venerdì 4 maggio 2012

UN CAFFE' IN COMPAGNIA

Renato Farina intervista Don Luigi Giussani, Tracce, n.11 dicembre 1993


E' proprio così, don Giussani? Davvero la compagnia può essere vissuta come negli anni '70 l'ideologia? "Capita", dice Giussani. "Per una realtà sociale come la nostra la parola compagnia diventa sinonimo di utopia, se la si intende come uno strumento cui affidare le proprie speranze.
Come se fosse la compagnia a darti una pienezza di vita raggiungibile, come se questa pienezza potessi attingertela lì."


La risposta non è di quelle che si digeriscano facilmente. Obbliga il cucchiaino a girare nella tazzina pensosamente. Questo significa allora che non è la compagnia a dare gusto alla vita. È così, don Gius?

"Ma non vi accorgete", risponde, "che umanamente parlando è proprio orribile identificare la compagnia come l'ambito che meccanicamente ti assicura il gusto del vivere? Prima di tutto è ingenuo! Non tiene presente la precarietà e la brevità della compagnia. Ma poi i rapporti umani danno vera sicurezza e gusto solo come esito di una tensione drammatica in cui sono implicate l'intelligenza e la libertà dell'uomo. Intelligenza e libertà sono i due elementi da cui scaturisce il fenomeno umano veramente sintetico, unitivo e fecondo: l'affettività".

La questione dell'utopia scotta ancora. Da che cosa ci si può accorgere che la compagnia diventa un'utopia? Risposta: "Dal fatto che una persona pone nell'automatismo di questo fenomeno la sua speranza. Identifica cioè la compagnia con certi momenti di riposo e di soddisfazione per cui valga la pena di sopportare la vita".

Una fuga..."Infatti. Ultimamente un certo tipo di compagnia è semplicemente evasiva dalla responsabilità. Si scappa perciò dalla serietà, dalla creatività, dalla fecondità della vita e dalla tensione ideale che definiscono il cuore dell'uomo. In fondo, quel meccanicismo di cui parlavo poc'anzi è quell'immoralità fondamentale già descritta da Eliot, per cui si cerca la salvezza in un'immagine di compagnia." E qui ecco, a memoria, la citazione dai Cori da "La Rocca": "Essi cercano sempre
d'evadere/ Dal buio esterno e interiore / Sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d'essere buono". Commenta Giussani: "Accade così che la compagnia diventa qualcosa di
schiavizzante - proprio letteralmente: si diventa schiavi di essa-. una vera e propria alienazione".

Non è però che adesso si deve buttare nella spazzatura la compagnia. Dall'esperienza di fede di don Giussani quale forma prende la compagnia cristiana? "Un immagine esattamente contraria a quella appena descritta", confessa. E lo sguardo di don Giussani è come afferrasse questa piccola combriccola, così normale, di gente al bar. "Che miseria sarebbe la nostra compagnia se fosse determinata da un atto alienato, da un meccanismo e da un automatismo di rapporti! E un'altra cosa l'immagine cristiana della compagnia. La compagnia cristiana è una realtà creata dal cambiamento che la persona incontrando
Cristo, realizza in se stessa. E un cambiamento di mentalità da cui un altro modo di vedere, di concepire e di giudicare le cose. E muta la dinamica dei rapporti che si spalancano a una capacità di amare impensabile prima, in un compito che ha un orizzonte infinito di bene. E lo scopo del tempo è compiere questo bene."

Si discute a questo punto di una questione che tutti noi qualche volta si è percepito, ma che resta così vaga... Insomma: si può star soli e nello stesso tempo scoprirsi in compagnia. Ed è un paradosso che il mondo d'oggi proprio non accetta.
Giussani commenta: "L'appunto è fatto in modo giusto. La compagnia cristiana è il prodotto della dimensione vera di un nuovo tipo di uomo: quello nato dall'incontro con Cristo, proprio san Paolo
parla di creatura nuova". Se per dimensione si intende il modo di guardare la realtà a partire dalla coscienza che un uomo ha di se', allora la compagnia entra nella definizione dell'io, proprio come misura dell'esistente scoperto dal cuore nuovo. Non è questione dell'essere soli o in gruppo".


Il caffè si è freddato, ma non importa. Proviamo svolgere il tema. Se si può essere in compagnia essendo soli, non ci sono gesti della compagnia e altri individuali. E' così?
Giussani il caffè se l'è gustato, invece. Dice: "La compagnia tra di noi si lascia identificare prima di
tutto per un tipo di affezione nuova che nasce tra le persone: in essa domina su qualsiasi altro sentimento la stima dell'altro, la disponibilità ad aiutare, un'amorosità disposta a soccorrere l'altro, a condividerne sempre il bisogno, nella percezione fisica del tempo e dello spazio come via al destino. Non è niente di meno di questo, la compagnia, cioè la dimensione del cristiano".

Ognuno dei convenuti pensa alla sua comunità, a se stesso. Quante volte non è l'amorosità e la condivisione a essere la stoffa della compagnia. Don Giussani è duro: "Quando capita così, allora non è una compagnia cristiana. I casi sono due: o c'è un maestro, una guida che si segue e che diventa educatore a questi sentimenti, oppure si sfascia tutto, tutto si divide e la compagnia favorisce solo
sedimenti di gruppetti inutili".


Una guida, va bene. Ma quale guida? "Un educatore", dice secco. Spiega: "Un uomo che ha vissuto e vive la compagnia come abbiam detto fin qui, non può che mostrare agli altri come essa nasce in lui stesso. Non abbiamo sempre definito l'educazione come comunicazione di sé? Ma ci sono tante cose
ancora che bisognerebbe dire, e tante potrebbero suggerirne i nostri amici".
Per questo, mentre si paga alla cassa, viene in mente di trascrivere, senza pretese, un dialogo da caffè, non banale però. Scommettendo che in tanti avranno da dire qualcosa su un tema che qui ridiciamo: la compagnia può diventare un'utopia?

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