sabato 18 maggio 2013

CATTOLICI IN POLITICA: DA DOVE PARTIRE


Intervento del Vescovo Mons. Massimo Camisasca

Ciò che sta davanti a noi è un compito che può sembrare immane e quasi impossibile, tali sono le sfide che deve affrontare. Eppure è un compito che tanti nostri fratelli hanno vissuto, con intelligenza e donazione, con sacrificio e speranza assieme, nei duemila anni di storia cristiana che ci precedono: il compito della testimonianza.
 La fede vissuta nella carità non è senza conseguenze benefiche sulla vita personale e sociale, non è senza conseguenze nella storia. Questa è la speranza che ci muove.

 Essa ha due confini: innanzitutto, dalla fede non si possono dedurre direttamente forme definite di vita politica. Nessuna forma esprime esaurientemente la fede e la carità. Ma, nello stesso tempo, la fede richiede, attraverso la carità, un’espressione nella storia.

 Oggi viviamo un tempo difficile, segnato da molteplici sfide. Sembra che tutto sia diventato liquido, come giustamente è stato scritto, anche le istituzioni stesse dello Stato. La democrazia – come forma di governo più matura di altre e più rispettosa dei diritti-doveri della persona e dei rapporti tra le comunità – necessita di un suo rinnovamento; i partiti devono ritrovare il loro scopo e le regole del loro funzionamento; più ampiamente ancora il diritto deve ritrovare le strade della sua fondazione per non dissolversi in una pura sequenza di risposte funzionali che registrano l’evolversi dell’opinione modellata dai mass-media. E che dire delle minacce che vengono all’uomo nella sua stessa origine biologica?
Eppure non possiamo e non dobbiamo fermarci qui. Il nostro compito è di leggere il presente e di offrire con generosità e costanza ai nostri fratelli quell’esperienza dell’umano che la fede genera e rinnova e che la ragione mostra contenere linee di vita valide per ogni uomo e per ogni donna.

Ecce homo. Poiché Gesù Cristo è vero uomo, oltre che vero Dio, solo lui sa cosa sia l’uomo, quale sia la sua vera statura. Guardando possiamo impararlo. Per questo Paolo VI, parlando dei cristiani alle Nazioni Unite (4 ottobre 1965), li definì «esperti in umanità».
«In comunione con le migliori aspirazioni degli uomini e soffrendo di vederle insoddisfatte, la Chiesa desidera aiutarle a raggiungere la loro piena fioritura e a questo fine offre loro ciò che possiede in proprio: una visione globale dell’uomo e dell’umanità» (Populorum Progressio, 13).

 Questa concezione integrale dell’uomo, che ci viene dalla Tradizione della Chiesa  e dall’insegnamento del Vangelo, ci parla del primato della persona su ogni organizzazione e del suo compimento nella comunione con Dio e con gli altri uomini. La Chiesa, indicando la priorità e la dignità della persona, ci insegna a evitare pericolosi riduzionismi, e a guardare all’uomo come al fine e non allo strumento dell’agire sociale. Questa visione della persona e della società non è innanzitutto espressione di una confessione religiosa, ma mette in luce una esigenza insita nella natura stessa dell’uomo.
Noi cristiani siamo responsabili davanti al mondo di tutto ciò. In un contesto di confronto vitale con le tante proposte che ci vengono dalla nostra società, nell’incontro con le diverse visioni dell’uomo che in essa troviamo, siamo benevolmente costretti a riscoprire continuamente le linee convincenti della proposta all’uomo maturata dalla Tradizione ed espressa, negli ultimi secoli, nella Dottrina sociale della Chiesa, in tanti documenti del magistero sociale.

 (dal sito ufficiale della diocesi di Reggio Emilia)

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