giovedì 19 aprile 2012

UN PAESE IN CUI VIGE LA TORTURA


LA VERITA' SU ANTONIO SIMONE E TEMPI
di Luigi Amicone
Tratto da Tempi del 17 aprile 2012

Per il Corriere della Sera «Tempi è forse quel che di meglio Simone ha costruito nella vita». Grazie, ma non è tutto: il nostro amico ha fatto molto altro di buono, anche nell’ambito della sua attività di consulente. Anticipiamo l'editoriale del direttore Luigi Amicone, che apparirà sul prossimo numero di Tempi, da giovedì in edicola.

Ho depositato al tribunale di Milano il nome di questa testata nella primavera del 1994. Nel giugno dello stesso anno Antonio Simone, ex assessore Dc in Lombardia e mio amico fraterno dall’anno 1970, varcava la soglia del carcere di Monza. Ci resterà un mese. In seguito, nei parecchi anni seguenti, tutti i processi lo manderanno assolto (in un solo caso per prescrizione) riconoscendolo innocente e sollevandolo da ogni accusa di corruttela, tangenti e quant’altro. Tempi nasce così: da un deposito di testata e da un amico che con una lettera dal carcere ti ha detto «ci sto». Seguirà un anno di preparazione e la salita sul carro di Tempi di Sergio Scalpelli e Lodovico Festa, già esponenti dell’ala migliorista del Partito comunista italiano, l’uno ex presidente della Casa della cultura a Milano, l’altro ex segretario del partito nella Stalingrado italiana. Ci unisce una seria preoccupazione per la libertà e le sorti della democrazia in Italia, una visione laica e popolare della società, la repulsione ai metodi da inquisizione e alla interpretazione della storia politica italiana come storia criminale, fatta propria dalla narrativa mediatico-giudiziaria che fa da sfondo alle inchieste di Mani pulite.
Quasi vent’anni dopo siamo qui, a registrare che, nonostante abbia immediatamente trasferito la sua residenza da Londra in Italia, abbia richiesto e ottenuto dai pubblici ministeri di farsi ascoltare dichiarando la sua piena disponibilità a collaborare alle indagini, offerto gli estremi di tutti i suoi conti, testimoniando così nei fatti di non avere alcun proposito di fuga, di inquinamento delle prove né, tantomeno, di reiterazione di reati che respinge di aver commesso, venerdì 13 aprile Antonio Simone viene nuovamente arrestato, condotto a San Vittore e recluso in una cella con altri cinque detenuti (lo spazio a sua disposizione è quello che hanno mediamente tutti i detenuti in Italia, di cui abbiamo più volte qui riferito, inferiore a quello in cui la normativa europea esige che vengano allevati i suini). Le vicende per cui Simone è inquisito non riguardano il suo ruolo in Tempi (attualmente è uno dei soci della cooperativa dei giornalisti). Simone è stato arrestato nell’ambito delle indagini che la procura di Milano sta svolgendo sulla sanità lombarda e che hanno già condotto in carcere l’imprenditore Piero Daccò e altre quattro persone legate alla Fondazione Maugeri. A Simone, che con Daccò è titolare di società che hanno operato all’estero, è stato contestato il reato di riciclaggio e associazione a delinquere nella creazione di fondi neri.
Luigi Amicone

Cosa ci aspettiamo dal processo
A noi, come a ogni cittadino che abbia imparato (magari a proprie spese) a distinguere i fatti dalle accuse, i processi nelle aule dei tribunali dalle gogne mediatiche, interessa soltanto che il nostro amico abbia un processo giusto. Se (e nella misura in cui) egli sarà giudicato colpevole da un giudice, Simone dovrà pagare per i suoi errori e scontare la pena che la corte gli comminerà. Detto questo, i colleghi Simona Ravizza e Mario Gerevini hanno scritto sul Corriere della Sera che «Tempi è forse quel che di meglio Simone ha costruito nella vita». Grazie del riconoscimento, ma non è tutto: fino a sentenza definitiva contraria, anche nell’ambito della sua attività di consulente per la sanità privata e di operatore immobiliare, il nostro amico ha fatto molto altro di buono. Tanto per cominciare, a proposito delle accuse che lo riguardano, Simone sostiene di non aver ricevuto un euro dalla Fondazione Maugeri, intorno ai cui vertici e collaboratori si addenserebbe l’accusa di fatture false, prestazioni inesistenti e fondi neri veicolati in società di Daccò per un totale di 56-70 milioni di euro. Dopo essere stato cancellato dalla vita politica italiana da ingiuste accuse e da un’ingiusta carcerazione, dal 1995 Simone ha trasferito la sua residenza all’estero, dove si è occupato di intermediazione immobiliare e ha aperto società con imprenditori attivi nel business alberghiero. È vero, nel decennio compreso tra il 2001 e il 2011 Simone è stato anche socio di Piero Daccò. Ma durante questo decennio, per le sue attività e consulenze Simone ha guadagnato complessivamente circa 5-6 milioni, non 13 come gli attribuiscono gli inquirenti. Dunque, stiamo parlando di 400-500 mila euro l’anno, cifra assolutamente congrua a quella di qualsiasi professionista, operatore nel business della sanità privata e del mercato immobiliare. Con la Fondazione Maugeri Simone ha avuto a che fare solo tramite Piero Daccò, dal quale ha ricevuto emolumenti per due progetti sanitari realizzati dallo stesso Simone in Sicilia e in via Camaldoli a Milano.

Questo è quanto dovevamo ai nostri lettori. Questo è quanto ci aspettiamo di vedere confermato nella sentenza di un processo giusto. Un processo, tra l’altro, che non dovrebbe attendere i tempi di una fase di carcerazione preventiva potenzialmente lunghissima. Ma che, visto per altro il devastante impatto politico che l’inchiesta sta assumendo in Lombardia, dovrebbe svolgersi il più rapidamente possibile. Purtroppo l’Italia è paese pluricondannato dall’Europa per il sovraffollamento delle carceri (68 mila detenuti in celle che ne possono contenere 45 mila) e perché quasi la metà dei detenuti sono, come Simone, detenuti “in attesa di giudizio”. A buona ragione, purtroppo, siamo considerati in Europa un paese in cui vige la tortura.

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