venerdì 11 gennaio 2013

LETTERA AI CIELLINI CANDIDATI IN ATTESA DI GIUDIZIO COMUNE


Antonio Simone Tempi  9 gennaio  2013

Per don Giussani «i cristiani devono tendere all’unità in tutto, anche in politica. Perciò è un dolore non trovarsi dello stesso parere, non un diritto conclamato sconsideratamente»

Ancora giovane studente universitario, fui mandato, nei favolosi e difficili anni Settanta, a rappresentare gli universitari di Comunione e Liberazione in un incontro organizzato a Roma dalle autorità ecclesiastiche, per discutere delle elezioni universitarie e del comportamento da tenere come cristiani. All’incontro intervenne l’allora rettore dell’Università Cattolica, professor Giuseppe Lazzati, sostenendo che ciò che contava era l’unità tra cattolici dentro la Chiesa (criticando certe libertà che i movimenti stavano esercitando), mentre non era necessario impegnarsi per delle liste comuni nelle imminenti elezioni universitarie. Quando fu il mio turno mi permisi di contestare questa visione della presenza dei cristiani nella società.
Ricordo che difesi l’unità della Chiesa dentro la valorizzazione di tutte le esperienze che nascono e sono riconosciute come dono dello Spirito dentro carismi particolari tutti tesi alla vita dell’avvenimento cristiano, mentre era doloroso constatare come si ritenesse ininfluente l’unità nell’agone politico e della società quando occorreva fare delle scelte con valore sociale e civile.
L’insegnamento di don Giussani e la sua insistenza sul brano del Vangelo di Giovanni 17, l’ultima preghiera di Gesù («Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola… perché il mondo creda che tu mi hai mandato»), mi ha sempre portato a sentire come dolorosa la divisione, in tutti gli ambiti, soprattutto davanti al mondo, nell’impegno politico e civile.
È doloroso se quel segno di unità non è possibile. Bisogna dirlo. Ecco, cari amici che per tanti anni avete condiviso con me la presenza in politica, ciò che non avete detto nelle interviste in reazione al comunicato di Comunione e Liberazione circa la responsabilità personale delle scelte politiche. Prima sta il dolore della non unità, poi la responsabilità personale, che per altro è di per sé ovvia rispetto a ogni singolo atto dell’individuo nel contesto civile. Solo chi vuole male alla Chiesa cerca di far ricadere su di essa gli errori o i reati dei singoli. E difatti questo è il sistema che usano i giornali e i potenti di turno per censurare la vita della Chiesa. Ma anche io, per evitare fraintendimenti, mi rifaccio ad alcuni brani di don Giussani ripresi da alcune interviste:

Come giudica le divergenze tra cattolici che si manifestano sul terreno sociale o politico?
«Idealmente noi dobbiamo tendere all’unità anche in politica, perché i cristiani debbono tendere all’unità in tutto, dato che sono un corpo solo. Perciò è un dolore non trovarsi dello stesso parere, non un diritto conclamato sconsideratamente. È dolorosa, anche se tante volte inevitabile, la diversità, e bisogna essere tutti tesi a scoprire il perché il fratello la pensa diversamente e comunicargli nel modo migliore i motivi della propria convinzione, nella ricerca dell’unità».
Per molti invece il pluralismo è un valore in sé…
«È esattamente questo che noi combattiamo. Il Sinodo, parlando dei cristiani, non ha usato la parola “pluralismo”, ma “multiformità”: multiformità è, per esempio, la presenza nella Chiesa del movimento dei Focolari, dell’Azione Cattolica, di Cl, che sono diverse modalità di sperimentare la stessa cosa che è il fatto cristiano; così fra loro c’è un’affinità, una parentela profonda. Uno è contento di vedere che l’altro ha una fantasia diversa dalla propria…» (Luigi Giussani, L’io, il potere, le opere, Marietti).

E poi nella bella intervista di Renato Farina per il Sabato nel 1992:

Ruini lo hanno attaccato tutti…
«È un fatto gravissimo. Mai il Corriere della Sera si era permesso di trattare oltraggiosamente in prima pagina il leader dei vescovi italiani. Ho in mente quel titolo: “Cardinale, lasci stare”. Quasi un ordine insolente a un servo. Ruini difende l’incarnazione, il centro dell’esperienza cristiana, oggi minacciato più che mai. È tanto semplice: Cristo con il battesimo ti assume, così che siamo membra gli uni degli altri. È una cosa dell’altro mondo, ma questa è l’unità cristiana. Se tutti siamo una cosa sola non possiamo non cercare di esprimerci concordemente. E perciò ci raduniamo in azione unitaria. Se uno non se la sente o non ci fossero le condizioni, è un dolore non poterlo fare, non un diritto da sbandierare! C’è un altro criterio che viene oltraggiato, ed è invece così umano: l’obbedienza. È il criterio supremo dell’azione cristiana. Il criterio della verità è ultimamente fuori di noi – e questo fa imbestialire i nemici del cristianesimo. Sì: obbediamo! Ci toglie dalla balìa del potere che occupa e dirige le coscienze illudendole della loro autonomia e invece, credendo di essere liberi, obbediscono a uomini. L’obbedienza cristiana pesca nel mistero. E invece chi si dipinge come autonomo obbedisce a quella ridicola menzogna che ha come criterio di base la valutazione morale dell’altra persona. Una cosa atroce, disumana».
Concludendo: guerra?
«Pace! Pace! Nella tormenta, anche nella guerra, ma la pace. Chi ha avuto la grazia di partecipare dell’esperienza cristiana lo sa bene. Non esiste nulla di paragonabile a questa amicizia nel destino. Non ci fa paura nulla. Nemmeno la crisi della Chiesa. Il cardinal Giacomo Biffi mi raccontava una sua scoperta che non mi ha trovato – devo dirlo – impreparato. E cioè che il cristianesimo non è una religione ma un evento: incarnazione, morte e resurrezione di Gesù Cristo. E Biffi diceva: un evento non può andare in crisi: c’è. E questo fatto, vorrei dire, ci obbliga a essere magnanimi. Kafka dice: «Anche se la salvezza non viene, voglio però esserne degno a ogni momento». Un santo dice così. Siamo stati scelti solo per questo, per la missione. Che questa salvezza, che è la persona di Cristo, possa essere incontrata» (ibidem).

Ecco, cari amici di Cl impegnati in politica, come si arriva all’“irrevocabile distanza critica” che a ben vedere è espressa nel prosieguo del testo giussaniano riportato nel comunicato del movimento, che mi permetto ricordavi:

«Guai a noi se ripetessimo l’errore fatto nel 1948, quando alla Democrazia cristiana venne in pratica irrevocabilmente delegata la gestione della presenza politica dei cattolici, ponendo così la premessa di una delle principali cause del suo successivo declino e sgretolamento politico e morale. C’è fra noi tutti in quanto Cl, ed i nostri amici impegnati nel Movimento Popolare e nella Dc, una irrevocabile distanza critica. Per essere riconosciuti, per essere oggetto dell’attiva simpatia cui prima ho accennato, e per venire più facilmente seguiti dai singoli membri delle nostre comunità, essi devono parteciparne e accettare continuamente che le loro scelte siano sottoposte al giudizio comune, che emerge dalla vita della comunità, dai suoi bisogni e dai criteri che in essa si affermano e trovano verifica. Ed a questa distanza critica noi non rinunceremo mai» (Luigi Giussani, Il movimento di Comunione e Liberazione. Conversazioni con Robi Ronza, Jaca Book).

Così, in amicizia, in attesa del “giudizio comune”.
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"Se tutti siamo una cosa sola non possiamo non cercare di esprimerci concordemente. E perciò ci raduniamo in azione unitaria. Se uno non se la sente o non ci fossero le condizioni, è un dolore non poterlo fare, non un diritto da sbandierare!"



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