martedì 5 marzo 2013

POVERO FONDATORE


Dopo aver accompagnato Bersani alla sconfitta, Scalfari gli infligge la solita lezioncina su Stenterello

Si dice che un orologio rotto segni due volte al giorno l’ora esatta, ma il commento di Eugenio Scalfari ai risultati delle elezioni spinge a dubitare di questa legge generale. Martedì, su Repubblica tv, il Fondatore ha spiegato la causa profonda del tracollo: un millennio di dominazioni straniere. ….Si potrebbe comporre un breviario dello scalfarismo in pochi semplici concetti, buoni per fraintendere tutte le stagioni della vita repubblicana: la polemica contro “l’uomo del Guicciardini” e il “familismo amorale”, il qualunquismo come nemico mortale, i valori (propri) contrapposti non già ad altri valori ma alla meschinità degli interessi, l’eterna maschera del Pulcinella o del Pantalone identificato, di volta in volta, con uno dei personaggi che calcano la scena pubblica (Berlusconi prima di tutto, ma ora per lui è Grillo “l’arci-italiano del peggio”), insomma tutta la sentina dei vizi italici su cui far discendere l’apostolato civile dell’“Officiante del dover essere”, titolo di cui Scalfari stesso si è voluto fregiare. “E’ la maledetta malattia italiana: l’uomo del Guicciardini, che tira a campare; il solito Stenterello, servitore di dieci padroni”. Questo però non è Scalfari, è Piero Calamandrei, addì 1946, all’epoca del referendum sulla monarchia. Le lancette, a quanto pare, sono ferme lì.

Questa caricatura intristita della componente meno liberale dell’azionismo, quella moralistico-giacobina, via via fossilizzata in posa e in ostentazione di status morale, è il sigillo che il Fondatore ha impresso su Repubblica e sulla sua larga famiglia. E così lunedì, dopo le prime proiezioni, partivano due esiziali tweet di Gad Lerner, ottimi per perdere le prossime centoventi elezioni: “L’ostilità alle regole è uno dei vizi italici che spinge gli elettori del centrodestra a confermare il loro voto”, e poi: “Nel segreto dell’urna Bersani non ti vede, ma l’Imu sì”. Il giorno dopo Massimo Giannini parlava del centrodestra come di “un blocco sociale tenuto insieme dagli interessi più che dai valori”, e affermava che il Pd ha perso perché “il paese non ha capito, e non ha seguito”. Uno legge cose così e alza le braccia, gli passa la voglia perfino di svelarne la supponenza, la riproposizione svogliata di cliché antropologici e sociologici, l’assenza della pur minima curiosità per gli elettori degli altri.

Decenni di apostolato del dover essere non hanno salvato l’anima a un solo Stenterello, ma in compenso hanno instillato nel senso comune dell’elettore di sinistra e del lettore di Repubblica quelle disarmanti (e arci-italiane) banalità che risuonano dopo ogni voto: domani emigro a Parigi, siamo un popolo di servi, e così via. Ora, dopo averlo accompagnato passo dopo passo sulla via della disfatta, Repubblica torna a spiegare al Pd cosa il Pd dovrebbe fare, e Giannini mette in croce il povero Bersani chiedendogli candidamente, come niente fosse, se la colpa è “degli italiani che non hanno capito o di voi che non vi siete spiegati”. Il segretario era un pugile troppo “groggy” per rispondere a tono. Ma quando si rimetterà in sesto dal colpo, lui o chi per lui si scrolli di dosso, e in fretta, la tutela morale di Balanzone, e riscopra una verità semplice e bella: che la democrazia la si fa con Stenterello, non contro di lui.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Guido Vitiello

http://www.ilfoglio.it/soloqui/17176

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