sabato 27 luglio 2013

IL NUOVO TOTALITARISMO

INTERVISTA A MONS. LUIGI NEGRI
di Riccardo Cascioli26-07-2013 da lanuovabussolaquotidiana
 
«Questo della legge sull’omofobia è un fatto gravissimo, è la sconfitta dello Stato laico e l’affermarsi di una nuova tendenza totalitaria. E in tutto questo la cristianità sembra assente». E’ quanto afferma monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio in questa intervista a La Nuova Bussola Quotidiana, primo pastore italiano a prendere chiaramente posizione su questo tentativo di far passare con una procedura d’urgenza la legge anti-omofobia che – come La Nuova BQ sta documentando da settimane - è una legge contro la libertà di espressione e contro la libertà religiosa.

Monsignor Negri, perché una legge sull’omofobia è un fatto gravissimo?
Intanto questa legge è un’ammissione di impotenza da parte dello Stato.

In che senso?
In tutta questa vicenda ci sono delle questioni sostanziali che vengono ridotte o addirittura dimenticate. La prima è che alla coscienza dell’uomo della strada - quale io sono – non è affatto chiaro perché lo Stato abbia bisogno di difendere particolarmente una certa categoria di cittadini. Questa legge in sostanza dice che ci sono dei cittadini che devono essere difesi nei loro diritti al di là dei diritti che ogni cittadino italiano gode per il fatto che è parte della società italiana. E’ evidente allora che c’è una debolezza dello Stato: è come se lo stato dicesse che c’è bisogno di qualcosa di eccezionale per consentire a questi cittadini italiani di vivere adeguatamente i loro diritti di cittadini. Il che mi sembra obiettivamente una cosa assurda.
In ogni caso nessuna spiega in che cosa questi cittadini omosessuali - pratici o teorici che siano - devono essere particolarmente difesi. E vorremmo sapere quali sono le ragioni di necessità obiettiva, culturale, storica e sociale per cui si invoca questa situazione di eccezionalità. Perché anche situazioni di fatto, retaggio del passato e che comunque in Italia sono un fenomeno abbastanza ridotto, sono più che altro segno di inciviltà e di barbarie che si aiuta a risolvere con l’educazione e non con le leggi.

Peraltro lo si fa con una procedura d’urgenza, lasciando indietro situazioni che ogni cittadino può giudicare ben più importanti: la crisi economica, il lavoro, la lentezza della giustizia.
E infatti non si comprende questo carattere di urgenza, un’urgenza tale da autorizzare la presentazione di un disegno di legge che – lo si vede dalle reazioni - apre scenari impegnativi. E qui entra un secondo punto di estrema gravità, ovvero la strada che si è scelta per questa difesa di una categoria particolare.

Si riferisce al reato d’opinione?
Esattamente. Perché la strada che si è scelta poco o tanto finirà per adombrare nel nostro paese il reato di opinione. E qualsiasi, pur frettoloso, studioso della realtà sociale e politica dell’Europa sa che il reato di opinione non è un segno né di democrazia né di una concezione ampia e seria della vita sociale. Nel caso specifico, accadrà che il solo esplicitare le ragioni per cui in forza di precise convinzioni di carattere personale, sociale, culturale, religioso si ritiene che l’omosessualità sia una realtà non condivisibile, metterà in una posizione di discriminazione. Il cattolico, per esempio, che ritiene in perfetta buona fede sul piano della sua esperienza personale di appartenenza alla grande tradizione della Chiesa cattolica che l’omosessualità sia un fatto di disordine, potrà essere addirittura inquisito perché metterebbe in crisi i diritti della minoranza-maggioranza omosessuale.

In sostanza lei dice che a essere discriminati sarebbero coloro che, ad esempio, ritengono ingiusto il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Si aprirebbe una discriminazione gravissima di carattere teorico ancorché pratico fra le varie opinioni presenti nel nostro paese. E questo ci riporterebbe a una situazione più o meno implicita di dittatura. Ricordo che la laicità della nostra vita sociale è ribadita in maniera esplicita dalla Carta Costituzionale che ha messo fine a un periodo di dittatura dove i delitti di opinione erano all’ordine del giorno. Ora si vorrebbe che una opinione, che delle opzioni di carattere sociale vengano di fatto privilegiate dallo Stato al punto che chi in qualche modo ha delle obiezioni di carattere culturale e religioso su queste posizione corre il rischio di essere considerato reo di delitti o di reati di opposizione a una convinzione che non può e non deve essere messa in discussione. In una situazione autenticamente laica e democratica non ci devono essere posizioni che non possano essere discusse, che non possano essere accettate e che possano essere vissute con piena libertà in una vita sociale che proprio nella diversità delle posizioni trova la sua ricchezza.

Però la Costituzione vieta anche delle opinioni.
Certo, la Costituzione ha stabilito ben prima di questo disegno di legge che ci sono delle opinioni che possono e debbono essere contestate dallo Stato, ma si tratta di quelle che mettono tra i loro principi fondamentali e i loro obiettivi la distruzione della situazione culturale e sociale che caratterizza il nostro paese. Non è certo questo il caso. Pare evidente quindi che questi iper-apostoli - se può essere usata questa espressione - questi cittadini le cui convinzioni non possono e non debbono essere messe in discussione, rappresentano un fatto di anomalia e quasi una metastasi nella vita della nostra società. La nostra società vive se tutti i nostri cittadini italiani possono essere veramente liberi di vivere, di esplicitare, di attuare nella vita sociale quelle convinzioni - anche le più diverse - che hanno raggiunto per un cammino personale di coscienza, di approfondimento, di educazione, in cui consiste la loro identità profonda.

Insomma lei ritiene che questa legge, se passasse, ci farebbe scivolare verso una nuova forma di totalitarismo.
Mi pare oggettivo che si stia risvegliando una tendenza totalitaria nella vita sociale dello Stato, perché tutte le volte che in una situazione sociale e politica si privilegia una posizione a danno delle altre, che vengono in qualche modo ridotte quando non negate, si crea una ferita nella vita democratica e laica del paese. Vorrei ricordare a quei signori che hanno presentato questo disegno di legge e a maggior ragione a tutti quelli che si preparano a discuterne che il Novecento, il XX secolo, è terribilmente ricco di esperienze sociali in cui dei cittadini sono stati privati della loro libertà di vivere esplicitamente le convinzioni profonde della loro esistenza e sono stati addirittura privati della vita perché le loro convinzioni erano considerate negative o minacciose per lo stato, fascista o comunista che fosse.

Oggi domina il laicismo...
…Che ha una doppia faccia: la faccia di una realtà che ha intrapreso una battaglia anche lunga per l’affermazione dei principi fondamentali della laicità del paese, della società e dello Stato; ma – e questo è innegabile storicamente a meno di negare l’evidenza – dal laicismo è sorta anche quella tendenza di carattere totalitario sul piano ideologico e politico per cui la gente è stata privata crudelmente della propria possibilità di esprimere i propri diritti. Questo semplicemente perché le loro convinzioni non coincidevano con le convinzioni di taluni che lo Stato o il Partito aveva fatto proprie e riteneva assolutamente indiscutibili. E tali convinzioni si imponevano a tutti i cittadini con la forza della violenza di stato.

C’è però da dire che anche tra i cattolici non pare esserci un giudizio chiaro e univoco.
E’ indubbio che mentre il Paese è impegnato per volontà dei legislatori e del Parlamento in uno snodo difficilissimo della sua vita sociale sembra che la cristianità italiana non sia presente. E per cristianità intendo la realtà istituzionale della Chiesa, le realtà laicali, le realtà associative, tutto il complesso del popolo di Dio che vive oggi in Italia, senza evidenziare maggiori o minori responsabilità. La cristianità non è presente con una chiarezza di motivazioni, con una chiarezza di identità. La libertà è un valore assolutamente unico e indivisibile, bisogna lavorare per la propria libertà – ci invitava Giovanni Paolo II – perché lavorare per la propria libertà è lavorare per la libertà di tutti, accettare di ridurre o perdere la propria libertà è perdere e ridurre la libertà di tutta la società.

Lei dice che non c’è una chiarezza di motivazioni, eppure la Dottrina sociale della Chiesa è molto chiara su questi punti.
Avremmo infatti tutta la forza del Magistero sociale che non ha mai fatto sconti di fronte alle pretese delle istituzioni, qualunque esse siano, di intervenire nello spazio della libertà di coscienza personale. Le proprie preferenze culturali, le proprie preferenze sessuali, le proprie pratiche sessuali sono un fatto che attiene alla libertà della coscienza individuale, personale, di gruppo, non sono una competenza dello Stato. Se lo Stato interviene non importa se per difendere o attaccare le concezioni e pratiche di carattere personale o sessuale, compie lo stesso errore di identificare la sua azione in campi in cui non può e non deve intervenire.
In questa vicenda della legge sull’omofobia c’è dunque in gioco la libertà della coscienza personale e sociale, c’è in gioco la laicità dello Stato. Per la cristianità italiana è una grande occasione per una testimonianza corale.
Intende la necessità di una battaglia?
Non si devono scomodare termini verso i quali c’è una assoluta e motivata idiosincrasia – battaglia, confronto, e così via – ma certamente è necessaria una testimonianza corale della cristianità. Proprio la passione per la nostra identità di fede ci rende appassionati per la vita e la democraticità del paese. Come ricordava Giovanni Paolo II nella terza, straordinaria, parte della Redemptor Hominis, proprio per l’esperienza di fede ecclesiale che viviamo noi siamo buoni cristiani e autentici cittadini del nostro paese, senza nessuna riduzione e senza nessuna discriminazione.

Lei crede che un ripensamento del Parlamento sia ancora possibile?
Quello che è in gioco è sostanziale, per cui mi auguro che prevalga quella famosa cosa che Manzoni diceva essersi perduta o essersi nascosta durante la grande querelle sulla peste di Milano: il buon senso. Mi pare che ci voglia una grande iniezione di buon senso da parte di tutti quelli che intervengono in questa vicenda, che non ci siano scompensi di carattere demagogico, populistico, che non fanno bene al nostro paese, già così provato dal punto di vista della identità culturale e sociale
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giovedì 25 luglio 2013

IL DIAVOLO AGISCE NELLA STORIA, MA MARIA E' PIU' FORTE

Il 24 luglio Papa Francesco, proseguendo il suo viaggio apostolico in Brasile, si è recato in pellegrinaggio al santuario mariano di Nostra Signora Aparecida - il cuore cattolico del Brasile e uno dei luoghi di pellegrinaggio più frequentati del mondo -, accolto da oltre duecentomila persone. Ha poi voluto portare la sua parola di conforto ai malati dell'Ospedale San Francesco d'Assisi. Ad Aparecida ha voluto consacrarsi alla Madonna - ricordando che già si era affidato a Lei subito dopo la sua elezione, a Santa Maria Maggiore - con una formula che è il segno di un pontificato profondamente mariano: «Prostrato ai Tuoi piedi, ti consacro la mia mente, perché pensi sempre all’amore che meriti; ti consacro la mia lingua perché sempre Ti lodi e diffonda la Tua devozione; ti consacro il mio cuore perché, dopo Dio, Ti ami sopra ogni cosa».
Nell'omelia il Papa è tornato, come ha già fatto altre volte, sulla V Conferenza Generale dell'Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi, che si tenne ad Aparecida nel 2007, un'esperienza che ha spesso citato come esempio dei contenuti e anche dello stile che vorrebbe imprimere al suo pontificato. In quell'evento, ha detto, «è avvenuto un fatto bellissimo di cui ho potuto rendermi conto di persona: vedere come i Vescovi – che hanno lavorato sul tema dell’incontro con Cristo, il discepolato e la missione – si sentivano incoraggiati, accompagnati e, in un certo senso, ispirati dalle migliaia di pellegrini che venivano ogni giorno ad affidare la loro vita alla Madonna».
Di Aparecida Francesco ha apprezzato «l'intreccio fra i lavori dei Pastori e la fede semplice dei pellegrini, sotto la protezione materna di Maria». I vescovi non si limitarono a parlare dei fedeli: parlarono con i fedeli, non quelli di qualche commissione pastorale ma il popolo quotidiano dei pellegrinaggi. Un popolo che anzitutto andava a trovare la Madonna. «La Chiesa, quando cerca Cristo bussa sempre alla casa della Madre e chiede: “Mostraci Gesù”. È da Lei che si impara il vero discepolato. Ed ecco perché la Chiesa va in missione sempre sulla scia di Maria».

Maria «ha amato ed educato Gesù», e oggi il Papa le chiede di educare i giovani della GMG, di aiutare «noi, i Pastori del Popolo di Dio, i genitori e gli educatori, a trasmettere ai nostri giovani i valori che li rendano artefici di una Nazione e di un mondo più giusti, solidali e fraterni». Dividendo come fa molto spesso la sua omelia in tre parti, Papa Francesco ha affermato che la GMG educa i giovani proponendo loro tre «atteggiamenti: mantenere la speranza, lasciarsi sorprendere da Dio e vivere nella gioia».


Primo atteggiamento: mantenere la speranza.

Partendo da una lettura della Messa, il Papa è tornato a parlare - anche questo è un suo tema ricorrente - del diavolo, evocando «una scena drammatica: una donna – figura di Maria e della Chiesa – viene perseguitata da un Drago - il diavolo - che vuole divorarne il figlio». Eppure «la scena non è di morte, ma di vita, perché Dio interviene e mette in salvo il bambino». Il drago alla fine non può prevalere su Maria. Questa è la lezione per noi: le circostanze storiche, e anche il diavolo, ci mettono di fronte a tante difficoltà, ma «per quanto grandi possano apparire, Dio non lascia mai che ne siamo sommersi».
Oggi è normale lo «scoraggiamento che potrebbe esserci nella vita, in chi lavora all’evangelizzazione oppure in chi si sforza di vivere la fede come padre e madre di famiglia». Ma allo scoraggiamento non bisogna cedere. «Non perdiamo mai la speranza! Non spegniamola mai nel nostro cuore! Il “drago”, il male, c’è nella nostra storia, ma non è lui il più forte. Il più forte è Dio, e Dio è la nostra speranza!».

Perché spesso lo scoraggiamento prevale? Perché, risponde Francesco, «oggi un po’ tutti, e anche i nostri giovani sentono il fascino di tanti idoli che si mettono al posto di Dio e sembrano dare speranza: il denaro, il successo, il potere, il piacere. Spesso un senso di solitudine e di vuoto si fa strada nel cuore di molti e conduce alla ricerca di compensazioni, di questi idoli passeggeri». Gli adulti qualche volta causano o favoriscono la corsa agli idoli dei giovani, ritenendo che abbiamo «bisogno solo di cose». Ma non è così: «hanno bisogno soprattutto che siano loro proposti quei valori immateriali che sono il cuore spirituale di un popolo, la memoria di un popolo», e che in Brasile si possono «quasi leggere» guardando alla storia e al santuario di Aparecida.
Secondo atteggiamento: lasciarsi sorprendere da Dio.

Che «in mezzo alle difficoltà, Dio agisce e ci sorprende» lo dimostra appunto la storia di Aparecida, che il Pontefice ha voluto rievocare. In breve: «tre pescatori, dopo una giornata a vuoto, senza riuscire a prendere pesci, nelle acque del Rio Parnaíba, trovano qualcosa di inaspettato: un'immagine di Nostra Signora della Concezione», malridotta, ma che rimettono a posto con amore. «Chi avrebbe mai immaginato che il luogo di una pesca infruttuosa sarebbe diventato il luogo in cui tutti i brasiliani possono sentirsi figli di una stessa Madre? Dio sempre stupisce, come il vino nuovo nel Vangelo». Anche oggi Dio continua a stupire, siamo noi che talora abbiamo perso la capacità di stupirci. Ecco allora che da Aparecida Dio «chiede che noi ci lasciamo sorprendere dal suo amore, che accogliamo le sue sorprese».
Terzo atteggiamento: vivere nella gioia.

«Il cristiano è gioioso, non è mai triste». Sa che il drago, per quanto potente, è già stato sconfitto, «Il cristiano non può essere pessimista! Non ha la faccia di chi sembra trovarsi in un lutto perpetuo. Se siamo davvero innamorati di Cristo e sentiamo quanto ci ama, il nostro cuore si “infiammerà” di una gioia tale che contagerà quanti vivono vicini a noi». Francesco ha reso omaggio a Benedetto XVI, che il 3 maggio 2007 venne a inaugurare la Conferenza di Aparecida, ricordando ai vescovi: «Il discepolo è consapevole che senza Cristo non c'è luce, non c'è speranza, non c'è amore, non c'è futuro».

Alla fine, decisive sono le parole di Maria, che mostra Gesù e ci chiede: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2, 5). «Sì, Madre nostra - risponde Papa Francesco - noi ci impegniamo a fare quello che Gesù ci dirà! E lo faremo con speranza, fiduciosi nelle sorprese di Dio e pieni di gioia»

LA REPRESSIONE PER TUTTI?

Dalla Francia sappiamo come andrà a finire
È uscito in Francia un libro davvero impressionante, «La répression pour tous?», «La repressione per tutti?», dell'imprenditore e attivista politico François Billot de Lochner (Lethielleux, Parigi 2013). Di passaggio a Parigi, ho potuto raccogliere qualche ulteriore testimonianza sui fatti di cui si parla, ma il volume - il cui titolo evoca il «matrimonio per tutti», omosessuali compresi, introdotto in Francia dalla legge Taubira, e la «manifestazione per tutti» che vi si è opposta - parla da solo.


La collezione di violenze poliziesche contro chi manifesta per la famiglia criticando il matrimonio e le adozioni omosessuali in Francia è impressionante, ma rischia di fare perdere di vista un passaggio essenziale, che pure il volume spiega. La polizia - opportunamente istruita dal potere esecutivo - non interviene in nome di presunte leggi che vietino di manifestare contro il governo o il Parlamento. Non ci sono leggi simili in Francia. Interviene, bastona e usa i gas lacrimogeni perché in Francia c'è una legge sull'omofobia. Una legge del 2004 che permette d'intervenire in modo duro contro chi promuove la discriminazione razziale o fondata sul genere, emendata a due riprese nel 2008 e nel 2012. Oggi la legge punisce anche chi - così recita l'articolo 1 - «crea un clima ostile» a un'etnia, una razza o un «orientamento sessuale». Chi ha manifestato contro la legge Taubira è stato accusato di «creare un clima ostile» agli omosessuali, crimine che è punito con la prigione e permette l'arresto del pericoloso criminale colto in flagrante mentre esprime la sua ostilità.

Si noti - perché interessa all'Italia - la precisa concatenazione temporale: prima si modifica la legge sull'omofobia per permettere al meccanismo repressivo di stroncare eventuali proteste, poi si fa passare la legge che introduce il matrimonio e le adozioni omosessuali. E chi «crea un clima ostile» agli omosessuali, facendo scattare le gravi sanzioni previste dalla legge sull'omofobia? Qui il libro di Billot de Lochner si legge come un romanzo di Franz Kafka (1883-1924) o di George Orwell (1903-1950). Vi trovate sugli Champs Elysées, studenti e studentesse, per prendere un aperitivo e vi sfugge qualche commento ostile alla legge Taubira? «Clima ostile»: la polizia arriva subito, vi porta via dal bar e vi spinge in una stazione della metropolitana intimandovi di disperdervi. Vi avviate alla coda per visitare la Sainte- Chapelle con una maglietta che non insulta nessuno ma porta il logo della «Manifestazione per tutti»? Mal ve ne incoglie: «clima ostile», siete fermato dai gendarmi e caricato sul cellulare. Siete un'handicappata e, confidando nella legge che protegge i disabili, aspettate con qualche amico alla stazione di Caen l'arrivo di un ministro con le bandiere della «Manifestazione per tutti»? Confidate male: vi accusano di «clima ostile», la polizia vi butta a terra e continua a picchiarvi dopo che siete caduta - tutto filmato e documentato su YouTube. Siete dei politici francesi - accompagnati da uno italiano, Luca Volonté - e portate anche voi una maglietta della «Manifestazione per tutti»? Arrestati e tenuti in guardina tutta la notte. Reagite in modo non violento, cantando nel cellulare che vi porta in prigione? La polizia getta un candelotto lacrimogeno nel cellulare per impedirvi di cantare e perpetuare il «clima ostile».

E tutto questo senza contare le vere e proprie violenze e brutalità poliziesche, l'uso dei lacrimogeni anche contro mamme che manifestano con bambini n passeggino, e gli insulti - da «fascista» a «puttana» -, tutto oggetto di un dossier presentato dallo stesso Luca Volonté al Consiglio d'Europa, di cui «La nuova Bussola quotidiana» ha già parlato. Il libro nota che la repressione si scatena solo contro chi critica la legge Taubira. Il 13 maggio 2013 violenze a Parigi da parte di tifosi di calcio che hanno distrutto automobili e saccheggiato negozi, trasformando - come ha detto un commerciante - «una zona di Parigi in Beirut», sono state affrontate dalla polizia con estrema tolleranza. Qui non si applica la legge sull'omofobia, e dunque un ultras del calcio che sfascia un'automobile è considerato meno pericoloso di una mamma che si mette una maglietta pro-famiglia. O meglio, qualche tifoso di calcio è arrestato, come scopre un tale che l'8 maggio festeggia la vittoria della sua squadra. Lo arrestano perché ha commesso un errore: forse nella fretta, è sceso in strada a festeggiare con una maglietta della «Manifestazione per tutti».

Per non parlare delle Femen, il gruppo ucraino di attiviste pro-gay e anti- religiose che protestano denudandosi, una delle cui leader, Imma Shevchenko, ricercata in Ucraina e Russia non solo ha ottenuto asilo politico in Francia, ma - lo abbiamo già raccontato su queste colonne - ha prestato il volto al simbolo della Repubblica francese, Marianna, per il nuovo francobollo unico voluto dal presidente Hollande. Nel 2012 le Femen hanno gettato un liquido che sembrava proprio urina su manifestanti anti-legge Taubira. il 12 febbraio 2013 sono entrate a Notre-Dame spogliandosi e proponendo il consueto repertorio di bestemmie e pose oscene. Non sono state neppure fermate dalla polizia: solo accompagnate, con cortesia e sorrisi, nel vicino commissariato per l'identificazione. È vero, a Parigi si vocifera che la Shevchenko sia legata da affettuosa amicizia a un'altissima personalità della «République»: ma l'impressione di due pesi e due misure resta fortissima. Non si tratta di fatti che interessano solo ai francesi. Mostrano a che cosa servono le leggi sull'omofobia e come saranno applicate. Oggi in Francia, domani in Italia.


Massimo Introvigne "La Bussola Quotidiana"

NON SI POTRA' MAI COSTRUIRE UN PAESE LIBERO CON LA CHIESA CATTOLICA

Danton non avrebbe saputo dirlo meglio.

 “Non si potrà mai costruire un paese libero con la religione cattolica”. A parlare così non è un rivoluzionario del comitato di salute pubblica, ma l’odierno ministro dell’Istruzione di Parigi, Vincent Peillon.

Le ardite dichiarazioni sono contenute in un video che da giorni circola su Internet, in cui Peillon presenta il nuovo libro “La Rivoluzione francese non è ancora terminata”. Dice Peillon che “non si può fare una rivoluzione unicamente in senso materiale, bisogna farla nello spirito. Adesso abbiamo fatto la rivoluzione essenzialmente politica, ma non quella morale e spirituale. Quindi abbiamo lasciato la morale e la spiritualità alla chiesa cattolica. Dobbiamo sostituirla”. Allora “bisogna inventare una religione repubblicana” e “questa nuova religione è la laicità”.


Il luogo privilegiato per portarla a compimento è la scuola: “La rivoluzione implica l’oblio per tutto ciò che precede la rivoluzione. E quindi la scuola gioca un ruolo fondamentale, perché la scuola deve strappare il bambino da tutti i suoi legami pre repubblicani per insegnargli a diventare un cittadino. E’ come una nuova nascita, una transustanziazione che opera nella scuola e per la scuola, la nuova chiesa con i suoi nuovi ministri, la sua nuova liturgia e le sue nuove tavole della legge”. Ecco spiegata in poche battute l’essenza di questa laicità francese, e più in generale di Bruxelles coi suoi codicilli: una liturgia secolarista che deve sorgere sulle ceneri della vecchia morale laico-religiosa. Non si tratta della “laïcité positive” mutuata dal modello americano di religione civile, né della “laïcité identitaire” dei conservatori, ma della “laïcité d’opposition”, una laicità militante e aggressiva.

Una laicità che deve emancipare l’individuo “da ogni determinismo”: famigliare, religioso, sociale, biologico. E’ pura vocazione al pensiero unico, politicamente e ideologicamente corretto. E’ uno scisma nel liberalismo occidentale che risale alle due rivoluzioni fondatrici. In Francia i rivoluzionari detestavano Dio. I Padri fondatori americani invece divisero la chiesa dallo stato per proteggere la prima dal secondo. Come rivela Peillon nel video, in Francia da sempre si vuole fare il contrario.

da ilfoglio

martedì 23 luglio 2013

L'EQUIVOCO LIBERTICITA


di GIANFRANCO AMATO
da la nuova bussola quotidiana
In merito alla proposta di legge sul contrasto all’omofobia che andrà in discussione il prossimo 26 luglio, occorre fare una precisazione. Ciò in quanto sembra circolare – anche in ambienti cattolici –una falsa rappresentazione della delicata tematica. Alcuni, infatti, sono erroneamente convinti che le nuove norme in materia di contrasto all’omofobia siano volte a tutelare esclusivamente da forme di violenza gli omosessuali, i bisessuali e tutti «coloro che hanno una percezione di sé come appartenente al genere femminile o maschile, anche se opposto al proprio sesso biologico, come recita l’art. 1 della stessa proposta di legge».

Non è così.
Le nuove norme, qualora approvate, andranno a modificare l’art.3 della Legge 13 ottobre 1975, n.654, (Ratifica ed esecuzione della convenzione Internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966), il cui primo comma prevede due ipotesi ben distinte alle lettere a) e b).

Se passa la proposta di legge, quell’articolo dovrà essere letto in questo modo:
«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell'attuazione della disposizione dell'articolo 4 della convenzione, è punito:
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi, di orientamento sessuale o di identità di genere;
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, di orientamento sessuale o di identità di genere.
È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi, di orientamento sessuale o di identità di genere.
Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni».

Come si può ben vedere, quindi, un conto è la «propaganda» e «l’istigazione a commettere o commettere atti di discriminazione», prevista dalla lettera a), e un conto è «l’istigazione a commettere o commettere violenza o atti di provocazione alla violenza».

In questa sede torniamo a ribadire che il punto non è privare alcuni soggetti della tutela giuridica per atti di violenza – già, peraltro, ampiamente garantita dal Codice Penale – ma quello di garantire la libertà di opinione, ovvero il fondamentale caposaldo su cui dovrebbe poggiare la società occidentale di stampo liberale, che si autodefinisce democratica.

Come abbiamo più volte ribadito a proposito di queste norme contro l’omofobia, in gioco non c’è soltanto la libertà religiosa ma la stessa libertà di opinione, poiché la proposta di legge, così come formulata, non potrà non avere gravi ripercussioni sui diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti dalla nostra Costituzione, tra cui il diritto alla libertà di pensiero (art.21) e alla libertà religiosa (art.19).

Chi scrive è profondamente, convintamente e irrefragabilmente contrario al matrimonio omosessuale ed alla possibilità che questi adottino minori, ma non potrebbe mai tollerare l’idea che chi pensa diversamente debba finire in galera. E’ semplicemente inconcepibile che chi legittimamente propugna e si batte per il riconoscimento del matrimonio e delle adozioni gay, possa rischiare la reclusione fino ad un anno e sei mesi, o da sei mesi a quattro anni se fa parte dell’Arcigay, o da un anno a sei anni se dirige o presiede l’Arcigay.

Qualcuno spieghi perché ciò non dovrebbe valere al contrario.

Mai come in questo caso vale il motto della scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall, erroneamente attribuito a Voltaire: «I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it», ossia «disapprovo tutto quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo». Così si è veri liberali.

 

UNA LEGGE CONTRO LA LIBERTA' DI PENSIERO

NON E' UNA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA
 
La Commissione Giustizia della Camera dei Deputati ha approvato il testo base del DDL contro l'omofobia e la transfobia, testo che andrà all'esame dell'Aula il prossimo 22 luglio.
In previsione di tale importante passaggio parlamentare, i Giuristi per la Vita lanciano un appello per fermare questa iniziativa legislativa, che rischia seriamente di avere gravi ripercussioni sui diritti fondamentali dell'uomo riconosciuti dalla nostra Costituzione, tra cui il diritto alla libertà di pensiero (art.21) e alla libertà religiosa (art.19).

Dal punto di vista pratico, infatti, l'approvazione delle norme contro l'omofobia e la transfobia potrebbe determinare l'incriminazione, ad esempio, di tutti:

1. coloro che sollecitassero i parlamentari della Repubblica a non introdurre nella legislazione il "matrimonio" gay;
2. coloro che proponessero di escludere la facoltà di adottare un bambino a coppie omosessuali, atteso che, secondo l'approccio ideologico appena recepito dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, non ammettere una coppia gay al matrimonio costituirebbe discriminazione motivata dall'identità sessuale;
3. coloro che pensassero di organizzare una campagna di opinione per contrastare l'approvazione di una legge sul "matrimonio" gay;
4. coloro che pubblicamente affermassero che l'omosessualità rappresenta una «grave depravazione», citando le Sacre Scritture (Gn 19,1-29; Rm 1,24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tm 1,10.);
5. coloro che pubblicamente dichiarassero che gli atti compiuti dagli omosessuali «sono intrinsecamente disordinati», in virtù del proprio credo religioso (Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana);
6. coloro che pubblicamente sostenessero che gli atti compiuti dagli omosessuali sono «contrari alla legge naturale», poiché «precludono all'atto sessuale il dono della vita e non costituiscono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale» (art. 2357 del Catechismo della Chiesa Cattolica).


Le norme che si intendono approvare rispondono ad una mera prospettiva ideologica, del tutto inutile sul piano legale, godendo gli omosessuali degli strumenti giuridici previsti dal codice penale per i tutti i cittadini, contro qualunque forma di ingiusta discriminazione, di violenza, di offesa alla propria dignità personale.

La proposta di legge sull'omofobia, pertanto, non merita di entrare nel nostro ordinamento. Opporvisi non è una battaglia di retroguardia, tesa a garantire chissà quale privilegio o quale ingiustificata impunità, ma significa battersi contro il rischio di una pericolosa violazione della libertà di espressione del pensiero e del credo religioso, fondamento di tutte le libertà civili nel quadro costituzionale vigente. La cronaca, del resto, mostra ampiamente cosa accade nei Paesi europei in cui è già prevista una legge contro l'omofobia: basti guardare al Regno Unito ed alla famigerata Section 5 del Public Order Act.
Per questo, i Giuristi per la Vita si appellano ai parlamentari della Repubblica italiana, e a tutti gli uomini di buona volontà, affinché venga scongiurato il rischio dell'introduzione di una simile normativa nel nostro ordinamento giuridico.

IL PRESIDENTE
Avv. Gianfranco Amato

venerdì 19 luglio 2013

IL GIOCO DELL'ESTATE


BACI PERUGINA O BOLDRINI?

Chi riuscirà a distinguere?

Lo squallido bullismo maschile antico di secoli oggi si ammanta di modernità tecnologica


Quando si scrive delle donne, bisogna intingere la penna nell'arcobaleno.

L’emergenza clandestini non esiste. È solo un’invenzione

Se la corda è lunga l'aquilone volerà in alto.

Tutto si vende con il corpo delle donne

L’Italia in questi anni ha perso proprio questo: la credibilità

La vita è il fiore per il quale l'amore è il miele.

SARTORI VS KYENGE-BOLDRINI

L'INCOMPETENZA AL POTERE

Giovanni Sartori torna ad attaccare il ministro dell'integrazione Cecile Kyenge. Il politologo, con un editoriale sul Corriere della Sera, dopo aver consigliato alla Kyenge "lezioni d'italiano", ora la accusa di incompetenza e di essere di fatto una raccomandata. "Letta è del mestiere, conosce bene il mondo politico nel quale vive. Chi gli ha imposto, allora, una donna (nera, bianca o gialla non fa nessunissima differenza) specializzata in oculistica all'Università di Modena per il delicatissimo dicastero della "integrazione"? Lei, la Kyenge, si batte per un ius soli (la cittadinanza a tutti coloro che sono nati in Italia) mentre il suo ministero si dovrebbe occupare di 'integrazione'. Allora a chi deve la sua immeritata posizione la nostra brava Kyenge Kashetu? Tra i tanti misteriosi misteri della politica italiana questo sarebbe davvero da scoprire", afferma Sartori.


Secondo il politologo la Kyenge ha fallito su tutta la linea: "Nullità che diventano ministri, brave persone messe al posto sbagliato. La Kyenge non sa, a quanto pare, che l'integrazione non ha niente a che fare con il luogo di nascita: è una fusione che avviene, o anche non avviene, tra un popolo e un altro. Io ho scritto un libro per spiegare quali siano i requisiti di questa integrazione etico-politica (che non è integrazione di tutto o in tutto). Capisco che un'oculista non deve leggere (semmai deve mettere i suoi pazienti in condizioni di leggere). Ma cosa c'entra l'immigrazione e l'eventuale integrazione con le competenze di un'oculista? Ovviamente niente".

Poi Sartori sposta il mirino su Montecitorio e se la prende pure con Laura Boldrini: "Un'altra raccomandata a quanto pare anch'essa di ferro (da chi?) è la presidente della Camera. In questo caso le credenziali sono davvero irrisorie. Molta sicumera, molto presenzialismo femminista ma scarsa correttezza e anche presenza nel mestiere che dovrebbe fare. L'Italia non si può permettere governi combinati (o meglio scombinati) da misteriose raccomandazioni di misteriosissimi poteri. Siamo forse arrivati alla P3?". (I.S.)

mercoledì 17 luglio 2013

WELCOME LUCY MAE

BENE ARRIVATA LUCY MAE


HAI FATTO UN LUNGO VIAGGIO E ORA SEI ARRIVATA.

RIPOSATI NELL’ABBRACCIO DI TUA MADRE E DI TUO PADRE



«Se tu vai indietro nel dolore della nascita incontri un atto d’amore perché tuo padre e tua madre si sono amati in Dio; in Cristo si sono amati. Bisogna dirlo. Credo che non bisogna aver paura di dirlo: perché sono cose che se si pronunciano nella speranza diventano di per sé sacre. Ecco: c’è un momento di sperdutezza in un uomo e in una donna che si amano; di sperdutezza e di liberazione». (G.Testori)

LUCY MAE è nata il 16 luglio ad Alton, Il, alle 8.30pm, figlia di Leslie e di Leonardo Marcatelli.
A Cesenatico alla stessa ora stava sorgendo il sole per festeggiare il suo arrivo.



martedì 16 luglio 2013

VIVIAMO IMMERSI NEL RANCORE


Intervista a Giuseppe De Rita
da Avvenire


Oggi contro il nero, domani contro l’ebreo e poi, ancora, il dito puntato contro qualcun altro. Sono solo idiozie o forme di un razzismo strisciante che nasce da un generale malessere? Sono tutte domande che rivolgiamo al sociologo Giuseppe De Rita, presidente e segretario generale del Censis, l’istituto di ricerca che puntualmente fornisce fotografie aggiornate di noi italiani.
Professore, adesso Calderoli, ma di tanto in tanto emergono fenomeni di intolleranza. L’Italia è diventata razzista?
Non siamo mai stati razzisti, nemmeno quando arrivarono i meridionali a Milano. In realtà, non c’è mai stato un meccanismo di razzismo in senso proprio. Certo, un italiano può sentirsi diverso da uno con la pelle nera, ma nei fatti il razzismo non c’è. È dovuto a un aumento dell’alterità, cioè il considerare l’altro come diverso da noi. Ma non più di questo.
Un aumento di alterità anche per il vicepresidente del Senato?
In quest’ultimo caso vedo un doppio protagonismo di persone le quali sanno che con queste battute vanno sicuramente sui giornali e creano un caso, ottenendo una piccola centralità per due giorni sulla scena politica.
E l’altro protagonismo?
È quello della lingua, l’italiano è affezionato alla sua lingua, alla pronuncia di alcune parole. Basterebbe vedere anche la sua affezione al dialetto. L’italiano sente nel modo in cui si esprime in termini linguistici un fatto connotante di se stesso. Ciascuno è la propria lingua. Naturalmente, certe volte, la lingua scappa. Dice delle cose irriguardose, ma non tutti rinuncerebbero a usare allo stadio o in altri luoghi certi epiteti. La lingua è più veloce del cervello. Le cose dette forse non sono sufficientemente pensate.
D’accordo: voce dal sen fuggita. Ma cosa spinge ad avere manifestazioni razziste in una società che razzista non è?
C’è nella società italiana una base fondamentale fatta di rancore. Viviamo un momento rancoroso. Non ci va bene niente. Usciamo di casa e non ci va bene l’edicolante o il bigliettaio del tram, ammesso ci sia ancora. O non ci piace il collega d’ufficio... C’è una sorta di insoddisfazione, di «ciclo basso dell’empatia», cioè il rapporto con gli altri, che fa vedere tutto in termini rancorosi.
I giornali lo alimentano?
Nel senso che li apri e trovi venticinque notizie che ti fanno essere rancoroso con il mondo e con la gente che si comporta in una certa maniera. Questo rancore, a un certo punto, assume in certe occasioni, come allo stadio, forma di razzismo: verso l’arbitro o un giocatore avversario che ha la pelle nera. Ma queste manifestazioni razziste sono espressive solo del rancore e non nella destinazione del rancore. Insomma, il problema è mio che non so stare con gli altri e quindi esprimo rancore. Farlo passare come forma di razzismo è quasi nobilitarlo. Ma è soltanto rancore diffuso.
Ma cosa lo determina? Forse una generale insoddisfazione della società italiana?
Qualcuno ha scritto che il rancore è il «risentimento per quello che non è stato». Noi siamo un popolo che fino a qualche anno fa era ricco, abbastanza potente, quinta potenza del mondo, prima e seconda casa eccetera eccetera... La generazione attuale, che invece non prevede di raggiungere quegli stessi obiettivi, ha il risentimento per quello che non è stato, per quello che non è e per quello che pensa non potrà essere.
Non sarà anche che l’Italia, a differenza di altre nazioni europee, molto più tardi ha avuto propri cittadini con un colore diverso della pelle?
Ma l’Italia da tempo ha avuto modo di conoscere lo straniero, il diverso da sé. Li abbiamo conosciuti tutti, dai Longobardi agli Unni, fino ai Piemontesi, stranieri per buona parte dei Meridionali. Il diverso l’abbiamo visto sempre come qualcuno superiore a noi, perché ci aveva occupato, perché ci comandava. Era sostanzialmente un nemico che accettavamo per quieto vivere o per vigliaccheria. Nel momento in cui il diverso non è più potente di noi ma, al contrario, è più debole di noi, forse ci rifacciamo proprio con questa forma rancorosa.


Giovanni Ruggiero
da AVVENIRE

sabato 13 luglio 2013

ALASDAIR MACINTYRE

DOPO LA VIRTÙ

UN QUARTO DI SECOLO DOPO

PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE ITALIANA



(…) Nell`ultima frase di Dopo la virtù affermo che stiamo aspettando un nuovo San Benedetto. La grandezza di Benedetto sta nell‘aver reso possibile l`istituzione del monastero centrato sulla preghiera, sullo studio e sul lavoro, nel quale e intorno al quale le comunità potevano non solo sopravvivere, ma svilupparsi in un periodo di oscurità sociale e culturale. Gli effetti della visione fondazionale di Benedetto e la loro ricaduta istituzionale grazie a quanti in modi diversi hanno seguito la sua regola erano in gran parte imprevedibili per quei tempi.

Quando scrissi quella frase conclusiva nel 1980, era mia intenzione di suggerire che anche la nostra epoca è un tempo di attesa di nuove e inattese possibilità di rinnovamento. Allo stesso tempo, è un periodo di resistenza prudente e coraggiosa, giusta e temperante nella misura del possibile, nei confronti dell`ordine sociale, economico e politico dominante nella modernità avanzata. Questa era la situazione ventisei anni fa, e tale ancora oggi rimane.

ALASDAIR MACINTYRE





TENETE LA FEDE FUORI DELLO SPAZIO PUBBLICO

L’INTOLLERANZA DELL’EUROPA

LA FATALE PRIVATIZZAZIONE DEL CRISTIANESIMO

Un saggio dell’americano Paul Coleman

Si tratta di una forma di vessazione “bianca”, legale, all’apparenza incruenta. “Ma non dovremo aspettare ancora a lungo prima che la parola per descrivere questo fenomeno diventi persecuzione”. Così si chiude il lungo saggio sulla secolarizzazione in Europa pubblicato dalla rivista americana First Things, madrina del cattolicesimo conservatore statunitense. “European faith made private”, il saggio a firma di Paul Coleman, passa in rassegna questo arcipelago europeo dell’intolleranza, volano di una rivoluzione del cristianesimo in occidente. Ovvero la sua “totale e fatale privatizzazione”.
Cirillo e Metodio

“Si ritiene che l’Europa occidentale sia la sola parte del mondo in cui la cristianità è in declino e che i cristiani dentro a quei confini siano sottoposti a pressione perché nascondano la propria fede a livelli inusitati altrove in paesi anche solo nominalmente cristiani”, scrive Coleman. “La ragione non sta nella persecuzione, ma nella privatizzazione. In Europa è stata tracciata una linea chiara fra fede e pratica religiosa, così che ai cristiani viene costantemente ricordato che possono credere quello che vogliono o fare quel che vogliono dentro le loro chiese, ma semplicemente non lo possono fare o dire in pubblico. Ai cristiani viene detto di essere miti e di tenere la loro fede fuori dallo spazio pubblico. E il miglior modo per mantenere privato il cristianesimo è mantenere quieti i cristiani. L’Europa oggi ha dozzine di leggi per impedire ai cristiani di esprimersi su questioni controverse, non soltanto nei luoghi pubblici, ma anche nei pulpiti e nelle conversazioni private, rafforzate dal codice penale”. Coleman passa in rassegna i casi principali e le sentenze di Bruxelles.

“Alcuni anni fa il pastore svedese Ake Green fu condannato a un mese di carcere per aver predicato l’insegnamento biblico contro l’immoralità sessuale dalla sua piccola chiesa di Borgholm”. Il crimine di Green era stato quello di “mancanza di rispetto per gli omosessuali”, un nuovo reato a Stoccolma che comporta una sentenza massima di quattro anni di carcerazione. “Fortunatamente, Green ha beneficiato della pubblicità e la Corte suprema lo ha prosciolto due anni dopo aver tenuto quel sermone. Ma anziché rigettare la censura, molti paesi europei l’hanno adottata”.

L’anno scorso in Irlanda la polizia ha aperto un fascicolo sul vescovo Philip Boyce, dopo che uno dei leader del secolarismo nazionale, John Colgan, si era lamentato di una omelia “offensiva” in cui il vescovo dichiarava che la chiesa è sotto attacco “da parte di una cultura senza Dio”. Colgan disse che “questo è incitamento all’odio contro dissidenti e laici”. Anziché ignorare la denuncia, la polizia irlandese l’ha girata al procuratore generale, che a sua volta ha aperto un’inchiesta. Il vescovo avrebbe rischiato due anni di carcere se giudicato colpevole.

“In Spagna, il vescovo Juan Antonio Reig Plà è stato minacciato di azione legale dopo aver predicato contro gli effetti del comportamento peccaminoso. La lobby gay era oltraggiata dalla sua citazione dell’omosessualità. Mentre l’azione penale non è andata avanti, il comune di Madrid ha approvato una mozione in cui chiede che il vescovo venga rimosso dal suo incarico e che non venga mai più invitato a eventi pubblici della capitale”.



Silenzio in privato e nel posto di lavoro

“Anche le conversazioni private fra cittadini possono diventare oggetto di azione penale in molti paesi europei”, afferma Coleman. Due anni fa, i proprietari di un hotel inglese, Ben e Sharon Vogelenzang, sono stati denunciati da un ospite dell’albergo di fede islamica per aver usato “parole offensive”. Il caso raggiunse la Corte di giustizia. Alla fine i due coniugi vennero prosciolti da ogni accusa, ma il caso ha distrutto la loro attività commerciale.

“Il cristianesimo è tenuto fuori anche dal posto di lavoro”. Quattro casi di alto profilo nel Regno Unito stanno raggiungendo la Corte europea dei diritti dell’uomo. Gary McFarlane e Lillian Ladele sono stati licenziati per essersi rifiutati di registrare o sostenere il matrimonio omosessuale. Ladele era una funzionaria addetta alla registrazione delle nascite, dei decessi e dei matrimoni. “Quando le unioni civili omosessuali furono introdotte dal governo nel 2005, Ladele comprese che registrare quelle unioni andava contro la sua religione. C’erano molti altri addetti alle registrazioni e le unioni gay erano soltanto una piccola parte del suo lavoro, per cui un compromesso con i suoi principi sul matrimonio sarebbe stato facile da raggiungere”. Ladele invece è stata attaccata dai colleghi, che l’hanno accusata di “omofobia”, mentre il suo supervisore riferì del caso ad altri funzionari. In tribunale il suo superiore ha sintetizzato la propria posizione dicendo: “Non penso che dobbiamo assecondare i principi religiosi nel Servizio dell’anagrafe”. Alla fine, Ladele è stata costretta a dimettersi.

McFarlane lavorava come consulente delle relazioni per una organizzazione caritatevole. Aveva già sollevato dubbi sul fatto di fornire consulenze alle coppie omosessuali, pensando che questo avrebbe significato assecondare delle relazioni che lui reputava sbagliate. Tuttavia, dopo averne discusso con il proprio superiore, McFarlane decise che fornire consulenza a queste coppie non costituiva una forma di sostegno. Ma disse anche di avere difficoltà nel trattare comportamenti omosessuali secondo l’insegnamento della Bibbia. “McFarlane non mandò mai via dei clienti, ma soltanto il fatto di aver sollevato la questione con il suo supervisore portò alla sua cacciata per condotta sbagliata. Tentativi di arrivare a una mediazione, come un cambio interno all’azienda, furono rigettati dal tribunale, che stabilì che il suo supervisore ‘ha il diritto di trattare la questione come un principio, in cui il compromesso è inappropriato’”.

Gli altri due, Nadia Eweida e Shirley Chaplin, chiedevano il diritto di continuare a indossare una piccola croce sul luogo di lavoro, cosa che avevano fatto per anni. Nel caso di Eweida, la British Airways dopo uno scontro pubblico ha emendato la regola aziendale, ma si è rifiutata di rimborsare Eweida per lo stipendio perso durante il periodo di riposo coatto a casa. Il datore di lavoro di Chaplin, un ospedale statale, introdusse una nuova uniforme che rendeva l’uso della croce molto più difficile. Il datore di lavoro menzionò ragioni “di salute e di sicurezza” a giustificazione della rimozione della croce, senza però indicare mai quali fossero queste ragioni. La Corte europea si è espressa a favore di Eweida, stabilendo che la compagnia aerea non aveva il diritto di limitare la sua libertà religiosa. Ma ha rigettato gli altri tre casi, che oggi sono in attesa dell’appello.



Accade ovunque in Europa

L’analisi spietata di Coleman è confermata da un rapporto dell’Osservatorio sull’intolleranza e sulla discriminazione contro i cristiani in Europa (Oidce), membro dell’Agenzia Ue per i diritti fondamentali e che lavora in stretta collaborazione con l’Osce. Gli incidenti d’intolleranza e discriminazione contro i cristiani in Europa sono suddivisi dall’Osservatorio in diverse categorie: libertà di religione, libertà di espressione, libertà di coscienza, politiche discriminatorie, esclusione dei cristiani dalla vita politica e sociale, repressione dei simboli religiosi, insulto, diffamazione e stereotipi negativi, incidenti per odio, vandalismi e dissacrazione e, da ultimo, crimini di odio contro singoli individui. In Inghilterra, a Jersey, i postini si sono rifiutati di distribuire cd contenenti registrazioni del Vangelo di San Marco. Una farmacia di Berlino è stata invece boicottata e attaccata perché il farmacista non ha venduto la pillola del giorno dopo, a motivo delle sue convinzioni cattoliche. “Simili battaglie hanno luogo ovunque in Europa”, scrive Coleman.

La ministra francese dei Diritti delle donne, Najat Vallaud-Belkacem, ha appena presentato il suo progetto di legge per favorire “l’uguaglianza tra uomini e donne”. Tra le molte disposizioni previste ce n’è una che farà discutere: quella che obbliga i provider di Internet (i corrispettivi francesi di Fastweb o Tiscali) a denunciare tutto ciò che in rete ha un “contenuto sessista o omofobo”. La proposta è contenuta nell’articolo 17 del progetto di legge, già ridefinito “delazione per tutti”.

“I medici in Norvegia sono sottoposti a pressione perché partecipino alle procedure abortiste contro la loro coscienza”, scrive ancora Coleman. Di recente il ministro della Salute norvegese, Robin Kass, ha affermato che “se neghi a un paziente contraccezione o aborto non puoi essere un medico”. Lo stesso vale per la Svezia, che ha votato 271 a 20 contro una risoluzione del Consiglio di Europa che sostiene il diritto all’obiezione di coscienza dei medici. In Scozia, due ostetriche hanno fatto causa ai propri ospedali dopo che i manager avevano obbligato le due a supervisionare aborti contro la loro volontà. Il tribunale ha stabilito che la clausola di coscienza non si applica alle ostetriche. Oggi sono in appello. Ma in gioco, secondo Coleman, c’è molto di più del loro posto di lavoro. “E’ il futuro della libertà europea”.

Questo doppio fenomeno di privatizzazione e repressione della fede ha una storia emblematica nella moneta da due euro che la Slovacchia (nell’Unione monetaria dal 2009) aveva approntato per festeggiare la predicazione di Cirillo e Metodio in terra slava, dai due santi convertita al cristianesimo. L’Europa ha giudicato intollerabile la croce e l’aureola attorno al capo dei due predicatori. I due santi alla fine sono rimasti senza aureola. “Una pagina totalitaria”, come l’ha definita l’episcopato slovacco, degna dei vecchi tempi del socialismo reale.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Giulio Meotti



giovedì 11 luglio 2013

ASPETTANDO I BARBARI

COSTANTINO KAVAFIS



“Sull’agorà, qui in folla, chi attendiamo?”

“I Barbari, che devono arrivare”.

“E perché i Senatori non si muovono?”

Che aspettano essi per legiferare?”.

“E’ che devono giungere, oggi, i Barbari.

Perché dettare leggi? Appena giunti,

i Barbari, sarà compito loro”.

“Perché l’Imperatore s’è levato

di buonora ed è fermo sull’ingresso

con la corona in testa?”

“E’ che i Barbari devono arrivare

e anche l’Imperatore sta ad attenderli

per riceverne il Duce; e tiene in mano

tanto di pergamena con la quale

gli offre titoli e onori”.

“E perché mai

sono usciti i due consoli e i pretori

in toghe rosse e ricamate? e portano

anelli tempestati di smeraldi,

braccialetti e ametiste?”.

“E’ che vengono i Barbari e che queste

cose li sbalordiscono”.

“E perchè

gli oratori non son qui, come d’uso,

a parlare, ad esprimere pareri?”

“E’ che giungono i Barbari, e non vogliono

sentire tante chiacchiere”

“E perché

tutti sono nervosi? (I volti intorno

si fanno gravi). Perché piazze e strade

si svuotano ed ognuno torna a casa?”

“E’ che fa buio e i Barbari non vengono,

e chi arriva di là dalla frontiera

dice che non ce n’è più neppure l’ombra”.

“E ora che faremo senza i Barbari?

(Era una soluzione come un’altra,

dopo tutto...)”.

trad. Eugenio Montale

MASOCHISMO DI STATO

IN ITALIA non esiste la Ragion di Stato, perché non esiste uno Stato o comunque non esiste uno Stato come viene concepito nelle altre democrazie occidentali. In Italia il marine che ha ucciso Bin Laden sarebbe sotto processo per omicidio volontario. Non a caso, da noi sono rari i capi dei servizi segreti o dei reparti più esposti nella lotta alla criminalità che di dritto o di rovescio non finiscano sotto processo. In Francia lo Stato non avrebbe consentito che fosse ferito a morte un gioiello come Finmeccanica.

Né sarebbe immaginabile un caso Ilva, in cui la magistratura ha travolto ogni ragionevole ipotesi di gestione dell’emergenza. E potremmo continuare. Tutti i violenti, gli avvelenatori e i corrotti sono da noi? No di certo. Altrove il governo (qualunque governo) ha influenza sulla pubblica accusa e traccia un confine netto tra quello che giova allo Stato e quello che può danneggiarlo.

SE ABBIAMO la ‘Costituzione più bella del mondo’ e la magistratura che ha l’unico potere incontrollato e incontrollabile del Paese, non possiamo meravigliarci che il sistema rischi di saltare in ogni momento. Silvio Berlusconi non sarà certo uno stinco di santo, ma se in diciannove anni lo hanno messo sotto inchiesta 34 volte per i reati più diversi, forse c’è qualcosa che non funziona. Se dinanzi al clamoroso anticipo del processo di Cassazione per i diritti cinematografici un uomo come Franco Coppi, forse il più illustre penalista italiano, lontanissimo in tutto da Berlusconi — tranne che per il suo ruolo occasionale di difensore tecnico — dice di non aver mai visto niente di simile nella sua lunga carriera, sarà difficile spiegare al Cavaliere che quello che gli sta capitando è perfettamente normale.

In un paese in cui le sezioni feriali vengono attivate solo a garanzia di imputati detenuti o per evitare la prescrizione di gravi fatti di mafia, il trattamento riservato a Berlusconi lascia molto pensare. Il presidente della Suprema Corte, Giorgio Santacroce, è certamente un galantuomo, ma ieri ha dovuto arrampicarsi sugli specchi per contrabbandare per ‘normale’ qualcosa che qualunque avvocato cassazionista, comunque voti, considera abnorme.

LA TONNARA DELLE RIFORME

LA TECNICA è quella della tonnara. Vent’anni di processi e di porte chiuse alle spalle da sentenze di condanna, hanno condotto l’imputato Berlusconi sulla soglia dell’ultima istanza giudiziaria. L’equivalente di quella che nelle tonnare è la camera della morte. Difficile interpretare diversamente il galoppo verso la sentenza del processo Mediaset deciso a sorpresa dalla Cassazione per scongiurare il rischio di prescrizione di una porzione del reato contestato (frode per circa due milioni su due annualità fiscali).

PRESCRIZIONE sufficiente a scongiurare la pena accessoria dell’espulsione dalla vita politica del leader del centrodestra. Non convincono le tesi (quanto minoritarie…) di quanti considerano il colpo di acceleratore della Suprema Corte nient’altro che la parata preventiva delle stoccate che una sentenza di assoluzione porterebbe con sé. L’ultimo atto della tonnara giudiziaria è troppo simile al primo, per non ravvisarvi un riscontro calligrafico. Il giornale di Milano che ha messo in moto la Cassazione, è lo stesso che nel 1994 preannunciò l’avviso di reato che stava per essere recapitato al presidente del Consiglio nel bel mezzo di un vertice internazionale, rovinandogli la festa per la prima vittoria elettorale. Dicono che il galoppo degli ermellini sia dispiaciuto al presidente della Repubblica quasi quanto a Berlusconi. E si capisce. E’ un sogno dire che i guai giudiziari di uno dei due pilastri parlamentari della stabilità politica non pregiudica la sorte del governo Letta. Nella realtà, la condanna di Berlusconi passata in giudicato, con tanto di interdizione dai pubblici uffici, seguita dalla votazione al Senato per la decadenza dal mandato parlamentare, si abbatterebbe sugli equilibri politici con la forza di uno tsunami.

LA TENTAZIONE di passare all’incasso della rendita elettorale sarebbe irresistibile per tutti. La destra può fare assegnamento sull’effetto “cane bastonato”, per tentare una rivincita simbolica offerta al Cavaliere atterrato. La sinistra può mettere alla prova le qualità di acchiappavoti attribuite a Matteo Renzi. In ogni caso crollerebbe il castello di carte eretto dal presidente Napolitano per surrogare con le “larghe intese” l’inesistente maggioranza politica. Con esso crollerebbe anche la speranza di una unione provvidenziale capace di fare le riforme. Se il presidente è afflitto ha certo il suo perché, per scarsa che sia la simpatia che prova per Berlusconi. Ma bisognerà pur chiedersi come mai, da molti anni, in questo Paese, tutti i progetti marciscano prima di arrivare a maturazione.

Franco Cangini da “ilrestodelcarlino” 11 luglio.

IL GIUDICE PIU' VELOCE DEL WEST


di Luca Fazzo

A margine del processo a Silvio Berlusconi per la vicenda dei diritti tv, emerge ieri un dettaglio destinato probabilmente a ridare fiato ai dubbi e alle polemiche di chi vede all'opera una giustizia a due velocità: agile ed efficiente nei confronti del Cavaliere, incredibilmente lenta in altri casi.


A rendere il tema particolarmente scivoloso, c'è la circostanza che stavolta non si tratta semplicemente di due facce del sistema giustizia, ma di due processi affidati proprio allo stesso giudice. E che si dimostra, in due casi diversi, giudice razzo e giudice lumaca. È il giudice che ha diretto a tappe forzate il processo d'appello a Berlusconi, e che però da oltre un anno non è riuscita a scrivere le motivazioni della condanna di un maniaco violentatore, con il risultato che il pericoloso soggetto è rimasto liberamente in circolazione.

Il giudice si chiama Alessandra Galli, ed è il magistrato che lo scorso 8 maggio nell'aula della seconda sezione penale lesse il dispositivo della sentenza che confermava in pieno la condanna per frode fiscale inflitta a Berlusconi in primo grado: quattro anni di carcere, cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. È la sentenza che il prossimo 30 luglio approderà al vaglio della Cassazione, al termine di un tragitto processuale percorso a ritmi da Frecciarossa per evitare il rischio della prescrizione.

martedì 9 luglio 2013

L'ESPERIENZA DEL PIANGERE E L'ANESTESIA DEL CUORE

PAPA FRANCESCO A LAMPEDUSA

Dall' Omelia nella Santa Messa


«Adamo dove sei?», «Dov’è il tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?». Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del "patire con": la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo. «Chi ha pianto?». Chi ha pianto oggi nel mondo?

Signore, in questa Liturgia, che è una Liturgia di penitenza, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo Padre perdono per chi si è accomodato e si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi. Perdono Signore!

Signore, che sentiamo anche oggi le tue domande: «Adamo dove sei?», «Dov’è il sangue di tuo fratello

domenica 7 luglio 2013

IL RINASCIMENTO E L'ESPERIENZA DEGLI IDEALI

giugno 30, 2013

In un’intervista al Corriere della Sera l’arcivescovo di Milano sfida la città a un “rinascimento” che non dimentichi i valori e invita i cattolici a «passare dalla convenzione alla convinzione nel vivere la fede»

«Può un futuro adeguato a una città come Milano, chiamata ad un ruolo internazionale, prescindere da Dio?». È questa una delle domande cruciali che l’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola confessa di porsi costantemente e rilancia a tutti nell’intervistarealizzata da Giangiacomo Schiavi e pubblicata oggi sulle pagine milanesi del Corriere della Sera. Nel dialogo con il giornalista il cardinale parla della necessità di un «rinascimento milanese», «un rinascimento che ha bisogno di ideali» e in cui dunque non possono che giocare un ruolo di primo piano quei valori di cui non basta parlare ma di cui occorre «fare esperienza».

IL MATRIMONIO TRA UOMO E DONNA. «Milano – dice il cardinale – deve trovare nella sua radice popolare la vocazione di sintesi e la voglia di proporsi all’Europa, oltre che al paese, come la rinnovata Mediolanum, luogo di incontro e intreccio di culture. Per questo non basta parlare di valori, bisogna fare e far fare esperienza dei valori. C’è disagio nella società, è vero. Una società civile è sana quando esalta e non mortifica i corpi intermedi, quando le libertà – di educazione, di intrapresa – sono effettivamente realizzate. Per me una società è autenticamente civile, per esempio, quando poggia sulla famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, aperta alla vita. E se dico questo, non mi si può accusare di ingerenza. No. Si deve accettare che io metta questa proposta, sottolineo proposta, al servizio di tutti».

LA CHIESA NON E’ UN PARTITO. «Può un futuro adeguato a una città come Milano, chiamata ad un ruolo internazionale, prescindere da Dio? Questa domanda io me la porto dentro e la rilancio a tutti, come offerta per aprire un dialogo sul bene comune». In questo contesto Scola identifica l’impegno necessario per i cristiani: «Il nostro impegno – dice – è anzitutto quello di passare dalla convenzione alla convinzione nel vivere la fede. Quel che serve oggi per il bene di tutti è una fede convinta. Un compito. Una responsabilità decisiva per Milano. Una città in rapida transizione». E a chi gli chiede se si riferisca a una Chiesa più interventista l’arcivescovo risponde con parole che richiamano quelle più volte pronunciate da papa Francesco: «La Chiesa non è un partito né un’azienda. Non abbiamo bisogno di agit prop, non dobbiamo conquistare nessuno. Quello che domandiamo è il legittimo diritto di poter manifestare anche pubblicamente, in maniera rispettosa di tutti, dei diritti di tutti, la fede cristiana che è la nostra ragione di vita».

UN’EUROPA SENZA IDEALI. Allargando lo sguardo allo scenario europeo Scola afferma che «un’Europa senza ideali è un problema» e non«ci si può limitare alla querelle infinita intorno alle leggi che regolano l’economia». Illustrando l’importanza del fondo di solidarietà istituito dal cardinal Tettamanzi e oggi ulteriormente rafforzato chiama tutti «credenti e non credenti, uomini e donne di diverse religioni» a lavorare per il bene di Milano. «Ma – avverte – questo “rinascimento milanese” ha bisogno di ideali. L’ideale cristiano è nel Dna di Milano, ci chiama in causa: è un bene comune sul quale dobbiamo edificare. Da Milano possono partire decisivi segnali di cambiamento e l’Expo può essere un volano…».

«IL GRANDE DONO DI PAPA FRANCESCO».«Questo Pontefice – dice ancora Scola – è un dono. Un gesuita schietto, rigoroso, deciso, vicino ai poveri, capace di interloquire direttamente con il popolo, con le piazze. È un vero testimone, perché i suoi stessi gesti sono un insegnamento. Mette il cristianesimo direttamente davanti alla gente. È un grande dono per noi, per tutta la Chiesa, per la nostra Europa invecchiata e affaticata perché per secoli ha dovuto portare il peso di problematiche complesse. Periferia è una parola scomoda ma affascinante. Penso alla grande periferia di Milano: trent’anni fa era il regno dell’anonimato, poi pian piano ha preso forma anche grazie alle parrocchie. La parrocchia fa tessuto civile, i nostri preti sono un presidio vigile del territorio, si rendono conto per primi dei problemi, li toccano con mano

martedì 2 luglio 2013

L'OSCURAMENTO DELLA RAGIONE


Il Cardinale Arcivescovo di Bologna interviene a proposito delle dichiarazioni del Sindaco sul riconoscimento di matrimonio e adozioni per le coppie omosessuali

Le affermazioni fatte dal Sindaco di Bologna riguardanti il matrimonio e diritto all’adozione per le coppie gay sono di tale gravità, che meritano qualche riflessione.

Quanto da lui profetato come ineluttabile destino del Paese a diventare definitivamente civile riconoscendo alle coppie omosessuali il  diritto alle nozze e all’adozione è una battuta a braccio che costa poco: tanto non dipende dal Sindaco. Ma ciò non toglie la gravità di tale pubblica presa di posizione da parte di chi rappresenta l’intera città. E dove mettere il cittadino che non per fobia ma con motivate ragioni ritiene matrimonio ciò che è stato definito tale fin dagli albori della civiltà o ritiene non si possa parlare di un diritto ad adottare ma del diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre?

Davvero questo cittadino, con la sua cultura e le sue ragioni, è da giudicare incivile e fuori dalla storia, condannato a sentirsi estraneo in casa sua, perché non riesce a stare al passo del sedicente progresso?

Naturalmente ci sarà chi, riempiendosi la bocca di laicità dello Stato (che è cosa ben più seria!), ci accuserà di voler imporre una dottrina religiosa. Ma qui non c’entra religione o partito, omofobia o discriminazione: sono i fondamentali di una civiltà estesa quanto il mondo e antica quanto la storia ad essere minati; e forse non ci si accorge dell’enormità della posta in gioco.

Affermare  che omo ed etero sono coppie equivalenti, che per la società e per i figli non fa differenza, è negare un’evidenza che a doverla spiegare vien da piangere. Siamo giunti a un tale oscuramento della ragione, da pensare che siano le leggi a stabilire la verità delle cose. Ad un tale oscuramento del bene comune da confondere i desideri degli individui coi diritti fondamentali della persona.

 

+ Carlo Card. Caffarra

Arcivescovo di Bologna