mercoledì 2 maggio 2012

LA CAPORETTO DELLA POLITICA

DI STEFANO SPINELLI


Più dei festini di Arcore, dei tesoretti della Lega, della spartizione dei milioni della Margherita, m’interessa capire l’attuale crisi della politica come crisi istituzionale. Questa mi preoccupa veramente.


C’è una cartina di tornasole che rivela il black-out del sistema. Tutti i sondaggi, se si votasse oggi, danno per vincente il Pd, a parte la grossa affermazione del partito del non voto. In una democrazia che funzioni, la legittima aspirazione di tutte le forze politiche è di affermarsi come principale partito di governo, è di vincere la concorrenza con gli altri partiti per poter realizzare la propria ricetta, che si ritiene la migliore, è di convincere i cittadini della bontà della propria linea politica, tanto da cercarne e acquisirne il consenso e da ottenerne la fiducia per governare. Tutte le forze politiche hanno questo obiettivo, per loro propria natura, è insito nel loro DNA. Se un partito non lottasse nell’agone politico per questo, non sarebbe più tale, verrebbe meno al proprio destino.
Ciò che mi colpisce soprattutto, nella situazione odierna, è la rinuncia dei maggiori partiti ad assumersi responsabilità di governo. In particolare, davanti a una concreta e realistica vittoria elettorale del Pd, mi stupisce la scelta di Bersani di non cogliere al volo l’occasione, come farebbe qualunque aggregazione politica in salute.
In questo vedo un pericolo maggiore per la democrazia del moralismo sbandierato ai quattro venti dall’antipolitica.


Sinceramente, non capisco quel “fare un passo indietro della politica per il bene del paese”. Il leader Pd – seguendo l’indicazione del leader Udc – più volte ha ripetuto che la contingenza è tale da richiedere un sussulto di maggior responsabilità: siccome siamo responsabili, rinunciamo a governare e lasciamo il campo ai tecnici.
Questo ragionamento, mi pare essere la disfatta, la caporetto della politica, altro che responsabilità.
Responsabilità è assumere anche decisioni difficili e impopolari, quando la situazione lo richieda. I genitori “tagliano” il tenore di vita in tempi difficili, “stringono la cinghia” anche contro l’opposizione del resto della famiglia. Il buon pater familias era quello che si comportava con diligenza nel governare la propria gens, che non sperperava sostanze in momenti favorevoli, che gestiva oculatamente i beni in momenti di crisi. Non mi convince l’analisi di quei partiti che rinunciano a governare per paura di perdere consensi, così è meglio operare dietro il paravento di un asettico governo tecnico.


Se una maggioranza cade, perché non è in grado di gestire un dato momento storico, l’opposizione dovrebbe essere in grado di arrivare là dove l’altra compagine ha fallito, oppure di dire e di fare qualcosa di diverso secondo il proprio disegno del futuro del paese.
Un programma politico non è un decalogo di idee valide per tutti i paesi e per tutte le stagioni. Un programma politico deve fare i conti con la realtà, deve trovare soluzioni ai problemi che la società pone, deve continuamente rimodellarsi e adeguarsi alla concreta situazione del paese. Non può continuare ripetere la solita politica di aumento della spesa pubblica, se deve trovare risposte a tempi di crisi. Altrimenti la proposta si riduce a pura ideologia che non ha nulla a che vedere con la realtà. Sarebbe come dire: questa è la mia ricetta, per il paese, sempre e comunque, prendere o lasciare. E i cittadini lasciano evidentemente.
Anch’io ho sostenuto a suo tempo che il governo Monti fosse l’unico possibile per l’Italia con lo spread a quota +500. Ma solo perché il governo Berlusconi non ha saputo attuare il programma con il quale si era presentato agli elettori e che aveva ricevuto un consenso tra i più elevati degli ultimi anni. E solo perché l’opposizione non si mostrava in grado di assumere quelle misure necessarie indicate anche dall’Europa per risanare i conti pubblici, proprio per l’impermeabilità di certa sinistra a qualunque politica di contenimento della spesa.


Ma un governo tecnico non può essere “di sistema”. Deve rimanere un’eccezione a scadenza.
Lo stesso concetto di tecnicismo applicato al governo mi pare una bella ipocrisia. Anche i governi tecnici cadono se non sono sostenuti da ben precise forze politiche. Il passo indietro a favore di Monti è stato fatto dalla stragrande maggioranza dei partiti. Finché si è trattato di assumere decisioni impopolari, ossia riforma delle pensioni (quelle pensioni che hanno causato l’affossamento della maggioranza di centrodestra, per il veto della Lega), aumento delle tasse (che il precedente governo aveva scongiurato), introduzione dell’IMU anche sulla prima casa (balzello tolto dal precedente governo), si è proceduto abbastanza velocemente. Sulle liberalizzazioni, si sono assunte decisioni di piccolo cabotaggio, senza prendere di petto il problema. Sulle riforme (del lavoro, della giustizia, elettorale) ci si è arenati. Ora si vedrà l’esito delle proposte di “spending review”, e di tagli all’apparato burocratico dello stato. Ma sembra che l’accelerazione iniziale sia venuta meno, anche perché è sempre più difficile trovare soluzioni condivise rispetto a una maggioranza così anomala e diversa.


Sapete che idea mi dà, questa dei partiti che fanno, tutti, un passo indietro nascondendosi dietro ai tecnici? Che non abbiano altra politica che quella di aumentare la spesa pubblica, che non siano in grado di affermare delle priorità, tanto che riescono a governare solo se non debbono fare scelte drastiche, ma se possono accontentare tutto e tutti. Almeno lasciano intendere questo ai cittadini: “noi non siamo capaci a governare la crisi; occorrono i tecnici, che tanto non li vota nessuno”.
Ma i tecnici guardano più al mercato che alle persone.
E’ questa – credo – la vera antipolitica, attuata dalla stessa politica.

da Culturacattolica

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