sabato 30 giugno 2012

UNIVERSITA' DI AUSTIN: UNO STUDIO SUI FIGLI DEI GAY


L’Università di Austin ha pubblicato lo studio più completo mai realizzato sui bambini cresciuti dagli omosessuali: «Hanno molte più difficoltà degli altri».

Sono più incerti, più instabili, di salute mentale e fisica più cagionevole, e guadagnano meno. Questo è quello che sostiene una ricerca texana (How different are the adult children of parents who have same-sex relationships? Findings from the New Family Structures Study) che sta facendo discutere tutta l’America, il paese dove si sta verificando un’accelerazione legislativa verso la legalizzazione del matrimonio omosessuale e delle adozioni concesse alle coppie gay.

La ricerca è stata condotta da Mark Regnerus, professore di sociologia presso l’Università di Austin. E ha due caratteristiche nuove: è la prima condotta su un campione molto numeroso e, in secondo luogo, è stato redatto da un istituto laico e da un professore che non avrebbe mai pensato di arrivare a tali conclusioni. Anzi. Regnerus si era sempre espresso a favore dei «gay e delle lesbiche che non penso assolutamente siano cattivi genitori». I ricercatori, analizzando 15 mila casi e intervistando 3 mila persone, tutti compresi tra i 18 e i 39 anni, hanno messo in crisi il consenso scientifico precedente, basato su dati assai più carenti.

Dal nuovo studio risulta che quanti sono cresciuti in famiglie omosessuali sono dalle 25 alle 40 volte più svantaggiati dei loro coetanei cresciuti in famiglie normali. I primi, infatti, sono risultati tre volte più soggetti alla disoccupazione (solo il 26 per cento dei ragazzi cresciuti all’interno delle coppie omosessuali ha un lavoro fisso contro il 60 per cento della media); quattro volte più soggetti a ricevere assistenza pubblica (il 69 per cento dei ragazzi cresciuti da genitori omosessuali sono stati supportati dai servizi sociali, mentre i loro coetanei sono supportati nel 17 per cento dei casi); e sono molto più inclini ad essere arrestati, a dichiararsi colpevoli di atti criminali, a drogarsi, a pensare al suicidio.

La cosiddetta teoria della “non differenza”, che va per la maggiore negli Stati Uniti, si basa invece su una mancanza di dati. Pur in mancanza di studi approfonditi, tuttavia nel 2005 l’Associazione degli psicologi e psichiatri americana si era espressa con una formula volutamente ambigua («Non esiste un singolo studio che dimostri che i figli dei gay e delle lesbiche siano più svantaggiati di quelli degli eterosessuali») e tale proposizione era diventata la “base scientifica” su cui appoggiare le leggi più aperte in materia. Con un paradosso: mentre le ricerche che segnalavano le storture di un’educazione che elimina la differenza sessuale erano tacciate di inattendibilità a causa dell’esiguità del campione, quelle favorevoli, a parità di campione, divenivano in breve le basi su cui legiferare. Per fare un esempio: i legislatori dell’Iowa utilizzarono uno studio che comprendeva solo cinque casi.
La ricerca texana, quindi, a causa dei suoi numeri importanti, mina tali certezze. Non solo: è da considerasi scientificamente valida perché condotta solo su persone ormai “indipendenti”, che cioè non vivono più nelle case di chi li ha cresciuti.

Il professore Regnerus ha dovuto subire le critiche di molti esponenti del mondo omosessuale. Il ricercatore ha così risposto: «Molti di loro sono così perché, cresciuti in famiglie omosessuali, hanno sperimentato abbandoni, divisioni, ed è impossibile dire se la causa delle differenze sia l’omosessualità o solo l’instabilità dei legami. Quel che è certo, infatti, è solo che i bambini sono molto più inclini a crescere bene quando vivono con i loro genitori naturali. Il matrimonio tra loro fornisce un legame biologico che dà una grande influenza benefica ai bambini». Regnerus si è detto convinto che «i nuclei familiari biologici e stabili, anche se considerati erroneamente come una specie in via di estinzione, rimangono gli ambienti più sicuri per la buona crescita dei figli». Perciò se «mi fosse richiesto di pensare a un modello ideale dovrei per forza avvicinarmi a quello di una famiglia tradizionale».

Sebbene Regnerus abbia specificato di «non voler assolutamente dare colpe agli omosessuali» né di voler «dire che il problema stia nel loro comportamento sessuale», il suo studio ha generato un uragano. I blogger e le associazioni Gay l’hanno accusato di essere “bigotto” e “retrogrado”. La sua ricerca, costata più di 800 mila dollari e pubblicata su una rivista scientifica rinomata (Social science research), è stata definita “spazzatura”. Il professore ha sottolineato che il suo approccio «è quello di qualunque scienziato professionista: qualunque statistico ed elaboratore di dati li assemblerebbe così, arrivando alle stesse mie conclusioni». Infine, Regnerus è arrivato a scusarsi di aver solo voluto «colmare un vuoto scientifico per un approccio più serio». Spiace, ha dichiarato, perché «non avevamo davvero nessun obiettivo precostituito».

giovedì 28 giugno 2012

QUINDICI MINUTI CON UN PRETE



CULTURA E MISSIONE E IL CROCEVIA


DIECI LEZIONI DI DON AGOSTINO TISSELLI
Lezioni sul Catechismo della Chiesa Cattolica.
Settima  lezione
Parte IV sezione prima capitolo primo

Vedi nei link in alto a destra

IL RIGORE TEDESCO (E QUELLO ITALIANO)

Ci sono due tipi di rigore:
il primo taglia il welfare, il secondo lo aumenta

Ci sono due tipi di rigore tedesco: quello di scuola tedesca e quello di scuola italiana.

 Mentre il rigore tedesco di scuola tedesca taglia spietatamente le spese, praticamente azzera il welfare, riduce la sanità pubblica al suo fantasma, nega la tredicesima al pubblico impiego e non ha pietà di nessuno, specie dei pensionati, il rigore tedesco di scuola italiana si tiene il welfare così com'è e anzi pretende d'estenderlo a sempre nuove fasce di bisognosi, lavoratori stranieri e minoranze sessuali in particolare, e allo stesso modo pretende di mantenere anche la sanità pubblica così com'è, idem ogni altra spesa, anche le più onerose e fantastiche, affidando la soluzione d'ogni problema di cassa alla buona volontà fiscale dei contribuenti e, mancando questa, a Equitalia, che probabilmente costa più di quanto recuperi.

Nel rigore tedesco di scuola italiana il nemico non è lo spreco del denaro pubblico ma l'avarizia dei contribuenti. Se questi accettassero di pagare tutto, o se meglio ancora pagassero più di quanto devono, e persino più di quanto sia sensato fare, allora i politici italiani (bocconiani compresi, visto che finora non hanno neppure provato a frenare l'andazzo) potrebbero fare come in Grecia: aumentare i ranghi del pubblico impiego di altre 70.000 (o anche 700.000, perché no) unità.

Non ci sono abbastanza ospedali in Calabria? Apriamone altri 56, ciascuno con 100 posti letto e, per ogni posto letto, tre medici dalla laurea dubbia e non meno di trenta o quaranta infermieri dalla reputazione più losca che dubbia. E così via: nuovi uffici, nuove agenzie governative, nuove spese faraoniche per la tv pubblica da mettere in conto a chi cordialmente la detesta, nuove sedi d'Equitalia e nuovi enti che sarebbe scabroso dire inutili.

 Esagerato finchè si vuole, il rigore tedesco di scuola tedesca è almeno coerente. Di coerente, nel rigore tedesco di scuola italiana, c'è solo la boria dei nostri leader, ieri politici, oggi tecnici, ma simili e anzi identici nell'opinione sproporzionata che hanno di se stessi. Silvio Buonanima vuole per esempio redivivere, dopo essersi autoconvinto che l'Italia moderata non ha votato Angelino Alfano perché voleva votare lui, il capopopolo con la fissa della patonza. Pierluigi Bersani, da parte sua, non è meno irragionevole: esige rispetto dagli amministratori locali democratici, e s'offende quando questi rifiutano di baciargli l'anello e preferiscono acclamare uno di loro, il sindaco di Firenze. Quanto poi all'esecutivo tecnico, non ne azzecca una, non un provvedimento, non una previsione, ma guai a dirglielo: insorge tutta la repubblica (be', se non tutta la repubblica, insorge almeno Repubblica, che dichiara guerra a evasori fiscali, mormoratori, kulaki, lavoratori autonomi e altri parassiti sociali). È l'altra faccia del rigore tedesco di scuola italiana: la Ghepeù de noantri.
DI ISHMAEL DA “ITALIAOGGI” 27 GIUGNO

SOCIALISMO MUNICIPALE


IL SOMMO BENE PUBBLICO PER GLI ANTILIBERISTI

di Annalisa Chirico
Tratto da Chicago Blog il 16-06-2012
Vi ricordate il referendum contro la cosiddetta “privatizzazione” dell’acqua? In realtà, l’intento di chi voleva “privatizzare” l’acqua, come dicevano i referendari mistificando la realtà, era quello di imporre una regola ferrea, di origine comunitaria, in base alla quale la gestione del servizio idrico (tubi, fognature, depuratori) va affidata al vincitore di una gara pubblica e trasparente, non al parente del politico o al trombato delle ultime elezioni comunali.Sappiamo tutti che quel referendum ha raggiunto il quorum, cosa che non succedeva dal 1995, sancendo così il NO alla fantomatica “privatizzazione” dell’acqua. Ha vinto la disinformazione e un’atavica diffidenza verso il mercato. Adesso però emergono alcune complicazioni: da una parte gli obblighi comunitari, dall’altra una rete idrica ormai al collasso con perdite per oltre il 38% e un bisogno cruciale di investimenti per almeno 65 miliardi, ben al di fuori della portata del padrone pubblico.
L’Istituto di ricerche sulla pubblica amministrazione, fondato nel 2004 da Sabino Cassese, ha realizzato uno studio che certifica il regime di “socialismo municipale” nei Comuni italiani. Non lo chiama così, ma questo è l’esercito delle partecipate, del sottobosco di potere locale dove a farla da padrone sono i partiti e gli amici dei partiti. Le società municipalizzate che gestiscono risorse pubbliche e parapubbliche danno lavoro a 300mila dipendenti(leggete pure “elettori”), fatturano 43 miliardi di euro e oltre un terzo di esse sono in perdita.
Il più delle volte la gestione dei servizi la ottengono grazie all’affidamento in house, cioè senza gara. Sono prescelti o predestinati, come più vi aggrada. Il risultato a valle è che a gestire il servizio non è il migliore ma il più vicino (e gradito) alla politica, e le nostre tasse servono a foraggiare un sistema intrinsecamente corrotto e anticoncorrenziale.

Ecco, il socialismo municipale è tutto questo, l’unico bene pubblico che stiamo effettivamente preservando grazie alla rigorosa difesa del potere discrezionale dei partiti, mentre l’acqua si perde nei mille rivoli di una rete colabrodo così cara agli antiliberisti. Beati coloro che non sanno quel che fanno


martedì 26 giugno 2012

PICCOLI, FRAGILI, MA SICURI NELLE SUE MANI


BENEDETTO XVI: DISCORSO  AI  TERREMOTATI  DELL’EMILIA-ROMAGNA, Rovereto di Novi 26.06.2012


            (…)in questi giorni ho incontrato, pregando il Salmo 46, questa espressione che mi ha toccato: «Dio è per noi rifugio e fortezza, / aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce. / Perciò non temiamo se trema la terra, / se vacillano i monti nel fondo del mare» (Sal 46,2-3)... Ma – vedete – queste parole del Salmo non solo mi colpiscono perché usano l’immagine del terremoto, ma soprattutto per ciò che affermano riguardo al nostro atteggiamento interiore di fronte allo sconvolgimento della natura: un atteggiamento di grande sicurezza, basata sulla roccia stabile, irremovibile che è Dio. Noi «non temiamo se trema la terra» – dice il salmista – perché «Dio è per noi rifugio e fortezza», è «aiuto infallibile … nelle angosce».


Cari fratelli e sorelle, queste parole sembrano in contrasto con la paura che inevitabilmente si prova dopo un’esperienza come quella che voi avete vissuto.. Ma, in realtà, il Salmo non si riferisce a questo tipo di paura, che è naturale, e la sicurezza che afferma non è quella di super-uomini che non sono toccati dai sentimenti normali. La sicurezza di cui parla è quella della fede, per cui, sì, ci può essere la paura, l’angoscia – le ha provate anche Gesù, come sappiamo – ma c’è, in tutta la paura e l'angoscia, soprattutto la certezza che Dio è con noi; come il bambino che sa sempre di poter contare sulla mamma e sul papà, perché si sente amato, voluto, qualunque cosa accada. Così siamo noi rispetto a Dio: piccoli, fragili, ma sicuri nelle sue mani, cioè affidati al suo Amore che è solido come una roccia(…) Su questa roccia, con questa ferma speranza, si può costruire, si può ricostruire. Sulle macerie del dopoguerra – non solo materiali – l’Italia è stata ricostruita certamente grazie anche ad aiuti ricevuti, ma soprattutto grazie alla fede di tanta gente animata da spirito di vera solidarietà, dalla volontà di dare un futuro alle famiglie, un futuro di libertà e di pace.
Voi siete gente che tutti gli italiani stimano per la vostra umanità e socievolezza, per la laboriosità unita alla giovialità. Tutto ciò è ora messo a dura prova da questa situazione, ma essa non deve e non può intaccare quello che voi siete come popolo, la vostra storia e la vostra cultura. Rimanete fedeli alla vostra vocazione di gente fraterna e solidale, e affronterete ogni cosa con pazienza e determinazione, respingendo le tentazioni che purtroppo sono connesse a questi momenti di debolezza e di bisogno.
La situazione che state vivendo ha messo in luce un aspetto che vorrei fosse ben presente nel vostro cuore: non siete e non sarete soli! In questi giorni, in mezzo a tanta distruzione e tanto dolore, voi avete visto e sentito come tanta gente si è mossa per esprimervi vicinanza, solidarietà, affetto; e questo attraverso tanti segni e aiuti concreti. La mia presenza in mezzo a voi vuole essere uno di questi segni di amore e di speranza. (…).  La Chiesa vi è vicina e vi sarà vicina con la sua preghiera e con l’aiuto concreto delle sue organizzazioni, in particolare della Caritas, che si impegnerà anche nella ricostruzione del tessuto comunitario delle parrocchie.
Cari amici, vi benedico tutti e ciascuno, e vi porto con grande affetto nel mio cuore.


SALVIAMO LA FEDE PER RICOSTRUIRE LA SPERANZA


Martedì 26 giugno Benedetto XVI verrà nella nostra terra
per incontrare noi, feriti dal terremoto. Una visita
brevissima, in un’unica frazione, quella di Rovereto di
Novi.

Cosa può aver mosso il cuore del Papa a questo viaggio e
cosa muove il nostro cuore ad accoglierlo?

Si tratta, come sempre nella vita, di decidere se aprirsi ad un incontro, oppure no. Aprirsi a quelle domande ultime che il cuore, nella drammaticità o nella normalità dei nostri giorni, grida e che ciascuno in fondo può riconoscere vere anche per sé: su cosa appoggia veramente la mia vita? Da cosa si riparte per costruire?

Intanto ci può aiutare la saggezza con cui Guareschi,
attraverso gli occhi di Don Camillo, guardava la sua terra
colpita dall’alluvione: «Le acque escono tumultuose dal
letto dei fiumi e tutto travolgono. Ma un giorno esse
ritorneranno, placate, nel loro alveo, e ritornerà a
splendere il sole. E se alla fine voi avrete perso ogni cosa,
sarete ancora ricchi se non avrete persa la fede».

Don Ivan Martini, parroco di Rovereto, con il suo gesto
semplice ma non ingenuo, sacrificandosi per portare in
salvo la Madonnina, ci ha mostrato cosa significa amare la
Chiesa visibile, luogo di una speranza che non crolla,
perché fondata su una Presenza certa.

Accogliamo il Papa che viene per ricordarci Chi ci dà la
vita adesso, Chi ci dà il punto di appoggio sicuro per
affrontare questa situazione senza fuggire.

COMUNIONE E LIBERAZIONE

NOI RICOSTRUIREMO


Noi chi, compagno presidente?

Tu che con voce commossa da consumato teatrante hai promesso questo ai terremotati, in chi confidi per dare alle persone ciò di cui hanno bisogno? Nella potenza dei tuoi mezzi? Nelle tue virtù? Nelle tue capacità? Nella tua ideologia?

La tua forza è solo nel cinismo della tua ideologia, quella che non ha battuto ciglio davanti ai crimini del comunismo, e che ti ha consentito di lasciar morire Eluana.

Quello che accade oggi è tremendo, perché mette a nudo la nostra inadeguatezza e la nostra debolezza umana.

Dire con una lacrima “noi ricostruiremo”confidando solamente sull’efficienza e sulla prometeica potenza dei mezzi umani, senza riconoscere la propria incapacità di proporre all’uomo ciò che è essenziale, è l’ultimo grande imbroglio di quella ideologia disumana di cui sei stato uno dei maggiori artefici.

AL PELLEGRINAGGIO MACERATA-LORETO IN CAMMINO È LA FEDE DI UN POPOLO


di Stefano Spinelli

Un popolo in cammino. Una fede semplice e sincera. È questo che ho visto nella notte illuminata dalle fiaccole di migliaia di pellegrini, lungo la via lauretana, tra i campi di grano, lucenti sotto la luna, che separano Macerata da Loreto. Abbiamo camminato, cantato e pregato, avendo come meta la Vergine dal volto scuro venerata nella Basilica della Santa Casa.
Qui sono custoditi sin dal 1294 i resti della Casa di Nazaret, dove l’Angelo fece l’annuncio a Maria. La tradizione popolare vuole che le pietre siano giunte in terra marchigiana portate in volo dagli angeli.
Non è stata una passeggiata simbolica, della serie “tanto conta il pensiero”. È stata una gran faticaccia di 28 chilometri, una notte intera che non passava mai, sperando che arrivasse presto l’alba, così più vicino sarebbe stato anche l’arrivo, desiderando che la strada cominciasse a salire verso Loreto, così sarebbe passato il sonno, implorando il meritato riposo alla stanchezza del corpo che a un certo punto rifiutava di proseguire. Pur nella chiarezza della meta, nulla ci viene risparmiato, ogni traguardo comporta un impegno e chiede di giocarci fino in fondo.

Non si fa tanta strada solo per passare il tempo. Lo si vedeva negli sguardi degli abitanti che, al mattino appena fatto, ci hanno accolto per le vie di Loreto, nello stupore dei loro volti affacciati ai balconi o appoggiati all’uscio delle case. Avevano una domanda e pareva volessero camminare anche loro con noi, solo per capire. Abbiamo cantato e pregato. È stato un tuffo nell’essenzialità della vita, che è affidarsi a Chi la vita ce l’ha donata.
Il pellegrino ha una fede concreta. Unisce in sé, nella semplicità della religiosità popolare, l’umano e il divino, la fatica e la salvezza, il centuplo quaggiù e l’eternità. Così ha cantato Martino Chieffo, prima di partire: “Tu non credere mai all’imperatore… credi solo in nostro Padre che è venuto e che verrà”, con le parole scritte dal padre Claudio e dedicate proprio a lui.
Mi ha colpito la concretezza dei nomi di coloro che hanno chiesto una preghiera, snocciolati durante tutto il percorso, oppure il gesto di portare con sé i biglietti con le richieste formulate dai propri cari o dagli amici, per gettarli, all’arrivo, nel braciere acceso davanti alla Santa Casa. Mi hanno colpito i volti incontrati ai lati della strada, illuminati appena dai lampioni, con la corona del rosario in mano, che pregavano assieme a noi e ci facevano compagnia, con il loro semplice essere lì, fino a notte inoltrata.
Mi ha colpito una vecchia novantenne che camminava scortata da due baldi giovani, ai quali dava la mano, senza neppure appoggiarsi troppo e li ringraziava. Aveva ai piedi delle ciabatte mezze rotte. È arrivata anche lei dalla Madonna Nera. Mi ha colpito chi non ce la faceva più e si fermava ai lati della strada distrutto dalla fatica. Anche loro sono stati testimoni della pietà popolare, offrendo quella sofferenza a Cristo.
Eravamo in tanti. Novantamila, dicono i bene informati. Il numero preciso non lo so. So che lì camminava la fede di un popolo, e si vedeva. Una lunga, interminabile processione di persone che avevano un “bordone”, il bastone da marcia, uno zaino e un rosario, come i primi pellegrini, ciascuno carico solo della propria umanità. Abbiamo recitato i misteri della Gioia, quelli della Luce, e più avanti abbiamo ricordato il Dolore e infine la Gloria, sugli ultimi strappi che portano a Loreto e aprono lo sguardo sulla Basilica e sul mare.
Ci siamo inginocchiati durante il percorso davanti al Santissimo esposto lungo la strada. Abbiamo seguito la croce illuminata nella notte. Abbiamo visto il mattino sorgere piano. A Loreto, la Madonna Nera ci è venuta incontro, è uscita dalla Casa ed è venuta a salutarci in piazza, scortata da un picchetto di aviatori, di cui è patrona.

lunedì 18 giugno 2012

JESUS CHRIST IS WIRELESS


Due settimane nel Midwest alla scoperta di un nuovo mondo.

The Gateway Arch in St. Louis Missouri
È giovedì sera. A Saint Louis Missouri nella Parrocchia di “All Saints” c’è qualcosa di nuovo, c’è scuola di Comunità, poche persone, un granello di senape nel vasto mondo del ribollente cattolicesimo americano.

Incontro Doulze, dottoressa portoricana, leader del gruppo, e poi Mark, Matt, John, Leo, Leslie, Chris; minuziosa la preparazione, gli americani prendono tutto molto sul serio,la  recita delle ore, i canti, anche una canzone di Claudio, la lettura di parte  del IV capitolo “How the Problem arose in History”, un confronto serrato soprattutto sulle parole di Pierre Rousselot: “ Christianity is based on a fact, the fact of Jesus, the earthly  life of Jesus. Even today, Christians are those people who believe that Jesus still lives. This is the fundamental originality of the Christian religion.” Più l’intelligenza è agile e penetrante, continua Rousselot, e più basta un indizio tenue per indurre con certezza una conclusione.

The school of Community
L’affermazione di John, il più anziano del gruppo, mi colpisce come un fulmine: ”Jesus Christ is wireless”, ti raggiunge dappertutto, ed è anche “no fee”.

È come essere a casa. Penso agli amici della mia fraternità che a Cesena nelle stesse ore si confrontano con le stesse parole. E mi commuovo a pensare che Gesù Cristo è veramente wireless, dovunque, basta osservare il pur tenue indizio che continuamente incontri.

Proprio mentre ero lì, Benedetto XVI ci ha esortato a dire no alla “pompa del diavolo”, ricordandoci che la pompa del diavolo è questa cultura che non cerca Dio, questo way of life dove non conta la verità, ma l’apparenza, dove sotto il pretesto della giustizia si distruggono le persone, e dove la menzogna  si presenta nelle vesti della verità.

E proprio questo no, detto e realizzato ogni giorno, con tutte le fatiche che comporta, è possibile per noi dalla libertà che ci viene dal battesimo, a Saint Louis Missouri, come a Cesena. Dovunque, perché Jesus Christ is really wireless.

venerdì 15 giugno 2012

IL TERREMOTO



Siamo addolorati e partecipi a quanto successo e sta succedendo nelle zone
dell’Emilia Romagna colpite, traumatizzate ed impaurite dal terremoto.

Siamo solidali con i famigliari delle vittime e con coloro che hanno perso tutto (casa,
lavoro…) ed aderiamo alle iniziative di intervento proposte a loro vantaggio.

Ci sgomenta ancor di più un altro terremoto, quello mediatico: il manifesto
tentativo di colpire il fondamento della Chiesa e cioè la persona, il magistero e
l’opera di Benedetto XVI.

Non riusciamo proprio a sopportare che una moltitudine di cattolici, fin dal
battesimo membri del corpo di Cristo che è la Chiesa, non abbiano compreso che
Gesù fondatore e capo della Chiesa l’abbia fondata sulla roccia: “Tu sei Pietro e su
questa pietra edificherò la mia chiesa e le forze degli inferi (i poteri della
menzogna) non prevarranno contro di essa”.

Siamo con il Papa perché ci interessa diffondere il suo magistero, a cominciare dal
Catechismo della Chiesa Cattolica, convinti che sia proprio questa la miglior
forma di difesa.

Questo è lo scopo del nostro lavoro, cioè della nostra amicizia.