martedì 26 febbraio 2013

GIUSSANI: LA POLITICA E IL POPOLO


SECONDA PARTE dall'intervista alla "Stampa" del 1966

Lei ha sempre incoraggiato chi vuole esprimere il proprio impegno politico. Oggi quali sono gli errori che suggerirebbe di non commettere?
Qualsiasi lesione programmata o permessa alla libertà della persona oppure il tollerare qualsiasi limite posto alla creatività del singolo o del singolo gruppo o unità di popolo. Il limite inerente a questo è la consapevole e responsabile accettazione del condizionamento in cui storicamente la libertà del singolo è posta dalla libertà degli altri. La libertà tradizionalmente intesa è condizionata dalla categoria del possibile in cui confluisce l'attenzione alle scelte altrui. Questo implica l'etica della democrazia.

Lei, quando pensa alla politica, insiste sull'idea di popolo. Perché, cos'è il «popolo» per lei?
Un popolo nasce da un avvenimento, si costituisce come realtà che vuole affermarsi in difesa della sua tipica vita contro chi la minaccia. Immaginiamo due famiglie su palafitte in mezzo a un fiume che si ingrossa. L'unità di queste due famiglie, e poi di cinque, di dieci famiglie, man mano che si ingrossa la generazione, è una lotta per la sopravvivenza e, ultimamente, una lotta per affermare la vita. Senza volerlo, affermano un ideale che è la vita. Così la gente che dice di riferirsi a un popolo reputa inesorabilmente positiva la vita. Per la conoscenza razionalmente impegnata che ho della vita del singolo e della società, queste condizioni dell'idea di popolo toccano il vertice di concezione e di attuazione nell'annuncio del Fatto cristiano, nel quale per noi si compie quello che ha qualificato in tutta la sua storia il grande ethos del popolo ebraico e la sua tensione a cambiare la Terra. Il rabbino capo di Roma Toaff nel suo ultimo libro dice che i cristiani vogliono portare l'uomo in Cielo, gli ebrei vogliono portare Dio in Terra. Ma proprio per questo li sentiamo fratelli. Mi permetto di dire così, perché è lo stesso termine che ha usato Paul Elkann in un suo biglietto di ringraziamento per un telegramma di condoglianze da noi fatte al Premier israeliano per l'uccisione di Rabin.

Con la fine del comunismo, la Chiesa ha accentuato le sue critiche al modello «edonista» e «materialista» dell'Occidente. Ma l'anticomunismo, la critica del totalitarismo politico, non è stato forse uno dei cavalli di battaglia di Cl?
Il totalitarismo politico può assumere tante formule: anche quella di certa democrazia liberale o del capitalismo senza regole o dell'intransigenza rivoluzionaria, a stento camuffata di ogni tipo di manipolazione arbitraria della parola popolo, ciò che certo sindacalismo fa. In ogni caso il totalitarismo politico deve essere colto nella sua derivazione da un dogmatismo culturale.

Il nostro continua a definirsi un "Paese cristiano". Cl insiste nell'affermare che in Italia i cattolici siano una "minoranza"?
Cattolici veri, reali, autentici sono esigua minoranza. Parlo di quelli che pongono l'essenziale contributo della Tradizione a principio sintetico della vita e dei rapporti sociali, soprattutto nell'identificare lo scopo ultimo di tutta la storia (che viene prima dell'Apocalisse) nella costruzione nella storia stessa della gloria umana di Cristo attraverso non egemonie ricercate ad ogni costo, ma la potenza enigmatica di Dio. Il problema è di chi guida. Però una esposizione limpida della Tradizione trova l'opposizione sistematica del mondo culturale e del potere.

Ma non crede che le recenti disavventure elettorali in Polonia e in Irlanda nascano dalla percezione che le Chiese di quei due Paesi si fossero trasformate in instrumentum regni?
Non credo. Nel suo contenuto originale di proposta la Chiesa non subisce mai sconfitte. Infatti essa è il luogo di un Avvenimento di salvezza che nessun potere umano potrà eliminare o alterare sostanzialmente. Eliot chiama la Chiesa «la Straniera», proprio per la sua irriducibilità agli schemi del mondo. Certo, la Chiesa può essere castigata e colpita. Ma la sua forza, diversamente da ogni ideologia o utopia, è che è un dato incancellabile che porta la pretesa di incidere nella Storia. Forse ciò che sta accadendo richiama i cristiani alla necessità di essere fedeli alla natura autentica della Chiesa. Questo, d'altra parte, è ciò che appassiona e che dovrebbe entusiasmare ogni cristiano autentico: in tutto quello che si fa, servire la Chiesa di questo Papa, e basta. No, non basta. C'è una cosa da esigere dal politico che sia rimasto onesto: la libertà di espressione e quindi di educazione per una coscienza religiosa di un singolo o di un popolo. Dal primo anno in cui ho insegnato religione al Liceo Berchet, ho chiesto ai giovani: «Fateci andare nudi per le strade, ma siete obbligati a lasciarci liberi di esprimere e realizzare la nostra fede. Diversamente sareste semplicemente contro la civiltà».

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