domenica 1 dicembre 2013

LA LEGGE DI JOHN RAMBO

CHI VERSA IL PRIMO SANGUE, PAGA
 
Il buio della sinistra e il sangue dei suoi nemici. Dal Duce al Cav.
Hanno lo sguardo fisso, il sorriso appena abbozzato, l’eloquio stentato. Non riescono a spiegare nemmeno a loro stessi cosa hanno fatto e perché: è il buio nella mente, colpisce la sinistra ogni volta che ha in mano la vita del nemico. Mussolini, Moro, Craxi, oggi Berlusconi: quattro volte, una per ogni generazione di italiani, dalla nascita della Repubblica. Quattro volte pollice verso, tre volte la cosa le si è ritorta contro, i benefici attesi non si sono verificati, i fantasmi delle vittime hanno funestato i giorni e corroso le notti degli assassini. L’ultima non sfuggirà alla regola: il Cav. pure sconfitto, decaduto, inquisito e condannato ancora e ancora, pure arrestato e magari sprofondato sotto terra, sarà il convitato di pietra dei prossimi anni. La legge di John Rambo è ferrea: chi versa il primo sangue paga.
Con Mussolini, non lasciarono fare ad altri, fecero in proprio. L’uomo vinto non fu processato ma condannato, intercettato, abbattuto, appeso a testa in giù a un gancio da macellaio. La guerra era stata terribile, dissero: ma altrove capi e seconde file del nazismo e del fascismo non finirono in questo modo, almeno non tutti. In Italia il Pci non poteva riconoscere altra autorità che non fosse quella in cui era preponderante, egemone, doveva sminuire il ruolo degli eserciti inglese e americano nella liberazione del paese, aveva bisogno della retorica per costruire il mito della resistenza che certo fu eroica, si coprì di gloria, ma, ricordava Pietro Secchia, a volte ci volevano calci nel sedere per spingere i ragazzi su in montagna. Sandro Pertini, socialista e collerico, quando venne a sapere che Mussolini era nell’arcivescovado di Milano si precipitò, fece le scale quattro a quattro con la pistola in pugno gridando “dov’è?”. Il clima di odio non servì chi lo propalava. Oggi sul Duce si scrive e si riscrive ancora, in televisione è la star della storia, quelli dell’Anpi sono ancora lì che sfilano, si canta “Bella ciao” e i giovani si prendono ancora a sprangate. La costruzione simbolica attorno alla violenza necessaria e legittima ha prodotto mostri, impedendo la normalizzazione storica del ventennio mussoliniano, quindi la sua chiusura effettiva. E’ la prima delle anomalie: rispetto a paesi in cui la pagina fu girata in fretta, in Italia ci si è scannati per altri cinquanta anni dopo la fine della guerra.

Moro lo scrisse addirittura, nell’ultima lettera: il mio sangue ricadrà su di voi. Non sui brigatisti di cui aveva capito che di lì a poco lo avrebbero ucciso. Ma su coloro che lo avevano abbandonato al suo destino, perché non era più lo stesso ma un uomo impaurito, sotto influenza, plagiato. Sui compagni di strada Camilla Cederna e l’Espresso che azzannavano Giovanni Leone, il presidente che non si sarebbe opposto a provvedimenti di clemenza nei confronti di terroristi detenuti: la trincea della cosiddetta legalità repubblicana fu difesa dunque con menzogne e letame. Il Pci pensò di fare da muro portante della maggioranza, magari di dirigere dall’esterno una Dc indebolita e orfana del suo leader. Non sarà così: con la morte di Moro salta il compromesso tra i due maggiori partiti, base materiale della Costituzione formale. La Prima Repubblica muore, nasce quella consolare.

Colui che Moro avrebbe voluto salvarlo, Craxi, ne diventa l’uomo forte. Il Pci è al margine, isola di purezza che galleggia in un mare d’irrealtà. Quando scoppia Tangentopoli e la procura di Milano si appresta a tagliare la testa del leader socialista, i comunisti appena decomunistizzati si guardano bene dal dire che aveva ragione lui e dal difenderlo: ne vogliono invece lo scalpo per averli sconfitti sulla scala mobile. Ma la vendetta non arriva: arriva invece Berlusconi. Che per altri venti anni li allunga sul lettino. Chi può davvero pensare che questa volta la sinistra “first blood” gliela possa fare?
 Lanfranco Pace da ilfoglio

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