lunedì 30 settembre 2013

LA CINA E' VICINA


Barilla «rieducato», squallore Italia

 

Guido Barilla – presidente della omonima multinazionale alimentare, uno dei marchi italiani più conosciuti al mondo - volto teso, voce nervosa, è costretto a umilianti scuse, sul modello dei dissidenti cinesi. E’ una vecchia pratica maoista, ma torna sempre buona. Nella versione originale ci sono prima i lavori forzati e le sessioni di rieducazione, poi la pubblica autocritica. Nel caso specifico la rieducazione è stata veloce: un bombardamento mediatico scatenato dalla lobby gay e amplificato da tutti i maggiori quotidiani: in poche ore un brillante capitano d’industria trasformato sui notiziari di tutto il mondo in uno dei peggiori criminali in circolazione, inviti al boicottaggio dei suoi prodotti. E l’autocritica scatta immediata, anche per le forti pressioni in azienda e in famiglia per evitare un presunto disastro economico. Lo ha spiegato bene suo fratello Luca, vice-presidente del gruppo, parlando ai ragazzi delle scuole di Fidenza: «Mio fratello ha sbagliato – ha detto -, ma ha chiesto scusa perché noi in azienda rispondiamo alla regola che ci diede nostro padre: 'Che nessun dipendente abbia mai a vergognarsi di ciò che fa la Barilla'».

E di cosa dovrebbe vergognarsi la Barilla? Del fatto che Guido, intervenendo a un programma radiofonico e rispondendo alle domande pressanti dei suoi interlocutori che gli chiedevano perché non fa uno spot pubblicitario sulle famiglie gay, ha dapprima detto che i suoi soldi li investe come vuole, poi ha spiegato che non farà mai spot per famiglie gay perché lui crede che la famiglia sia solo quella naturale, marito, moglie e figli.

Cioè la Barilla dovrebbe vergognarsi di aver affermato ciò che è sancito dalla nostra Costituzione, per la quale la famiglia gay semplicemente non esiste. C’è una sola famiglia, che è «una società naturale fondata sul matrimonio» (art. 29), finalizzata a «mantenere, istruire, educare i figli» (art. 30). Guido Barilla ha detto soltanto ciò che la Costituzione sancisce e rivendicato la facoltà di scegliere un pubblico di riferimento per vendere i suoi prodotti. Nessuna discriminazione, nessun atteggiamento anti-gay, nessun incitamento all’odio e alla violenza.

Eppure si dovrebbe vergognare perché, come dice nel video di scuse, «mi hanno fatto capire che sul dibattito riguardante l’evoluzione della famiglia ho molto da imparare».

Così eccolo che si deve umiliare impegnandosi a incontrare nelle prossime settimane «gli esponenti delle associazioni che meglio rappresentano l’evoluzione della famiglia», cioè le associazioni gay. Affiora la possibilità, evocata dall’onnipresente Dario Fo in una lettera aperta a Guido Barilla, di uno spot Barilla pro-gay. Ed ecco allora che le terribili accuse dei giorni precedenti diventano magnanimità nei confronti del peccatore disposto a riconoscere i suoi peccati. Vedi il linguaggio clericale di Franco Grillini, presidente onorario dell’Arcigay e consigliere regionale in Emilia-Romagna: «Capita a tutti di sbagliare nella vita – ha detto dopo aver visto il video -, l'importante è accorgersi dell'errore, ammetterlo sinceramente e fare di tutto perché ci sia un atteggiamento e una azione riparatrice». Da vomito.

Così adesso Grillini è disposto a ricevere il “pentito” Barilla nel suo ufficio in Regione. Hanno piegato il nemico, adesso lo vogliono vedere strisciare ai loro piedi e farsi pagare un bellissimo spot che magari farà perdere quote di mercato alla Barilla (le famiglie vere contano più dei gay al supermercato) ma che sarà il trionfo dell’ideologia gay, il trionfo della violenza e dell’arroganza.

Possibile che nessuno si svegli davanti a queste cose?
I gravi fatti di Casale Monferrato, con lo squadrismo gay che impedisce un normalissimo convegno (fatti ignorati ovviamente dalla stampa, inclusa quella cattolica) e ora la squallida vicenda Barilla: non è ancora chiaro che c’è una minoranza violenta e arrogante che detta legge e di cui siamo tutti ostaggio? Affermare che la famiglia è fondata sul matrimonio tra uomo e donna è diventato un crimine, «un’uscita infelice» nella migliore delle ipotesi (vedi Corriere della Sera). Non è ancora chiaro che la legge sull’omofobia non c’entra niente con le presunte violenze contro gli omosessuali, ma è soltanto un tassello nel consolidamento di una dittatura gay?

Come si fa ancora a sostenere che i gay sono discriminati? Imperversano nei giornali e nelle tv, comandano al cinema, dettano legge in politica, sono forti perfino nella Chiesa. Le donne con figli sono discriminate, non i gay. Nessun datore di lavoro ti chiede se sei gay, ma la stragrande maggioranza chiede alle donne giovani se hanno intenzione di sposarsi e fare figli (inteso che al “sì” si straccia la domanda di assunzione) o più semplicemente vengono scartate subito. E nessuno che si scandalizzi di ciò, nessuno che intervenga.

Ma dove sono i custodi della Costituzione, quelli della sacralità dei princìpi repubblicani? Dov’è il presidente della Repubblica, che in questi anni ci ha sfracassato in tutti i modi con la Sacra Costituzione? Troppo impegnato a salvare Letta per accorgersi della deriva totalitaria che sta travolgendo l’Italia. Oppure no, è che - più semplicemente – lui ha già imparato e condivide l’evoluzione della famiglia, così come la deriva totalitaria, in fondo è un ricordo di gioventù. Così come questo governo che ha ampiamente sostenuto il disegno di legge sull’omofobia, nel silenzio di chi avrebbe potuto e dovuto dire che questa è la strada per la rovina del paese.

E dove sono quei deputati di Scelta Civica che, giocando al Piccolo Stratega, hanno approvato il disegno di legge alla Camera perché Scalfarotto li ha accontentati con un emendamento che dovrebbe garantire la libertà di espressione? Patetici, Scalfarotto è ancora lì che ride. Guardate cosa sta accadendo, aprite gli occhi, con quell’emendamento ci potrete fare un sacco di cose, escluso salvare la libertà di chicchessia. La libertà è già stata perduta, e voi ne siete complici.

L’autocritica di Guido Barilla è un documento agghiacciante. Che almeno serva a risvegliare qualche coscienza
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 da la nuova bussola quotidiana

domenica 29 settembre 2013

TORNARE A FAR POLITICA




CARI AMICI,
a stabilità di governo è un bene se si nutre di due cose: un governo capace di lavorare bene e una maggioranza unita sulle cose da fare e fondata sul rispetto reciproco.

Invece nelle ultime settimane abbiamo avuto un governo capace solo di rinviare, di proporre il blocco dell'Iva aumentando altre tasse, di tagliare l'Imu solo a metà per ricattare il Pdl e costringerlo a stare al governo, un governo prono rispetto ai diktat dei burocrati dell'Unione europea.

Abbiamo avuto il nostro maggior alleato, il PD, che si vergogna di stare in un governo "contro natura" e che per bocca di tutti i suoi esponenti di vertice annuncia l'intenzione di buttare fuori dal Parlamento il leader del partito alleato, violando la Costituzione. In questo modo assecondano gli istinti della loro base, nutrita da venti anni nell'odio contro di me e pensano di chiudere una partita che dura dal 1994.

Abbiamo pazientemente offerto soluzioni a ogni livello istituzionale per evitare di fare precipitare la situazione. Non ci hanno voluto ascoltare.

Per questo ho deciso di chiedere ai ministri PDL di dare le proprie dimissioni. So bene che è una scelta dura e impopolare. Ho previsto tutte le accuse che mi stanno rovesciando addosso in queste ore e anche lo sconcerto di parte del nostro elettorato, preoccupato giustamente della situazione economica e sociale.

A loro dico di non credere a coloro che da vent'anni hanno bloccato le nostre riforme per cercare di eliminarmi dalla scena politica. Sono gli stessi che oggi mi dicono di non anteporre me stesso al bene dell'Italia. Ciò non è mai stato in discussione per me e per la mia forza politica, in tutti questi anni.
Noi siamo quelli che negli anni Novanta hanno salvato i governi della sinistra quando non avevano maggioranza sulla politica estera. Noi siamo quelli che hanno voluto Monti, Bonino, Prodi in posizioni di vertice in Europa, perché italiani. Noi siamo quelli che non abbiamo mai lavorato all'estero contro il governo italiano quando eravamo all'opposizione. Noi siamo quelli che due anni fa hanno votato contro l'arresto di un senatore del PD, nello stesso giorno in cui loro votavano per far arrestare un nostro deputato, che fu peraltro scarcerato dopo alcune settimane. Noi siamo quelli che hanno voluto il governo Monti e il governo Letta, sperando potesse essere un governo di riforme e di pacificazione.

So e sappiamo distinguere il reale interesse dei cittadini. Per questo motivo, se il governo proporrà una legge di stabilità realmente utile all'Italia, noi la voteremo. Se bloccheranno l'aumento dell'Iva senza aumentare altre tasse noi lo voteremo. Se, come si sono impegnati a fare, taglieranno anche la seconda rata Imu, noi voteremo favorevolmente. Noi ci siamo e ci saremo su tutte le altre misure utili, come il rifinanziamento della cassa integrazione, delle missioni internazionali, il taglio del cuneo fiscale.

A chi mi chiede di farmi da parte e accettare con cristiana rassegnazione la mia sorte giudiziaria, presente e futura, dico con la mia consueta chiarezza che lo farei senza esitazione, se ciò fosse utile al Paese, se il mio sacrificio significasse una svolta positiva nei rapporti tra politica e "giustizia".

Invece per come si sono messe le cose darei semplicemente il mio avallo a una situazione di democrazia dimezzata, dove non il popolo ma i magistrati politicizzati decidono chi deve governare, dove i governi sono fatti dai giornali-partito e dalle gazzette delle procure e le leggi riscritte a colpi di sentenze.

Non sono sceso in campo per questo; non ho messo a repentaglio una vita di lavoro, di successi e di sacrifici per lasciare in queste condizioni il mio Paese.
Per questo ritengo mio dovere continuare a restare in campo, per offrire una alternativa ai poteri non democratici - perchè non eletti dal popolo - che loro sì irresponsabilmente vogliono mettere in ginocchio il nostro Paese.
 
SILVIO BERLUSCONI

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quello che scrive Berkusconi è reale e ragionevole, anche se ho molti dubbi sulla scelta
 
MAURIZIO LUPI SCRIVE
Per Forza Italia non estremista
Carissimi,

vi scrivo perchè ieri mi sono dimesso da ministro.

Dopo l’invito del presidente Berlusconi motivato con le conclusioni del Consiglio dei ministri di venerdì scorso, non ritengo ci siano più le condizioni per restare nel governo, nel quale in questi cinque mesi ho lavorato nell’interesse del Paese e nel rispetto del programma del Popolo della libertà.

Dando le dimissioni voglio consentire, da subito, un più schietto confronto e una più chiara assunzione di responsabilità. Perché così non va.

Forza Italia non può essere un movimento estremista in mano a degli estremisti. Noi vogliamo stare con Silvio Berlusconi, con la sua storia e con le sue idee, ma non con i suoi cattivi consiglieri.

Si può lavorare per il bene del Paese essendo alternativi alla sinistra e rifiutando gli estremisti. Angelino Alfano si metta in gioco per questa buona e giusta battaglia.

LEGGETE LA NOTA DEI MINISTRI PDL DOPO LE DIMISSIONI > http://www.mauriziolupi.it/dimissioni-non-ci-sono-condizioni-per-restare-in-esecutivo


Un saluto e a presto,

Maurizio Lupi
@Maurizio_Lupi
Facebook.com/mauriziolupi.it





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MAMMA MORMORA LA BOLDRINI


Elogio della massaia rurale

Mamma, mormora la Boldrini, mai più con spot e biscotti. Non capisce, la moderna, la natura dell’accudire che invece è eterna. Il focolare, un trasfigurare d’amore nella sostanza di roba e ciccia

Mamma, mormora la Boldrini, mai più con la pappa e coi biscotti. Ma dire che non se ne può più di mamme col grembiule e la pasta pronta significa dire che non se ne può più della mamma in quanto mamma, parliamone pure, sfasciamo volentieri tutti i tabù e l’enunciato ha solo questo significato: liberiamoci della mamma.

Mamma, mormora la Boldrini, mai più con certi spot. Se Laura Boldrini, dunque, non vuole saperne di pubblicità dove il genitore 1 fa il genitore 1 – cioè la locomotiva – e il genitore 2 fa il genitore 2 – dunque la vivandiera – significa che non vuole saperne più di una divisione di ruoli dove la femmina è quella che mette a dimora la vita, nutrendola, e il maschio, civilizzazione a parte, è quello che la difende, la vita. Procurando il cibo.

Mamma, mormora ancora la Boldrini, basta con un’idea della donna relegata ai fornelli. Ma la natura ancora non lo sapeva di tutti questi problemi derivati dalla modernità. L’ignorante natura neppure lo immaginava che dopo le bocche da sfamare sarebbero sopraggiunte le bollette da pagare. Nessuno, neppure Rousseau, nell’affollarsi di lavatrici, poteva immaginare la necessità di lavorare in due, correre in due, uscire di casa in due e siccome con la correttezza ideologica la nostra razza sarà sempre assai più povera di desideri che di buoni propositi, parliamone pure, tanto di mamma ce n’è una sola e quella solo questo fa: accudisce. E stampa in faccia al pupo il marchio indelebile di un monoteismo travestito da bisogno primario, questo: non avrai altra mamma che la mamma.

Mamma, ha mormorato infine la Boldrini, mai più donne accudenti. All’estero – ha detto il presidente della Camera – cose così non le fanno. E però – va bene – parliamone. Ci fosse stata Maria Antonietta di Francia avrebbe già risolto: si sarebbe fatto carico la servitù di portare a tavola le brioche per lei e per i pupi ma non si può pensare di anticipare a tal punto l’avvenire chiedendo alla mamma di trasformarsi in un’infelice, orba del predominio assoluto sul rito del focolare.
Ecco, il focolare. Se proprio non c’è più, c’è un retaggio. Ancora meglio: un istinto. E il focolare non è nel celebrato angelo retorico col grembiule e il mestolo.

Il focolare è quel trasfigurare d’amore nella sostanza di roba e ciccia. Boldrini che è magister del sentimento diffuso nel bla-bla umanitario forse sa di diritti, certamente di emancipazione e di sicuro sa anche di sessualità liberate ma sembra non conoscere la scienza umanissima dell’economia domestica. Il mettere a cuocere è il mettere mani sul destino dei propri figli. Perfino il marito, l’uomo, quel simulacro di autorità qual è il maschio, è solo un tramite di panza e presenza laddove quest’ultima però, già nel ruolo suo di vir, è spirito vivo di un procedere di carni che fanno il mestiere dell’eredità.
Roba, ciccia e spirito, quindi. Ed è un qualcosa che gli spot, oggi, replicano nella necessità di far commercio sapendo di trovare in Italia, nella patria delle massaie, una vena ricca di rimandi profondi, giusto per cantare “La Canzone della Terra” con Lucio Battisti: “Al risveglio alla mattina / quando il gallo mi apre gli occhi alle quattro di mattina / prima cosa polenta a fette e nell’aria voglio sentire il profumo del caffellatte”. In verità, il testo, ha strofe pericolose sul tipo “devi, devi e devi”.

I rimandi sono rimandi e tutto quel cantare del villico, nell’interpretazione di Battisti, non è un capriccio decorativo, ma un cantar chiaro: “Prima cosa voglio trovare il piatto pronto da mangiare e il bicchiere dove bere”. Certo, la natura resta ignorante e non si può determinare la provenienza di tutto un retaggio attenendosi a una canzone. Anche la vedova Battisti, per come la conosciamo dalle cronache, durissima e invincibile qual è, rivela un profilo coriaceo e terragno ma se un solo remo è insufficiente indizio per conoscere un grande mare, la sceneggiatura di un qualsiasi spot, con tanto di papà e pupi, quando verte su quel codice, sta riportando in scena la massaia. Come da bisogno primario. Come da monoteismo travestito.

Certo, mormora la Boldrini, ma la massaia, specie quella rurale, è il modello unico di grande madre su cui l’identità italiana – dal “Mulino del Po” di Riccardo Bacchelli a “Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi, giusto per citare due capolavori della letteratura – ha da sempre confermato l’istinto, anzi, il principio: quello di realtà. Di mamma ce n’è una sola perché nell’essenza, questa, è massaia. E solo una cosa, fa: accudisce.

© - FOGLIO QUOTIDIANO


 

venerdì 27 settembre 2013

DA PORTATORI DI PACE A PORTATORI DI PACIFISMO

4 Ottobre, giornata della pace, della fraternità e del dialogo
Il Presidente del Consiglio Comunale di Cesena (PD) ha presentato un ordine del giorno sul tema, ambiguo e melenso, con ampi richiami alla "spiritualità" di San Francesco, nel nome di un pacifismo irenico e arrendevole.
Questa la dichiarazione del Consigliere Comunale del PDL

Signor Presidente,
come Lei sa questo ODG da Lei presentato non ci piace e anzi lo riteniamo una trappola per farci votare comunque una cosa che è ambigua e interpretabile in modi che non condividiamo, perché, si dice, non si può votare contro la pace. Ma di quale pace si tratta?
Questa proposta confonde volutamente pace e pacifismo, che è l’opposto della pace. L’irenismo, signor presidente, è certamente attraente, ma non può esserlo a spese del realismo.

Chi ha scritto questo ODG è una persona che  pensa che le culture siano equipollenti, si rifiuta di giudicarle, ritiene che accettarne una, la propria, e difenderla sia un atto di egemonia, un gesto di intolleranza, comunque un atteggiamento non democratico, non liberale, non rispettoso dell’autonomia di popoli e persone. A chi pensa così, “spirituale” è digeribile, perché generico, “religioso” anche perché indistinto, ovvio, condiviso, ma citare San Francesco, senza dire che è cristiano, citandolo come portatore di valori universali indistinti e buonisti, senza dire che i suoi valori sono tali perché è cristiano, è il punto più basso di questo ODG: ed è facile capire perché, perché nell’ottica del pacifismo la parola “cristiano” è inaccettabile, perché identitario, proprio, preciso, e perciò sospetto di arroganza.
Tutti sappiamo cosa accade oggi in Italia. A proposito della questione religiosa. Nel nostro paese oggi, grazie a Dio, chi disonora la fede di Israele, la sua immagine di Dio, le sue grandi figure, è punito dalla legge. È punito anche chiunque vilipendia il Corano e le convinzioni dell’Islam. Se invece si tratta di Cristo e di ciò che è sacro per i Cristiani, ecco che allora la libertà di opinione diventa il bene supremo, limitare il quale sarebbe minacciare o addirittura abolire la tolleranza e la libertà. Ma la libertà di opinione non è libertà di mentire, di cancellare i diritti o distruggere l’onore dell’altro.


B. Angelico: S. Francesco e il sultano

Noi sappiamo che San Francesco non è affatto il personaggio che generalmente ci viene presentato adesso. Non era il precursore dei teologi della liberazione. Né tantomeno fu l’araldo dl un cristianesimo dolciastro, melenso, ecologico-pacifista: il tipo che ride sempre, che parla con gli uccellini e fa amicizia con i lupi, uno che corre fra le spighe di grano mosse da una brezza leggera in un cielo azzurro (così come l’ha descritto Zeffirelli) uno spiritualista imbottito di luoghi comuni, senza identità. I francescani, quando è stato necessario hanno difeso l’Europa e la Cristinità pregando e impugnando le armi. Nel giugno del 1219 Francesco e frate Illuminato raggiunsero il campo dei crociati che assediavano Damietta da qualche tempo, e parlò col sultano, difese l’opera del crociati e propose al sultano la conversione. Il Saladino gli permise anche di predicare ai musulmani, ma — sembra — senza ottenere successo. Non stava in Italia, ma agiva nel mondo per difendere la Chiesa. Se l’Europa non è diventata islamica fra il 1400 e il 1600 lo dobbiamo anche a dei Santi Francescani, come San Giovanni da Capestrano, che nel 1456 combattè sotto le mura di Belgrado, dove i turchi furono sconfitti (e morì pochi giorni dopo la vittoria), e San Marco D’Aviano, che nel 1683 fu uno dei principali attori della vittoria contro i turchi a Vienna. Questo è San Francesco con i suoi frati.
In questo ODG i portatori di pace sono trasformati in portatori di pacifismo. Beati sono i costruttori di pace, non i pacifisti. Beati sono quelli che riescono ad evitare una guerra, non quelli che ne ripudiano il concetto. Immorali sono le guerre immorali. Beati sono quelli che, quando c’è la guerra, riescono a combatterla col minimo danno, non quelli che alzano le mani di fronte al nemico. La multiculturalità non può essere abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalla propria identità. E come si difende la propria identità? Con la cultura, certo, l’educazione, le relazioni diplomatiche, i rapporti politici, gli scambi economici, il dialogo, ma quando questo non basta occorre anche altro.
Chi predica l’equipollenza delle culture insegna non la tolleranza, ma l’arrendevolezza, spinge alla resa più che alla consapevolezza, più al declino che alla convinzione.


Il pacifismo che non conosce più valori degni di essere difesi e assegna a ogni cosa lo stesso valore è da rifiutare. Un modo di essere per la pace così fondato, in realtà significa anarchia, e nell’anarchia i fondamenti della libertà sono persi.
Non parliamo poi del pacifismo delle marce della pace, così come sono degenerate nel tempo. E’ un movimento che con una maschera universalista scende in piazza contro i nemici dei suoi amici – questi ultimi spesso regimi dittatoriali e i primi sempre Stati democratici- e si fa complice silezioso di tante dittature (la Cina, per esempio). Il nemico del movimento pacifista allora non è la guerra, ma l’Occidente e il capitalismo, la libertà e la democrazia. Non si capisce perché quando i morti sono milioni i pacifisti se ne freghino altamente e quando invece si tratta dei due loro grandi nemici, Usa e Israele, il processo alle intenzioni è sempre e comunque giustificato. Forse i pacifisti non se ne rendono conto ma in molti casi non sono altro che un pessimo residuo bellico della guerra fredda.
Per questo l’ODG non ci piace, perché è ambiguo e favorisce tutte le interpretazioni possibili della parola pace, anche di quelle che ne rappresentano l’opposto.
TOMMASO MARCATELLI


TORNA ATTUALE IL MESSAGGIO DI FATIMA


SamizdatonlineGli editoriali di SamizdatOnLine
Abbiamo ragioni per aderire con consapevolezza all'appello del papa (del primo settembre). E' così evidente la lotta con chi vuole l'autodistruzione del pianeta, a costo di negare i fatti ... Ma se saranno in molti a supplicare, potrà il buon Dio non fermare questa immane tragedia?
SamizdatOnLine

Quando il papa si è affacciato ieri a mezzogiorno per la tradizionale preghiera dell’Angelus si è capito subito che c’era qualcosa di nuovo e di grave. L’espressione era insolitamente seria, addirittura sofferente. Poi quando ha cominciato a parlare è apparso evidente che si trattava di un Angelus speciale: via il tradizionale commento al Vangelo domenicale, il Papa si è subito fatto «interprete del grido che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità, con angoscia crescente: è il grido della pace».


Le parole che poi sono seguite indicano anzitutto che il conflitto in Siria non è una guerra come tutte le altre, o meglio, lo è ma nel modo più radicale. Ogni guerra è violenza, distruzione, causa infinita di sofferenze, rabbia, odio, sorgente di nuova violenza. In Siria c’è tutto questo, ma a un livello tale che tutto il mondo ne può restare coinvolto. E del resto basta vedere quante nazioni in questi due anni hanno messo il becco – vale a dire soldi, armi e militari – in questa guerra che si fa fatica a chiamare civile, sull’uno e sull’altro fronte: potenze regionali o aspiranti tali, come Iran, Turchia, Qatar, Arabia Saudita; e potenze mondiali come Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia. E l’elenco non è completo. Al punto cui siamo arrivati, basta davvero poco - una provocazione, un attentato grave, una rappresaglia, anche un bombardamento mirato - perché il conflitto divampi incontrollato.
Il Papa ieri ci ha trasmesso questa drammatica consapevolezza, ma non da analista politico che – conoscendo bene le dinamiche internazionali – può prevedere un probabile sviluppo della situazione attuale. Era una consapevolezza profetica, ovvero da chi conosce il giudizio di Dio sulla storia che stiamo vivendo. Non per niente, ascoltandolo veniva da chiedersi: forse Costui conosce qualcosa su questa guerra che noi non sappiamo?
In effetti, spesso appiattiti sulla cronaca e sulle analisi diplomatiche e militari, ci sfugge il senso profondo di questi avvenimenti, ciò che il Papa ha invece voluto indicarci. Non per niente uno dei temi ricorrenti del suo pontificato è il riferimento al Diavolo, il giudizio netto sulle nostre azioni («se non si sta con Gesù si sta con il Diavolo») e anche sulla storia. E non può certo essere un caso che lo scorso aprile papa Francesco abbia chiesto al patriarca di Lisbona, il cardinale José Policarpo, di affidare il suo pontificato alla Madonna di Fatima, cosa poi effettivamente avvenuta il 13 maggio, giorno della prima apparizione. E per il prossimo 13 ottobre – ricorrenza dell’ultima apparizione a Fatima – il Papa ha voluto a Roma la statua originale della Madonna (dove c’è incastonato il proiettile che il 13 maggio 1981 colpì Giovanni Paolo II) alla quale consacrerà il mondo.
E’ un gesto che altri papi hanno già compiuto, in momenti forti di crisi internazionali: lo fece Pio XII il 31 ottobre 1942, in piena Seconda Guerra mondiale, lo fece Giovanni Paolo II il 25 marzo 1984 durante la crisi degli euromissili; lo fece ancora Giovanni Paolo II l’8 ottobre del 2000, in piazza San Pietro affidando alla Madonna di Fatima il terzo millennio. In quest’ultima occasione , nell’atto di affidamento Giovanni Paolo II descrisse quello che un altro devoto di Fatima, il “sindaco santo” Giorgio La Pira, definiva il “crinale apocalittico” della storia in cui si trova l’umanità:
«L’umanità possiede oggi strumenti d’inaudita potenza: può fare di questo mondo un giardino, o ridurlo a un ammasso di macerie. Ha acquistato straordinarie capacità d’intervento sulle sorgenti stesse della vita: può usarne per il bene, dentro l’alveo della legge morale, o può cedere all’orgoglio miope di una scienza che non accetta confini, fino a calpestare il rispetto dovuto ad ogni essere umano. Oggi come mai nel passato, l’umanità è a un bivio. E, ancora una volta, la salvezza è tutta e solo, o Vergine Santa, nel tuo figlio Gesù». Anche papa Francesco dunque si pone sulla scia delle indicazioni date dalla Regina della Pace a Fatima, e che trovano una impressionante continuazione a Medjugorje.
Siamo a un bivio: o la comunità internazionale decide di «fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in quella Nazione, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana», oppure ci si può aspettare «drammatici sviluppi» non solo per la Siria.
C’è solo un modo per sconfiggere il demonio, per allontanare la minaccia della guerra, e per questo il Papa ha «indetto una giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente, e nel mondo intero».
La Chiesa non farà certo mancare anche un impegno diplomatico, ma tutto sarebbe vano senza questo rivolgersi tutti insieme al Signore della storia («Senza di me non potete fare nulla»). Il digiuno indica appunto questa conversione,questo cambiamento di sguardo, affermare la signorìa di Dio nella nostra vita e nella storia, aprire a Lui il nostro cuore perché cambi l’odio in amore. Preghiera e digiuno sono le armi più importanti che abbiamo contro la guerra, come ha indicato la Regina della pace a Fatima e ora a Medjugorje.
In questo modo scopriamo che le sorti del mondo non dipendono da Obama, Cameron, Assad o al-Qaeda, ma da tutti noi, dalla nostra disponibilità a volgere di nuovo il nostro sguardo verso Cristo.
Riccardo Cascioli - La nuova Bussola Quotidiana

FORZA BARILLA


Barilla: «Mai coppie gay nei nostri spot. La nostra è una famiglia tradizionale». Lgbt: «È omofobo»

settembre 26, 2013

Il leader dell’azienda pastificia interviene alla Zanzara: «Se agli omosessuali non piace la nostra comunicazione mangino pure un’altra pasta». Le associazioni lgbt partono all’attacco


«Non faremo mai uno spot con una famiglia gay, la nostra è una famiglia tradizionale». Parola di Guido Barilla, leader dell’omonima azienda pastificia, che ieri è intervenuto durante il programma radiofonico La Zanzara. I presentatori Parenzo e Cruciani hanno intervistato il manager in seguito alle dichiarazioni del presidente della Camera Laura Boldrini sul ruolo della donna negli spot tv, ma presto la discussione si è allargata, finendo col trattare il valore della famiglia. «Se ai gay piace la nostra pasta e la nostra comunicazione la mangino pure, se non gli piace quello che diciamo ne mangeranno un’altra. La mia non è mancanza di rispetto per gli omosessuali, che hanno il diritto di fare quello che vogliono nel rispetto degli altri. Ma non la penso come loro. La famiglia cui ci rivolgiamo noi è quella tradizionale, dove la donna ha un ruolo fondamentale: è il centro strutturale di una vita di questo organismo».


LA DONNA IN TV. I ragguagli della Boldrini erano arrivati lunedì nel corso durante il convegno “Donne e media”, tenutosi in Senato: il presidente della Camera aveva contestato l’immagine della donna in televisione, troppo spesso protagonista di spot “stereotipati” dove viene rappresentata mentre serve a tavola padri e figli. «Dalle cose che dice – ha spiegato Barilla -, la Boldrini sembra non capire a cosa serva la pubblicità e quale ruolo la donna vi svolge. Questi spot nobilitano la donna sotto certi aspetti: è madre, nonna, amante, cura la casa, le persone care, fa altri gesti e attività che ne nobilitano il ruolo. È una persona fondamentale per la pubblicità in generale, non solo in Italia. Mia moglie tutte le mattine serve la colazione a tutta la famiglia poi va a fare il suo lavoro: che male c’è?».

IL BOICOTTAGGIO. Le associazioni omosessuali hanno subito lanciato una campagna per boicottare il marchio. «Lanciamo con una campagna di boicottaggio di tutti i suoi prodotti», ha detto il presidente dell’associazione omosessuale Equality Italia, Aurelio Mancuso. «Ecco un altro esempio di omofobia all’italiana», ha commentato il deputato di Sel Alessandro Zan. «Dopo le dichiarazioni di Guido Barilla ci chiediamo se dovesse scegliere come testimonial tra Obama e Giovanardi chi sceglierebbe – ha calcato la mano l’associazione Gay Center – il primo è a favore dei matrimoni gay, il secondo è un omofobo».
tratto da TEMPI

DELLA LEGGE SULL'OMOFOBIA SI PUO' PARLARE?


settembre 25, 2013

La durissima contestazione al convegno organizzato a Casale Monferrato per parlare della legge Scalfarotto approvata alla Camera

Per gentile concessione del sito ilmonferrato.it - Come da previsioni, è stato un convegno di fuoco, quello organizzato, domenica sera, dal Movimento per la vita, Alleanza Cattolica, Comunione e Liberazione e con il patrocinio della Pastorale della Salute e Pastorale Sociale della Diocesi di Casale, sul tema “Gender – omofobia – transfobia: verso l’abolizione dell’uomo?”.


Circa un’ottantina di contestatori – appartenenti a partiti (Sel, Pd e GD) e a numerosissime associazioni hanno atteso al di fuori dell’auditorium San Filippo l’arrivo dei partecipanti e del sindaco Giorgio Demezzi (subito salutato con un ironico applauso e al grido di “Buone elezioni!”) distribuendo volantini e mostrando, silenziosamente, cartelli di protesta appesi al collo. Dopo il saluto iniziale di Margherita Garrone (presidente MpV), la quale ha subito manifestato la preoccupazione verso una «legge che ci sta arrivando addosso senza la possibilità di valutare», il responsabile della Pastorale sociale don Gigi Cabrino ha introdotto i relatori precisando la posizione della Diocesi: «Qualche giorno fa “Il Monferrato” riportava di un comunicato dell’Arcigay nel quale si domandava quale era la posizione della Diocesi di Casale. È la stessa della Chiesa: estrema misericordia e apertura nel rispetto, però, della dottrina. Non esprimiamo giudizi. Sappiamo però che una legge può influire sulla cultura e riteniamo utile confrontarci in una serata informativa come questa. Ecco perché la Diocesi ha dato il suo patrocinio».

Intanto, i contestatori, aumentati nel frattempo, entravano in auditorium prendendo posto nelle ultime file.


Primo intervento previsto quello dell’avvocato e bioeticista Giorgio Razeto. Dopo aver brevemente mostrato l’iter del ddl sull’omofobia (approvato alla Camera lo scorso 19 settembre), Razeto è subito entrato nel vivo mostrando i fondamenti della teoria gender. Primo: non esiste una natura umana perché l’uomo è un prodotto della cultura. Secondo: non esistono differenze sessuali in quanto si è uomo o donna solo se ci riconosce come tali indipendentemente dalle identità fisiche. Terzo: l’uomo è oppressore della donna. Fin qui tutto liscio.

Il ragionamento di Razeto è poi proseguito arrivando a toccare un tasto dolente: se, passando dall’oggettivismo al soggettivismo, ognuno ha il diritto di decidere la propria natura sessuale, nulla vieta, a livello teorico, che vi sia anche predilezione sessuale verso i bambini. Da questo momento in poi, la contestazione non è più stata silenziosa: urla, proteste, slogan hanno cominciato a corredare la relazione. Calmate le acque, Razeto ha continuato parlando del relativismo e del possibile antidoto: il ritorno al senso comune, all’ordine morale e alla religione naturale. In conclusione, allorquando Razeto ha definito la legge in oggetto una forma di indottrinamento coatto, il grido di “buffone!” ha cominciato a rieccheggiare nella sala.


In realtà, la contestazione maggiore doveva ancora venire: l’intervento del prof. Mauro Ronco (ordinario di Diritto Penale all’Università di Padova) è stato un vero e proprio travaglio. Da subito ne è emerso un botta e risposta con un contestatore sulla questione del rispetto reciproco invocato da Ronco, ma il culmine della serata si è toccato quando il giurista ha cercato di dimostrare come l’omofobia («Quella che hai tu!», gli gridano dal fondo) non esista: «L’omofobo – ha detto Ronco – sarebbe colui che avrebbe paura dell’omosessuale e allora lo odia: nulla di più assurdo, non c’è ragione perché io abbia paura di un gay. Certo, vi è violenza da parte di molti, ma quella è violenza verso i più deboli in generale, che siano gay, donne o disabili…».

«Fai schifo!», gli è stato risposto. In molti, allora, don Gigi Cabrino in primis, hanno cercato di calmare gli oppositori cercando di convincerli a far proseguire pacificamente le relazioni senza cadere, squalificandosi, nell’insulto per poi intervenire al termine nello spazio riservato alle domande. Appelli lanciati nel vuoto, lo sdegno delle numerosi associazioni presenti era troppo: la casalese Selena Bricco ha, addirittura, sfilato provocatoriamente sul palco durante l’intervento del giurista.

Tornato uno stato di calma apparente, il professore ha provato a toccare gli aspetti giuridici più rilevanti: «È una legge che mira a punire chi la pensa diversamente dall’ideologia gender e chi dice la verità sul matrimonio. Gli atti discriminatori contro l’orientamento sessuale sono già puniti dal sistema legislativo, addirittura con l’aggravante. Questa è una legge contro la libertà di pensiero, è una legge che si attribuisce compiti di pedagogia morale e gettare discredito su una verità antropologica fondamentale, è una legge-bavaglio».

«Basta che lei stia zitto e non la imbavagliamo», hanno urlato dalle ultime file contro il professore che ha risposto: «Questo mi convince sempre più delle mie posizioni e trovo conferme sulla violenza del vostro comportamento».

D’ora in avanti, toccati gli argomenti di utero in affitto, aborto e adozione figli, la serata è stata continuamente interrotta. Prima cori di «Ver-go-gna, ver-go-gna, ver-go-gna!» fino all’occupazione del palco da parte dei contestatori con in mano cartelli “L’omofobia è odio non è libertà d’opinione” e due uomini lanciatisi in un bacio sul palco. Costretto a sospendere la conferenza, il prof. Ronco ha salutato, tra le urla, il pubblico: «Questa è la prova a quale livello di inciviltà stanno arrivando queste persone».

Tra le impressioni raccolte all’uscita, quella del sindaco Demezzi: «Trovo sconcertante tutto questo: ero venuto per capire e informarmi…» e di don Cabrino: «Questa serata è stata pensata per parlare di una legge. La prova è stata che di questa legge non si può parlare».

sabato 21 settembre 2013

QUI NON MANCA NULLA ......


PAPA FRANCESCO

Udienza ai ginecologi cattolici 20 settembre 2013
1. La prima riflessione che vorrei condividere con voi è questa: noi assistiamo oggi ad una situazione paradossale, che riguarda la professione medica. Da una parte constatiamo – e ringraziamo Dio – i progressi della medicina, grazie al lavoro di scienziati che, con passione e senza risparmio, si dedicano alla ricerca delle nuove cure. Dall’altra, però, riscontriamo anche il pericolo che il medico smarrisca la propria identità di servitore della vita. Il disorientamento culturale ha intaccato anche quello che sembrava un ambito inattaccabile: il vostro, la medicina! Pur essendo per loro natura al servizio della vita, le professioni sanitarie sono indotte a volte a non rispettare la vita stessa. Invece, come ci ricorda l’Enciclica Caritas in veritate, «l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo”. Non c’è vero sviluppo senza questa apertura alla vita. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono. L’accoglienza della vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco» (n. 28). La situazione paradossale si vede nel fatto che, mentre si attribuiscono alla persona nuovi diritti, a volte anche presunti diritti, non sempre si tutela la vita come valore primario e diritto primordiale di ogni uomo. Il fine ultimo dell’agire medico rimane sempre la difesa e la promozione della vita.
2. Il secondo punto: in questo contesto contraddittorio, la Chiesa fa appello alle coscienze, alle coscienze di tutti i professionisti e i volontari della sanità, in maniera particolare di voi ginecologi, chiamati a collaborare alla nascita di nuove vite umane. La vostra è una singolare vocazione e missione, che necessita di studio, di coscienza e di umanità. Un tempo, le donne che aiutavano nel parto le chiamavamo “comadre”: è come una madre con l’altra, con la vera madre. Anche voi siete “comadri” e “compadri”, anche voi
Una diffusa mentalità dell’utile, la “cultura dello scarto”, che oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti, ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli. La nostra risposta a questa mentalità è un “sì” deciso e senza tentennamenti alla vita. «Il primo diritto di una persona umana è la sua vita. Essa ha altri beni e alcuni di essi sono più preziosi; ma è quello il bene fondamentale, condizione per tutti gli altri» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull’aborto procurato, 18 novembre 1974, 11). Le cose hanno un prezzo e sono vendibili, ma le persone hanno una dignità, valgono più delle cose e non hanno prezzo. Tante volte, ci troviamo in situazioni dove vediamo che quello che costa di meno è la vita. Per questo l’attenzione alla vita umana nella sua totalità è diventata negli ultimi tempi una vera e propria priorità del Magistero della Chiesa, particolarmente a quella maggiormente indifesa, cioè al disabile, all’ammalato, al nascituro, al bambino, all’anziano, che è la vita più indifesa.
Nell’essere umano fragile ciascuno di noi è invitato a riconoscere il volto del Signore, che nella sua carne umana ha sperimentato l’indifferenza e la solitudine a cui spesso condanniamo i più poveri, sia nei Paesi in via di sviluppo, sia nelle società benestanti. Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù Cristo, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo. E ogni anziano, e – ho parlato del bambino: andiamo agli anziani, altro punto! E ogni anziano, anche se infermo o alla fine dei suoi giorni, porta in sé il volto di Cristo. Non si possono scartare, come ci propone la “cultura dello scarto”! Non si possono scartare!
3. Il terzo aspetto è un mandato: siate testimoni e diffusori di questa “cultura della vita”. Il vostro essere cattolici comporta una maggiore responsabilità: anzitutto verso voi stessi, per l’impegno di coerenza con la vocazione cristiana; e poi verso la cultura contemporanea, per contribuire a riconoscere nella vita umana la dimensione trascendente, l’impronta dell’opera creatrice di Dio, fin dal primo istante del suo concepimento. È questo un impegno di nuova evangelizzazione che richiede spesso di andare controcorrente, pagando di persona. Il Signore conta anche su di voi per diffondere il “vangelo della vita”.
In questa prospettiva i reparti ospedalieri di ginecologia sono luoghi privilegiati di testimonianza e di evangelizzazione, perché là dove la Chiesa si fa «veicolo della presenza del Dio» vivente, diventa al tempo stesso «strumento di una vera umanizzazione dell’uomo e del mondo» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione, 9). Maturando la consapevolezza che al centro dell’attività medica e assistenziale c’è la persona umana nella condizione di fragilità, la struttura sanitaria diventa «luogo in cui la relazione di cura non è mestiere – la vostra relazione di cura non è mestiere – ma missione; dove la carità del Buon Samaritano è la prima cattedra e il volto dell’uomo sofferente, il Volto stesso di Cristo» (Benedetto XVI, Discorso all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, 3 maggio 2012).
Cari amici medici, voi che siete chiamati a occuparvi della vita umana nella sua fase iniziale, ricordate a tutti, con i fatti e con le parole, che questa è sempre, in tutte le sue fasi e ad ogni età, sacra ed è sempre di qualità. E non per un discorso di fede – no, no – ma di ragione, per un discorso di scienza! Non esiste una vita umana più sacra di un’altra, come non esiste una vita umana qualitativamente più significativa di un’altra. La credibilità di un sistema sanitario non si misura solo per l’efficienza, ma soprattutto per l’attenzione e l’amore verso le persone, la cui vita sempre è sacra e inviolabile.
Non tralasciate mai di pregare il Signore e la Vergine Maria per avere la forza di compiere bene il vostro lavoro e testimoniare con coraggio – con coraggio! Oggi ci vuole coraggio – testimoniare con coraggio il “vangelo della vita”! Grazie tante.

 

REQUIEM PER LO STATO SOCIALE

IL WELFARE E' MORTO
COSI' PARLA IL NUOVO RE DELL'OLANDA
 

Una “società di partecipazione” in luogo dello “Stato sociale”. L’Olanda si appresta a realizzare una trasformazione che modificherà dalle fondamenta un modello consolidatosi con forza negli ultimi decenni. Il cambiamento epocale è stato annunciato dalle Re Willem-Alexander con un discorso pronunciato sulle tv nazionali.

“Il classico welfare-state del ventesimo secolo - ha riferito il sovrano - ha portato ad accordi che sono insostenibili nella loro forma attuale. Inoltre le persone al giorno d'oggi vogliono fare le loro scelte, organizzarsi la loro vita e prendersi cura l'una dell'altra”. In sostanza si apre ufficialmente una fase in cui saranno i cittadini a dover investire direttamente per costruire reti di assistenza sociale, mentre il governo limiterà il proprio aiuto a piccoli interventi. Meno assistenza della mano pubblica e più responsabilità individuale. I cittadini dovranno costruirsi da sè le loro reti sociali e di previdenza e trovare autonomamente garanzie economiche per affrontare il presente e il futuro. Il nuovo sistema seppellisce il vecchio modello nato nel 1982 e che aveva fatto dell'
Le parole del re rappresentano una certificazione del nuovo approccio messo in campo dal Primo ministro Mark Rutte, convinto sostenitore dell’austerity. Poche ore prima il titolare delle Finanze, Jeroen Dijsselbloem, aveva infatti presentato il bilancio statale per il 2014, caratterizzato da tagli pari a 6 miliardi di euro. L’obiettivo principale è abbassare il deficit, tenendolo sotto la soglia del 3% imposta dai vincoli europei. Le stime attuali indicano però che il traguardo non sarà raggiunto, in quanto prevedono un 3,3%. E’ soprattutto per questo che il governo ha deciso di stringere ulteriormente la cinghia.

. Si profila quindi un mutamento radicale per la sanità olandese, che nel 2010 aveva evidenziato la spesa più alta d’Europa: il 13% del Pil. Una prima riforma era già stata effettuata nel 2006 e aveva prodotto una struttura basata su due assi principali: un’assicurazione pubblica obbligatoria per il long term care e le disabilità, che rappresenta il 27% della spesa sanitaria del paese, ed un’assicurazione privata per i trattamenti medici di routine, tra cui il medico di base e le ospedalizzazioni, che pesa per il 41% della spesa sanitaria totale. Cifre ritenute troppo elevate, che hanno indotto l’attuale esecutivo a un ripensamento complessivo del sistema. In Olanda la festa è finita!

venerdì 20 settembre 2013

RETROMARCIA A BOLOGNA VINCONO MAMMA E PAPA'


Così oggi le élite culturali europee
vogliono affermare il laicismo radicale»

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ConteUn cortocircuito tra burocrazia e politica: così è stato definito l’ultimo episodio di Bologna sui moduli dei nidi. «Non poteva finire che così – commenta Ivo Colozzi, sociologo e professore all’Università di Bologna –. È scritto nel Dna politico di questa città».

In che senso?

Bologna ha una tradizione laicista molto forte e radicata. Sui temi legati all’omosessualità il nodo è noto: il presidente storico di Arcigay è bolognese e qui da noi è partita l’ondata di battaglie per i diritti legati alla sessualità.

La misura della Giunta è legata a questo?

La mia impressione è che da parte di Palazzo D’Accursio ci sia stato un tentativo di controbilanciare la spinta leggermente a destra che si era presa per il referendum sui finanziamenti alle scuole paritarie. Come a cercare di rimettere la barra della nave un po’ più a sinistra con un colpo che tocca solo un aspetto nominalistico che non modifica il regolamento e non cambia i criteri di inserimento. Insomma, che non provoca nessuno stravolgimento.

Il messaggio, però, è abbastanza chiaro...

Il modo realistico per leggere il contesto della vicenda credo che l’abbia perfettamente intuito l’arcivescovo Caffarra, che ai giornalisti ha risposto con ironia. Oggi c’è una distanza abissale tra il linguaggio naturale e il linguaggio burocratico. Non verrebbe mai in mente a nessuno, se non al controllore del treno, di dire «ha obliterato il suo titolo di viaggio?». Ci troviamo di fronte alla stessa situazione.

Non ne esce una bella immagine della politica cittadina...

Ma non è un problema solo di Bologna, non esageriamo. È la cultura che si trova nelle cosiddette «elite neoilluministe» europee che si caratterizzano per il recupero di un laicismo radicale che sembra fare a pugni con il senso comune delle persone. Ce lo dice la storia che questo fantomatico "razionalismo" ha dato pessima dimostrazione di sé. Penso alla Francia e all’ennesima richiesta di abolire i simboli religiosi dalla scuola. Azioni come questa dimostrano l’assoluta incapacità da parte della politica di gestire la diversità.

Diversità che si va accentuando...

Si moltiplicano le etiche, le filosofie, i gruppi, le etnie. È un processo inarrestabile che non può essere ignorato. La giunta Merola, che non è la sola, pretendeva di fare lo struzzo e di nascondere la testa sotto la sabbia. Eliminare la differenza ricorrendo alla neutralità non serve.

Una possibile soluzione?

Una via percorribile l’ha indicata papa Francesco nella lettera inviata al fondatore di la Repubblica. Lui ha tirato fuori di nuovo con forza il tema del dialogo. Molti aspetti della società moderna hanno la caratteristica dell’incompatibilità. Ci sono alcuni diritti che sembrano negare i diritti di altri. Non possiamo più considerarci nella logica della mediazione, come avevamo fatto fino ad adesso. Dobbiamo per forza formulare un incontro per arrivare a una verità per tutti. Questo ovviamente implica un cambiamento da parte di tutti.


 

Caterina Dall'Olio

Avvenire 20 settembre 2013

 

martedì 17 settembre 2013

UN CAMMINO CON CHI CERCA DIO MA SENZA EQUIVOCI


La lettera a Scalfari di papa Jorge Mario Bergoglio, datata 4 settembre, è uscita su “la Repubblica” la mattina dell’11 e nel pomeriggio dello stesso giorno “L’Osservatore Romano” l’ha riprodotta per intero:


Scalfari ha accompagnato la pubblicazione della risposta del papa con un riassunto delle otto domande da lui formulate in precedenza:


E l’indomani, 12 settembre, è intervenuto con un suo commento alla lettera papale:
Giorgione I tre Filosofi


Particolarmente apprezzata dal fondatore di “la Repubblica” è stata la risposta di papa Francesco alla domanda “se una persona che non ha fede né la cerca, ma commette quello che per la Chiesa è un peccato, sarà perdonato dal Dio cristiano”:


“Premesso che – ed è la cosa fondamentale – la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire”.
Questa risposta del papa ha talmente soddisfatto Scalfari da fargli scrivere subito dopo:
“Un’apertura verso la cultura moderna e laica di questa ampiezza, una visione così profonda tra la coscienza e la sua autonomia, non si era mai sentita finora dalla cattedra di San Pietro”.

Trascurando che sulla questione della coscienza Benedetto XVI aveva detto molto di più.
Rifacendosi al cardinale John Henry Newman, il grande convertito inglese da lui beatificato durante il suo viaggio del 2010 nel Regno Unito, papa Joseph Ratzinger disse a questo proposito:
“La forza motrice che spingeva sul cammino della conversione era in Newman la coscienza.Ma che cosa si intende con ciò? Nel pensiero moderno, la parola ‘coscienza’ significa che in materia di morale e di religione, la dimensione soggettiva, l’individuo, costituisce l’ultima istanza della decisione. Il mondo viene diviso negli ambiti dell’oggettivo e del soggettivo. All’oggettivo appartengono le cose che si possono calcolare e verificare mediante l’esperimento. La religione e la morale sono sottratte a questi metodi e perciò sono considerate come ambito del soggettivo. Qui non esisterebbero, in ultima analisi, dei criteri oggettivi. L’ultima istanza che qui può decidere sarebbe pertanto solo il soggetto, e con la parola ‘coscienza’ si esprime, appunto, questo: in questo ambito può decidere solo il singolo, l’individuo con le sue intuizioni ed esperienze.
“La concezione che Newman ha della coscienza è diametralmente opposta. Per lui ‘coscienza’ significa la capacità di verità dell’uomo: la capacità di riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua esistenza – religione e morale – una verità, ‘la’ verità. La coscienza, la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, gli impone con ciò, al tempo stesso, il dovere di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la incontra. Coscienza è capacità di verità e obbedienza nei confronti della verità, che si mostra all’uomo che cerca col cuore aperto. Il cammino delle conversioni di Newman è un cammino della coscienza: un cammino non della soggettività che si afferma, ma, proprio al contrario, dell’obbedienza verso la verità che passo passo si apriva a lui. [...]

“Per poter asserire l’identità tra il concetto che Newman aveva della coscienza e la moderna comprensione soggettiva della coscienza, si ama far riferimento alla sua parola secondo cui egli – nel caso avesse dovuto fare un brindisi – avrebbe brindato prima alla coscienza e poi al papa. Ma in questa affermazione, ‘coscienza’ non significa l’ultima obbligatorietà dell’intuizione soggettiva. È espressione dell’accessibilità e della forza vincolante della verità: in ciò si fonda il suo primato. Al papa può essere dedicato il secondo brindisi, perché è compito suo esigere l’obbedienza nei confronti della verità”.
Non stupisce che l’argomentazione “soft” di Bergoglio sia preferita da “la Repubblica” a quella “hard” di Ratzinger.
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Sulla coscienza “che si misura sulla verità” è istruttiva anche quest’altra citazione di Ratzinger, tratta dall’omelia da lui pronunciata quattro giorni dopo la morte di Paolo VI, il 10 agosto 1978, nella cattedrale di Monaco di Baviera di cui era allora arcivescovo:
“Paolo VI ha svolto il suo servizio per fede. Da questo derivavano sia la sua fermezza sia la sua disponibilità al compromesso. Per entrambe ha dovuto accettare critiche, e anche in alcuni commenti dopo la sua morte non è mancato il cattivo gusto. Ma un Papa che oggi non subisse critiche fallirebbe il suo compito dinanzi a questo tempo. Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l’approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità, sulla fede. È per questo che in molte occasioni ha cercato il compromesso: la fede lascia molto di aperto, offre un ampio spettro di decisioni, impone come parametro l’amore, che si sente in obbligo verso il tutto e quindi impone molto rispetto. Per questo ha potuto essere inflessibile e deciso quando la posta in gioco era la tradizione essenziale della Chiesa. In lui questa durezza non derivava dall’insensibilità di colui il cui cammino viene dettato dal piacere del potere e dal disprezzo delle persone, ma dalla profondità della fede, che lo ha reso capace di sopportare le opposizioni”.--------------------------------------------
dal Blog di S. Magister "Settimo Cielo"