giovedì 30 agosto 2012

STRADA APERTA ALL'EUGENETICA

EDITORIALE DI SAMIZDATONLINE

Assuntina Morresi, Il Sussidiario
E ora tocca al tecnico Monti occuparsi di embrioni -
Impossibile tenere fuori dall’agenda politica i cosiddetti “temi eticamente sensibili”: sarebbe come non volersi occupare di globalizzazione, o rifiutarsi di parlare di problematiche ambientali, e pretendere comunque di governare il paese. La biopolitica, piaccia o no, fa parte del nostro tempo, lo attraversa e lo trasforma: giudicarne i fatti e stabilire o meno delle regole è inevitabile per chiunque guidi un paese.
E quindi adesso spetterà al governo Monti decidere se ricorrere o meno contro la Corte Europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) per difendere la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, e assumersene tutta la responsabilità politica.
Le notizie riportate dai media sono note: una coppia italiana, fertile, portatrice sana di una malattia genetica – la fibrosi cistica – vuole accedere alle tecniche di fecondazione in vitro per poter selezionare gli embrioni sani e trasferirli in utero, scartando quelli malati, per avere figli senza questa patologia.
Sono ricorsi alla Corte Europea perché la legge italiana consente l’accesso a queste tecniche solo alle coppie infertili, vietandolo a chi può avere figli per vie naturali. La legge 40, infatti, è pensata per dare alle coppie sterili una possibilità in più di avere figli, e non per consentire alle coppie in generale di scegliere i propri figli, accettando quelli sani e scartando i malati
In prima istanza la Cedu ha accolto la richiesta della coppia, parlando di “incoerenza” fra la leggi italiane, precisamente fra la 40 e la 194 sull’aborto che, secondo la Corte Europea, consentirebbe di abortire se il nascituro è malato di fibrosi cistica: secondo i giudici europei la coppia italiana avrebbe diritto quindi all’accesso alle tecniche di fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto, per scegliere gli embrioni sani da trasferire in utero.
Ma i fatti non stanno esattamente in questi termini, ed è bene fare chiarezza, nel metodo e nel merito, per capire cosa è effettivamente in gioco.
Nel metodo: stiamo parlando di un pronunciamento di primo grado della Cedu, che in molti casi (per esempio la recente sentenza sull’eterologa, o anche quella sul crocefisso), è stata rovesciata nel pronunciamento finale della Grande Chambre. Considerando la grande differenza nelle procedure seguite dalla Cedu per le sentenza di prima istanza e per quelle definitive della Grande Chambre, la prudenza è d’obbligo, e sarebbe bene aspettare la fine del percorso giudiziario prima di trarre qualsiasi conclusione in merito.
D’altra parte, ci si può rivolgere alla Corte Europea solo quando si sono esauriti tutti i gradi di giudizio nella nazione in cui si risiede, ma in questo caso la coppia italiana non si è mai rivolta ai nostri tribunali, il che dovrebbe rendere inammissibile il ricorso stesso, in un eventuale appello. 
Perché la Grande Chambre intervenga è però necessario che il governo Monti impugni questo pronunciamento di prima istanza, chiedendo alla Cedu un grado successivo di giudizio: se entro i prossimi tre mesi il governo non interverrà, il parere reso noto oggi sarà definitivo, e l’Italia vi si dovrà adeguare.
Il governo tecnico, quindi, è chiamato ad una decisione squisitamente politica che avrà un significato ben preciso, a seconda che decida o meno di intervenire: una decisione alla quale, ovviamente, è impossibile sottrarsi. Non ricorrere, per esempio, svelerebbe la volontà di questo governo di cambiare la legge 40. 
Sarebbe poi interessante chiedere a chi, come Pierferdinando Casini, ha teorizzato che i temi etici debbano essere estranei al programma governativo, cosa avrebbe fatto in questo caso se fosse stato a Palazzo Chigi alleato con il Pd: il partito di Bersani condivide le posizioni espresse dalla Cedu e sicuramente, se fosse stato al governo, non avrebbe presentato ricorso.
Nel merito, è bene chiarire che il paragone con la legge 194 che regola l’aborto non regge. La 194, così come la 40, non è eugenetica, cioè non consente la selezione di esseri umani in base a caratteristiche genetiche. Per la 194 non sono le eventuali malattie del nascituro di per sé a rendere lecito l’aborto: in punta di diritto, si può abortire se da problemi di salute del feto derivano gravi pericoli per la salute fisica o psichica della donna.
Non è differenza da poco: sapere che il proprio figlio soffrirà di una malattia importante sicuramente genera enorme dispiacere e grande sofferenza, che sono però – ovviamente - diversi dal “grave pericolo per la salute” della donna.
E d’altra parte la stessa Cedu, nella precedente sentenza sulla fecondazione eterologa, ha argomentato a favore del margine di autonomia di ogni singolo stato, a riguardo:un eventuale ricorso italiano, quindi, avrebbe molte possibilità di essere accolto, e di ribaltare la sentenza di oggi. Aspettiamo fiduciosi le reazioni del governo.  
 
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martedì 28 agosto 2012

ELVIRA PARRAVICINI : LA BELLEZZA ACCADE

E A SEGUIRLA NON SI SBAGLIA MAI
 In sala operatoria ci sono tutti. Medici, specializzandi, infermieri: il parto di due gemelle siamesi è una cosa rara, e
allora ci sono anche gli studenti pronti a fare le foto. Poi c’è lui. Il papà. Quindici anni, un teenager afro-americano, bandana a rete in testa e jeans da rapper. Sul letto la fidanzatina, quindici anni anche lei, pronta per il cesareo. Loro non hanno mai avuto dubbi: «Sono le nostre bambine». Che cosa c’è da capire o decidere? Lo sanno fin dall’inizio che le figlie vivranno solo pochi minuti: sono attaccate per il torace, hanno un cuore in due, e salvarle è impossibile.
Il parto inizia in un viavai di camici e recriminazioni. I più pensano che questa cosa non andava fatta, «perché li segnerà per tutta la vita, dovevano abortire, e basta. È assurdo», insistono, mugugnano fino all’ultimo. Fino a quando Keela e Kayla non nascono. Abbracciate. Ottocento grammi l’una. Il papà ragazzino chiede «posso prenderle? », e inizia a cullarle. Loro respirano appena. «Sono qui, non abbiate paura. Papà è qui... ». Il silenzio riempie la sala. Nessuno si muove più. Su qualche volto scendono le lacrime.
«Stava accadendo una bellezza così potente che tutti in quella stanza siamo cambiati. Abbiamo contemplato la bellezza del Mistero», dice Elvira. E in questo c’è tutto ciò che serve per spiegare cosa sia il suo
neonatal hospice. Un posto che custodisce quella bellezza, si china e la cura. Finché può, per tutto il tempo della vita di un bambino. Che siano tre minuti o tre giorni, poche ore, mesi.
Elvira Parravicini è neonatologa alla Columbia University di New York. Al prossimo Meeting di Rimini (dal titolo:
La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito) racconterà del programma che ha fondato per l’assistenza dei neonati affetti da sindromi letali. Nati già terminali. È il primo così al mondo. Ovunque questi bambini, se vengono fatti nascere, nascono per morire. Qui per vivere. «L’esistenza ha un inizio e ha una fine. E non li stabiliamo noi. Ma nel mezzo facciamo tutto quello che è possibile perché la loro vita sia bella».

«Perché non vai in America?». Non è un reparto vero e proprio. È una sala parto, speciale, che si prepara quando e come serve. Da poco, l’ospedale ha finanziato anche una cameretta dove i genitori trascorrono con il figlio il tempo che è dato. È un tempo affascinante. «Per tutti noi, anche per gli infermieri, perché implica che ti butti lì umanamente», dice Elvira: «Le tecniche non bastano». Il comfort care, cioè “la cura di conforto”, per i neonati non ha un modello, non è teorizzato e lei non l’ha studiato sui libri. Le chiedi dove l’ha imparato. Sorride: «Dalla mia mamma». Dice che capire il bisogno dell’altro dipende da come lo guardi. «È uno sguardo, quello che ho imparato. L’ho visto in mia madre e nella compagnia del movimento». Non c’è un protocollo, ci sono solo quelli che lei chiama “capisaldi”. «Rispondere ai bisogni primari di un bambino». Ovvero: essere accolto, per cui stare con chi lo ama; non soffrire né fame né sete; stare al caldo. «Queste cose gli danno un sollievo grandissimo». E nel modo in cui lo dice c’è tutto il suo sguardo.
In nome di quei capisaldi saltano le regole della terapia intensiva. «Si fanno cose che non si farebbero. Anche cose “pazze”. Ma si fanno, perché la cura è personalissima. Dipende tutto dal bambino. Noi dipendiamo da lui». Ad una neonata sono arrivati a fare un piccolo intervento. Per via delle briglie amniotiche, è nata con testa e faccia stravolte: «Vedevi solo un buchino, ed era la bocca, da cui doveva mangiare e respirare. Le abbiamo messo un tubicino gastrico, per aiutarla. Così ha vissuto i suoi quattro mesi, ma respirando bene». Tutte le decisioni si prendono con i genitori, «decidi la cura passo a passo, proponi, ti confronti. Loro ti aiutano molto, perché chi decide per il
comfort care ha tutto il focus sul bambino, non sul proprio dolore. Vuole servire la sua vita».

IL CRISTIANESIMO VISSUTO


Questa storia particolare [il cristianesimo vissuto], che si racconta anche con entusiasmo, è realmente universale, conviene realmente a tutti gli uomini e a ognuno degli uomini? Ha la forza e la dignità culturale per paragonarsi con le conquiste delle scienze naturali e sociali, che sembrano ridurla a un puro sentimento soggettivo che si limita all’ambito del privato? Mi sono ricordato, in merito, della canzone di Chieffo: “Ti diranno che tuo padre era un personaggio strano, un poeta fallito, un illuso di un cristiano; ti diranno che tua madre era una sentimentale, che pregava ancora Dio mentre si dovrebbe urlare”. La storia che abbiamo narrato potrebbe essere - in fondo, in fondo - nient’altro che poesia, un’illusione che ti consola, una specie di autoconvincimento emotivo? Se negli anni 70 prevaleva il rifiuto del cristianesimo in nome di una ribellione sociale e politica, oggi la sfida è diversa, forse più profonda. Non c’è bisogno di eliminare la fede cristiana; si preferisce negare il suo carattere universale; basta chiuderla nel ghetto delle opinioni soggettive, dei sentimenti o delle convinzioni particolari, che si possono professare in privato, sempre che non abbiano la pretesa di dire la verità circa l’uomo, il mondo e Dio.
JAVIER PRADES MEETING DI RIMINI

LEGGI TUTTO
http://it.clonline.org/detail.asp?c=1&p=0&id=554


L'ILLUSIONE DELL'ISLAM MODERATO

RIMSHA MASHI


Il mondo civile ha assistito attonito al caso di Rimsha Masih, la bambina disabile pakistana di religione cristiana, che ha rischiato di essere bruciata viva dalla folla inferocita, e che oggi si trova agli arresti presso un riformatorio in attesa di giudizio. Il reato di cui è accusata questa undicenne affetta dalla sindrome di Down è di aver stracciato alcune pagine di un manuale che viene utilizzato per imparare a leggere il Corano, testo sacro della religione islamica. Questo atto avrebbe violato la cosiddetta legge sulla blasfemia, spesso strumentalmente utilizzata per colpire i cristiani in Pakistan, la stessa legge contro cui si era battuto con coraggio il ministro martire Shahbaz Bhatti – scelto come uomo dell’anno 2011 da CulturaCattolica.it – ucciso dal cieco fanatismo islamico.
Questa ennesima vicenda di assurda intolleranza contro i cristiani rende ancora più evidente il fatto che il cosiddetto islam moderato viva solo nelle buone intenzioni di chi si illude irenicamente circa la possibilità di un dialogo con il mondo musulmano. La drammatica realtà di ciò che accade nei Paesi in cui l’islam determina concretamente la cultura del popolo dimostra, purtroppo, esattamente il contrario.
Quello che manca all’Islam, una cultura in cui ancora si lapidano le donne adultere come nella Palestina di duemila anni fa, è Qualcuno che sappia rivolgersi al cuore degli uomini e dire: «chi è senza peccato scagli la prima pietra».

In ogni caso, è difficile se non impossibile giustificare ciò che è accaduto alla piccola Rimsha Masih alla luce di una prospettiva religiosa, giacché è impensabile che il Dio dei musulmani possa avere questo volto. Se così fosse, sarebbe un Dio disumano.
 
Riportiamo, da Radio Vaticana, questo frammento di intervista:Tristemente di attualità in questi giorni il caso, in Pakistan, della bambina cristiana, down, di 11 anni, Rimsha Masih, imprigionata con l’accusa di blasfemia perché trovata in possesso di frammenti di un libro sacro islamico, così come le violenze verso i cristiani in Nigeria. Il dialogo interreligioso in questo senso può aiutare? Ci risponde il cardinale Tauran:
“Certo. Più la situazione è grave e tesa, più il dialogo si impone. Vediamo il caso in Pakistan di Rimsha Masih, riportato dalla stampa. Si tratta di una ragazza che non sa né scrivere né leggere, raccoglieva le immondizie per vivere, ed ha raccolto i frammenti di quel libro che si trovavano tra le immondizie. Prima di dire che un testo sacro è stato oggetto di disprezzo, occorrerebbe verificare i fatti”.


Fonte: CulturaCattolica.it

PORTA FIDEI


Scola alla tomba di sant’Agostino, «il suo inquietum cor è di lezione all’uomo moderno»

Il Cardinale Arcivescovo di Milano celebrerà l’Eucarestia nella Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia, Tomba di Sant’Agostino, il 28 agosto, memoria liturgica del Santo, alle 18.30.

Pinturicchio S.Agostino e San Nicola
Sant’Agostino è sepolto a Pavia dal sec. VIII: riposa nella Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, ai piedi dell’Arca marmorea fatta erigere nel sec. XIV dal priore agostiniano Bonifacio Bottigella, poi vescovo di Lodi. L’Arca di Sant’Agostino, così detta in omaggio al santo, reca incisa la data 1362 in caratteri gotici e festeggerebbe così quest’anno il suo seicentocinquantesimo anno dalla costruzione. Nella giornata del 28 agosto, memoria liturgica del Santo, dinanzi alla sua tomba celebreranno l’Eucarestia alle ore 9 il vescovo di Pavia monsignor Giovanni Giudici, alle ore 11 il Priore Generale dell’Ordine di Sant’Agostino Padre Robert F. Prevost, alle ore 18.30 il Cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano.

Abbiamo chiesto al Cardinale Arcivescovo Angelo Scola una breve riflessione sulla figura di Sant’Agostino. Ringraziamo il Cardinale per l’intervista concessa.

Eminenza, l’Arcivescovo di Milano si reca a celebrare l’Eucarestia alla Tomba di Sant’Agostino: si rinnova lo specialissimo vincolo nella fede cristiana fra Ambrogio e Agostino, che oltre che Pastori del Popolo di Dio sono maestri di cultura e di spiritualità per l’Occidente. Siamo a pochi mesi dal XVII centenario dell’Editto di Milano: cosa Ambrogio e Agostino possono ancora dire a questo proposito?

“Ambrogio ed Agostino vissero i decenni travagliati del passaggio tra l’antico, rappresentato dall’impero romano ormai estenuato ed avviato verso il suo inesorabile declino, e il nuovo che si annunciava all’orizzonte, ma di cui non si vedevano ancora nitidamente i contorni. Furono immersi in una società per molti aspetti simile alla nostra, scossa da continui e radicali cambiamenti, sotto la pressione dei popoli stranieri e stretta dalla morsa della depressione economica dovuta alle guerre e alle carestie.

In queste condizioni, pur nella profonda diversità di storia e temperamenti, Ambrogio ed Agostino furono annunciatori indomabili dell’avvenimento di Cristo ad ogni uomo, nell’umile certezza che la proposta cristiana, se liberamente assunta, è risorsa preziosa per la costruzione del bene comune.

Essi furono strenui difensori della verità, incuranti dei rischi e delle difficoltà che questo comporta, nella consapevolezza che la fede non mortifica la ragione, ma la compie; e che la morale cristiana perfeziona quella naturale, senza contraddirla, e ne favorisce la pratica. Prendendo a prestito espressioni del dibattito contemporaneo, potremmo definirli come due paladini della dimensione pubblica della fede e di un sano concetto di laicità”.

Il Santo Padre, nella Lettera Apostolica Porta Fidei con la quale indice l’Anno della Fede, che si aprirà a ottobre, cita Sant’Agostino: «I credenti», attesta sant’Agostino, «si fortificano credendo». Nell’Anno della Fede quale può essere, secondo Lei, l’insegnamento che si può trarre dall’esperienza umana e spirituale di Sant’Agostino?

“Benedetto XVI, in una delle sue Udienze generali dedicate a Sant’Agostino, riprendendone l’espressione “vecchiaia del mondo” disse: «Se il mondo invecchia, Cristo è perpetuamente giovane. Da qui l’invito di Agostino: “Non rifiutare di ringiovanire unito a Cristo, anche nel mondo vecchio. Egli ti dice: Non temere, la tua gioventù si rinnoverà come quella dell’aquila” (cfr Sermoni 81,8)»(Benedetto XVI, Udienza generale del 16 gennaio 2008). Agostino è un formidabile testimone della contemporaneità di Cristo ad ogni uomo e della profonda convenienza della fede alla vita”.

In cosa consiste la perenne attualità del pensiero e della vicenda umana di Sant’Agostino?

“È l’inquietum cor di cui egli stesso ci parla nell’incipit delle Confessioni. La sua instancabile ricerca, che ha affascinato gli uomini di tutti i tempi, è particolarmente preziosa per noi oggi, immersi (e spesso sommersi) nel travaglio di questo inizio del terzo millennio. Una ricerca che non si ferma alla, sia pur sterminata, dimensione orizzontale; ma si inoltra in quella verticale.

È lo stesso Agostino a descriverne la portata, quando – in un passaggio dei suoi Soliloqui – afferma: «Ecco ho pregato Dio. “Che cosa vuoi dunque sapere?” “Tutte queste cose che ho chiesto nella preghiera” “Riassumile in poche parole” “Desidero conoscere Dio e l’anima” “E nulla più?” “Proprio nulla”» (Agostino, Soliloqui I, 2,7)”.

Eminenza, chi è per Lei Sant’Agostino?

“Un genio dell’umanità e un grande santo, cioè un uomo pienamente riuscito. Mi ha impressionato, in proposito, un’affermazione di Maritain che cito ripetutamente ai giovani, spesso così ossessionati dal problema del successo e della autorealizzazione: «Non c’è personalità veramente perfetta che nei santi. Ma come? I santi si sono forse proposti di sviluppare la propria personalità? No. L’hanno trovata senza cercarla, perché non cercavano questa, ma Dio solo» (J. Maritain)”.

DA Ilsussidiarionet

leggi su S.Agostino
http://www.mistica.info/unagost.htm

 

L'TALIETTA DEL CLUB DEI TROMBONI


L'Italia salottiera e intellettuale, a dif­ferenza di quella reale che ha ben al­tri problemi, si sta appassionando e avvitando attorno alla presunta trattativa tra Stato e mafia che sarebbe avvenuta agli inizi degli anni Novanta, quando Cosa no­stra compiva stragi praticamente a giorni alter­ni. Delle indagini su questo presunto misfatto si sarebbe occupato anche il presidente Napolita­no, che ignaro di essere intercettato, pare abbia rassicurato l'ex ministro Mancino, uno dei tanti coinvolti, e indagati, nella vicenda. Apriti cielo.

A differenza di quanto accadde sulle intercetta­zioni illegali di Berlusconi, mezza sinistra si è schierata a difesa del diritto di Napolitano a non essere spiato, mentre il solito clubbino di forca­ioli (Di Pietro, Procure varie, Travaglio e altri) non vede l'ora di mettere Napolitano alla gogna. Sulla vicenda stanno litigando anche dentro il quotidiano La Repubblica: da una parte il fonda­tore Scalfari, che difende il Colle sperando di avere in cambio il seggio di senatore a vita anco­ra vacante, dall'altra tale Zagrebelsky, ex presi­dente della Corte Costituzionale, noto più per le sue comparsate tv da Gad Lerner che per altro.

Ieri, su questa fondamentale questione, è in­tervenuto anche il direttore di La Repubblica, Ezio Mauro, con un articolo di una pagina inte­ra, manco fosse la ricetta risolutiva della crisi economica. Verrebbe da dire chi se ne frega di quello che pensano questi tre vecchi arnesi che si sentono gli dei del Paese quando sono invece retorici tromboni autoreferenziali. È che tra le ri­ghe della lenzuolata di Mauro emerge finalmen­te la verità: dietro questa ridicola sceneggiata non c'è la voglia di capire cosa successe. Anche perché la faccenda è indicibile ma chiara: lo Sta­to giustamente trattò con la mafia- come si fa abi­tualmente con i rapinatori barricati in banca o in caso di sequestri di persona- per bloccare le stra­gi e chi lo fece meriterebbe un encomio (in breve tempo tutti i boss, a partire da Riina, vennero ar­restati, la violenza finì e il carcere duro venne ad­dirittura potenziato). No, a Mauro interessa tira­re dentro nella questione Berlusconi, nonostan­te quattro sentenze abbiano sancito che con la mafia l'ex premier non ha mai avuto a che fare. Hanno paura che ancora una volta il loro dise­gno di portare la sinistra al governo si inceppi sul ritorno in campo di Berlusconi o sulla testardag­gine di Napolitano a insistere coi tecnici.

di Alessandro Sallusti
Tratto da Il Giornale del 25 agosto 2012

COMPLIMENTI AL PROCURATORE


VANNE FIERO.

Franco Sebastio, procuratore di Taranto, rivela a Sandra Amurri che le sue indagini sull’Ilva sono iniziate trent’anni fa, il Fatto quotidiano
È dall’82 che indago sull’impianto (Ilva di Taranto, ndr), ora tutti scoprono la notizia

COSA INTENDE È CHIARO. «Non capisco dove sia la notizia», esclama tra il serio e il faceto com’è nel suo stile il procuratore di Taranto Franco Sebastio dalla sua casa di Soverato dove – come sottolinea – sta trascorrendo alcuni giorni di «finta vacanza» perché in verità «continuo a lavorare». Cosa intende è chiaro visto che la prima sentenza contro i vertici dell’Italsider, azienda di Stato che ha lasciato il posto all’Ilva, è scaturita da una sua inchiesta nel 1982 e oggi si ritrova a processare quegli stessi vertici per le morti da amianto. Sono trascorsi 30 anni e nella sostanza siamo paradossalmente al punto di partenza.
Sandra Amurri, il Fatto quotidiano

giovedì 23 agosto 2012

LA GAIA DEMENZA DELL’ESSERE UMANO RESO SCHIAVO DAI “FALSI INFINITI”


Siria, il gatto ferito alla schiena da una bomba…»


Fonte: CulturaCattolica.it


«Come questa pietra / del S. Michele / così fredda / così dura / così prosciugata / così refrattaria / così totalmente disanimata // Come questa pietra / è il mio pianto / che non si vede // La morte si sconta vivendo»
(G. Ungaretti, Sono una creatura, Valloncello di Cima Quattro, il 5 agosto 1916)

 

Con l’andazzo che c’è, resteranno quattro gatti (politicamente scorretti) a difendere l’idea (politicamente scorretta) che certo giornalismo non è giornalismo e che coloro che antepongono i gatti agli esseri umani hanno perso il lume della ragione.
Resteranno quattro gatti? Mi prenoto. Sarò una di quei quattro. Braccata dagli animalisti perché “micia politicamente scorretta”? Pazienza. Mi difenderò dicendo che i felini – a differenza loro – sanno ancora riconoscere le gerarchie.
Notizia sul
Corriere della Sera di ieri: «Siria, il gatto ferito alla schiena da una bomba diventa un simbolo e fa il giro del mondo». Su facebook viene postata la foto di questo felino rosso, colpito alla spina dorsale da una scheggia, durante un bombardamento dell’esercito di Assad, e centinaia di associazioni animaliste fanno a gara per portarlo fuori dal Paese e curarlo, perché «non è giusto che anche gli animali rimangano vittime delle guerre degli uomini».
La foto, clicccatissima, fa il giro della rete e del globo, come i video sui gatti traumatizzati e feriti in Siria. «Anche agli asini non è andata meglio – scrive Marta Serafini –; alcuni sono stati massacrati dai soldati per privare i ribelli di un mezzo di trasporto».
Il micio, operato, ora è in convalescenza, «del tutto inconsapevole di essere diventato simbolo di una guerra senza senso».
Domanda: abbiamo bisogno di vedere un gatto ferito «che si trascina per le strade polverose di Homs», per riflettere sul dramma, il dolore, le atrocità di una guerra?
E le migliaia di uomini, donne, bambini, giovani, vecchi uccisi o violati nella carne e nel cuore in questa e in tutte le guerre oggi in corso? Numeri, quando va bene, altrimenti nemmeno quelli. Sono notizie che… non fanno più notizia. Stufano. La gente cambia articolo, cambia canale.
Perché non fanno lo stesso giro del mondo le immagini degli esseri umani innocenti, che subiscono gli effetti di un odio che non è il loro? Perché?
Perché non ho letto da nessuna parte che centinaia di associazioni fanno a gara per prendersi cura dei tanti feriti di questa e delle altre guerre che insanguinano il nostro pianeta? Perché?
Se questo è il mondo che vogliamo: migliaia di commenti in tutte le lingue, migliaia di “mi piace” sotto la foto del gatto rosso di Homs, voglio essere quel gatto. «In convalescenza e inconsapevole».
Sì. Inconsapevole della demenza degli esseri umani, «
così totalmente disanimati» che non sanno più commuoversi di fronte alla sofferenza dei loro simili.

domenica 19 agosto 2012

RIPARTIRE DAL CATECHISMO


Per i suoi sessant’anni, a monsignor Wilhelm Imkamp è stato appena dedicato un volume che raccoglie i contributi di personalità come monsignor Georg Gaenswein, Martin Mosebach, il cardinale Walter Brandmüller, l’arcivescovo Luis Ladaria e il principe Albert von Thurn und Taxis. Storico della Chiesa, consultore della Congregazione per le cause dei santi e di quella per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, rettore del santuario bavarese di Maria Vesperbild, Imkamp è un osservatore autorevole e schietto del cattolicesimo tedesco.

Di quale tra i possibili frutti dell’imminente Anno della fede la Chiesa tedesca ha più bisogno?

È necessaria una vera recezione del Catechismo della Chiesa cattolica, che deve diventare un fondamento vincolante per la trasmissione dei contenuti della fede. Questo vale per la preparazione ai sacramenti, per il piano di formazione e per i programmi didattici degli insegnanti di religione, ovviamente fino alla preparazione dei sacerdoti.
Lei è il rettore di un santuario molto famoso, segno di un amore secolare del cattolicesimo tedesco per la Madonna. Questo amore c’è ancora o l’importanza di Maria deve essere riscoperta?

Anche solo il titolo di «Mater Ecclesiae» mostra l’importanza che la Vergine Maria ha per questo Anno della fede. Lei è la «Porta della fede» e perciò anche «Porta del Cielo». Nel santuario di Maria Vesperbild fiorisce e arde l’amore per la Madre di Dio. E la pietà popolare avrà un significato speciale nell’Anno della fede.
Un atteggiamento di contestazione del magistero e un certo spirito anti-romano sopravvivono nelle Chiese di lingua tedesca, nonostante si siano rivelati sterili e, nel post-Concilio, abbiano desertificato tante comunità cristiane. Perché resistono ancora?

Riguardo al sentimento anti-romano Hans Urs von Balthasar ha già detto tutto ciò che c’era da dire. Purtroppo questo è un continuum nella storia della Chiesa tedesca. Per dirla in modo un po’ forte, Febronio (1701-1790 – canonista tedesco che negava al Papa il diritto di pronunciarsi sulla condotta delle Chiese nazionali, ndr) vive ancora, e molti teologi tedeschi non sono mai andati oltre il Concilio di Pistoia (1786 – condannato da Papa Pio VI: vi fu proposta una riforma della Chiesa in senso giansenista, ndr). Il sentimento anti-romano è in fondo un relitto del Settecento.
Perché la Chiesa e la stessa fede a molti giovani risultano così poco convincenti?

L’apparato ecclesiale, con il suo complicato sistema di commissioni e di consigli, non viene percepito nella sua grandezza spirituale ma come un semplice ente di diritto pubblico che si sforza in tutti i modi di avere rilevanza sociale. Ma gli effetti sul lungo termine, per esempio delle Giornate mondiali della gioventù o dei nuovi movimenti ecclesiali, potrebbero cambiare le cose.
È tipico oggi che a sacerdoti e personalità della Chiesa venga chiesto di pronunciarsi su qualsiasi tema che tocca la vita sociale: ecologia, lavoro, diritti umani… C’è chi sostiene che sarebbe meglio concentrarsi sui contenuti della fede lasciando perdere il resto. Lei cosa ne pensa?

Mons. Imkamp, Lady Thurm un Taxis, Mons. Gaenswein
Sono pienamente d’accordo. Senza l’assimilazione del Catechismo, di cui dicevo prima, la fede evapora, svanisce. Anche qui c’è tuttavia la speranza di una correzione, per esempio con progetti come YouCat (il Catechismo dei giovani diffuso alla Gmg di Madrid, ndr).
La fede si esprime anche attraverso segni: quali andrebbero riscoperti?

È necessaria una speciale introduzione ai sacramentali. La pietà popolare ne conosce bene il profondo significato, sono un tesoro da riscoprire e da offrire nuovamente. Una pastorale che pensi a come riuscirci mi pare urgente
Andrea Galli, da Avvenire

giovedì 16 agosto 2012

IL CASO CL


Da un articolo di Antonio Socci

Avremo un Meeting colonizzato dalla tecnocrazia finanziaria al potere? O il grido di libertà del popolo ciellino si farà sentire?


E proprio CL è l’enigma che sconcerta i vescovi. Il movimento di don Giussani infatti è sempre stato la realtà ecclesiale più vivace, coraggiosa, culturalmente consapevole e socialmente creativa.  (...)


Negli ambienti della Cei però, dopo la morte di don Giussani, hanno la sensazione di assistere a un ripiegamento intimistico che sta portando CL proprio a quella “scelta religiosa” di cui Giussani – poi con Giovanni Paolo II e Ruini – fu il più strenuo avversario.
Incomprensibili, alle gerarchie, appaiono poi i segnali sulla politica.

Dall’intervista al “Corriere” del 20 gennaio di don Carron (attuale responsabile del movimento) in cui si annunciava che non esistono politici di CL, alla lettera dello stesso Carron a “Repubblica”, interpretata da tutti non solo come uno storico siluramento di Formigoni (con tutto quel che rappresenta), ma pure come un’immotivata colpevolizzazione di CL, per di più sulle colonne del giornale da sempre più ostile al Movimento e alla Chiesa.

E poi dall’apoteosi di Napolitano al Meeting dell’anno scorso (con tanto di mostra risorgimentale che buttava al macero quarant’anni di elaborazione culturale ciellina), all’apertura del Meeting di quest’anno affidata al premier Monti, presentato da Vittadini, con un seguito di conferenze per ben sette ministri, Passera incluso (il Papa ha deciso di non andare).

Sarà inevitabile dunque la strumentalizzazione politica del Meeting. E diventeranno più vistose le divisioni interne già presenti sia sul caso Formigoni-Simone, che sul recente attacco di Giorgio Vittadini a Maurizio Lupi in quanto berlusconiano (Vittadini invece è indulgente col governo Monti).

In questa confusione i cattolici rischiano di diventare le foglie di fico di poteri e ideologie diverse. Perdendo ogni originalità e identità.

Tramite il sito Lo Straniero, il sito web ufficiale di Antonio Socci

BEAUTIFUL FINI


Le (lunghe) estati di Gianfranco Fini fanno sempre scalpore. Da quando ha abbandonato quella sua villetta ad Anzio con piccolo giardino, dove si dedicava alle semplici passioni, la cura delle rose e la posizione della lucertola al sole, da quando ha smesso di indossare giubbotti firmati da note pompe di benzina, da quando non frequenta più rudi personaggi del litorale laziale e ha con caparbietà inseguito un’evoluzione dello stile (più Aurelia, meno Pontina, più Maldive, meno animaletti sulle cravatte), ad ogni agosto regala al pubblico qualche nuova soap opera. Come nei ripetuti anni delle stelle marine che è vietato pescare, o gli avvistamenti nei fondali proibiti di Giannutri, da dove riemergeva, color mattone, per mostrare agli amici e alla compagna trofei boccheggianti, come l’indimenticabile estate della passione irrefrenabile, con i due teli da mare identici, animalier, utili a coprire o a provocare infuocate effusioni. Sempre in bilico fra estetiche provvisorie, quella delle giacche larghe e salmonate, quella del braccialetto, quella di Top Gun (giubbotti, occhiali scuri, scritte sulle magliette, aria minacciosa), quella casual da barca, con cappellini da baseball girati al contrario per evitare la scottatura della nuca, slippini neri e flute di prosecco, sembra che l’unica certezza interiore ed esteriore di Fini sia l’estate.

D’inverno infatti scalpita, si innervosisce, conta i giorni che lo separano dalle Maldive, ma con cupo senso di colpa, per cui Elisabetta Tulliani deve rilasciare interviste in cui spiega che loro sono andati là, mentre l’Italia soffre, solo per festeggiare il traguardo dei sessant’anni (l’anno prima, sempre là, quello dei cinquantanove) e comunque che fatica smontare e rimontare l’attrezzatura da sub, sembra di stare alla Camera invece che in vacanza. Poi Fini torna e per giorni e giorni la sua abbronzatura intralcia i lavori alla Camera, perché i deputati vengono accecati da tutto quell’arancione. D’inverno Fini scalpita, in primavera si scontra politicamente per ingannare l’attesa, in autunno scompare, d’estate finalmente si rilassa, entra nel suo elemento, assume il colore del cuoio invecchiato, fa penzolare ciabatte con sincera soddisfazione, anche se non coltiva più le rose come un tempo e da lucertola si è trasformato in geco, più chic. Adesso, sul nuovo e più consono litorale, muove passi non da timida ballerina sulle punte, ma da esercito di occupazione. La scorta è necessaria, ovviamente non dipende da lui e lo deve seguire dappertutto sul territorio nazionale, forse anche in fondo al mare durante le immersioni, e ora che tutto è stato chiarito e lo scandalo al sole non è mai esistito, Fini può godersi questi ultimi pochi mesi di vacanze con maggior gusto, e aggiungere una nuance più intensa all’incarnato, tornare a settembre a Roma con la faccia di quello a cui tutti chiedono con invidia (o spavento): dove sei stato? Ma l’autunno si avvicina, e con esso il blues da fine film dei fratelli Vanzina, così, nell’improbabile eventualità di venire rieletto, Fini potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di entrare nel cast di Beautiful, in qualità di Ridge Forrester (Ronn Moss, coetaneo di Fini, abbronzato quasi ai suoi livelli, dopo venticinque anni, sta per lasciare per sempre il cast). La storia dell’umanità ha bisogno di nuovi eroi, e a Los Angeles è sempre estate.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

L'OPZIONE PER GLI ULTIMI



Una donna di Bari ha deciso di cambiare sesso e diventare un uomo. Prima però di sottoporsi all’operazione ha preteso di far congelare alcuni suoi ovuli perché, è ovvio, non vuole rinunciare al proprio diritto di essere mamma, o mammo. Non ho idea di cosa sia politicamente corretto scrivere.
La frontiera dell’assurdo si sposta sempre più in avanti e presto, se non lei, qualcun’altra pretenderà di avere il diritto di cambiare sesso e poi diventare omosessuale oppure di far fecondare i propri ovuli da uno scimmione o da un beagle salvato da Green Hill o da chissà quale altra diavoleria la fantasia umana saprà inventare.
Ma non preoccupatevi. Ci sarà sempre un partito disposto a sostenere questi presunti diritti in nome del progresso e della civiltà e ci saranno sempre dei cattolici in quel partito disposti a far finta di niente in nome dell’opzione per gli ultimi.


sabato 11 agosto 2012

FAMIGLIA E COPPIE DI FATTO


Documento Pdl
Diritti della famiglia e diritti dei componenti della coppia di fatto 10/08/2012

  • Sul riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali si è recentemente sviluppato un dibattito confuso nelle argomentazioni e ideologico nei contenuti. Neanche i documenti elaborati in materia dal Pd e dall'Udc, con il relativo seguito di polemiche, hanno chiarito a sufficienza i nodi reali della questione, le concrete opzioni in campo, i diversi orientamenti culturali che le ispirano.

  • Nonostante la gravità e l'impellenza della crisi economica, il tema sembra aver assunto nuova centralità nel dibattito pubblico. E' d'altronde ricorrente in una parte della società, nelle situazioni di insicurezza e sfiducia nel futuro, pretendere che i desideri privati si trasformino in diritti pubblici. Compito della buona politica, invece, è garantire una autentica dimensione del bene comune e spazi di libertà responsabile nella dimensione privata senza confondere i due piani.

  • Come parlamentari avvertiamo dunque la necessità di mettere a fuoco alcuni punti fondamentali.

  • Di fronte a un’opinione pubblica spesso disorientata, il primo punto da chiarire è che l’introduzione del matrimonio omosessuale nel nostro ordinamento giuridico non è e non potrebbe essere una proposta reale e attuale da parte di nessun partito. Tale obiettivo, infatti, sarebbe impossibile da raggiungere se non attraverso una modifica della Costituzione: impresa nella quale nessuna forza politica può o vuole al momento cimentarsi.

  • Non basta dunque limitarsi a ribadire una ferma opposizione al matrimonio gay perché non necessariamente ciò equivale a esprimere una posizione di forte difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Tantomeno può essere rivendicato come un buon compromesso politico per giustificare alleanze in contraddizione con i propri principi. Ciò per la semplice ragione che il matrimonio fra persone dello stesso sesso, pur agitato come vessillo ideologico, non è effettivamente una opzione in campo e come tale discrimine sufficiente per connotare una posizione politica.

  • L'obiettivo oggi in discussione è il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali: con il possibile scopo di mettere poi in cantiere il cambiamento della Costituzione e quindi anche l’introduzione del matrimonio omosessuale.

  • Il vero tema sul quale le forze politiche sono chiamate a pronunciarsi è quindi quello del riconoscimento delle cosiddette “unioni civili”. Ma, anche se formalmente sotto questa dicitura vengono ricomprese tanto le coppie formate da persone dello stesso sesso quanto le unioni fra persone di sesso diverso, nella sostanza le proposte sulle unioni civili sono finalizzate a riconoscere in forma giuridicamente rilevante le coppie omosessuali. La convivenza eterosessuale, infatti, nel nostro Paese molto spesso precede semplicemente il matrimonio, oppure è il risultato di una scelta ben precisa da parte di coppie che non intendono ufficializzare il proprio legame né assumere doveri sanciti per legge. Tanto è vero che non esistono associazioni di coppie eterosessuali conviventi che invocano una legge ad hoc per disciplinare il loro status (al contrario di quanto accadeva per il divorzio), mentre è cronaca quotidiana la richiesta avanzata in questo senso dalle associazioni gay.

  • In molti Comuni, tra i quali recentemente quello di Milano, tale battaglia culturale e politica si è concretizzata nella istituzione di registri anagrafici per i conviventi. Anche in questo caso, tuttavia, si tratta di iniziative di natura prettamente ideologica, di atti simbolici compiuti per creare consenso ma privi di valore giuridico e non rispondenti ad alcuna esigenza popolare. La loro contrarietà alle norme fondamentali del nostro ordinamento, vertendosi in materia di diritti, in quanto tale sottratta all'autonoma disponibilità degli enti territoriali, è stata già formalmente dichiarata da tre ministri del governo Berlusconi - Maroni per gli Interni, Fazio per la Salute, Sacconi per il Welfare – a proposito di analoghi registri comunali per il testamento biologico. La loro inutilità è invece attestata dal fatto che in qualsiasi comune siano stati istituiti, i registri, anche quelli delle unioni civili, sono rimasti pressoché vuoti.

  • Una visione liberale della società concepisce uno Stato che entri il meno possibile nella vita delle persone: che, dunque, non invada con la sua potestà regolatoria la sfera dei liberi legami affettivi, ma si limiti a disciplinare e a dare forma giuridica alle unioni che rivestono una funzione sociale e in quanto tali accanto al godimento di diritti contemplino l'adempimento di doveri e l'assunzione di responsabilità. E' questo il caso della famiglia disegnata dalla Costituzione come "società naturale fondata sul matrimonio" (ricordiamo che l'aggettivo "naturale" fu suggerito da Palmiro Togliatti), potenzialmente aperta alla procreazione e in quanto tale deputata a garantire la continuità generazionale sulla quale si fonda qualunque comunità umana.

  • Il matrimonio in quanto istituto giuridico assicura la tutela per i potenziali figli, salvaguardati da un'unione riconosciuta pubblicamente e da una genitorialità che è per sempre e che perdura indipendentemente dalla possibile interruzione del rapporto affettivo fra i coniugi (per la quale esiste il divorzio).

  • Differente è il discorso dei diritti che il nostro ordinamento riconosce ai componenti di una coppia di fatto. L'elenco delle previsioni normative già attualmente vigenti è lungo, articolato, e copre quelle voci che spesso sono evocate a fondamento della richiesta di riconoscimento. Per esempio, non vi è nessun ostacolo all’assistenza del convivente nei confronti del proprio partner (in base alla legge 1° aprile 1999 n. 91, il convivente viene informato e può decidere addirittura un’operazione di trapianto di organo). L’estensione al convivente di diritti riconosciuti al coniuge, derivante dalla legge ordinaria o dalla giurisprudenza, esiste già in tema di assistenza da parte dei consultori, di interdizione e inabilitazione, di figli, di successione nella locazione, di successione nell’abitazione di proprietà e nell’assegnazione di un alloggio popolare. Il partner di fatto ha titolo, a determinate condizioni, al risarcimento del danno subito dall’altro partner; perfino la legislazione sulle vittime di mafia o terrorismo non conosce trattamenti diversificati fra convivente e coniuge.

  • Ulteriori iniziative legislative volte a riconoscere nella dimensione civilistica o penalistica eventuali specifici diritti individuali in tutte le situazioni in cui questi non siano effettivamente garantiti incontrano e incontreranno la nostra condivisione e la nostra disponibilità; si pensi, per esempio, a una rimodulazione dell’obbligo di rendere testimonianza in un giudizio, con la estensione della facoltà di astenersi dal deporre prevista per gli stretti familiari.

  • Non siamo però disposti a svuotare l’istituzione del matrimonio, attribuendo a unioni affettive, anche omosessuali, un riconoscimento giuridico analogo a quello matrimoniale.

  • Vogliamo una società ispirata a valori ben fondati nella nostra tradizione culturale e nella Carta Costituzionale, e per questo ci opponiamo a qualsiasi tentativo di decostruzione della famiglia basata sul matrimonio, che resta il cuore della “eccezione italiana”.

Eugenia Roccella, Raffaele Calabrò, Alfredo Mantovano, Maurizio Gasparri, Maurizio Sacconi, Gaetano Quagliariello, e altri 172 parlamentari PDL