulgakov ci suggerisce con altre due opere famose, Cuore di cane e Uova fatali, due racconti satirici o fantascientifici che in realtà sono molto di più: in Cuore di cane la pretesa del professor Preobraženskij è quella di trasformare un cane in un essere umano ma l’esito è totalmente e ridicolmente fallimentare. A questo proposito, siccome niente avviene senza una ragione o senza un motivo, va ricordato il nome del dottore, che richiama la festa della Trasfigurazione nella quale i corpi e le cose materiali vengono trasformate in luce o in corpi gloriosi, mentre qui invece abbiamo l’esatto contrario: neppure una semplice trasformazione ma addirittura una deformazione, perché il dottor Preobraženskij riesce soltanto a trasformare un simpatico cagnetto, che aveva pensieri e sentimenti umani, in un’insopportabile carogna che si comporta come un animale. Questo succede quando la realtà non ci desta più stupore ma solo pretesa di dominio, quando non si rispetta più la realtà e, per dominarla, le si preferiscono le nostre idee, o addirittura si cerca di creare una nuova realtà, modellata sulle nostre idee; è quanto succede in Uova fatali, dove l’uomo pretende di creare la vita e di sostituirsi in questo modo a Dio.

E anche qui, per capire quanto Bulgakov si diverta a farci vedere come può essere interessante la realtà se appena si cerca di andare al di là delle apparenze, varrà la pena di ricordare che il professor Persikov, scopritore del raggio rosso della vita che trasforma delle semplici lucertole in enormi mostri antidiluviani, è nato il 16 aprile 1870, cioè nello stesso anno di Lenin e nello stesso giorno in cui Lenin è tornato in Russia dal suo esilio svizzero dopo la rivoluzione di febbraio, e porta (anche lui come il professor Preobraženskij) un nome inventato ma che richiama quello reale di Abrikosov, cioè il nome del medico che eseguì l’esame autoptico sul cadavere di Lenin. Davvero tante cose succedono per caso, ma a questo punto è difficile pensare che succedano senza una ragione, anche perché, dopo aver consegnato il testo del racconto, tornato a casa, Bulgakov disse alla moglie: «Ho consegnato la mia condanna morte».

Ma se «è duro a morire lo spirito canino», come dice il cane dai sentimenti umani di Cuore di cane, che vorrebbe sfuggire al suo carnefice, altrettanto dura e «testarda» è la realtà, a dispetto di tutti i tentativi che l’uomo fa per sostituirla con le sue idee, a dispetto di tutti i tentativi che l’uomo fa per cancellare Dio come ultimo baluardo della realtà. E così arriviamo al Maestro e Margherita, con il suo inizio nel quale due scrittori, atei e comunisti, cercano disperatamente e vanamente di convincere il diavolo che Gesù non è mai esistito. In effetti, la prima idea del romanzo molto probabilmente venne a Bulgakov proprio dopo aver visto nel gennaio del 1923, in occasione del Natale ortodosso, una manifestazione nella quale veniva portato un cartello con la scritta: «Fino al 1922 Maria partoriva Gesù, nel 1923 ha partorito il giovane comunista». Ma adesso che sappiamo quanto può essere complesso, ricco di significati nascosti e sorprendente un testo di Bulgakov andiamo per gradi, tenendo presente che dopo questa prima idea passarono ancora alcuni anni prima che nel 1928 Bulgakov cominciasse effettivamente a scrivere quello che poi sarebbe stato il suo lavoro principale fino alla morte, avvenuta il 10 marzo 1940.

QUINDICI MINUTI CON UN PRETE

 
CULTURA E MISSIONE
E IL CROCEVIA


DIECI LEZIONI DI DON AGOSTINO TISSELLI

SUL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

NELLE PAGINE A LATO



lunedì 23 aprile 2012

LA CASTA COSTA

La casta chilometrica dei consiglieri regionali
di MASSIMO PANDOLFI
tratto da  http://www.massimopandolfi.it/
22 aprile 2012


I ladri, non ci sono storie, devono finire in galera: papaveroni o poveri cristi che siano. Ma oggi non ci occupiamo di ruberie vere o presunte, ma di qualcosa di meno grave, o a seconda dei punti di vista, più grave. Perchè non è affatto detto che — anche quando si è a posto con leggi, regolamenti e protocolli — si sia necessariamente in pace anche con la propria coscienza. Oppure sì, beata incoscienza.
Pensate che nel solo mese di marzo i consiglieri regionali dell’Emilia Romagna che risiedono fuori Bologna (42 su 50) hanno incassato quasi 70mila euro di rimborsi per spese chilometriche. Settantamila euro scarsi per andare, perlopiù in auto, da casa loro al lavoro, a Bologna, nella sede della Regione in via Aldo Moro. E non parliamo di viaggi stratosferici. Al massimo un Piacenza-Bologna o un Rimini Bologna, andata e ritorno: niente di più e molto di meno. Il recordman è il piacentino Andrea Pollastri (Pdl) che ha incassato 3.345,60 euro per i 12 tour da Piacenza a Bologna. Altri due consiglieri hanno intascato più di 3mila euro e, intendiamoci, non vogliamo far passare questi signori, con nome e cognome, per degli spreconi. E’ la legge interna della Regione — che consente un riborso di 80 centesimi al chilometri, un superlusso che neppure il privato più florido si concede — a incoraggiare questo sistema e tutto ciò va specificato ad onore (?) dei beneficiari.
Il sistema è ovviamente legale, per carità, ma ci permettiamo di scrivere poco serio.
E’ vero che la Regione Emilia Romagna ha ridotto, ultimamente, questi privilegi risparmiando circa il 6% sui rimborsi chilometrici: il nuovo regolamento consente infatti il pagamento di soli 12 viaggi al mese (anzichè 16) e nel caso un consigliere scelga il treno, va presentata la certificazione dell’avvenuto viaggio ferroviario.
Ma secondo voi basta? A nostro avviso no. Decisamente no. E non stiamo neppure qui a sottolineare troppo il fatto che questa gente incassa già ben oltre i 5mila euro netti puliti al mese e che, in fondo, nel momento in cui si candidano a consiglieri regionali dovrebbero essere consapevoli che la loro sede di lavoro diventerà Bologna e non più casa loro. Tralasciamo, diciamo pure che sono degli eletti e vanno ben pagati e che devono continuare a tenere i contatti col loro territorio, e che quindi un minimo di rimborso spesa ci deve essere. Un minimo, appunto. Non 70mila euro al mese che vuol dire quasi un milione all’anno. O 3mila e passa euro al mese a testa (cifra che grida vendetta) che rappresenta il triplo di uno stipendio di un bravo impiegato.
Questi signori — in attesa che la Regione tagli drasticamente questi privilegi — prendano esempio dal giovane consigliere Thomas Casadei, che fa il viaggio in treno da Forlimpopoli a Bologna ogni giorno e in marzo ha incassato 244,80 euro. E’ la dimostrazione di come si possa essere seri anche in presenza di una legge poco seria.

domenica 22 aprile 2012

LA POLITICA, IL RANCORE E L'INVIDIA


"l'uomo non è solo quello che fa, ma è rapporto con l'infinito. In questa prospettiva possiamo mettere i nostri errori, che vanno oggettivamente riconosciuti; non dobbiamo negarli censurarli giustificarli, ma poterli guardare e ripartire"
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da "Strano Cristiano"

Qualche giorno fa ero dal medico, aspettando il mio turno. Leggevo il Corriere della Sera, e nella pagina aperta c’era la foto di Renzo Bossi. Entra una signora, molto arrabbiata. Ha fretta, le serve urgentemente un certificato ma deve aspettare il suo turno: tutti abbiamo fretta, tutti siamo in fila. Si siede vicino a me, vede la foto del “trota”, e comincia ad inveire violentemente contro i politici, tutti “schifosi ladroni, rubano tutti, che schifo pure questo della Lega”. E poi, con un trucchetto – scusate, dice, devo fare solo una domanda al medico – appena si apre la porta dell’ambulatorio, ci si infila dentro, e salta la fila.

Ecco: l’Italia è diventata questo. Tanta, troppa gente rancorosa, livorosa, che si è trovata servita su un piatto d’argento un capro espiatorio per le difficoltà della crisi – i politici, diventati oramai per la vulgata comune una massa indistinguibile di corrotti, sede di tutti i mali – e su quelli si sfoga, tutta questa gente rancorosa, accusandoli di ogni nefandezza, salvo fare, appena possibile, le stesse cose su cui hanno protestato fino a un secondo prima.

Certo, il mio esempio è minimale e non ha un gran peso, ma è indicativo di un modo di agire. I corrotti sono gli altri, sempre, e spesso non ci si rende conto che sono in tanti a cercare scorciatoie o facilitazioni illecite, per non dire d’altro. E ognuno di noi sicuramente potrebbe fare esempi più consistenti del mio.

Per buttare giù Berlusconi, al grido “muoia Sansone con tutti i filistei”, è stato inaugurato un nuovo metodo: basta con i processi, non serve neppure cercare reati, è sufficiente scoprire un lato debole dal punto di vista personale – le donne, il lusso - comportamenti inopportuni o imbarazzanti o sconvenienti per una carica pubblica, specie in un periodo di crisi e difficoltà economiche, e poi bisogna mettere tutto in piazza, paginate di giornali, indicare il puzzone, ed il gioco è fatto: la lapidazione è assicurata.

Con Berlusconi ha funzionato, e poi hanno cominciato a farlo con i suoi alleati, e funziona anche lì. La gente è indignata, giustamente – quando c’è chi si suicida perché perde il lavoro e le imprese chiudono, le vacanze lussuose e i festini diventano umanamente insopportabili – e su questo si giocano le campagne mediatiche al massacro.

Non importa più capire se qualcuno ha commesso reati o no, se i soldi del partito sono stati usati correttamente o no, se si tratta di soldi privati o pubblici, se si è governato bene o no, se fare vacanze lussuose sia peccato, reato, o solo incoerente o inopportuno: tutto va bene pur di alzare un enorme polverone, siamo entrati in una lunga notte in cui tutte le vacche sono nere, e niente più si distingue.

E quindi si urla contro la corruzione e i politici ladri, e poi si salta la fila dal medico, perché se non possiedi niente, solo quella puoi fare, di infrazione. Ma la logica, amici miei, rimane la stessa.

E allora? Allora cominciamo con l’aiutarci a guardare in faccia la nostra realtà italiana, a partire dai fatti per quelli che sono, cerchiamo di capire, e distinguere reati, peccati, incoerenze insopportabili, comportamenti inopportuni, e innanzitutto chiamare le cose con il loro nome. (....)



venerdì 20 aprile 2012

COSA C'E' DIETRO IL LINCIAGGIO


Formigoni non è perfetto. Ma non vedete quale regime preparano?


Il Celeste dev’essere cancellato perché ha dato ai lombardi servizi che si sognano nel resto d’Italia. Perché deve salire sul piedistallo e dominare la scena il partito trasversale dei finti tecnici e della vera finanza. .

Di Luigi Amicone

Scuola, sanità, lavoro, infrastrutture, impresa, no profit, opere di assistenza, volontariato, efficienza amministrativa. Non ci sarebbe nulla da aggiungere alla quantità sterminata di dossier indipendenti che si sono accumulati sull’eccellenza della regione Lombardia. Tutto è perfettibile, per carità. E niente è in ordine per sempre. Quindici anni di governo sono tanti. Forse troppi. Forse Formigoni doveva prepararsi a sopportare non solo la “troppa realtà”, ma anche quella poca, greve, sempre dietro l’angolo, sempre banale, sempre un po’ vile, di uomini che possono approfittare del potere che hanno o in cui si sono infilati.

Però, quando l’offensiva della disinformazione si fa regime, quando il circuito mediatico-giudiziario si scatena per cancellare ogni memoria della realtà e atterrisce tutta la vita di tutta la gente in un teatro di storia criminale, sistema di corruttele, girone infernale di laidi banditi, solo perché singoli politici e singoli individui sono accusati di malaffare e di concorso nel malaffare, bisogna reagire. E così, questo giornale che non si è mai vergognato di appoggiare Formigoni (nemmeno adesso che la nave sembra affondare e i topi scappare) reagisce: l’amministrazione italiana più progredita è al centro di un attacco furibondo non perché è berlusconiana (tant’è che il coordinatore berlusconiano di Lombardia, Mario Mantovani, si è affrettato non solo a prendere le distanze, ma a bastonare la propria giunta regionale), ma perché ha dimostrato che la sussidiarietà e il resto della dottrina sociale cattolica sono cose che funzionano, cose moderne, laiche, buone per tutti, cattolici e non.

Formigoni deve essere cancellato perché deve salire sul piedistallo e dominare la scena il partito trasversale. Il partito dei finti tecnici e della vera finanza. Viene massacrato, Formigoni, perché ha dato ai cittadini lombardi servizi come si sognano nel resto d’Italia, scuole e sanità libere, in cui le famiglie possono scegliere dove e come curare e istruire i propri cari. Formigoni viene linciato perché ha creato in Lombardia un mercato del lavoro più flessibile, ha combattuto la disoccupazione e dotato il territorio di infrastrutture e servizi da paese europeo. Perché come Lombardia ha dato una quantità di fondi di solidarietà al resto delle regioni italiane più arretrate che vale come l’intero gettito solidaristico di tutte le altre regioni. Perché ha offerto speranza a centinaia di migliaia di italiani che vengono a curarsi in Lombardia da tutta Italia. E specialmente dal Sud d’Italia. Quel Sud dove ancora nel 2011, mentre la Lombardia è riuscita a tenere i conti a posto nonostante la crisi e i flussi extraregionali, nel solo comparto sanità è stato fatto un altro buco da 4,5 miliardi di euro.

E allora va bene, se queste sono cazzabbubbole, diciamo che farsi pagare un biglietto da duemila euri non sta bene per un governatore. E non stanno bene neanche le vacanze sugli yacht e la bella vita. Chiaro che la misura con cui sono giudicati oggi dai giornali di regime i 15 anni di governo Formigoni non sarà la misura con cui saranno giudicati tutti gli altri amministratori che negli ultimi 15 anni hanno presentato bilanci della sanità in base a “dichiarazioni verbali certificate” (cioè nessun bilancio, vedi Calabria), hanno sperperato i soldi pubblici alla media di buchi da 1 miliardo l’anno (vedi le regioni del Sud), sono stati riempiti di soldi da Roma (vedi le regioni a statuto speciale), hanno macinato il vento della buona stampa e delle buone procure (vedi le regioni rosse). Dopo di che, fratelli e compagni che siete per la libertà, vogliamo piegarci alla compagnia demente e danzante sul cadavere formigoniano (almeno così pensano loro) che ucciderebbe seduta stante tutte le conquiste lombarde di solidarietà, scuole libere, ospedali d’eccellenza, tessuto economico non di impianto statal-sovietico? Alle prossime elezioni, o si farà l’Italia di popolo, dal popolo, per il popolo. O si morirà sotto lo scarpone chiodato del partito delle procure, dei Grillo e del risotto arancione di cui i milanesi ormai conoscono il dettaglio di tasse e di dirigismo imperioso
da Tempi