sabato 31 maggio 2014

IMPARARE DALLE ELEZIONI

L’avventura del Crocevia, iniziata anni fa attraverso il confronto con le parole di Papa Benedetto, ci ha fatto comprendere che i cattolici hanno un posto particolare in questo momento nel nostro paese e nella nostra città, solo se sanno parlare da cattolici, con tutto il peso del riferimento alla propria fede e consapevoli che essa è capace di creare cultura, di muovere gli animi, infondere forza a chi vuole costruire.

Questo lungo e difficile passaggio elettorale, che abbiamo vissuto con determinazione sempre in prima linea, ci ha dato la possibilità di sperimentare quanto sia vero il punto di partenza, e cioè la chiara pretesa che la fede cattolica – se non è tradita – possa e debba entrare in aiuto alle ragioni della politica.

Quello che abbiamo vissuto è stata una presenza organica da parte di cattolici non travestiti da laici, che non hanno fatto proposte minimali per ottenere un largo consenso, al costo di non dire nulla, che non hanno aperto nessun tavolo con soggetti cattolici dalle posizioni tanto diverse da parlare lingue incomprensibili, ma che si sono proposti  a tutti coloro che hanno scelto di fare un percorso insieme per il bene della città.  Un percorso che ha generato rapporti e amicizie insperabili e costruttive, e che ha permesso di ideare un programma concreto con scelte pratiche e discrezionali che impegnano la responsabilità personale.

Anche oggi ,come ci ha detto spesso don Giussani in passato, per porsi bisogna opporsi. Pour se poser il s’oppose”
“Se non c’è il senso della responsabilità rischiosa, perciò se non ci sono il giudizio e la volontà e l’affettività per andare contro, per cambiare ciò che c’è, ciò che mi si oppone, se non ho questa responsabilità, cioè se io non sono presente all’ambiente, la libertà diventa un ‘sogno di una notte di mezza estate’ che il vento soffia via”.


Educato da questa esperienza, il Crocevia riprende da oggi quel cammino per difendere la “Libertas Ecclesiae” che è la prima di tutte le libertà, con una speranza nuova, grazie al lavoro di tutti e alla presenza nel consiglio comunale di Cesena di Stefano Spinelli e di Gilberto Zoffoli.

venerdì 30 maggio 2014

DIVORZIO BREVE, LEGGE IDEOLOGICA CONTRO IL MATRIMONIO

"Se fosse vero, come è stato detto, che il problema sono i tempi della giustizia, mi chiedo perché, invece di affrontare il nodo vero, cioè la riforma della giustizia civile, interveniamo sul matrimonio. 

La verità è che si tratta di una legge ideologica che vuole indebolire il matrimonio, rendendolo sempre più simile a un semplice patto di convivenza, a qualcosa che non richiede un impegno di durata e stabilità, nemmeno in presenza di figli, e che si può sciogliere in sei mesi . 

Tutto questo senza considerare i costi umani, sociali ed economici di questo tipo di decisione. Siamo arrivati ad un matrimonio liquido per una società liquida, e non credo che questa volta abbiamo agito per il bene comune. Per questo annuncio il mio voto contrario al provvedimento. ”

EUGENIA ROCCELLA

giovedì 29 maggio 2014

ADEGUARE IL CRISTIANESIMO AD UN MONDO DIVENTATO ADULTO: IL TRADIMENTO DEI CATTOLICI PROGRESSISTI

di Assuntina Morresi

Con queste ultime elezioni EUROPEE , anche l’Italia si è allineata al resto d’Europa, dove il voto cattolico è irrintracciabile, perché irrilevante.

Il problema non è la dispersione del voto dei cattolici fra i vari partiti, ma il fatto che i cattolici hanno votato seguendo gli stessi criteri di tutti gli altri: anche con il loro contributo è schizzato al 40% il partito di Renzi, patron di Scalfarotto, primo firmatario della legge sull’omofobia; è lo stesso partito del senatore Lo Giudice,  che proprio pochissimi giorni fa ha annunciato di aver avuto un bambino con la pratica dell’utero in affitto in America, commissionato da lui e dal suo compagno, sposato a Oslo qualche anno fa. Ma basterebbe andarsi a guardare il programma di Renzi alle primarie del Pd per vedere che la sua posizione su vita, famiglia e libertà di educazione è in piena sintonia con il clima laicista che impregna il Pd.



E così tanti cattolici che all’epoca si erano stracciati le vesti per la vita personale di Berlusconi – cioè per quello che faceva a casa sua – stavolta hanno serenamente votato le liste di Renzi, senza ombra di dubbio. D’altra parte la pattuglia più nutrita di cattolici con un dichiarato impegno in politica in questo senso, in parlamento, è quella del Nuovo Centro destra, che comunque non è stato premiato: a dimostrare che, contrariamente a quanto si dice, certe battaglie (v. legge sull’omofobia, per es.) non portano voti. Eppure stavolta con le preferenze era possibile scegliere anche i candidati, che però – numeri alla mano – sono stati evidentemente eletti seguendo altri criteri.

E’ il trionfo della scelta religiosa, cioè di quell’atteggiamento per cui la fede deve rimanere un qualcosa di intimo e privato, mentre la vita, in particolare la vita pubblica, scorre altrove.

I benpensanti, fra cui alcuni sedicenti intellettuali cattolici, dicono che i tempi sono cambiati, e che adesso ai credenti non è chiesto di opporsi: inutile cercare di arginare il corso dei tempi, anzi, così facendo si diventa ideologici, fondamentalisti, integralisti. Questo è il tempo della testimonianza, dicono.
Ma cosa è la testimonianza? Sicuramente non è il buon esempio. La testimonianza è un giudizio, una presenza evidente a tutti.
Se così non fosse, per esempio, dovremmo accusare di ideologia i ragazzi della Rosa Bianca, che molti conoscono perché qualche anno fa una mostra al Meeting (ironia della sorte) ne ha diffuso la storia al grande pubblico. Secondo i criteri che adesso vanno per la maggiore, dovremmo forse dire che Sophie e Hans Scholl, Alexander Schmorell, e tutti gli altri, letteralmente ossessionati dal nazismo, si illusero di arginare il corso dei tempi (pure loro), perdendo la vita per incitare a una folle resistenza a Hitler? O forse invece che la loro amicizia, proprio perché vera, non poteva che tradursi in quella che è diventata una splendida esperienza e testimonianza, cioè un giudizio pubblico? E non è stato proprio il loro impegno pubblico, a farci chiedere dove si fondava la loro amicizia?
L’Italia finora è stata una felice eccezione nell’Europa scristianizzata, perché i tratti fondanti dell’esperienza cristiana – vita, famiglia e libertà di educazione – sono stati tenacemente difesi, anche e soprattutto nella vita civile e politica.
Come ricordava Sandro Magister, in un pezzo scritto per gli ottanta anni del Card. Ruini:“L’eccezione italiana è il rovescio di quel cattolicesimo “adulto” che ama immergersi e perdersi nella città degli uomini, come lievito e sale di un mondo impastato da altri, un cattolicesimo che ascolta prima di parlare, che accoglie prima di giudicare. L’esito di questa avventura è sotto gli occhi di tutti in altre regioni d’Europa e del mondo, dove il vento della secolarizzazione ha fatto tabula rasa. Per Ruini, invece, la Chiesa deve avere “un ruolo guida e un’efficacia trainante”, come disse il suo maestro Wojtyla. Deve insegnare e praticare la “sacra militia”, assieme alla “sacra doctrina”. Deve essere Chiesa di popolo, con un linguaggio e una visibilità pubblici. Non deve aver paura di parlare a voce alta di Dio, con tutto quel che ne consegue, perché “con Lui o senza di Lui tutto cambia”.

Sull’eccezione italiana San Giovanni Paolo II ebbe parole chiarissime, fin dalla svolta del convegno di Loreto 1985, ma anche successivamente, per esempio nella sua Lettera ai Vescovi italiani sulle responsabilità dei cattolici di fronte alle sfide dell’attuale momento storico, del 6 gennaio 1994, e due mesi dopo nell’iniziativa della “Grande preghiera per l’Italia e con l’Italia”, di cui ricordo un passo: “Sono convinto che l’Italia come nazione ha moltissimo da offrire a tutta l’Europa. Le tendenze che oggi mirano ad indebolire l’Italia sono negative per l’Europa stessa e nascono anche sullo sfondo della negazione del cristianesimo. In una tale prospettiva si vorrebbe creare un’Europa, e in essa anche un’Italia, che siano apparentemente ‘neutrali’ sul piano dei valori, ma che in realtà collaborino alla diffusione di un modello postilluministico di vita. Ciò si può vedere anche in alcune tendenze operanti nel funzionamento di istituzioni europee. Contro l’orientamento di coloro che furono i padri dell’Europa unita, alcune forze, attualmente operanti in questa comunità, sembrano piuttosto ridurre il senso della sua esistenza e della sua azione ad una dimensione puramente economica e secolaristica. All’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo”.

Urge riflessione.

UNO DI NOI

La scadente Commissione Europea ha cassato oggi l’iniziativa “Uno di noi” (http://www.mpv.org/uno_di_noi/ )

Se vi ricordate, “Uno di noi” aveva raccolto in Europa quasi due milioni di firme per mettere al bando la ricerca su embrioni umani.
I simpatici commissari  dicono così:
«Nous nous sommes penchés sur cette initiative citoyenne et avons accordé toute l’attention requise à la demande qu'elle formulait. Toutefois, les États membres et le Parlement européen ont convenu de poursuivre le financement des activités de recherche dans ce domaine pour les raisons suivantes. Les cellules souches embryonnaires sont uniques et offrent la possibilité d'élaborer des traitements pouvant sauver des vies, »
ovvero
Bella iniziativa bla, bla, un milione (erano quasi il doppio), bla bla, dedicato tutta l’attenzione. Tuttavia, gli stati membri hanno convenuto di continuare il finanziamento in questo campo per le ragioni seguenti: le cellule embrionali sono uniche e offrono la possibilità di elaborare dei trattamenti che possono salvare delle vite (bla, bla, bla)


Il punto era proprio quello: salvare delle vite. Ma evidentemente, non l’hanno capito. O forse l’hanno capito anche troppo bene.


Antonio\Berlicche

ORA CI SIA UN DIALOGO CHE RISPETTI TUTTE LE POSIZIONI

di Luigi Negri


Chiedo ospitalità alla Nuova Bussola Quotidiana per un intervento che non è di carattere politico in senso stretto, visto che mi mancano le competenze e non è la mia funzione. Voglio invece esprimere il sentimento di un cittadino qualunque che è anche vescovo, e perciò è radicato nella vita del popolo, della gente; quella gente che è investita da una crisi finanziaria di proporzioni terribili, segnata dalla sfiducia in istituzioni che per troppo tempo hanno privilegiato interessi particolaristici. Sembra difficilmente riguadagnabile un’esperienza di vita fatta di cose grandi, dell’ideale del conoscere, dell’amare. Prevalgono una meschinità e una piaggeria che sembrano consegnare il nostro paese al pensiero unico dominante, che non si può neanche discutere.

L’esito elettorale ha significato che il popolo ha usato un grande buon senso, e non mi riferisco a un solo partito. Non so definire i termini politici di questo esito. Ha però vinto il buon senso che ha preferito dare credito a una possibilità che potrebbe rivelarsi nel tempo positiva anziché farsi travolgere da irrazionalità di urla, insulti, volontà distruttive, ignoranza macroscopica. È stato ragionevole sostenere il lavorare affinché le possibilità positive si esprimano anziché lasciarsi invadere da una reazione irragionevole e non costruttiva.

Certo, all’indomani delle elezioni il problema è proseguire un lavoro a livello sociale che consenta un confronto vivo tra le varie posizioni, perché è pur vero che nel nostro paese ci sono diverse posizioni ideali, culturali, religiose. Eppure c’è un prevalere quasi indiscusso e indiscutibile dell’ideologia libertaria e consumistica insieme, c’è l’apparire preoccupante di fenomeni di discriminazione per chi non si adegua al pensiero unico dominante.

È necessario invece che le varie posizioni culturali approfondiscano la loro identità, maturino le loro ragioni, che possono essere diverse. Gli amici cattolici che sono intervenuti nella vicenda partitica debbono considerare e debbono interloquire a tutto campo con il governo e con le istituzioni perché chi ha vinto questa battaglia, l’ha vinta per una promessa di ripresa di benessere economico; non l’ha certamente vinta per le strampalate teorie gender che pure dice di sostenere, meno che mai l’ha vinta per l’approvazione dei matrimoni omosessuali. Chi ha vinto questa battaglia politica non può illudersi che i cattolici possano essere d’accordo con lui sull’ideologia.

Qui va operata la distinzione vera tra le riforme economiche e istituzionali da una parte e le ideologie formulate dalla sinistra dall’altra. È una distinzione necessaria e su queste ideologie ci deve essere lo spazio del confronto a tutto campo; bisognerà essere disposti a un dialogo che non sacrifichi e non riduca l’identità espressa dalla nostra tradizione cattolica.

È quindi per tutti, non solo per chi ha vinto, l’inizio di un lavoro. Bando a trionfalismi o a depressioni: ben venga un ambito dove il confronto politico a tutti i livelli sia perseguito in maniera attiva per il benessere del popolo, come richiamava molto spesso don Luigi Giussani.

* Arcivescovo di Ferrara-Comacchio

domenica 25 maggio 2014

“POUR SE POSER, IL S’OPPOSE”.

ARCHIVIARE GIUSSANI ?

In un articolo pubblicato sul “sussidiarionet” Massimo Borghesi, ciellino romano, tratteggia il futuro di unh movimento di Cl che dovrebbe avere– lo dice testualmente – “una prospettiva che non ha bisogno di ‘opporsi’ per ‘porsi’ ”.
A lui risponde con un articolo infuocato Antonio Socci, oggi su Libero.
Ecco la parte finale dell’articolo.



Ne conosco già tanti di cristiani “borghesi”, che amano starsene in poltrona. Ma qualunque ciellino sa bene che una delle frasi storiche di don Giussani, per descrivere l’irrompere del cristianesimo, dice l’esatto contrario: “POUR SE POSER, IL S’OPPOSE”.

Giussani ripeteva questo motto “per sottolineare che bisogna avere coscienza di sé ed essere se stessi per diventare attori, fattori incidenti sul mondo”, scrive Alberto Savorana nella sua “Vita di don Giussani”, indicata come testo ufficiale da don Carron.

Masaccio: Cappella Brancacci, il Battesimo dei neofiti
Anni dopo Giussani spiegherà:
“E’ quella famosa frase che abbiamo citato tante volte: ‘Pour se poser il s’oppose’, per porsi uno si oppone. Se non c’è il senso della responsabilità rischiosa, perciò se non ci sono il giudizio e la volontà e l’affettività per andare contro, per cambiare – perché ‘andare contro’ vuol dire ‘cambiare’ – ciò che c’è, ciò che mi si oppone (…), se non ho questa responsabilità, cioè se io non sono presente all’ambiente, la libertà diventa un ‘sogno di una notte di mezza estate’ che il vento soffia via. E dopo viene l’anoressia dell’umano”.

Aggiungeva:
“Il mondo adesso è pieno di anoressici dell’umano: per il potere. Ma come si fa a liberarsi a questa soggezione al potere che ci mette in anoressia? Bisogna opporsi, cioè bisogna porsi con tale consapevolezza, giudizio e affettività, con tale libertà reale, che si cambi o si cerchi di cambiare quel che ci sta davanti (…). Per questo il potere odia la libertà. Ciò sta avvenendo in Occidente in una forma tragica e umanamente più deleteria di come sia avvenuto in Russia sotto Lenin e Stalin. Perché in Occidente è tutto liscio”.

E’ stato Cristo stesso a “opporsi” fin dall’inizio, quando ha fatto irruzione come Luce nel Regno delle tenebre (Gv 1). Nella perdizione originale del mondo.
Infatti appena nato già il potere cercò di massacrarlo. Disse: “non sono venuto a portare la pace, ma la spada” (Mt 10, 34).
La spada della verità.
Per Borghesi invece non ci si deve “opporre”, e prefigura per CL una fuga in quella “scelta religiosa” dell’Azione Cattolica degli anni Settanta contro cui sempre Giussani si batté, strenuamente, mentre il resto del mondo cattolico – sparito dalla scena pubblica – si arrendeva alla dominante ideologia radical-marxista.

SCELTA RELIGIOSA ?

Giussani, in anni recenti, ha ricordato così quei turbolenti anni Settanta in cui noi ciellini venivamo misconosciuti dalle curie e sprangati nelle scuole e nelle università:

“La formula ‘scelta religiosa’ si aggancia al periodo in cui, di fronte a tutti i problemi politici – diretti e indiretti:indiretti come l’aborto, come il divorzio; diretti come la scelta del partito -, tutte le associazioni cattoliche – tutte!- hanno detto: ‘Noi siamo qui per educare il senso religioso degli uomini, perciò noi guardiamo soltanto la religiosità.Queste cose non ci interessano’. E siccome anche l’aborto e il divorzio sono cose ‘non religiose’, allora non si interessavano né di divorzio, né di aborto. Invece noi dicevamo: ‘Tutto c’entra con la religiosità’, perciò ci interessavamo di tutto”.

La profetica posizione di Giussani per cui Gesù Cristo c’entra con tutto e tutto illumina e vivifica, fu subito riconosciuta e abbracciata da Giovanni Paolo II, appena eletto, e diventò la posizione di tutta la Chiesa.

Su questa intuizione è rinato il cattolicesimo italiano con tanti nuovi movimenti e realtà ecclesiali. Come cattolicesimo di popolo.

Chi ritiene che papa Francesco voglia smentire il magistero precedente su questo si legga ciò che ha detto, il 3 maggio scorso, nell’incontro con l’Azione Cattolica, durante il quale ha lanciato un accorato appello a non rinchiudersi in quello che ha definito “intimismo disgustoso”.(link)
Occorre “uscire, andare per le strade delle vostre città e dei vostri Paesi, e annunciare che Dio è Padre e che Gesù Cristo ve lo ha fatto conoscere, e per questo la vostra vita è cambiata”.
Occorre che i laici assumano pienamente il loro compito della “trasformazione della società per orientarla al bene”.
Questo è il compito di CL e dei cristiani.


 http://www.antoniosocci.com/

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/may/documents/papa-francesco_20140503_azione-cattolica-italiana.html

sabato 24 maggio 2014

PERCHÉ VOTARE

Federico Pichetto


sabato 24 maggio 2014

Nietzsche sosteneva che nella società nichilista non esistono fatti, ma solo interpretazioni. Alla vigilia delle elezioni europee si confrontano interpretazioni molteplici del voto e degli schieramenti in campo. Queste interpretazioni sono espresse attraverso delle descrizioni di vicende, dei racconti, che vengono offerti da politici e commentatori come "mantra" da ripetere costantemente nella speranza di imporli come la lettura ufficiale della realtà attuale.
Così, in quello che una volta si sarebbe definito il blocco moderato, il Movimento 5 Stelle è rappresentato come l'icona della deresponsabilizzazione e del nichilismo, mentre - nel blocco grillino - Renzi è dipinto come il canto del cigno di una politica corrotta arrivata al capolinea. Queste definizioni sono costruite apposta per togliere agli interlocutori la possibilità stessa di un confronto autentico con la realtà delle cose. Nel passato questo succedeva quando si accostava d'ufficio l'aggettivo mafioso a certi democristiani o quando i comunisti erano bollati senza appello come sovversivi e miscredenti. La nostra società, insomma, è maestra nell'eliminare preventivamente l'avversario, nell'eludere la fatica del confronto con chi apparentemente sembra agli antipodi della propria esperienza e delle propria tradizione.


Accadeva anche ai tempi di Cristo, quando pubblicani e prostitute erano bollati come "peccatori" e quindi immondi, non degni neppure di essere presi in considerazione. Accade tutti i giorni a noi quando, con un aggettivo, facciamo fuori il marito, la moglie, i figli, gli amici. Accade perché vogliamo evitare che quelle vite, quei volti, ci mettano in discussione, ci spingano a cambiare. È questa l'ideologia. Quella stessa ideologia che definisce Berlusconi un delinquente, Alfano un protettore di vecchie cariatidi, Renzi un "figlio di troika", Grillo un dittatore. Io non metto in dubbio che questi epiteti possano prendere spunto da episodi realmente accaduti, ma dico che così facendo si condanna il paese allo scetticismo e alla voglia di "sfascismo".
Ogni volta che noi non facciamo i conti con la realtà, come fece Cristo nei confronti dell'adultera o di Zaccheo, perdiamo l'occasione migliore della nostra vita: quella di imparare, di capire. L'uomo sembra oggi in balia di un accecante desiderio di essere confermato, approvato, rassicurato, in quello che sa già. Per questo liquida l'altro, il diverso, con un epiteto. Per questo non accetta di stare in silenzio, di non commentare, di attendere: perché ha fretta di chiudere, di tarpare, la domanda che la realtà pone.
Il successo di Grillo, infatti, deve essere capito, la speranza che suscita Renzi deve essere compresa, l'immortalità elettorale di Berlusconi deve essere indagata, la voglia di un movimento moderato unito, rappresentata da Alfano, deve essere ascoltata. Ma questo vale anche per Tsipras, per Salvini, per la Meloni, per il brontolio di mia moglie e per la diversità di mio figlio: io non posso liquidare tutto con quello che so, perché io - davanti a quello che accade - ho la possibilità di vedere Qualcosa di nuovo, di ascoltare - ancora una volta - la Parola di un Altro, l'invito di un Mistero.
A riprova di ciò va detto che questo è il paese dove si è fatto fuori Mussolini senza cercar di capire fino in fondo l'infatuazione del popolo per il fascismo, dove si è mandata al macero l'esperienza craxiana senza provare a custodirne la preziosa eredità, dove si è cantato l'Alleluia di Hendel per l'uscita di scena di Berlusconi senza neppure domandarsi che cosa il paese aspettasse veramente da lui. Oggi tutto questo atteggiamento snob, lobbista, settario, è ancora in agguato. Con Renzi, con Grillo, con Alfano. Ma soprattutto con i nostri amici e con noi stessi.
Per questo, per andare a votare seriamente alle elezioni di domenica, abbiamo bisogno di una sola cosa: che riaccada nella nostra vita lo sguardo di Cristo. Questo non è "confessionalismo" o "spiritualismo", ma è la posizione di chi non ha paura di verificare concretamente il fatto che le forze che cambiano la storia siano le stesse che cambiano il cuore dell'uomo. Altrimenti possiamo pure promuovere tanti assiomi apodittici − universalmente ineccepibili o affascinanti − ma poi, alla fine dei conti, essere come tutti gli altri. Per alcune persone dire queste cose potrebbe risultare una perdita di tempo, un distrarsi dalla "battaglia politica", per me − che vivo su una montagna alla periferia del mondo − è l'unica cosa che conta. L'unica cosa che, domenica prossima, mi farà alzare ed andare − con ironia e libertà − ad esprimere il mio voto.


 DA Ilsussidiario.net

CARRON: LA PRIMA QUESTIONE E' VOTARE

(…) Come riconoscono gli attori più autorevoli del dibattito europeo, quel che è in gioco in queste elezioni è così cruciale che la prima questione è votare.

La distanza che tanti di noi sentono – noi, malgrado tutto quel che viviamo – e che sentono tanti nostri concittadini, noi possiamo contribuire a superarla andando a votare, proprio perché la questione dei fondamenti è così cruciale. Altrimenti noi non avremo l’energia e le ragioni per muoverci e, quindi, cercheremo un equilibrio tra l’attivismo e l’ascetismo, usandolo per non impegnarci fino in fondo.
Si tratta di capire che la vera discussione è sui fondamenti, allora la cosa diventerà sempre più concreta fino a muoverci nell’intimo per andare a votare e per continuare questo dialogo nella società su quel che ci siamo detti, che ci siamo dati come strumenti in questi tempi: il volantino sull’Europa e il testo della Pagina Uno di Tracce di maggio. Attraverso questi gesti ancora una volta il Mistero non ci lascia decadere, perché tante volte, quando ascoltiamo gli avvisi, pensiamo che siano come i compiti che ci diamo come organizzazione ciellina.

Niente di più sbagliato, perché non basta questo, come vedete. Gli avvisi che proponiamo sono gesti, gesti attraverso cui, buttandoci nel reale, noi siamo generati.
Perché soltanto se uno prende in considerazione un avviso, può verificare che esso è assolutamente pertinente, concreto; l’invito a questi gesti è la modalità con cui il Mistero non ci lascia affondare nel nulla e nell’indifferenza totale in cui spesso vediamo che tanti cadono.

Per questo non è prima di tutto per darci una mano nell’organizzazione, sarebbe una riduzione assoluta dei gesti che ci proponiamo negli avvisi. Tutti i gesti che proponiamo hanno uno scopo diverso, uno solo: la possibilità di essere generati, perché ci sfidano a pensare. È una compagnia che ci diamo per essere generati, perché è impossibile che uno, se legge il volantino – come abbiamo detto – sull’Europa o la Pagina Uno, non ritrovi qualcosa che lo genera, è impossibile! Nel fare insieme certi gesti – se poi uno ti sfida, chiedendoti le ragioni che tu devi dare – vieni generato, e quindi diventi te stesso. Se noi non ci rendiamo conto del legame che c’è tra gli avvisi e l’essere generati, come modalità della permanenza di Cristo, della fedeltà di Cristo alla nostra vita che ci rigenera, che si impone costantemente, che non ci lascia tregua, noi non cogliamo il valore dei gesti.


Perché questi gesti sono la modalità con cui riconosciamo ogni volta la pietà verso il nostro niente di Colui che ci genera e che ci dice: «Guarda, se non vuoi finire nel nulla ti offro questo, ti invito a questo». Oggi saranno le elezioni, domani sarà il Meeting, dopodomani sarà la Colletta alimentare o le Vacanze. Se uno ignora tutto questo, come potrà vedere una carne che lo genera? Saremmo noi a doverci generare con il nostro tentativo, con tutto il nostro sforzo, con la nostra energia. E noi sappiamo già che esito ha questo. 

Carron scuola di comunità 21 maggio 2014

EUROSCETTICI ED EUROREALISTI

Pubblicato da Berlicche
Come si sa, lo scetticismo è una corrente filosofica che afferma che niente si può conoscere con certezza. Lo scettico dubita delle cose, e ritiene che siano ingannevoli: di fronte ad esse l’unica strategia sono l’afasia e l’atarassia.
Ovvero, fregarsene.

L’euroscettico è una persona che è scettica sull’Europa. Meglio: è estremamente critica sul modo in cui l’Europa politica, quella per cui andremo a votare tra qualche giorno, è stata realizzata.
Non è che abbia tutti i torti. Neanche i più sfegatati europeisti possono sostenere che vada tutto bene. I parlamentari europei che saranno eletti avranno un potere limitato rispetto alla vera cabina di regia europea, che rimane saldamente in mano dei governi – per la precisione, di alcuni governi. I pronunciamenti e le decisioni che ci sono giunti da quelle sedi sono stati spesso contraddittori o addirittura nefasti, soggetti a logiche estranee. Come nella politica estera. Ma anche fin troppo spesso nelle vicende sulle questioni morali. E non parliamo dell’economia.
Ma neanche i più sfegatati euroscettici possono negare la positività di avere un continente al cui interno non si muovono eserciti, non si innalzano barriere economiche e fisiche, si può, tutto sommato, godere di una certa libertà.
L’euroscettico contesta le prossime elezioni. Sostiene che votare persone che alla fin fine contano poco non serve a niente, salvo a finanziare alcuni privilegiati che servano come specchietti per le allodole. Invita ad astenersi, forma legittima di protezione e dissenso contro un élite che ha perso il contatto con il popolo. Se mai lo ha avuto.
Se posso dire la mia, non sono d’accordo con lo scettico. Se l’astensione è un segnale politico, è il segnale che i potenti possono fare quello che vogliono perché lo scettico è afasico. I potenti, quelli che dettano le regole del gioco, non si combattono fregandosene, ma facendo.
Sono consapevole che difficilmente una riforma che si prenda spazi veri di democrazia riuscirà a battere in tempi brevi quella burocrazia tecnicista che sta lottando per controllare questo continente. Ma rifiutarsi di essere rappresentati in questa Europa significa farsi rappresentare solo dagli “altri”, chiunque essi siano.
Certo, una struttura fatta solo da “altri” è un bersaglio più appetibile: sono tutti dentro la casa, noi siamo fuori, la si bruci. Personalmente però sono più favorevole a ricostruire che ad abbattere. Il realismo ci insegna che costa molta meno.
L’euroscettico, di solito, non si spinge fino ad affermare che l’Europa come comunità di popoli non dovrebbe esistere. Eppure, a ben guardare, è il sottofondo a parecchie rivendicazioni: “ce ne staremmo meglio da soli”. Ma che vuol dire da soli? Sola Italia? Sola regione? Solo paesello? Soli soli? Il negare l’interdipendenza degli esseri umani non solo è un’assurdità, è il negare lo stesso concetto di “prossimo”. E’ il trionfo dell’egoismo: non ci dobbiamo mai dimenticare che la violenza, l’impensabile caos è solo ad un passo di distanza. L’Ucraina ce lo ricorda.
Io, da parte mia, voterò, e voterò convinto alcune persone che conosco. Non so che cosa sarà dell’Europa, dell’Italia nei prossimi anni. Posso solo sperare che, se eletti, quegli amici saranno eurorealisti e sapranno, almeno un poco, cercare il bene e renderlaun posto migliore per tutti. Anche per gli scettici afasici e atarassici.


giovedì 22 maggio 2014

PENSIERI IMPROVVISI

IL CRISTIANESIMO DEVE ESSERE AUDACE

L'attuale cristianesimo pecca di buona educazione.



Si preoccupa soltanto di non sporcarsi, di non mostrarsi indelicato, teme il fango, la grossolanità, la franchezza, preferendo una meticolosa mediocrità a tutto il resto.

A che punto siamo arrivati  sbavando l'olio santo si è trasformato in una melassa dolciastra (la sola parola «unzione» procura la nausea). Si stringono piamente le labbra e si attende che il Signore dia dieci in condotta.
Come beghine, si arrossisce a ogni accenno di piaceri proibiti: «Ah, che dite mai? Io una di quelle? Avete perso il senno. Io sono illibata ».

Hanno confuso la Chiesa del Cristo con un educandato per signorine, perbene.
Insomma, tutto quello che è vivo e brillante è passato in mano al vizio, alla virtù non resta che sospirare e spremere una lagrimuccia.
Essa ha dimenticato gli infocati improperi della Bibbia.

Invece il cristianesimo dev'essere audace e chiamare le cose col loro nome. E' giunta l'ora di rinunziare agli angioletti inghirlandati, perchè diventino angeli più forti e più evidenti degli aeroplani. «Aeroplani» non già per scimmiottare il mondo contemporaneo, bensì per superarlo.
Di questo passo si può cadere nell'eresia. Ma oggi l'eresia è meno pericolosa di quanto non sia l'essicarsi della radice.

Signore! Meglio errare nel tuo nome che dimenticarTi. Meglio peccare per Te che scordarTi. Meglio perire che scomparire dalla Tua presenza.

Andrej Sinjavskij da: Pensieri Improvvisi

lunedì 19 maggio 2014

IL TRISTE TRAMONTO DELLA CULTURA DI SINISTRA

di Robi Ronza16-05-2014

Vale ogni tanto la pena di andarsi a leggere Internazionale, il settimanale che sfuggendo coraggiosamente al rischio dell’umiltà proclama di offrire ai propri lettori “il meglio dei giornali di tutto il mondo”. E’ infatti uno strumento, peraltro ben redatto, per capire che cosa pensa e di che cosa vuole convincerci (le due cose non sempre coincidono) la vera razza padrona del mondo globalizzato in cui viviamo, ossia l’intellighenzija neo-giacobina che tiene stretto nelle sue mani lo spartito del politically correct.

In questo quadro “il meglio dei giornali di tutto il mondo” è in effetti  l’esito di una rigorosa opera di filtraggio che lascia passare soltanto il meglio vero o presunto dei giornali neo-giacobini di ogni angolo del globo. Anche perciò è di utile aiuto per farsene con poca fatica un personale censimento. Quelli dei maggiori Paesi già si conoscono, ma poi come fai a sapere come si chiamano L’Espresso o la Repubblica che so, del Paraguay, della Finlandia o della Nuova Zelanda? Leggi Internazionale e presto o tardi lo vieni a sapere.

Due settimane fa Internazionale ha dedicato la sua copertina all’attuale presidente dell’Uruguay, Pepe Mujica, l’ex-sindacalista che anche da presidente continua a vivere in campagna nella casupola col tetto di lamiera dove prima abitava. L’uomo ha alle spalle un passato di militante rivoluzionario comunque rispettabile dal momento che gli è costato anni di carcere. Arrestato e incarcerato l’ultima volta nel 1972 tornò in libertà solo nel 1985. Poco dopo divenne ministro per l’Agricoltura, l’Allevamento e la Pesca (ossia nel caso dell’Uruguay in pratica ministro dell’Economia) e in quella veste ottenne grandi risultati grazie ai quali nel 2009 venne appunto eletto presidente della Repubblica. Da ministro dell’Agricoltura fu in Italia dove intervenne a una sessione di una Conferenza Italia – America Latina facendo proposte originali e ragionevoli. Il suo carisma è poi evidente, segno di un gusto della vita in pieno contrasto con il suo proclamato nichilismo.

Al di là del fatto che Mujica, con cui ebbi occasione di incontrarmi, mi è simpatico, non è su di lui che voglio qui soffermarmi bensì sui titoli della copertina che gli ha dedicato Internazionale: “Uruguay / Il presidente che tutti vorrebbero / Ha ridotto disoccupazione e povertà. Ha legalizzato aborto e marijuana” (E anche, aggiungiamo noi, il matrimonio tra omosessuali). 

Sono accostamenti che stringono il cuore, e che la dicono lunga sul triste tramonto della cultura di sinistra. Germogliata nel secolo XIX per rivendicare la dignità e i diritti umani e civili delle masse operaie, oggi è arrivata a questo punto: a fare un sol fascio, per dirla con le parole di Nanni Moretti, tra “cose di sinistra” come la sacrosanta lotta contro la disoccupazione e la povertà da una parte, e dall’altra “cose di destra” che più di “destra” non  si può: in pratica per così dire l’agenda degli aristocratici libertini del secolo XVIII. 

Poveretti.


PERCHE’ FACCIAMO POLITICA

Quasiasi governo non è migliore degli uomini lo compongono.
Un uomo non è migliore dello scopo per cui vive.
Ma questo non ci esime per niente dal fare politica. La nostra consapevolezza della imperfezione umana ci può ammonire nel non riporre false speranze, nel non credere di riuscire noi a raddrizzare il mondo, ma non può distruggere la speranza stessa.
Anzi, semmai il contrario: ci deve spingere sempre di più alla ricerca dello scopo più alto, e di chi lo vive. Perché condividiamo lo stesso destino di uomini: noi e chi sceglie di fare politica.
Quello che guida nelle scelte, vale a la ricerca del vero, della giustizia, del bene, è identico sia che lo usiamo per amministrare sia che lo adoperiamo per scegliere chi amministra per nostro conto. Che, essendo uomo, non potrà fare a meno di deluderci. Dato che anche noi siamo uomini, capiamo che possa anche non riuscire. Lo dobbiamo mettere in conto. Ma l’alternativa è dare per scontato che il bene non possa essere né raggiunto né praticato. Quel cinismo scettico che sa solo distruggere, che vive di rabbia e depressione.
Se supponessimo che è tutto marcio, che niente si salva, che non vale la pena impegnarsi, staremmo di fatto affermando che il vero e il giusto non esistono, e che non vale la pena cercarli e renderli presenti. Ci daremmo in mano del più forte; teorizzeremmo la necessità della sopraffazione.
Ma il più forte è sempre qualcun altro. Ci daremmo consapevolmente schiavi ad un potere che per sua natura non ci vuole bene e teorizza la malvagità.
Domandiamoci: non è che la sfiducia è talvolta creata ad arte, proprio perché al potere conviene avere sudditi che non vogliano interessarsi di chi realmente è? Chiusi nel loro scetticismo, nel loro cinismo, capaci di distruggere ma non di costruire?
Ma non è vero che non abbiamo la speranza. 
Ogni volta che compiamo un poco di bene, quella speranza l’affermiamo.

Occorre solo trovare chi la costruisca assieme a noi.
dal blog di Berlicche

LE COOP, PIÙ POTENTI DEI PARTITI

Fanno quello che vogliono ed inseguono solo il profitto 

 di Giovanni Bucchi  


Non ha più il controllo sociale di un tempo. É diventata una semplice associazione di categoria come tante altre, scavalcata nei rapporti politici dalle stesse cooperative che rappresenta, diventate talmente grandi che la loro tendenza cesaristica è ormai inarrestabile. Lanfranco Turci, uomo di sinistra che però non ha mai aderito al Pd, ex presidente della giunta regionale dell'Emilia-Romagna, più volte deputato e sottosegretario nel secondo Governo D'Alema, analizza come sia cambiato oggi il ruolo di Legacoop, l'organizzazione di riferimento delle cooperative rosse, alcune delle quali sono finite nell'inchiesta sugli appalti all'Expo di Milano. Settant'anni e coordinatore del Network per il socialismo europeo, Turci, di origini modenesi, è stato presidente di Legacoop nazionale dal 1987 al 1992.

Domanda. Presidente Turci, che effetto le fa vedere importanti coop rosse finite nei faldoni dell'inchiesta della Procura di Milano sull'Expo con importanti dirigenti indagati?
Risposta. Nella misura in cui i grandi affari continuano ad avere mediazioni improprie, è inevitabile che in questo contesto si possano trovare insieme sia imprese private che imprese cooperative. Se per giocare in quel mercato c'è la possibilità di giocare con regole di favore, chiunque vi si trovi all'interno può usufruirne, cooperative comprese. Onestamente, non sono stupito di tutto questo, ma non sto parlando in termini morali.

D. Dunque, è inevitabile che anche le coop siano accusate di pagare tangenti?
R. Il termine inevitabile è una modalità di assoluzione che non mi sentirei di esprimere, ma purtroppo quel meccanismo c'è. La vera novità credo consista nel fatto che, negli anni più lontani, c'era un rapporto più diretto delle coop con la politica e con i partiti, mentre oggi l'impressione è che si tratti di meccanismi molto più indiretti e che nascono da aggregazioni di personaggi con particolari capacità che, quando occorre, si agganciano alla politica. Da quel che si capisce, alcuni mercati continuano ad essere mediati da lobby che stanno tra la politica, la burocrazia e i mediatori di affari.

D. Come è cambiata la Legacoop rispetto a quando lei è stato presidente fino all'inizio degli anni '90?
R. Già all'epoca avevo avanzato la mia critica a una tendenza cesaristica delle grandi cooperative, soprattutto quelle nel campo dell'edilizia, delle infrastrutture e del consumo. Si vedeva già nettamente una tendenza alla concentrazione del potere in capo ai singoli manager di una singola cooperativa, con uno svuotamento progressivo delle forme di democrazia interna. Sia chiaro, noi adesso parliamo dei grossi colossi con migliaia di soci, ma non dimentichiamoci che ci sono tante piccole cooperative che funzionano normalmente. Prima ancora del mio arrivo in Lega, c'era comunque un rapporto con la politica, e in particolare con il partito di riferimento della sinistra quale era il Pci, in cui lo stesso partito garantiva una sorta di controllo sociale sulla cooperazione. Intendo dire che un presidente o un dirigente di una coop rossa o un manager non poteva, ad esempio, assumere forme di potere o redditi eccessivi, vista la cultura di riferimento della sinistra. Lo stesso discorso del cesarismo delle varie coop era meno marcato. Il rapporto tra Lega e partito però si è allentato nei decenni, a scapito del potere manageriale che è sempre più aumentato.

D. Adesso quindi è il partito, in questo caso il Pd, che ha bisogno delle grandi coop e non più il contrario? E la Legacoop viene tagliata fuori?
R. In certi mercati in qualche modo protetti o comunque infiltrati da gruppi di potere, un qualche rapporto con la politica è sempre necessario. Il mondo cooperativo della Lega nasce dalle formazioni politiche legate alla sinistra, con il primo socialismo dei tempi giolittiani per riprendere poi dopo la caduta del fascismo. Ma, in quegli anni, non c'era questa corruzione, il vincolo era il rapporto di solidarietà, che si è diluito per i cambiamenti enormi che ci sono stati, a partire dalla minore presa ideologica dei partiti. Così anche la presa dell'organizzazione Legacoop sulle varie cooperative è diminuita. La Lega era l'interlocutore nei confronti dei partiti della sinistra, negli anni invece il rapporto è diventato più diretto tra singola cooperativa e partito, o tra singola cooperativa e pezzi di un partito.

D. Qual è quindi il ruolo oggi di un'organizzazione come la Legacoop?
R. Si è progressivamente trasformata in un luogo classico di rappresentanza sindacale e istituzionale su temi come legislazione e fisco, mentre nelle operazioni di mercato il peso dell'associazione è diminuito progressivamente. Adesso è prima di tutto un'associazione di interessi di imprese cooperative, come tante altre. Questo ha diminuito il controllo sociale del partito sulla Lega, e della Lega sulle singole cooperative, e ha diminuito anche l'autorevolezza politica dell'organizzazione nei confronti delle sue associate e del partito, autorevolezza che è via via scemata. La 'moral suasion' che l'associazione un tempo poteva fare verso le imprese cooperative, oggi non c'è più.

D. Però il premier Matteo Renzi ha scelto l'ex presidente di Legacoop Giuliano Poletti come ministro del Lavoro, in un Governo che riceve molte critiche da sinistra
R. Ma anche le coop cosiddette rosse oggi con la sinistra non hanno più elementi di identità molto stretti. La dirigenza delle coop non ha più un rapporto sistematico con il partito di sinistra.

D. Presidente, cosa voterà alle elezioni europee?
R. Non voterò il Pd, prima di tutto perché credo che la segreteria di Renzi sia un modo ulteriore per spostare il partito al centro e contemporaneamente uno smottamento delle istanze del partito come comunità e collettivo. Voterò la lista per Tsipras, anche se per me l'ideale sarebbe stato votare Sel con Schulz come candidato alla presidenza della Commissione europea.
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 ITALIA OGGI

venerdì 16 maggio 2014

GALANTINO CHI N.2

E chi è Galantino per giudicare i cattolici?
di Riccardo Cascioli14-05-2014

«Io non mi identifico con i visi inespressivi di chi recita il rosario fuori dalle cliniche, che praticano l’interruzione della gravidanza». Da non credere che a pronunciare queste parole sia stato il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, monsignor Nunzio Galantino, in una intervista pubblicata dal Quotidiano Nazionale lunedì 12 maggio (clicca qui).

Abbiamo aspettato 24 ore speranzosi in una smentita, in una dichiarazione che spiegasse magari di essere stato frainteso. Invece niente, bisogna rassegnarsi. Questo giudizio, che denota una mancanza di umanità che ti aspetti solo dal peggiore laicista, è proprio di monsignor Galantino. La lettera della donna che pubblichiamo in Primo Piano (clicca qui) è la migliore risposta: la forza della testimonianza e della preghiera davanti all’arroganza clericale, che parla di misericordia (per i lontani) e dispensa disprezzo (per i vicini).
Ma l’enormità della frase citata in apertura rischia di nascondere una serie di affermazioni di monsignor Galantino che meritano invece di essere messe in evidenza. Intanto, il giudizio tagliente su quanti pregano per la vita fa parte di un discorso in cui il segretario della Cei afferma che a proposito della vita, «ci siamo concentrati esclusivamente sul no all’aborto e all’eutanasia» dimenticando che «in mezzo c’è l’esistenza che si sviluppa». Quindi basta rosari davanti alle cliniche e più impegno «per la qualità delle persone, per il loro diritto alla salute, al lavoro». A parte il fatto che non esiste alcun “diritto alla salute” - casomai c’è un diritto a essere curati, ma è un’altra cosa – bisognerebbe aver chiaro che il diritto all’assistenza e al lavoro sono successivi e conseguenti al diritto alla vita, perché solo chi è in vita ha bisogno di un’occupazione e di medici. Senza considerare che i soldi pubblici spesi per finanziare l’aborto all’interno del sistema sanitario nazionale tolgono risorse per assistere i malati veri.
Solo una astratta visione ideologica può far diluire il diritto alla vita nel diritto al lavoro o nel diritto all’assistenza. La verità è che si preferisce non parlare più di quella cosa politicamente scomoda che è l’aborto. Non a caso monsignor Galantino nell’intervista sembra aver anche timore di pronunciare quella parola: così dice “interruzione della gravidanza” e “quella pratica”, per indicare l’aborto. 
Peraltro ci piacerebbe sapere chi sono e dove sono tutti questi vescovi e parroci che in questi anni hanno continuamente parlato di aborto, eutanasia, dottrina morale. Probabilmente ci siamo distratti, ma a noi non vengono in mente. Se Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ne hanno parlato – e non certo esclusivamente - è perché si scontravano con una Chiesa che aveva completamente perso il senso del “Vangelo della Vita”, come del resto l’intervento di Galantino conferma.

Sarebbe bello che il segretario della Cei provasse almeno a riflettere su queste parole della Beata Madre Teresa di Calcutta: «Sento che oggigiorno il più grande distruttore di pace è l'aborto, perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa. [...] Perché se una madre può uccidere il suo proprio figlio, non c'è più niente che impedisce a me di uccidere te, e a te di uccidere me».
Ma non finisce qui. Il giornalista domanda qual è il suo augurio per la Chiesa italiana, ed ecco la risposta di Galantino: «Che si possa parlare di qualsiasi argomento, di preti sposati, di eucarestia ai divorziati, di omosessualità, senza tabù, partendo dal Vangelo e dando ragioni delle proprie posizioni».

Non sarebbe meglio invece parlare, senza tabù, di Cristo – come tra l’altro suggerisce papa Francesco – visto che da quarant’anni si sta sempre lì a parlare di preti sposati, comunione ai divorziati risposati e omosessualità?

Visto che anche monsignor Galantino è uno di quelli che ci tiene a recuperare il Cristianesimo delle origini, prendere a modello la Chiesa delle origini, capita a proposito la liturgia di questi giorni che ripropone la lettura degli Atti degli Apostoli. In particolare abbiamo ascoltato il martirio di Stefano e le persecuzioni che ne sono seguite. Ebbene, portato davanti al Sinedrio che già non nutriva particolari sentimenti di simpatia nei suoi confronti, sentiamo come Stefano cerca un dialogo con i lontani, ascolta le loro ragioni non presumendo di avere la verità: «Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori, voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini dati dagli angeli e non l'avete osservata».

Ci dice san Luca che «all'udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano», dopodiché lo afferrano, lo trascinano fuori città e lo lapidano, mentre Stefano chiede per loro il perdono di Dio. Se oggi celebriamo Stefano come martire è perché né lui né gli apostoli si vergognavano allora di Cristo, andavano all’essenziale non ponendosi troppi problemi sul come farsi accettare dal mondo; davanti alle persecuzioni scatenate come conseguenza dell’atteggiamento di Stefano, non c’è stato un solo apostolo che abbia recriminato sull’atteggiamento inutilmente provocatorio del primo martire, o che abbia detto che in fondo se l’era cercata. E da allora l’esempio di Stefano è stato seguito da tante altre migliaia e migliaia di cristiani, possiamo dire milioni, fino ai giorni nostri.

Ma in Italia, in Occidente, oggi non ci si preoccupa più di giudicare il mondo e la sua resistenza allo Spirito Santo, anzi chi lo fa – magari pregando davanti a un ospedale dove si consumano «delitti abominevoli» - viene sbertucciato dai propri vescovi. Vescovi che invece mettono in cattedra i “gentili” per fare lezione ai cristiani, che imparino dal mondo invece di giudicarlo. Gli unici ad essere giudicati (male) sono i cattolici.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-e-chi-egalantinoper-giudicarei-cattolici-9208.htm