venerdì 20 dicembre 2013

LA RIVOLUZIONE DELLA PORTA ACCANTO


Camisasca’s style: un anno da "testa quadra"

di Andrea Zambrano

Un anno fa titolavamo sulla rivoluzione di velluto di Massimo Camisasca. Era proprio di questi tempi e il vescovo di Ferrari Luigi Negri nel descrivercelo ci aveva parlato del suo modo molto pacato di intervenire, diplomatico. Oggi, ad un anno di distanza dal giorno in cui il superiore della Fraternità sacerdotale San Carlo appena consacrato vescovo, entrò per la prima volta nella Basilica della Ghiara (era il 16 dicembre 2012), dobbiamo correggere il tiro di quella previsione. Rivoluzione sì, ma della porta accanto.

Camisasca nel corso di questo anno non si è distinto per una rupture clamorosa e manifesta nei confronti del suo predecessore. Nessun proclama, pochi i gesti ad effetto che segnassero una qualunque discontinuità: qualcuno in più nella liturgia, molti meno nei rapporti con il potere istituzionale. Pochissimi quelli utili a creare un caso nelle nostre categorie mediatiche.

A prima vista potrebbe sembrare una mossa gattopardesca, ma chi ha conosciuto bene il prelato reggiano nel corso di quest’anno, è pronto a raccontare un’altra storia. Camisasca ha lavorato moltissimo nel rapporto personale, nella costruzione di una fiducia improntata alla responsabilità. Ha trasferito la sua sede per due giorni alla settimana in seminario.

Con i futuri sacerdoti parla, dialoga di tutto, celebra messa: si fa prossimo e conquista nel segreto dei lunghi corridoi di viale Timavo i più giovani, che si stanno abituando a considerarlo come padre. Quella del mondo giovanile era una delle tre urgenze annunciate nel giorno dell’ingresso (le altre sono i sacerdoti e le famiglie). Anche qui, continuità nella riforma ha ripreso i dialoghi in Cattedrale, ma li ha gestiti lui. Gli incontri in Duomo con studenti e ragazzi sono stati forse la cifra più rivoluzionaria del suo episcopato.

Il tema dei giovani richiama quello dell’educazione. In pochi se ne sono accorti, ma quando Camisasca ha parlato alla città nel corso dell’omelia di San Prospero ha detto molto sulla sussidiarietà: in tanti si sono affrettati a riconoscervi il solito primato delle opere di carità materiale per l’aiuto ai poveri. Quasi nessuno ha riconosciuto nel passaggio dedicato all’educazione come uno degli aspetti della Carità diocesana. Scuole libere e sostenute dal Pubblico: un sogno che Camisasca ha da tempo e che la politica è chiamata a tenere in considerazione. La cifra principale però del suo essere un vescovo “della porta accanto” è nel rapporto a due.

Camisasca telefona e risponde alle lettere di chi gli scrive, siano semplici fedeli o personaggi istituzionali. E non è una risposta di facciata. E’ un altro aspetto che fa comprendere come questo sia soprattutto un vescovo che educhi alla responsabilità. Ai tanti che hanno avuto a che fare con lui in privato, dai sacerdoti ai semplici fedeli che lo hanno avvicinato per i più disparati motivi, il vescovo non ha mai risparmiato quella che è la sua urgenza: «Mi stanno a cuore la tua fede e la tua persona». Una rivoluzione di rapporti umani, che al di là dell’esito o no della risoluzione di un problema, proietta Camisasca per quello che vuole essere: un padre.

Anche la scelta di dotarsi di un esecutivo di vicari più strutturato che nel passato, risponde al doppio principio della fiducia nella responsabilità. Si fa largo dunque un vescovo dai tratti romani e rispettoso della libertà dei singoli, che alle strizzate d’occhio lanciate ai politici antepone l’essere se stesso e questo li destabilizza. In molti rimproverano a Camisasca di non aver ancora preso decisioni “forti” nel suo episcopato. C’è chi ribatte che stia preparando una squadra di fedelissimi con i quali condurre battaglie più impegnative nei prossimi anni.

Di sicuro a Camisasca il palazzo vescovile sta molto stretto. Così come sta stretta la centralità reggiana della diocesi. In un solo anno è stato diverse volte a Guastalla, altrettante a Sassuolo, nel correggese ad esempio ama andare volentieri sia nei momenti privati, come la visita fatta ai Musei Civici, sia pubblici, come la decisione di parlare agli studenti di Dante Alighieri la scorsa settimana. Insomma: la Diocesi non è soltanto Reggio.

Si temeva che il suo essere ciellino avrebbe condizionato i rapporti non solo con gli altri movimenti, alcuni dei quali di chiara ispirazione catto progressista, ma anche con molte parrocchie che vivono l’esperienza dei movimenti in modo lacerante perchè sottraggono adepti alla causa. In un anno Camisasca ha visitato movimenti, circoli culturali, ha partecipato a conferenze, ha incontrato gruppi di preghiera. Se la Chiesa è il luogo dell’et-et l’ex superiore della San Carlo sembra averlo messo in pratica.

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