martedì 8 ottobre 2013

IL LUNGO MALINCONICO RUGGITO DI UNA DESTRA ITALIANA SENZA IDENTITA'


La costruzione di un’identità
È impossibile dire in queste ore che cosa nascerà dalla vasta dissidenza che si è manifestata nel Pdl contro la direzione berlusconiana. In particolare è difficile dire se da tale dissidenza nascerà quella Destra «europea», «costituzionale», «moderata», «liberale» - in grado di rappresentare una reale alternativa alla Sinistra - che da molte parti si auspica. Vedremo. Ciò che per il momento possiamo fare è chiederci per quale ragione, però, essa finora non è mai nata, e perché invece la sola Destra competitiva che in Italia ha visto la luce è stata quella di Berlusconi.
Al cuore del problema c’è una questione di credibilità rispetto al proprio elettorato di riferimento, la cui principale caratteristica è rappresentata ovviamente dall’ostilità verso la Sinistra (ho scritto ovviamente perché la stessa cosa vale per l’altra parte. Anche l’elettorato di sinistra, infatti, è mosso principalmente dall’ostilità verso la Destra: lo si è visto bene nella rivolta dentro il Pd contro Renzi, giudicato da molti dei suoi troppo incerto su questo fronte). Come si capisce, tale credibilità non può che essere data dalla leadership . Affinché esista una Destra alternativa e competitiva, cioè, è necessario che vi siano dei capi i quali non lascino dubbi sulla propria volontà di contrapporsi alla Sinistra, di essere una cosa assolutamente diversa. Che lo sappiano fare con le parole, con i gesti e con i fatti, con la propria vicenda individuale, vorrei dire perfino con la propria persona. Precisamente e innanzi tutto da questo punto di vista Berlusconi - chi ne può dubitare? - è stato assolutamente imbattibile. Ogni cosa in lui ha testimoniato di una radicale estraneità all’universo antropologico della Sinistra: dalla sua attività ai suoi interessi economico-aziendali, ai suoi modi, al suo linguaggio. Senza contare un ulteriore elemento di portata decisiva: la sua estraneità - biografica e ideologica - alla politica in quanto tale (al «teatrino della politica», nel linguaggio berlusconiano).
Un’estraneità fatta apposta per solleticare il sentimento di diffidenza verso la dimensione della politica e il suo carattere invasivo che in ogni Paese del mondo, ma soprattutto in Italia, è un marchio caratterizzante di qualunque elettorato di destra.
Da ciò che ora ho detto ci si può fare un’idea di quanto sia complicato in Italia rappresentare l’elettorato di destra in modo che allo stesso risulti davvero credibile e che susciti un reale sentimento di identificazione: bisogna sì fare politica, ma dando a vedere che i propri valori e il senso della propria vita stanno altrove (fu questo, a suo tempo, un indubbio elemento distintivo e di forza dei politici cattolici nei confronti del «moderatismo» nazionale).
Questa «antipoliticità» di fondo richiesta a ogni leadership di destra che voglia risultare credibile di fronte al proprio elettorato copre però ben altri ambiti, e implica da parte di quella leadership , in Italia, una cosa ancora più difficile. Vale a dire la capacità di sottrarsi all’egemonia che sul senso comune accreditato e sul discorso pubblico ufficiale esercita (arrivo a pensare quasi senza neppure accorgersene) la Sinistra: una capacità, anche questa, che Berlusconi ha avuto come pochi ma che non è per nulla facile avere.
In Italia infatti - per ragioni storiche che risalgono al fascismo e al fatto che la sua catastrofe ha voluto dire la delegittimazione di tutto quanto recasse un’impronta «di destra» - in Italia, dicevo, da decenni le istituzioni, i grandi corpi dello Stato, gli alti funzionari, le «autorità», i grandi giornali, la cultura riconosciuta, tutto quanto, lasciato libero di esprimersi, parla in maniera naturale un linguaggio «di sinistra». Con gli stilemi, i luoghi comuni, i principi che in un modo o in un altro rimandano, oggi almeno, all’universo politico di questa: l’«Europa», la «Costituzione», il «sindacato», i «diritti», la «pace», la «laicità», il «multiculturalismo», la «legalità», e via di seguito. Non da ultimo in ragione della straordinaria capacità della Sinistra stessa di fare propri e di inglobare anche valori che in realtà hanno origine e storia lontane dalle sue.

Quale sia il monopolio di fatto di cui gode tale universo politico-culturale e quindi la sua naturale forza di attrazione si è visto con Gianfranco Fini. Il quale, provenendo dal mondo neofascista (dico neofascista!) e volendo dar vita pure lui a una Destra «moderna» ed «europea», si è però ridotto in breve a scimmiottare in tutto e per tutto il discorso della Sinistra. Per effetto, tra l’altro, di un ulteriore condizionamento che una leadership di destra desiderosa di qualificarsi come «diversa» deve mettere in conto. Il fatto cioè che questa sua diversità - qualora sia schierata polemicamente contro altri settori della Destra (come è stato per l’appunto nel caso di Fini) - diviene tuttavia subito oggetto delle più diverse e continue forme di approvazione, adulazione e compiacimento, da parte della Sinistra, la quale ha l’ovvio interesse di strumentalizzarla. In tal modo però snaturandola e privandola di ogni vigore politico.
Mantenere dunque un tratto non immediatamente politico; essere capaci di rappresentare sempre una posizione realmente anche se non pregiudizialmente alternativa; avere il coraggio, l’intelligenza e la capacità di costruire e opporre un proprio discorso pubblico a quello della Sinistra, di resistere alla sua captatio benevolentiae non trasformandosi però in una Destra «trogloditica» e/o sovversiveggiante: per la leadership di una Destra «moderna» ed «europea» la navigazione è costellata di questi scogli: se Alfano e i suoi avranno il coraggio di mettersi in mare, sanno quello che li aspetta.
Ernesto Galli della Loggia
da IL CORRIERE DELLA SERA
06 ottobre 2013

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