giovedì 31 gennaio 2013

MI CONSENTA....


MAURIZIO LUPI
 
Vorrei solo essere chiaro sin dall’inizio: l’interlocutore non è Cl, l’interlocutore sono io in prima persona, con le scelte che io ho fatto di impegnarmi direttamente in politica e di farlo in un preciso partito. Chi voglia entrare nelle istituzioni come rappresentante del popolo ha infatti a disposizione un solo strumento: i partiti.

Tu chiedi: si può ignorare il fatto che negli ultimi vent’anni la stragrande maggioranza degli aderenti a Cl che si è impegnata in politica lo ha fatto nello schieramento di Berlusconi?

No. Non lo si può ignorare, e per quanto mi riguarda questa scelta continua. La mia e quella di tanti amici non è e non è mai stata una scelta “ad personam”, ma quella di collaborare alla costruzione di una società dove bene comune e benessere di tutti fossero i due pilastri fondamentali. Io sono sinceramente convinto che tutta la ricchezza espressiva a livello sociale e culturale dell’esperienza della comunità cristiana sia un contributo decisivo al nostro paese. Meglio di me l’ha detto Benedetto XVI a Westminster: «La religione per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione». Questo impegno è a 360 gradi, dall’economia alla solidarietà, dalla famiglia al fisco, dalla bioetica alla giustizia, dalla scuola alle carceri. Non esistono temi “cattolici” di cui noi credenti dobbiamo occuparci. Esistono, questo sì, criteri fondamentali venendo meno i quali viene meno la possibilità del vivere sociale così come la storia del nostro Paese e dell’Europa dimostra: il rispetto della vita umana, della persona, il ruolo della famiglia, la responsabilità del singolo, la difesa della sua libertà, il valore del lavoro.

Non do patenti di cattolicità a nessuna forza politica, dico, in virtù della mia esperienza e del mio tentativo, che nel progetto del centrodestra (non in tutti i suoi uomini e nelle loro coerenze o incoerenze, né in tutte le sue realizzazioni) ho trovato lo spazio per lavorare culturalmente e politicamente per favorire questa “libertas ecclesiae” di cui parla la nota di Cl.

In Cl sono stato educato alla razionalità, alla libertà, alla responsabilità e all'amore per il bene della gente. Io non so se la mia scelta sia quella piú giusta, so che è libera e ha delle ragioni che posso sostenere pubblicamente.

Tu chiedi di dare un giudizio su questi miei venti anni di berlusconismo ora che il berlusconismo è in crisi. Potrei risponderti semplicemente che non mi va di buttare via anni di lavoro proprio ora che si tratta di far diventare patrimonio comune non la persona di Berlusconi (un pericolo che andrebbe evitato anche per chi, appena salito in politica, ha suscitato entusiasmi altrettanto personalistici), ma ciò che il suo operato politico ha introdotto nel tessuto del paese.

 

So che al mio elenco può esserne contrapposto uno di segno opposto, ma questo non deve esimerci dal considerare che in questi anni: si è affermata l’idea politica dell’alternanza, è cresciuta la considerazione del protagonismo sociale, è emersa come consapevolezza generale l’idea del merito, del valore dell’intrapresa, e del principio di sussidiarietà, non è più un tabù parlare di libertà di educazione, lo statalismo non è più un valore, il dialogo fra laici e cattolici su temi etici divisivi è stato una realtà, il collocamento internazionale del nostro paese non è più stato in discussione, in materia di lavoro sono state superate alcune rigidità anche da parte sindacale (per poi tornare indietro sotto il governo dei tecnici), nel campo del welfare il contributo del non profit ha trovato strumenti come il 5x1000 che certo non sono stati introdotti dal partito comunista.

 

Tutto merito di una sola persona? No, degli spazi di libertà che la sua iniziativa politica ha concesso a chi voleva portare a livello politico l’esperienza di costruzione di realtà vive e concrete che - nonostante la crisi, nonostante certi politici, nonostante certi magistrati, nonostante il disfattismo dei media - tengono in piedi l’Italia.

Questa è stata l’altra appassionante sfida di questi anni, lavorare insieme con chi è diverso da te, con chi proviene da altre esperienze politiche e culturali, ma condivide un progetto e una battaglia per la libertà e la responsabilità. Questo è successo dentro il Pdl.

Di unità e di lavoro comune ho fatto esperienza con molti cristiani presenti in Parlamento in partiti diversi. L’unità, e questo lo dico anche a chi pensa che io e Mario Mauro non siamo più “amici”, non è data dal militare nello stesso partito.

 In questo senso, infatti, è caduto un alibi: l’unità è nell’esperienza della comunità cristiana che ci educa e ci costringe ad approfondire sempre le ragioni delle nostre scelte e riconoscere in che cosa consiste e dove si fonda la nostra speranza.

 

 

IL RABBINO CAPO DI FRANCIA GILLES BERNHEIM



“Quello che spesso si dimentica di dire”

E’ in uscita il libro “Quello che spesso si dimentica di dire” del Rabbino Capo di Francia Gilles Bernheim, con introduzione di Mons. Luigi Negri Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, del Prof. Giorgio Israel, postfazione del Rabbino di Torino Alberto Mosshe Somekh e un testo su Marc Chagall di Sr. Maria Gloria Riva. E estremamente significativa la convergenza laica dell’ebraismo e del cattolicesimo su temi decisivi, come il gender, per il futuro dell’uomo.
Risposte puntuali e precise ai luoghi comuni della ideologia gender.
Benedetto XVI ha rilanciato per tutta la Chiesa cattolica l’intervento del Gran Rabbino di Francia. Lo presentiamo in una integrale traduzione italiana ad opera di don Pierre Laurent Cabantous, con la presentazione di Mons. Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, di Giorgio Israel, Professore di Storia della Matematica all’Università La Sapienza di Roma e con la postfazione di Rav Alberto Moshe Somekh, Rabbino della Comunità ebraica di Torino.
Il convergere in questa pubblicazione, accanto all’autore, di voci autorevoli del mondo culturale ebraico e di significative personalità della Chiesa cattolica, unite nello stupore della visione di una monaca contemplativa dell’opera del grande Marc Chagall, pittore ebreo amico dei cristiani, suggerisce la strada di un serio confronto che, senza dimenticare le differenze, sappia lavorare per il bene dell’uomo e della società. In questo si realizza il sogno che già il beato Giovanni XXIII suggeriva, rivolgendo alcune sue encicliche «a tutti gli uomini di buona volontà».
Ci auguriamo che questo testo possa contribuire ad un pacato e serio confronto tra chi ha a cuore la sorte dell’uomo, e sia strumento a servizio di tutti quegli educatori che, con i giovani, tentano di aprire la mente a prospettive di bene, fuori dagli stantii luoghi comuni.
Mons. Luigi Negri: «Sono particolarmente lieto di aver dato il mio contributo, pur nella sua limitatezza, a un documento come questo. Il mio intervento, accanto a quello del Gran Rabbino di Francia, dà a questo documento il valore di un momento importante di dialogo interreligioso. È un momento questo in cui ebrei e cristiani, nella invalicabile differenza che costituisce le due identità religiose, debbono saper dimostrare di tendere ad affrontare problemi sostanziali della vita personale e sociale, dandovi un contributo significativo.»
Prof. Giorgio Israel: «Il rabbino Bernheim non si è ristretto agli aspetti esteriori della questione del matrimonio omosessuale e, in particolare, ad analizzare le argomentazioni “politicamente corrette” che vogliono presentare l’introduzione di questo istituto come un momento generale di una battaglia per la democrazia e l’uguaglianza. Egli ha identificato nella teoria del “gender” la punta di lancia di una battaglia ideologica volta a distruggere quello che viene chiamato l’“essenzialismo” della cultura occidentale».
Rav Alberto Moshe Somekh: «Ben venga la collaborazione con i vertici della Chiesa Cattolica, con la quale per molti versi il mondo ebraico può sviluppare un’adeguata azione comune per la difesa della dignità, della stabilità e della sacralità della famiglia, richiamandosi agli insegnamenti della tradizione biblica fin dai primordi: “E l’uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà a sua moglie e saranno un’unica carne” (Gen. 2,24)»
Suor Maria Gloria Riva: «Chagall [la cui opera Omaggio a Apollinaire serve da copertina al testo] con un anticipo di un secolo già affermava che la temperatura di un secolo, le battute o gli arresti di una generazione derivano proprio dal modo di concepire la coppia, la distinzione fra i sessi e la tensione costante della sessualità verso quel compimento che inevitabilmente per essere raggiunto la trascende.»
Gilles Bernheim, Gran Rabbino di Francia, QUELLO CHE SPESSO SI DIMENTICA DI DIRE. Matrimonio omosessuale, omogenitorialità e adozione, Editori: Salomone Belforte & C. –CulturaCattolica.it
Per copie saggio e per recensione:
info@salomonebelforte.com
gabriele.mangiarotti@culturacattolica.it
Casa editrice S. Belforte & C. / Culturacattolica.it

mercoledì 30 gennaio 2013

MARIA GRAZIA, L'UNIVERSO INTERO E' MENO PREZIOSO DI TE


Lettera di Caffarra a Maria Grazia, la bimba ritrovata nel “letamaio”

Lettera aperta del cardinale arcivescovo di Bologna alla piccola trovata in un cassonetto a Bologna. «Il tuo vagito entri nella coscienza di ciascuno di noi fino in fondo, e dentro la nostra città»
Carlo Caffarra, cardinale arcivescovo di Bologna, ha scritto sulle pagine del settimanale Avvenire Bologna Sette una lettera aperta a Maria Grazia, la bambina trovata due settimana fa in un cassonetto sotto le finestre dell’arcivescovado. La piccola, soccorsa da due passanti che, nei primi istanti l’avevano scambiata per un cucciolo di animale, è stata salvata in extremis dai due soccorritori e il fatto ha sconvolto la città.

Sulle pagine del quotidiano, il cardinale si rivolge a lei scrivendole: «Cara Maria Grazia, sei stata buttata nei rifiuti sotto la mia finestra, vicino alla mia casa. Eri diventata qualcosa di troppo; un di più di cui bisognava disfarsi. Come è potuto accadere? Perché non sei stata guardata con gli occhi dell’amore, forse resi ciechi da un indicibile dramma. E quando non guardo l’altro con questi occhi, esso diventa un residuo da cui liberare la realtà. Un rifiuto di cui disfarsi».

Il cardinale ripercorre i momenti del salvataggio: «Sei stata salvata perché il tuo vagito ha trovato ascolto nel cuore paterno di due uomini buoni. Il tuo vagito vale più di tutti i nostri calcoli egoistici, perché ha gridato che nessuna persona può essere rifiutata. Ci ha ricordato che l’intero universo è meno prezioso di te, anche quando vagivi in mezzo ai rifiuti; è meno prezioso di una sola persona umana. Grazie per avercelo ricordato dal fondo di un letamaio. Il tuo vagito entri nella coscienza di ciascuno di noi fino in fondo, e dentro la nostra città».

Ma quel “letamaio” non è stato visto solo da occhi umani. «Il cassone dell’immondizia posto sotto la mia finestra – scrive Caffarra – fu guardato con occhi pieni di amore da Dio stesso, perché in esso c’era la sua immagine. Non rinunciamo più alla verità che ci è stata svelata dal tuo vagito: nessuna persona è da buttare, perché in ogni persona è presente un mistero da venerare. Tanti sono passati davanti a quel cassonetto. Io stesso lo vedo ogni volta che mi affaccio alla finestra. Continueremo a vivere dimenticando chi siamo, e come fossimo tante solitudini pressate l’una contro l’altra?».

«Eppure – conclude il cardinale – ancora mi attraversa il tuo vagito, che indica la verità di cui andiamo affannosamente in cerca, nei nostri giorni divenuti tristi. Grazie, piccola bambina, perché ascoltando il tuo pianto ho imparato ancora più intimamente cosa significhi essere padre: prendersi cura di ciascuno perché nessuno sia più sfigurato. Che la nostra città percorra, guidata dal tuo vagito, l’intero cammino che porta dalla solitudine all’amore. Che il tuo vagito sia il dolore di chi ha generato in noi la coscienza della nostra umanità, e ci ha fatto sentire il peso specifico di essere persone: per sempre. Grazie, piccola madre di noi tutti».

LA RAZZA PURA E LA "SALUTE RIPRODUTTIVA"

Giornata della Memoria. Il punto vero


Se vogliamo veramente ricordare l'orrore nazista, non dobbiamo chiudere gli occhi sulla parte viva di quel cancro ideologico.
Il mito della razza pura, l'eliminazione dell'imperfetto, lo sviluppo "scientifico" dell'eugenetica, non sono morti con la caduta del nazismo. Sono ancora vivi e vegeti e si chiamano "salute riproduttiva", "diagnosi pre-impianto", "buona morte" e, tra qualche anno, "aborto post-nascita".
Allora, cosa è cambiato?
E' che ora non c'è più bisogno che uno stato totalitario imponga questi "valori". Oramai fanno parte della normalità, sono spacciati come "diritti umani fondamentali", sono diventate "scelte di libertà" delle singole persone. Sono scelte che hanno perpetrato, sparso ed espanso l'orrore dei lager. Da un unico camino che emana un denso fumo nero di morte a tanti insignificanti "rifiuti speciali" o squallidi cassonetti.
Fa sinceramente ribrezzo vedere tanti politici fare bella mostra di sé nelle cerimonie della Memoria e, insieme, promuovere questa nuova strage di innocenti.
Credo che il modo migliore per fare memoria dell'orrore di sei milioni di innocenti trucidati in pochi anni dai regimi nazi-fascisti sia quello di non chiudere gli occhi sulle decine di milioni di innocenti che sono stati e che continuano ad essere trucidati da una ideologia ancora viva e vegeta.
Su questo non possiamo negoziare!
SamizdatOnLine
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martedì 29 gennaio 2013

PER CHI NON VOTARE


Bagnasco spiazza i cattolici "adulti"

Il Cardinale Bagnasco di Todi 1 è tornato – e alla grande – nella Prolusione al Consiglio permanente della CEI di ieri lunedì 27 gennaio. Non è un segreto che nonostante il suo discorso a Todi1, tra i cattolici si sia diffusa una notevole incertezza sulla strada politica da seguire. Tanto è vero che molti avevano cominciato a pensare di dare ormai per persa questa tornata elettorale e di mettere piuttosto le basi per ricominciare un percorso dal 26 febbraio, a conteggi fatti. Questa Prolusione non farà forse a tempo ad invertire la tendenza alla confusione circolante tra i cattolici, ma senz’altro può fare chiarezza per il lungo periodo e per una ripresa futura.

Il motivo principale di confusione è che importanti figure del mondo cattolico sono entrate in lista ovunque e che raggruppamenti politici che in qualche modo si rifanno al cattolicesimo siano pronti ad allearsi con chiunque. Anche nei partiti che prevedono esplicitamente l’ampliamento della legge 40, il divorzio veloce, il riconoscimento delle coppie omosessuali. Anche nei partiti che non contrappongono granché al progressismo nichilista che ci potrebbe dare nel giro di poco tempo la stessa devastata situazione di Francia, Spagna o Inghilterra, ove tutto è ormai possibile.

Paradossalmente, anche l’appello ai principi non negoziabili, se adoperato male, può fare da alibi a questa confusa diaspora. Quando qualche Pastore dice che i cattolici, ovunque siano collocati politicamente, debbono convergere sui principi non negoziabili, di fatto convalida la collocazione ovunque. Mentre i principi non negoziabili non permettono una collocazione ovunque. In altre parole: i principi non negoziabili vengono proposti come il punto di convergenza trasversale ed attuato “in coscienza” da parte di politici cattolici collocati indipendentemente dai principi non negoziabili, ma in realtà questi sono i criteri anche per scegliere il proprio collocamento, in quanto illuminano l’umano e pongono la Chiesa e i cattolici, come ha detto Bagnasco, all’avanguardia.

Altrimenti avrebbe ragione Casini a dire che nel programma di governo non devono esserci i principi non negoziabili ma questi devono essere perseguiti “in coscienza” in Parlamento. Altrimenti, per proseguire con le conseguenze logiche rispetto alla premessa, non sarebbe più valida la Nota Ratzinger del 2002 che diceva proprio il contrario. Se la coscienza del cattolico in politica entra in gioco “dopo” la scelta del partito e non anche prima che ce lo dicano. Finora abbiamo sempre pensato che la scelta di un partito avvenisse “in coscienza”, ossia nel rispetto della verità dell’uomo, di cui sono espressione i principi non negoziabili. I quali, del resto, sono principi e non valori e, come tali, sono i fondamenti dell’intero impegno politico e non solo di certe sue fasi.

Tornando alla Prolusione, il cardinale Bagngasco ha detto alcune cose che se messe insieme costituiscono una significativa summa che spiazza molti professionisti del cattolicesimo politico.

Primo: non è possibile che nei programmi dei partiti queste cose non ci siano: «Non si può far finta di accantonare i problemi quando sono semplicemente nodali nelle società post-moderne». Non ci si nasconda dietro la foglia di fico. Chi ha dichiarato che questi principi sono importanti ma non urgenti ha sbagliato.

Secondo: su questi problemi non si possono fare i partiti-contenitore: Non «ci si può illudere di neutralizzare in partenza il dibattito, acquisendo all’interno delle varie formazioni orientamenti così diversi da annullare potenzialmente le posizioni, o prevedere al massimo il ricorso pur apprezzabile all’obiezione di coscienza». Io vado nel Pd e poi quando il Pd fa un disegno di legge sul riconoscimento delle coppie omosessuali mi appello all’obiezione di coscienza. Eh no! I partiti-contenitore sui problemi etici hanno scelto la indifferenza della politica rispetto all’etica spacciandola per rispetto dell’obiezione di coscienza. Ma se l’etica la si butta fuori su questi punti come vi si potrà appellare in altri?

Terzo: «quando si giunge di fronte alla grande porta dei fondamentali dell’umano, non è possibile il silenzio da parte di alcuno, persone e istituzioni». La politica non è un compromesso tra interessi o opinioni. Essa ha a che fare con la verità dell’uomo (e di Dio): sottrarvisi è impossibile. E ciò vale non solo per le persone ma anche per le istituzioni perché esiste un ordine sociale.

Quarto: nel paniere del bene comune non tutto è uguale. Qui torna il concetto-base di Todi1: «Dobbiamo stare attenti che una certa cultura nebulosa non ci annebbi la vista, inducendoci a non riconoscere più, tra i principi che mandano avanti la società, i fondamenti che non sono confessionali, come si insiste a dire, ma semplicemente di ordine razionale». Ci sono i fondamenti e poi ci sono i valori importanti e magari urgenti, ma non fondamentali. I fondamentali non possono mancare in un programma di un partito che chieda l’adesione di un cattolico: «è necessario che in un momento elettorale si certifichi dove essi trovano dimora».
Quinto: «Su questi principi i cattolici sanno che non esiste compromesso o mediazione comunque si voglia chiamare, poiché ne va dell’umano nella sua radice. Per questo la Chiesa è “avanguardia”». Ci sono i cattolici che si credono di avanguardia perché aperti a considerare tutto quanto capita in strada e a darvi configurazione giuridica. Si tratta invece di conservatori dell’esistente. La Chiesa è all’avanguardia perché indica il dover essere, al cui servizio dovrebbe porsi la politica.

 

LEZIONE DI GIORNALISMO DEL VESCOVO DI TRIESTE


Riproduciamo un articolo apparso sul settimanale Vita Nuova di Trieste, che riporta le parole pronunciate dall’arcivescovo
Giampaolo Crepaldi alla festa del patrono dei giornalisti. Per meglio comprendere il discorso di Crepaldi è utile conoscere gli ultimi avvenimenti accaduti in città, dove una violenta campagna di stampa e alcune improvvide dichiarazioni di esponenti della giunta locale di sinistra l’hanno preso come bersaglio.

Siamo abituati a collegare immediatamente il giornalismo con l’informazione. Ma oggi è ancora così? Mi spiego. Il giornalismo produce informazione, l’informazione è fondamentale per il dialogo pubblico, il dialogo pubblico è essenziale per la democrazia… quindi il giornalismo è essenziale per la democrazia. Di solito questo è il ragionamento, sostenuto anche da fior fiore di filosofi, basti pensare ad Habermas. Da qui il grande potere del giornalismo in democrazia che, però, proprio per questo, ossia perché è un grande potere, qualche problema alla democrazia lo pone. Questa contraddizione richiede oggi di rivedere alcuni luoghi comuni sul giornalismo.

Nel dibattito politico si parla spesso di poteri forti. Ci si riferisce, di solito, alla finanza, all’industria, alle consorterie internazionali, ai grandi network della comunicazione televisiva. Qualcuno, polemicamente, dice che oggi anche una certa magistratura è un potere forte. Ma raramente si riflette sul fatto che anche la stampa è un potere forte, e spesso intrecciato con gli altri che ho elencato qui sopra. Anzi, la grande stampa spesso si propone come luogo ove si condannano i poteri forti, inducendo così a trascurare che essa stessa non di rado vi appartiene. E’ vero che i giornali tradizionali su carta sono in crisi ovunque, ma qui, per “stampa” , non intendo solo i giornali stampati, ma anche i nuovi strumenti della comunicazione on line.

I giornalisti esercitano oggi un forte potere. Questo deriva, dal punto di vista culturale, dal fatto che oggi, diversamente dal passato, l’informazione è sempre anche formazione. Un tempo si distingueva, almeno teoricamente, tra informazione e formazione. Questa distinzione veniva espressa con una frase piuttosto ingenua: “i fatti separati dalle opinioni”. Il mito del cosiddetto giornalismo anglosassone si fondava su questa ingenuità. Ai tempi dei giornali ideologici e di partito si era soliti distinguere questi ultimi da quelli cosiddetti “indipendenti”, che però indipendenti non erano. Oggi queste distinzioni non si possono più fare. Il motivo, paradossale, è che non esistono più i giornali ideologici e di partito, perché non esistono più le ideologie e i partiti come li avevamo conosciuti in passato. Attenzione, però, che questa scomparsa delle ideologie non ha per niente lasciato libero il campo ai soli giornali indipendenti per un giornalismo indipendente, ma ha trasformato questi stessi in giornali che formano informando. Formano non più applicando ai fatti raccontati una riflessione / valutazione ideologica, ma formano raccontando i fatti e, portando in pagina ciò che accade in strada, lo legittimano e lo impongono.

In questo modo il sistema giornalistico è, nel complesso, conservatore: accerta ciò che accade nella strada e lo legittima. Dai giornali non si impara più niente, si apprende solo che “oggi si fa così” e che è giusto fare così. Che è una nuova, inedita, grande ideologia. Nella nostra società le cose che contano si impongono per prassi. Si tratta di atteggiamenti nuovi, di modi di vestire, di divertirsi, di usare una parola piuttosto che un’altra. Si possono fare convegni fin che si vuole sul matrimonio, ma se la moda – ripeto: la moda, quindi non qualcosa di consapevole e di approfondito, ma un atteggiamento mimetico – impone la convivenza la famiglia fondata sul matrimonio è già bell’e morta. Ecco, i giornali non esercitano più nessuna voce critica rispetto a quanto accade in strada e, per questo, formano informando.

Ne consegue che il sistema giornalistico tende ad esprimere un pensiero unico. Questo è apparentemente in contrasto con la grande pluralità dei mezzi informativi esistenti sul campo. Ma se io prendo i maggiori quotidiani italiani che, magari su questa o quella questioncina si azzuffano, sulle grandi questioni della vita umana sono tutti allineati, almeno nel non prendere posizione. Certo, c’è un sistema di informazione alternativo, che però non emerge perché è di fatto soffocato dal potere delle grandi concentrazioni. Anche i giornali applicano la regola dietro la quale spesso si nascondono i partiti: demandare le grandi questioni alla cosiddetta libertà di coscienza. E così se ne lavano le mani. Ma non prendere posizione sui grandi temi è un modo di prendere posizione che consiste nel confermare la linea verso cui soffia il vento.

I giornali cattolici sono talvolta attratti dal partecipare a questo grande coro. Temono di non essere al passo con i tempi e di essere accusati di ideologia. Peccano così di timidezza e rifuggono le battaglie culturali. Eppure l’unico modo di farsi sentire da questo grande coro della megamacchina dell’informazione è fare qualche battaglia culturale. Per poterlo fare, però, bisogna capire che davanti a noi non abbiamo solo un sistema informativo essenziale per la formazione dell’opinione pubblica nelle democrazie moderne eccetera eccetera … secondo i classici discorsi di circostanza, ma che abbiamo un potere e che questo potere promuove un sistema culturale non nella pretesa di formare ideologicamente le menti dei lettori, come avveniva un tempo, ma fotografando ciò che avviene, la prassi, e proponendola come vera e buona.

Tutto questo è evidente anche qui a Trieste. Ed è per questo che gli strumenti comunicativi della diocesi, prima di tutto il Settimanale Vita Nuova che ora si propone anche nella versione on line, sono strumenti di libertà comunicativa e informativa. Sono strumenti che non accettano quanto il coro dice a convalida di qualsiasi cosa accada in strada. Internet, che da un lato conosce nuove forme di concentrazione di potere informativo, dall’altro permette che siano i lettori ad andare in cerca delle notizie e non più le notizie ad andare in cerca dei lettori. Questo può rappresentare una qualche chance.

lunedì 28 gennaio 2013

LA MIA BELLISSIMA SIENA ALLA RICERCA DELLA SUA ANIMA


Scivolare sulla finanza derivata. Tragicomico destino quello del Monte dei Paschi, l’unica banca – che io sappia – che sia stata celebrata in un’opera letteraria: i “Cantos” di Ezra Pound.

Siena Madonna di Mercy
Celebrata dal poeta americano perché nei suoi Statuti seicenteschi scoprì una banca per il popolo che si fondava sulla fertilità della terra e sul lavoro, al contrario del modello della Banca d’Inghilterra.

Siena per Pound era il simbolo della lotta allo strapotere della finanza e dell’usura.

Non so se ora Siena perderà la “sua” banca. Mi addolora molto di più che – da tempo – abbia perso la sua anima. “Che vale all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde se stesso?”.

Fra l’altro è proprio l’anima cristiana della città (oggi dimenticata) che è storicamente alle origini delle sue fortune (anche economiche) e della sua gloria.

Lo sanno gli attuali padroni di Siena e i suoi cittadini?

Sta scritto perfino nel simbolo più antico della sua ricchezza, la moneta della Repubblica di Siena, che riportava la formula: “Sena vetus Civitas Virginis”. Città della Vergine. Non era un’espressione celebrativa, ma giuridica e politica.

A tutte le mire dei conquistatori che, nei secoli, si affacciavano all’orizzonte, Siena opponeva la sovranità della sua Regina, la Madonna, garante della libertà e dell’indipendenza della città.

E’ a lei, l’ “Advocata senensium”, che sempre la città si è affidata, perfino con atto notarile, nei momenti di pericolo (dalla battaglia di Montaperti alla “peste nera” del XIV secolo, dai terremoti fino alla Seconda guerra mondiale).

Anche il famoso ciclo di affreschi politici, detti del Buongoverno e del cattivo governo, realizzato da Ambrogio Lorenzetti nel palazzo pubblico, in filigrana, celebra proprio la regalità di Maria su Siena.

Non a caso a Siena tutto parla di lei e canta la più “umile e alta” delle creature.

Dal campanone della Torre del Mangia (si chiama “Sunto” in onore della Madonna Assunta) alla Cattedrale che è un poema di marmo, un trattato di teologia della storia incentrato su Maria; dal Palio (sia quello di luglio che quello di agosto sono feste della Vergine) allo stesso simbolo della città, quella Balzana (lo scudo bianco e nero) che rimanda al bianco e nero della Cattedrale.

Secondo il Gigli, ripreso dal Vannini, la balzana senese sarebbe la “realizzazione araldica dell’aretologia mariana (castità e umiltà) o addirittura (si potrebbe aggiungere) delle Sue ossimoriche attribuzioni (umile e alta, vergine e madre) o del mistero della Sua maternità (Verbum caro)”.

Alla Madonna è dedicato anche l’Ospedale che sorge ai piedi della cattedrale, fondato nel X secolo dai canonici del Duomo per i bambini esposti e i pellegrini. E’ uno dei più antichi e gloriosi ospedali del mondo.

L’immagine della Madonna a Siena si trova dovunque, da tutti i palii alle antiche biccherne (le tavole dei libri contabili), dalle porte della città all’altar maggiore della Cattedrale (dov’era posta la Maestà di Duccio), dalla sala del palazzo pubblico, dove si trova la Maestà di Simone Martini, ai crocicchi delle strade.

La stessa della piazza del Campo ha la forma del mantello della Madonna della misericordia, l’icona dove tutta la città si raccoglie sotto la protezione della Madre di Dio.

Dicevamo della moneta con la scritta mariana.

Perduta la “Civitas Virginis” (cioè la fede che era il vero tesoro della città), oggi si perde anche la “moneta”, ovvero la banca e la prosperità.

E’ inevitabile, perché quella prosperità germogliò e fruttificò su un terreno spirituale, di forti valori cristiani.

Il Monte dei Paschi – la più antica banca del mondo – nasce infatti come monte di pietà. I monti di pietà sono quelle istituzioni finanziarie senza scopo di lucro pensate dai francescani, e fondate alla fine del XV secolo, per aiutare la crescita economica dei ceti più disagiati e sottrarli da una parte alla miseria, dall’altra all’usura.

C’è soprattutto un santo francescano di Siena, san Bernardino (sulla scia del francescano Giovanni Olivi), alle origini della teoria dell’utilità soggettiva in economia. Luigino Bruni e Alessandra Smerilli hanno dimostrato nel libro “Benedetta economia” che proprio i francescani (e prima i benedettini) hanno posto le basi del sano pensiero economico e della prosperità dei nostri popoli (Rothbard lamentava che gli economisti si fossero poi allontanati dai pensatori cattolici).

E’ quella che Stefano Zamagni ha chiamato “l’invenzione dell’economia di mercato civile”.

Ma la Siena di oggi neanche ricorda che san Bernardino – una grande figura – è un santo di questa città. Così come santa Caterina, che è patrona d’Italia, compatrona d’Europa e dottore della Chiesa, ma il cui santuario, a Siena, è pressoché sempre deserto e dimenticato.

Piccolo emblema di questo smarrimento dell’identità e della memoria è stato – tre anni fa – il palio dove attorno al volto della Madonna sono stati disegnati alcuni versetti del Corano, la sura 19. La banale Sinistra del politically correct lasciava il segno di un superficiale sincretismo.

E’ sempre stato problematico per una classe politica non raffinatissima come quella del Pci (poi Pds, Ds e Pd), amministrare una città così carica di storia, di cultura, dove tutto parla della sua antica fede cristiana.

Agli inizi del Novecento Siena era una città in parte ancora cattolica e laica. Un po’ isolata e asfittica come appare nei romanzi di Federico Tozzi.

Dal 1945, con l’urbanizzazione di molti nuclei familiari dalle campagne, il Pci conquista la maggioranza e negli enti locali assume il potere, tenuto pressoché senza interruzione fino ad oggi (sono 67 anni).

Ma la borghesia senese, un po’ laica, un po’ cattolica, ha governato istituzioni importanti come l’Ospedale, il Monte dei paschi e l’Università (anch’essa fondata, nel 1240, in pieno medioevo cristiano).

Con i decenni il potere della Sinistra si è allargato sempre più. Vent’anni fa solo il Monte, governato da Dc e socialisti, faceva eccezione. Ma da allora, dalla nascita delle Fondazioni, gli enti locali rossi hanno preso il sopravvento. E la Sinistra a Siena domina senza rivali e senza alcuna opposizione.

Esprime però una classe politica che sembra del tutto estranea alla grande storia della città. Ricordo che negli anni Ottanta il Pci tirò fuori un manifesto per le elezioni che raffigurava la Piazza del Campo. Volevano così celebrare il loro buon governo.

Come se quella piazza di sogno l’avessero fatta loro. Ahimé il Pci a Siena ha saputo fare solo una quartiere satellite, San Miniato, che, nella sua triste bruttezza, ricorda le grigie periferie dei regimi dell’Est. E’ il perfetto simbolo dell’epoca rossa.

Sono rarissimi (uno o al massimo due) i dirigenti comunisti che abbiano saputo sintonizzarsi con la spiritualità e la storia di Siena. Ma va anche detto che tutti sono stati mandati al potere per decenni dal voto degli attuali senesi.

Siamo un popolo attaccato alle sue antiche tradizioni, ma immemore delle sue origini cristiane. Questa è una città che, grazie al Monte, è vissuta per decenni al di sopra delle sue possibilità e il dorato benessere ha addormentato gli spiriti e annichilito le energie migliori.

Oggi un’eredità immensa (e immeritata) sembra sia stata dilapidata. E la città, bella addormentata, si sveglia in un deserto, senza più un tessuto economico, un’identità e un futuro.

Si ripresenteranno, per il governo del Comune di Siena (e tutto il resto), i soliti che da anni sono sulla scena politica, oltretutto senza alcuna idea del futuro?

Eppure a Sinistra c’è chi riconosce lealmente che “non siamo stati all’altezza”. Possibile che non si sentano in dovere di cambiare tutto?

L’unica speranza per questa bella città è la discontinuità: che facciano tutti un passo indietro, emergano nuove energie, nuove idee e nuovi volti.

Questo cataclisma potrebbe portare una rinascita. Ma prima che la sua banca, Siena deve ritrovare un’anima.

Antonio Socci

domenica 27 gennaio 2013

VIVA CAMERON!


Europa sì, ma quale? Con il suo intervento al World Economic Forum di Davos il premier britannico David Cameron ha ulteriormente tirato un salutare sasso nella piccionaia del pensiero unico sul tema che l’ordine costituito dell’”Europa” tenta ancora di imporre, seppur con crescente insuccesso. Cameron ha aperto questo cruciale dibattito, sin qui tenuto ben chiuso. Poi le sue risposte potranno essere diverse dalle nostre, ma non è questo che importa.

In primo luogo importa si riconosca che non si può pensare a un’Europa intesa come una tabula rasa storica, economica e culturale su cui costruire dal nulla un “marziano” di dimensioni continentali ispirato alle ideologie dell’illuminismo. Ciò chiarito, e chiarito pure che senza riconoscere le radici storiche dell’Europa non si va da nessuna parte, allora ci si potrà mettere a edificare un’Unione Europea che funzioni. E se per questo c’è voluto il colpo di scena di Cameron, viva Cameron!

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-europa-sma-quale-5666.htm

venerdì 25 gennaio 2013

RETI SOCIALI: VERITA' FEDE EVNGELIZZAZIONE



Don Gabriele Mangiarotti

È un tempo, questo, in cui la drammaticità della situazione chiede ai cristiani di essere presenti nel mondo con il proprio volto e con le ragioni della speranza. «Sappiate rendere ragione della speranza che è in voi» ci ricorda da sempre san Pietro. E questo vale in ogni circostanza della vita «a tempo e fuor di tempo» o, come più icasticamente dice l’espressione latina, «opportune et importune». Ben venga allora questo messaggio del Papa per la Giornata delle Comunicazioni Sociali, che ci invita a prendere sul serio la possibilità di usare la rete secondo la propria identità.
Dobbiamo leggere tutto il messaggio e imparare la logica che lo informa, proprio per evitare quello che tanto spesso fanno i media: prendono un particolare e lo assolutizzano, impedendo così che il «lettore» possa farsi una propria idea della realtà. Ho evidenziato alcuni passaggi del documento e mi ripropongo di affrontare tutta la tematica indicata dal Pontefice per rendere sempre più vicino al suo cuore il lavoro che da tanti anni svolgo in rete.
Raccolgo per ora solo un suggerimento: «La capacità di utilizzare i nuovi linguaggi è richiesta non tanto per essere al passo coi tempi, ma proprio per permettere all’infinita ricchezza del Vangelo di trovare forme di espressione che siano in grado di raggiungere le menti e i cuori di tutti» e questo per me vuol dire almeno queste due cose: da un lato la consapevolezza che internet è un mondo con le sue regole, la sua logica, la sua dinamica, e che una presenza che voglia essere cristiana deve sapere «piegare» lo strumento allo scopo che si prefigge. Il lavoro che ci è chiesto è proprio la capacità di «trovare forme di espressione» che non tradiscano il Vangelo, in nome di una presunta «modernità» o attualità Dall’altro lato, per raggiungere «le menti e i cuori di tutti» la condizione è quella di avere un’anima ecclesiale, cattolica come dimensione personale. Infatti «tale condivisione consiste non soltanto nell’esplicita espressione di fede, ma anche nella testimonianza, cioè nel modo in cui si comunicano “scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita”.» E così il papa ci ricorda ancora che essere cattolici lo si dimostra nella qualità dei giudizi, e che non si tratta di una pura etichetta.
Grazie, Santità, con la Sua guida e il Suo conforto si lavora con più pace nel cuore!

Alcuni spunti tratti dal Messaggio:
• In questi spazi non si condividono solamente idee e informazioni, ma in ultima istanza si comunica se stessi.
• Dialogo e dibattito possono fiorire e crescere anche quando si conversa e si prendono sul serio coloro che hanno idee diverse dalle nostre. “Costatata la diversità culturale, bisogna fa sì che le persone non solo accettino l’esistenza della cultura dell’altro, ma aspirino anche a venire arricchite da essa e ad offrirle ciò che si possiede di bene, di vero e di bello”
• Se la Buona Notizia non è fatta conoscere anche nell’ambiente digitale, potrebbe essere assente nell’esperienza di molti per i quali questo spazio esistenziale è importante.
• La capacità di utilizzare i nuovi linguaggi è richiesta non tanto per essere al passo coi tempi, ma proprio per permettere all’infinita ricchezza del Vangelo di trovare forme di espressione che siano in grado di raggiungere le menti e i cuori di tutti.
• Nell’ambiente digitale la parola scritta si trova spesso accompagnata da immagini e suoni.
• L’autenticità dei credenti nei network sociali è messa in evidenza dalla condivisione della sorgente profonda della loro speranza e della loro gioia: la fede nel Dio ricco di misericordia e di amore rivelato in Cristo Gesù. Tale condivisione consiste non soltanto nell’esplicita espressione di fede, ma anche nella testimonianza, cioè nel modo in cui si comunicano “scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita”.
• La “luce gentile” della fede.

 da Cultura Cattolica

giovedì 24 gennaio 2013

LA SINDROME DELLA "CULTURA" DI SINISTRA


Da quando nella politica italiana e entrato Berlusconi,ossia dal 1994, la cultura di sinistra ha sviluppato un suo peculiare racconto dell’Italia.

Secondo questo racconto chi vota a sinistra sarebbe “la parte migliore del Paese”, mentre la parte che sceglie il centro-destra sarebbe la parte peggiore, evidentemente maggioritaria.

La teoria delle due Italie scattò subito, nel 1994, allorche la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto fu inaspettatamente sconfitta dal neonato partito di Berlusconi. E da allora mise radici, costruendo pezzo dopo pezzo una narrazione della storia nazionale al centro della quale vi e l’idea di una vera e propria mutazione antropologica degli italiani, traviati fin dagli anni Ottanta dal consumismo e dalla tv commerciale.

Una narrazione che, nel 2001, si arricchira di un nuovo importante tassello, con la teoria di Umberto Eco secondo cui gli elettori di centro-destra rientrerebbero in due categorie: l’Elettorato Motivato, che vota in base a interessi egoistici e ai propri pregiudizi contro stranieri e meridionali,e l’Elettorato Affascinato “che ha fondato il proprio sistema di valori sull’educazione strisciante impartita da decenni dalle televisioni, e non solo da quelle di Berlusconi”. Due elettorati ai quali non avrebbe neppure senso parlare, visto che non si informano leggendo i giornali seri e “salendo in treno comperano indifferentemente una rivista di destra o di sinistra purche ci sia un sedere in copertina”. Vista da questa prospettiva la vittoria del 1994, come tutte quelle successive, non sarebbe un incidente di percorso, ma l’amaro sbocco di processi di degenerazione del tessuto civile dell’Italia iniziati molti anni prima. […] Insomma, voglio dire che è mezzo secolo che “alla sinistra non piacciono gli italiani”, per riprendere il titolo del saggio con cui, fin dal 1994, lo storico Giovanni Belardelli (sulla rivista il Mulino) fisso la sindrome della cultura di sinistra, incapace di darsi una ragione politica dei propri insuccessi, e percio incline a dipingere l’Italia come un Paese abitato da una maggioranza di opportunisti, di malfattori, o di ignavi
 
(Luca Ricolfi da "La Repubblica delle tasse" ed. Rizzoli).

mercoledì 23 gennaio 2013

APPARTENERE A CL O ALLA CDO E' UN REATO


«I comportamenti delittuosi erano legati a un sentire comune basato sull’appartenenza alla medesima struttura. Un legame così profondo che a volte prescindeva anche dal pagamento di una somma di denaro».
Alfredo Robledo, pm del caso Kaleidos

. Di fatto un pm può puntare un individuo o un gruppo, aprire un fascicolo, arrivare a un avviso di garanzia. Il resto importa poco. Importa che su un’indagine i giornali possano titolare. Segue morte civile degli indagato/i. Anche se tra uno, due, dieci anni, un giudice assolverà il malcapitato/i.
 
Se avere degli amici e scrivere delle email è reato, allora mi autodenuncio.

Autodenuncia
Va bene, compagni, lo ammetto. Mi autodenuncio. Non so se sono già sulle liste in mano ai giudici, in fin dei conti non ho mai avuto incarichi di rilievo nella mia organizzazione criminale, ma è senz'altro possibile. Una minima visibilità pubblica ce l'ho, infima, da bollettino parrocchiale, ma è chiaro che sono socialmente pericoloso e corro il rischio di reiterare il reato. Non c'è bisogno di tenere o mantenere il mio telefono sotto controllo - d'altra parte non lo uso quasi mai, e quando capita grugnisco solo - vi dirò tutto quanto volete ascoltare.
Sì, è vero. Faccio parte di Comunione e Liberazione da trent'anni. Confermo ogni accusa.
Davvero ci si aiuta uno con l'altro. Davvero lo si fa senza ritorno economico, fatto inaudito e gravissimo. Io, personalmente, ho intervistato per diverso tempo persone in cerca di lavoro - dai neolaureati all'immigrato di colore - per conto della Compagnia delle Opere, con il ridicolo pretesto di aiutarli a trovare opportunità di occupazione ma con il probabile nascosto intento di guadagnarmi un futuro voto di scambio per qualche mafioso. Senza dubbio un identico fine guidava tutti i miei amici che davano il loro tempo per assistere bambini o famiglie disagiate, o anziani soli, in un malcelato disegno di malaffare. Quello che desta i sospetti, in prima battuta, è proprio che tutto ciò viene fatto gratuitamente, almeno in apparenza. Poiché appare assurdo, si può stare certi che dietro si nasconde una evasione fiscale di proporzioni mostruose, una rete di pagamenti in nero che contribuisce alla bancarotta dell'Italia. E gli appartenenti a Comunione e Liberazione, alla Compagnia delle Opere non potevano non sapere.
Quindi appare senz'altro motivato e auspicabile l'eventuale sequestro preventivo delle oltre 34000 aziende associate alla CdO, costituenti ovviamente una rete di collusione nascosta dietro una facciata apparentemente rispettabile.
Motivato, ho detto: tanto più in quanto celato dietro una facciata di ipocrisia. E' noto che i ciellini si riuniscono spesso, a volte anche tutte le settimane, per complottare nuovi misfatti mentre dicono di cercare la verità. L'ho fatto anch'io, e sebbene mi sfugga come la ricerca della bellezza e della giustizia, di Cristo insomma, impegnandosi nel reale possa tradursi in qualcosa di opposto.
Se così viene detto così sarà. In effetti i sospetti di mangiare carne umana, di adorare teste d'asino in orge perverse, infanticidio e incesto accompagnano da troppo tempo i cristiani per essere solo voci. I loro capi a suo tempo sono stati tutti giudicati colpevoli e condannati, alcuni anche a morte. Qualcosa devono avere fatto, incendiare Roma o truccare appalti. E' giunto il tempo di fermare questi corruttori della gioventù. Alcuni sono stati persino visti pregare.
Gli amici giornalisti che tanti anni fa li accusarono di essere pagati dalla CIA lo avranno anche fatto senza prove ma come impeto morale ci avevano visto giusto, e la reazione popolare di allora con le sedi bruciate e gli appartenenti malmenati è comprensibile e scusabile. Se tali comportamenti oggi non sono da auspicare è solo perché alla fine inefficaci.
Molto più semplice usare lo stesso sistema che da lungo tempo - ricordiamo i gloriosi precedenti della stampa sovietica - e praticamente identico linguaggio tanti buoni frutti hanno dato in passato. Come per i gesuiti ai tempi dell'unità di Italia, se si abbattono i più forti, motivati ed organizzati difensori poi le restanti cricche, più piccole e deboli, non saranno un problema.
Sì, signori magistrati, pubblico pagante e benpensanti, mi professo colpevole, sono e sono stato cristiano e ciellino. E recidivo, perché di qui non mi muoverei mai. In quale altro posto trovo parole che mi spiegano così la vita?

Antonio\Berlicche
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GRAZIE ANTONIO DI QUESTA LETTERA
Antonio/Berlicche è socio di Samizdatonline
E IL SUO BLOG è INDICATO IN ALTO A DESTRA FRA I PREFERITI
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