lunedì 21 luglio 2014

PER LA SIRIA

COMITATO NAZIONALE  PER LA PACE IN SIRIA

È stato lanciato nei giorni scorsi a Roma un nuovo ponte di solidarietà che unisce l’Italia alla Siria in conflitto da ormai quasi quattro anni. Formato da “un gruppo di persone unite dal senso di responsabilità e dalla passione per questo Paese”, il Coordinamento Nazionale per la pace in Siria si prefigge l’obiettivo di “aiutare e sostenere il popolo siriano a risorgere dalla guerra”,


Il Villaggio di MAALULA
Ecco una breve presentazione di don Salvatore Lazzara:

Chi siamo?  Per maggiore chiarezza, non siamo un Coordinamento  pro-Hassah, ma per la Siria. Evidentemente nel governo siriano possiamo intravedere limiti innegabili su cui la storia e la giustizia dovranno fare le dovute precisazioni e punire i responsabili. La gente non può essere usata per raggiungere mire di potere. Innegabile allo stesso tempo sono i tentativi di cambiamento posti in essere da Hassad. Qui è necessario fare un grande salto culturale: la percezione della democrazia in quelle regioni, non è quella propagandata dal mondo occidentale. E’ il motivo fondamentale per cui il Medio Oriente, oggi si trova sull’orlo del collasso. Al di là delle singole posizioni, è nostro dovere discernere la giusta via per aiutare la Siria a risorgere. Come abbiamo avuto modo di apprendere, i famosi ribelli sostenuti dalle potenze occidentali e dalle forze contrarie alla Siria, si sono trasformati nel tempo in veri e propri fondamentalisti ed integralisti, i quali hanno provocato stragi di tanti innocenti e la distruzione del patrimonio archeologico, per raggiungere lo scopo della creazione del Califfato islamico d’Oriente. Ad oggi le città di Aleppo e Raqqa e dintorni soffrono pene terribili a causa dei continui bombardamenti e incursioni da parte degli estremisti.

La Siria è un paese di antica tradizione culturale e religiosa. Da secoli convivono insieme popoli, lingue e fedi, diventando per i paesi vicini un esempio da imitare . Quando è iniziata la lotta, si credeva che fosse una ribellione contro il potere costituito. Nel tempo invece è diventata terreno di scontro tra le religioni. Paradossalmente però non si combattono i siriani tra di loro, ma sono i mercenari provenienti dai campi di addestramento e dall’Europa occidentale ed orientale a creare caos e disordine. Letteralmente c’è stata un’invasione integralista che ha messo in serio pericolo le minoranze religiose, subendo pesanti perdite in termini di vite umane e anche culturali. Infatti, uno dei primi obiettivi di Al-Nusdra è stato la distruzione dell’antico villaggio di Maoolula a 85 chilometri da Damasco, dove ancora si parlava la lingua di Gesù, l’aramaico. Nella piccola cittadina, si trova una delle chiese più antiche al mondo, andata ormai completamente distrutta. Una delle note principali del Coordinamento sarà sostenere le minoranze religiose, facendoci voce delle loro necessità e bisogni. Tutti si chiamano fratelli anche se appartengono a religioni diverse, perché innanzitutto sono siriani.  Cercheremo tramite l’informazione e i contatti di presentare all’opinione pubblica il vero volto religioso della Siria, il quale fino ad oggi è stato garantito dalla laicità dello Stato. Una laicità però che non ha nulla in comune con quella propagandata in occidente. 

La guerra produce distruzione e morte. Sarà compito del Coordinamento sostenere l’invio di medici volontari (e di questo già ringrazio l’associazione auxilia) -e tanti altri medici che già hanno dato la loro adesione-, con i quali tenteremo di essere presenti nelle zone più disagiate per soccorrere i deboli e gli indifesi. Siamo alla ricerca di personale disposto a donare parte del loro tempo per i malati e i bisognosi. Ci occuperemo di progetti di ricostruzione: bambini-giovani, sostegno medico, ricostruzione del patrimonio storico-archeologico, con particolare attenzione per Maoolula e Aleppo.

I progetti per la Siria, non saranno precostituiti a pacchetto dall’Italia. Cercheremo di appoggiare le tante attività di ricostruzione presenti già nel territorio. Pertanto in un futuro prossimo sarà necessario recarsi in loco, per prendere contatti con la gente del posto e sostenere così il risanamento. Al contrario entreremmo nelle pastoie burocratiche da cui alla fine non si cava un ragno dal buco.

Il Coordinamento servirà a chiarire i tanti equivoci sulla Siria. Questo è compito soprattutto dei media, per i quali vale sempre la teoria della mela marcia. Il venditore sa che la mela non è buona, ma la lucida, affinché gli occhi possano essere ammaliati dalla sua bellezza. Poi quando si scopre l’imbroglio ormai  è troppo tardi. Purtroppo gli interessi dei potenti nei confronti della Siria sono tantissimi, dunque ognuno cerca di presentare i propri camuffati da opere di solidarietà e di bene, facendo cadere nel tranello l’opinione pubblica. Pertanto sarà responsabilità di ogni membro, segnalare le varie iniziative di cui si viene a conoscenza per vagliarne la veridicità, e in caso smentire la bontà dell’iniziativa. In questi ultimi giorni anche Sant’Egidio è caduto nella trappola. La mostra sul patrimonio archeologico distrutto, allestita a Roma, ha come fine inconsapevole quello di screditare la voglia di riscatto del popolo, appoggiando in maniera subdola i “ribelli moderati”, che in Siria hanno provocato la morte di migliaia di persone. Nei giorni della visita del Papa in terra santa, nella TV della Conferenza Episcopale Italiana, è apparso un tizio, sedicente siriano, per commentare le tappe del viaggio papale. Ho scoperto in seguito che era un terrorista da alcune foto apparse sul web.

Comunicazione e media-. Sarà cura della redazione che formeremo nel giorno dell’incontro, cercare presenze significative da sostenere, perché chi spera e ama, costruisce la storia. A tal proposito sono arrivate diverse e importanti proposte per far conoscere il Coordinamento e quindi il dramma siriano: la giornata di preghiera per la pace in Siria (in ricordo di quella convocata da Papa Francesco alla vigila dell’attacco USA), flash mob davanti alle ambasciate con annesse pacifiche manifestazioni organizzate, diffusione della newsletter, incontri pubblici, articoli, sostegno all’attività dei siriani in Italia e in Europa,  sensibilizzazione dei giornalisti, tavole rotonde, testimonianze, creazione di piccoli circoli locali per la Siria, e tanto altro.



venerdì 18 luglio 2014

C'E' UN GIUDICE A MILANO!!!

Ampi stralci delle dichiarazioni spontanee di Berlusconi, che il tribunale di Milano ha accolto con l'assoluzione piena

La verità di Berlusconi


Signor presidente,
Signore del Collegio,
come sapete questo processo si basa su due punti fondamentali: la mia telefonata della notte fra il 27 ed il 28 maggio 2010 alla questura di Milano e i miei rapporti con Karima El Mahroug detta Ruby. In realtà l'erroneo e pretestuoso filo conduttore di entrambi i capi di imputazione è rappresentato dalle serate che si sono svolte nella mia casa di Arcore: secondo l'accusa avrei telefonato in Questura per evitare che si conoscesse il contenuto di tali serate.


Cominciamo quindi dalle serate. Si è molto favoleggiato ed ironizzato su queste serate, con evidenti intenti diffamatori e con una intrusione nella vita privata di un cittadino che davvero non ha precedenti. Voi ascolterete i testimoni e comprenderete quale era davvero la realtà. Le cene si svolgevano in una grande sala da pranzo, io al centro della tavolata monopolizzavo la conversazione parlando di tutto: di politica, di sport, di cinema, di televisione, di gossip e mi divertivo confezionando battute e cantando le canzoni del mio repertorio giovanile e quelle scritte da me in collaborazione con Mariano Apicella. Apicella si esibiva col suo fantastico repertorio di canzoni napoletane così come il maestro Danilo Mariani che suonava e cantava quasi sempre accompagnato dalla moglie, anch'essa cantante professionista. Dopo la cena alcune volte le mie ospiti organizzavano nel teatro della residenza degli spettacoli con musica e costumi, spettacoli che non avevano alcunché di volgare e scandaloso. E a proposito della dizione «Bunga bunga» questa espressione nasce da una vecchia battuta che ho ripetuto più volte prima dei fatti contestati ed è stata riportata doviziosamente dalla stampa. Altre volte nella discoteca che era stata dei miei figli si ballava (io però non ho mai partecipato ad alcun ballo) ed accadeva quello che si può vedere in qualsiasi locale aperto al pubblico di ogni età.

giovedì 17 luglio 2014

LA BANALIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA E IL TRADIMENTO DELLA CIVILTA' EUROPEA

Quando la legittimità dell'agire cessa di essere un problema che riguarda la coscienza personale e diventa un mero problema tecnico degli apparati burocratici e dei funzionari dello Stato, in questo caso i giudici costituzionali, la civiltà europea è distrutta.

Cattolici pronti alla battaglia sull'eterologa
di Giampaolo Crepaldi

Dopo la sentenza che legalizza la fecondazione eterologa e stabilisce un inaccettabile «diritto al figlio», occorre una decisa resistenza culturale da parte dei cattolici. Lo chiede monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, che spinge anche per un intervento politico al fine di mitigare le conseguenze della sentenza. Su questo tema, presenteremo degli approfondimenti nei prossimi giorni.
 
Chagall, Il cantico dei Cantici
La sentenza con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità del divieto della fecondazione eterologa previsto dalla legge 40 e la relativa motivazione, ci pongono davanti ad uno scenario nuovo e preoccupante. Gli elementi di novità sono due: la praticabilità della fecondazione eterologa in un contesto di assenza di limiti legislativi di sorta e l’enunciazione, nella sentenza della Consulta, di un “diritto al figlio”. 

Il primo di questi due elementi apre la possibilità di un selvaggio mercato dell’eterologa nel quale vengono meno fondamentali valori legati alla persona umana, alla procreazione e alla famiglia. In una situazione di liberalizzazione della fecondazione eterologa si aprirebbe al mercato senza limiti dei gameti, alla fecondazione incontrollata da parte di ogni tipo di coppia, all’utero in affitto, alle “famiglie” plurigenitoriali o monogenitoriali, alla tecnicizzazione assoluta della procreazione, alla fine dei legami familiari come li abbiamo conosciuti per qualcosa di terrificante che ancora si fa fatica ad immaginare, all’aumento esponenziale della distruzione degli embrioni umani, all’incremento degli interventi eugenetici. In poche parole, un quadro che atterrisce e che, nonostante venga presentato da molti come un quadro di libertà, si presterà alla pianificazione della vita da parte dei centri di potere.

Il secondo elemento di novità, il “diritto al figlio”, rompe con la visione della persona umana come avente in sé una propria dignità. Si possono vantare diritti sulle cose, non sulle persone. La persona è un fine in sé e non può cadere sotto la proprietà di nessuno, come capiterebbe invece se il “diritto al figlio” diventasse patrimonio culturale condiviso e fosse addirittura completato da una legislazione conseguente. Principi simili erano finora stati teorizzati solo da regimi totalitari. Con il principio del “diritto al figlio” l’uomo si sentirà autorizzato a completare la manipolazione della vita e dell’essere umano già in fase avanzata di realizzazione.

Le due novità che ho evidenziato sono alla base di una ri-creazione dell’identità umana e delle relazioni umane fondamentali, quali la riproduzione, il matrimonio, la famiglia, le relazioni tra figli e genitori. Stupisce molto, quindi, che pochi sentano la gravità del momento, che il governo italiano non si sia adeguatamente espresso, che le forze politiche evitino di affrontarlo come si richiederebbe davanti a questi fenomeni disorientanti. Bisogna fare una riflessione molto seria su questo sconcertante panorama e trovare una linea di condotta sia per quanto riguarda l’approccio culturale sia per quanto riguarda le iniziative pratiche e politiche da portare avanti.

La prima cosa da capire fino in fondo tutti insieme è che sul piano culturale va combattuto questo processo di eliminazione della natura e della natura umana. Esso sta travolgendo l’uomo, riducendolo ad un allegato della storia, ad un fenomeno della prassi delle strutture sociali, un elemento riplasmabile a piacere di una catena smontabile e rimontabile. In questo modo, però, perdendo la sua signoria sulla storia, l’uomo diventa strumento del potere, anche in contesti democratici che, così facendo, esprimono le loro caratteristiche di democrazie totalitarie. Va ripresa una riflessione di filosofia e teologia della storia per capire cosa induca il processo di secolarizzazione a non fermarsi mai e ad eliminare, dopo Dio e tutti i suoi surrogati laici, ogni residuo naturale che preceda l’agire umano per normarlo in modo non solo opinabile. 

Questi esiti radicali ed imprevisti della secolarizzazione moderna rimettono in questione la visione della secolarizzazione come finora è stata sviluppata anche in ambito cattolico. Il carattere totalitario del quadro che si profila pone tutti gli uomini che amano la verità davanti al dovere di fare obiezione di coscienza rispetto ai tanti fenomeni di violenza a cui la fecondazione eterologa aprirebbe la strada. Serve una grande mobilitazione delle forze del bene. L’opposizione culturale alla fecondazione sia omologa che eterologa, la proposta di una visione bella e libera della sessualità, della vita coniugale, della famiglia naturale, di un modo umano di amarsi, di accogliere la vita e provvedere a essa, di educare i figli per introdurli nel mondo consapevoli della loro dignità, devono diventare di massa. 

Il no all’eterologa deve continuare anche dopo la sentenza della Corte costituzionale, sia perché il “diritto al figlio” non rispetta la visione antropologica del testo costituzionale stesso, sia perché, in ogni caso, sopra la Costituzione, ci sono le realtà della persona e della famiglia nella loro indisponibilità. Alla lotta culturale deve aggiungersi un forte impegno collettivo, da parte di singoli e gruppi associati, da condursi nella società: nella scuola, nelle strutture sanitarie, nelle amministrazioni locali. 

A questi due livelli d’impegno, deve aggiungersi quello strettamente politico e legislativo, sia nei consigli comunali e regionali, sia soprattutto nel Parlamento nazionale. Governo e Parlamento devono prendere in mano l’intera questione della fecondazione eterologa dopo la sentenza della Corte costituzionale, come si evince, tra l’altro, da alcuni passaggi della stessa motivazione della Corte e da alcuni obblighi che derivano dall’Unione europea. Se l’obiettivo finale di tale impegno deve essere il divieto legislativo di ogni tipo di fecondazione artificiale, sia omologa che eterologa, a fronte della situazione venutasi a creare è opportuno far tesoro di quanto insegnato dall'enciclica Evangelium vitae di San Giovanni Paolo II, che giustifica le iniziative intraprese per ridurre gli effetti negativi sul piano pratico. 

Come afferma il paragrafo 73 dell’enciclica, infatti, quando sia pubblicamente nota l’opposizione del parlamentare ad una legge, sia nel suo spirito che nella sua lettera, e garantito l’impegno personale a lottare contro i suoi presupposti culturali e i sui contenuti materiali, egli può dare il suo assenso ad una legge che, pur non essendo soddisfacente in quanto ancora impregnata di elementi eticamente non giustificabili, riduca gli effetti negativi di una legge precedente. Questo è il contesto dottrinale e pratico che motiva in questo momento un impegno in Parlamento contro la fecondazione eterologa anche nella forma di approvazione di leggi che ne riducano sul piano pratico gli effetti negativi. 

Nonostante le diversità culturali delle forze politiche e nonostante molte di esse abbiano espresso una posizione consenziente rispetto ad alcuni aspetti della deriva in atto, è possibile ed auspicabile, con la buona volontà di tutti e con l’uso del buon senso, intervenire con una legislazione correttiva e di contenimento, in attesa che l’impegno generale per una rinnovata responsabilità politica renda possibile in futuro una legge giusta in materia e senza minimamente diminuire – anzi! – l’impegno nel Paese perché questo avvenga. 


* Arcivescovo di Trieste, presidente dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa

martedì 15 luglio 2014

GLI STRANI "LIBERALI" DA ARCIGAY,CHE VOGLIONO IL RITORNO DEI REATI D'OPINIONE

Eugenia Roccella da “ILFOGLIO”

Anche Guzzanti, dopo Feltri e la Pascale. Tutti a spiegare che iscriversi all’Arcigay è liberale, anzi è la quintessenza del liberalismo. Chi non accompagna la marcia nuziale gay, chi pensa che le differenze, per essere rispettate, non possano essere schiacciate su un’impossibile e noiosa omologazione, non è liberale. E’ reazionario, conservatore, pieno di odio per i diversi, ipocrita e sessuofobico, ecc. ecc.

Io che sono nata radicale e femminista, che ho vissuto gli anni del caso Braibanti, e ricordo come la sinistra trattava “gli invertiti”, compreso Pasolini, io che ho passato la giovinezza tra lesbiche e froci (allora rivendicare gli appellativi dispregiativi adoperati comunemente, e rovesciarli, era una gioiosa sfida al benpensantismo), non mi ci raccapezzo più. Ma come, Pasolini non ha accoratamente pregato, nel suo testamento ideale, la lettera mandata al congresso radicale nel giorno della sua morte, di “continuare a scandalizzare”, di non omologarsi?

E che cos’è questa disperata volontà di mimare l’affettività etero, la coppia-per-sempre, chiedere il matrimonio, l’adozione, l’istituzionalizzazione persino delle piume e dei lustrini, se non una volontà di rifiutare ogni pur blanda trasgressione, di negare ogni diversità, una volta si sarebbe detto di imborghesirsi? I gay (e ha ragione chi, come Isotta, non ama il termine) vogliono i figli con l’utero in affitto, come il senatore Lo Giudice; vogliono farsi fotografare mentre stringono al petto nudo un neonato, come la coppia canadese le cui immagini hanno spopolato: ma la donna che ha partorito  quel bimbo deve essere espulsa dalle foto e dalla vita della nuova famigliola. I gay vogliono inserirsi a pieno titolo nel politicamente corretto, ed essere finalmente dalla parte dei benpensanti e della polizia (la galera a chi non si allinea!), vogliono in testa alle sfilate del gay pride il sindaco, il prefetto, le autorità pubbliche. E poi vogliono reprimere la libertà di opinione con la legge Scalfarotto, anziché fare una battaglia culturale, prendere in giro, rovesciare i significati, smontando allegramente il senso offensivo delle parole. Va bene, abbiamo capito, la strategia è cambiata: non più libertà sessuale ma normalizzazione, la parola d’ordine non è più “sono diverso e ne sono fiero”, ma “non sono diverso e se tu lo affermi ti denuncio”. Ma cosa ha a che fare tutto questo con il liberalismo? O forse si confonde essere liberale con essere liberal, e dunque aggiornati, progressisti, ben collocati nel coro.

Per un liberale lo stato deve intromettersi il meno possibile nella vita privata delle persone, deve regolare, imporre, pretendere, il meno possibile. Ognuno ha la sacrosanta libertà di amare chi vuole, di stare con chi vuole, nei modi che preferisce: ma allo stato la cosa non interessa, e non deve interessare.


Il matrimonio non è il riconoscimento pubblico dell’amore di coppia, la festa statale perché A e B sono follemente innamorati. E’ un’istituzione che serve come guscio protettivo per la filiazione, per inserire la procreazione in un quadro ordinato di diritti e doveri. Alla società interessa la continuità generazionale, non i sentimenti dei singoli. Lo stato invasivo, che si infiltra nel privato, che norma ogni atteggiamento personale, ogni scelta del singolo non è certamente liberale. Ma ormai, per i politici e gli intellettuali (con la luminosa eccezione di Piero Ostellino) gay fa automaticamente rima con liberale, ed è così anche se si difendono i reati d’opinione, tanto fieramente combattuti quando erano prerogativa del codice Rocco. Ma se lo vuole Scalfarotto, tutto cambia.

domenica 13 luglio 2014

IL SOGNO DISPERATO DEL CALIFFATO ISLAMICO

Samir Khalil Samir

Padre Samir è fra i pochi ad avere una lettura della situazione che tiene conto di tutti i fattori in campo. I media occidentali, sulla scia della insipienza di Obama, stanno facendo marketing per Al Baghdadi e soci.

Beirut (AsiaNews) - L'annuncio dell'inaugurazione del Califfato islamico da parte di Abu Bakr  al Baghdadi  rivela un senso di disperazione. Il suo proclama ha una forte impronta ideologica, ma per inaugurare questa nuova epoca del califfato mondiale, ha dovuto cambiare area: non in Siria, dove l'Isis rischiava di essere eliminato dall'esercito di Bashar Assad, ma in Irak, nella parte debole, sunnita, dove il governo non aveva un esercito forte. E si sono fermati facendo questa dichiarazione presuntuosa.
Lo stesso fatto di ridefinirsi non più "Isis" in cui sono presenti i termini "Iraq e Siria", ma semplicemente ‟Stato Islamico", come qualcosa di mondiale, è ridicolo dal punto di vista pratico. Nello stesso tempo, rivela la dimensione ideologica del progetto: si tratta di restaurare il califfato di Bagdad, considerato come il periodo più brillante dell'Islam.
Ma la maggioranza dei musulmani non sogna più il califfato, né un impero senza confini. Ognuno cerca di abitare in una nazione, tanto che anche i curdi stanno lavorando da anni per far nascere la loro nazione.
BAKR AL BAGHDADI

1. La fine del califfato e la nascita dei "Fratelli Musulmani"
La fine del califfato risale a Mustafa Kemal Ataturk, il fondatore della Turchia moderna. Egli depose il 1° novembre 1922 il sultano Mehmet VI, e  18 giorni dopo fu eletto califfo Abdülmecid Efendi, per poco tempo. Ataturk fondò la Repubblica il 29 ottobre 1923 e dopo essere stato eletto presidente, ha proclamato l'abolìzione definitiva del califfato islamico il 3 marzo 1924.
Questa decisione simbolica fu uno shock per l'intero mondo islamico. Soprattutto in seguito alle decisioni prese da Ataturk, in particolare la laicizzazione dello Stato e la de-islamizzazione della società: parità dei sessi; divieto dell'uso del velo islamico nei locali pubblici; divieto del fez e del turbante; divieto della barba per i funzionari pubblici; adozione dell'alfabeto latino al posto dell'arabo; del calendario gregoriano al posto dell'anno dell'egira; della domenica come giorno festivo; del sistema metrico decimale, ecc.
Da allora molti gruppi hanno cercato di riportare in vita il califfato.  Nel 1928, da un progetto di Hassan al-Banna guidato dall'imam azharita Rashid Rida, sono nati i ‟Fratelli Musulmani" proprio per rimediare alla mancanza del califfato. Dopo diverse riflessioni e ricerche da loro svolte per istituire un nuovo califfato in Egitto o in Arabia, essi stessi hanno detto che "non è più possibile avere un califfato" e hanno cambiato rotta: occorre islamizzare i vari Paesi e governi, introducendo la sharia come nostra costituzione. Ciò è stato attuato specie in Arabia saudita, che non ha una costituzione, ma la sharia. In altri Paesi è stata varata una legislazione che si "ispira" alla sharia. Oggigiorno si nota che la maggior parte dei Paesi musulmani, soprattutto i più sviluppati, non va in questo senso e non applica la sharia come un ideale.

2. Chi è Abu Bakr al-Baghdadi

venerdì 11 luglio 2014

LA CHIESA DEL CONCORDISMO E UNA FEDE SENZA DOTTRINA E SENZA VERITA'

L’articolo dI Cascioli pubblicato ieri sulla Nuova Bussola Quotidina (clicca qui) e riguardante la “politica culturale della CEI” a proposito di Tv2000 e non solo, pone un problema che ci trasciniamo da molto tempo. Quando Giovanni Paolo II andò al Convegno ecclesiale di Loreto proprio per invertire il processo consolidatosi con il precedente convegno ecclesiale di Roma, non fece altro che affrontare questo stesso problema: dalla fede cattolica deriva una cultura, una visione organica e complessiva della realtà e della vita.

Non derivano solo degli spunti, dei frammenti
, oppure degli atteggiamenti ma una visione della realtà in cui tutto si tiene. La fede cattolica, come disse il cardinale Bagnasco in una memorabile prolusione, non è una “fede nuda”, ma porta con sé una vita, una dottrina, un’antropologia, un’etica, un insieme di contenuti compaginati tra loro. La fede cattolica, diceva Del Noce, presuppone una metafisica, una concezione dell’essere e quindi una ragione adeguatamente aperta al tutto dell’essere.
Questo è precisamente quanto è andato ampiamente perduto. La conseguenza è che si mettono in piedi iniziative culturali - da una TV ad un settimanale diocesano, da una radio ad un corso di laurea – che non fanno una proposta riconoscibile come cattolica.
DURER, Il cavaliere, la morte e il diavolo

Un sintomo molto espressivo di questo è oggi il concordismo di cui sono ammalati giornali e tv cattolici. In una cultura in cui di cattolico ormai non c’è quasi più nulla, essi vedono spunti di cattolicesimo dappertutto. E se il tale personaggio o il tale evento non ha nulla di esplicitamente cattolico, essi vi trovano qualcosa di implicitamente cattolico. Vengono creati così gli accostamenti più strani, compreso quello tra atei che più atei non si può e la fede cattolica. Ogni romanziere, ogni testo teatrale, ogni libro, ogni filosofo che muore, ogni anticristo vivente per loro almeno adombrava qualcosa di cattolico.

Si rimane sbalorditi dalla temerarietà di questi accostamenti concordistici. Ogni atteggiamento contro la mafia, ogni richiesta di solidarietà, ogni difesa dell’ambiente, ogni lotta contro l’aids, ogni promozione della donna … ha qualcosa di cattolico, anche se invece risponde a visioni della realtà che col cattolicesimo non hanno niente a che fare. Non c’è oggi un giornale cattolico che non sostenga la proposta del “reddito di cittadinanza” che è assolutamente contrario a tutti i principi della dottrina sociale della Chiesa. 
Certamente delle briciole di verità ci sono anche nel più evidente errore. Però non basta una briciola per fare un tutto. La fede cattolica produce un tutto culturale e non semplici spunti o frammenti. Non è col bricolage che si è cattolici e non possiamo soddisfare le richieste della Fides et Ratio circa le esigenze del “cosmo della ragione” - tramite la spigolatura o mediante il vagabondare del raccoglitore. 

Bisogna però fare lo sforzo di andare alla radice di questo atteggiamento. La fede cattolica ha un contenuto di conoscenza e la rivelazione apre la finestra del mondo irrorandolo di luce che viene dal di fuori. Guardando ai dogmi della propria fede, e non alle tendenze sociologiche o alle statistiche delle scienze sociali, il cattolico trae le verità per la sua vita personale e collettiva. Oggi questo non è più ritenuto vero da molti cattolici. Quindi per costoro non ci può essere una proposta culturale cattolica e non serve che una tv o un giornale sia diretto da un cattolico, ossia da uno che abbia in testa quelle verità. Molti giornali cattolici sono impegnati in battaglie anticattoliche. Molte scuole cattoliche insegnano una filosofia anticattolica. Molte associazioni cattoliche partecipano a campagne anticattoliche. 
C’è tutta una corrente teologica, oggi assolutamente prevalente, che pensa che la pretesa che ho appena indicato sia una violenza della fede cattolica al mondo e all’uomo. Il fedele non riceverebbe nella Chiesa questa luce che viene dal di fuori e il cui deposito la Chiesa tramanderebbe nel tempo. Egli, piuttosto, conoscerebbe le verità della sua fede da dentro la sua situazione. Quindi può solo comprendere e interpretare ma non conoscere qualcosa che veramente venga “da fuori”.
L’uomo è dentro questo orizzonte esistenziale perché egli fa parte del problema su cui si interroga e non può, quindi, accedere ad una verità che comporterebbe un punto di vista assoluto. Non gli resta, quindi, che camminare con gli altri senza pretese, raccogliere briciole di verità qua e là, comporre e scomporre progetti esistenziali. Ascoltare, condividere, essere vicino, comprendere, accettare tutto senza tenere nulla come definitivo. La fede diventa atteggiamento di accompagnamento, attitudine alla ricerca e al dialogo, capacità di farsi domande insieme agli altri.

L’espressione “chi sono io per giudicare?”, totalmente disancorata dal contesto in cui è stata pronunciata, diventa così il simbolo di questa fede senza dottrina e senza verità. Tra i tanti sensi che la parola “giudicare” può avere, c’è anche quello propriamente conoscitivo.

Il “giudizio” è l’atto con cui l’intelletto conosce la realtà, coglie dei nessi reali tra le cose. Se non è più possibile giudicare perché si sarebbe arroganti, allora non è più possibile conoscere la realtà.
Si capisce allora che la fede – oltre che la ragione – può essere solo una narrazione, un’esperienza, un punto di partenza per il dialogo e il confronto. Se la vita è un talk-show in cui le interpretazioni – tra cui quella della fede – si intrecciano, allora a dirigere una Tv cattolica può essere chiamato anche un non cattolico o, addirittura, un anticattolico.


STAFANO FONTANA

GRIDATELO SUI TETTI

LA DIMENSIONE PUBBLICA DELLA FEDE
ANTONIO SOCCI

Dedicato a chi dice spesso : “Vergogna , vergogna !” e si dimentica della vergogna più grande che sembra imperare … 

dedicato a chi dice che bisogna annunciare Gesù senza mostrare come Lui giudica tutto;

 e a chi dice che parlare dei principi non negoziabili impedirebbe di incontrare Cristo ai lontani

” Quando la fede viene meno, c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno, come ammoniva il poeta T. S. Eliot: « Avete forse bisogno che vi si dica che perfino quei modesti successi / che vi permettono di essere fieri di una società educata / difficilmente sopravviveranno alla fede a cui devono il loro significato? ».

Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremmo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata.
Il Portico della Gloria
Santiago de Compostela
La Lettera agli Ebrei afferma: « Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città » (Eb 11,16).
L’espressione “non vergognarsi” è associata a un riconoscimento pubblico. Si vuol dire che Dio confessa pubblicamente, con il suo agire concreto, la sua presenza tra noi, il suo desiderio di rendere saldi i rapporti tra gli uomini.
Saremo forse noi a vergognarci di chiamare Dio il nostro Dio? Saremo noi a non confessarlo come tale nella nostra vita pubblica, a non proporre la grandezza della vita comune che Egli rende possibile?

La fede illumina il vivere sociale; essa possiede una luce creativa per ogni momento nuovo della storia, perché colloca tutti gli eventi in rapporto con l’origine e il destino di tutto nel Padre che ci ama…”
Papa Francesco, enciclica Lumen Fidei

(TRATTO DAL BLOG OBLATIO RATIONABILIS CHE RINGRAZIO)

LA LEZIONE DEI CATTOLICI AMERICANI

La sentenza della Corte Suprema di qualche giorno fa che, in contrasto con quanto previsto dall’Obama-care, ha permesso a due aziende statunitensi quotate in borsa – la Hobby Lobby e la Conestoga Wood Specialties - di non pagare le spese per la contraccezione eventualmente sostenute dai propri dipendenti, sta creando un effetto a catena. Infatti, dopo solo 24 ore dalla pronuncia dei giudici della Suprema Corte, due tribunali federali hanno preso decisioni identiche a favore di una televisione cattolica e cinque enti no-profit di ispirazione cristiana del Wyoming: la diocesi di Cheyenne, la Caritas statale, l’orfanatrofio di Saint Joseph, la scuola di Saint Anthony e l’Università cattolica del Wyoming. In modo analogo ha sentenziato una corte dell’Illinois a favore del Wheaton College alle porte di Chicago. 

E siamo solo all’inizio dato che ad oggi sono 100 i gruppi che hanno fatto causa al ministero della Salute a motivo della riforma sanitaria di Obama varata nel 2010. Senza poi contare che 80 enti no profit hanno già vinto la loro sfida nei tribunali federali o statali. Voci di corridoio affermano che il presidente stia preparando una contromossa per arginare questo diluvio di ricorsi che molto probabilmente lo vedrebbero in futuro di nuovo perdente. Il cardine di queste vittorie si situa su uno snodo giuridico particolare: la libertà religiosa. Secondo i giudici tale libertà deve essere tutelata anche quando Tizio agisce da imprenditore e non solo alla domenica quando si reca in chiesa. 

Importare questo ragionamento giuridico in casa nostra verrebbe qualificato da molti scandaloso, anzi al limite del ridicolo. L’espressione dei propri convincimenti religiosi da noi non solo non è tutelata – semmai tollerata posto che sia esercitata nel chiuso di ambienti domestici o in luoghi deputati – ma addirittura viene osteggiata. Poniamo mente solo a tutta la querelle che è fiorita intorno alla teoria del gender: l’asserzione di personali giudizi di carattere morale – propri anche del portato culturale cattolico – viene interpretata come atto di discriminazione a danno delle persone omosessuali. Ma il caso Obama-care versus libertà religiosa è d’insegnamento per noi altri anche per ulteriori motivi.
La strategia vincente made in Usa è quella non di lisciare il pelo del nemico per il verso giusto, tentando compromessi con il governo o arrabattandosi nel trovare nelle norme delle riforma sanitaria di Obama pertugi per non pagare le assicurazioni su aborto e contraccezione (ci saranno pur state in questa riforma delle parti buone, no?). Bensì è una strategia dichiaratamente antagonista che dice un “No” semplice e tondo tondo alla riforma sanitaria.

Tutto l’opposto, ad esempio, di quello che è avvenuto e sta avvenendo in alcuni settori della cultura “cattolica” in merito alla pronuncia della nostra Corte Costituzionale sull’eterologa dove non pochi, all’indomani della sentenza ed anche prima, si sono affrettati ad indicare la strada della legittimazione parlamentare dell’eterologa come rimedio per arginare la stessa eterologa (un bel controsenso). Optando per la formalizzazione normativa di quanto disposto dai giudici, alcuni “cattolici” illuminati non solo hanno fatto propria una soluzione in contrasto con la morale naturale – mai si può varare una legge intrinsecamente malvagia seppur meno malvagia di un’altra – ma si sono altresì allineati perfettamente all’orientamento deciso dalla Corte. In buona sostanza: negli Usa Obama pone una norma liberticida e diocesi, università, conventi, imprese la contrastano in radice e vincono. Noi ci troviamo davanti a dei giudici che dicono “Sì” all’eterologa e una parte del mondo pro-life dice pure lui “Sì” all’eterologa seppur in versione un poco depotenziata (cosa poi che nei fatti sarà tutta da verificare: vedasi cosa ha detto il ministro Lorenzin un paio di giorni fa al Corriere). 
Insomma, tanto per rimanere legati alla recente cronaca calcistica, i giudici mettono a segno sette gol e noi siamo tutti contenti se riusciamo a limitare la sconfitta e segnare il gol della bandiera. Ma, è bene ricordarselo, anche se abbiamo fatto una rete l’incontro l’abbiamo perso ugualmente. E’ l’eterologa che va in finale, non la dottrina della Chiesa. Qualcuno obietterà: “Ma lì è l’America, è la patria dei duri e puri, un Paese con una lunga tradizione di manifestazioni popolari. Noi siamo diversi per sensibilità e storia”. Risposta: l’Italia è la culla della cristianità, nazione dove ha sede la cattedra di Pietro. Non si capisce cosa ci manca per ribaltare la situazione in quanto a tradizione, risorse e talenti. Non è nelle nostre corde dire evangelicamente “Sì sì, no no”? La soluzione è semplice: impariamo a dirlo questo “Sì sì, no no”. Milioni di bambini che continuamente muoiono per aborto e per Fivet lo esigono.
Continuiamo ad approfondire il tema del “che fare?”. Andiamo a bussare alla porta dei politici? Il mondo della politica non offre appigli. Anzi, gli esponenti “cattolici” nel momento attuale o remano contro o, per usare un eufemismo, hanno le idee confuse. Bene lavorarli ai fianchi, ma non aspettiamoci fuochi artificiali. Ci appelliamo ai pastori? La realtà italiana ecclesiale, nella maggior parte dei casi, col cambio di stagione della teologia morale ha messo in naftalina la pastorale sui principi non negoziabili e allorché ne parla assume posizioni dottrinali eterodosse. Il silenzio omertoso di una buonissima fetta della Chiesa italiana su questi temi – vedasi da ultimi eterologa e unioni civili di Renzi – fa addirittura sospettare che le bocche chiuse siano merce di scambio per ottenere qualcosa d’altro.
Ci rivolgiamo infine alla base del laicato? Ampi settori del mondo pro-life o sono ostaggi di questa Chiesa del silenzio (e l’espressione non rimanda alla Chiesa perseguitata) e quindi stanno al verone a guardare. Oppure, se sono da questa indipendenti, nel momento attuale sono assai divisi in lotte intestine e dunque – a  parte qualche significativo caso – risultano essere paralizzati nell’azione. Ma forse è proprio questo “significativo caso” che potrebbe essere la nostra ancora di salvezza. Esistono realtà laicali ben formate e agguerrite sul piano operativo. Perché non esportare il loro modello in altri ambiti e non ingrandire di scala i loro progetti? Nei momenti di confusione, basta una voce chiara che dica e proponga di fare cose semplici ma radicali per trascinare. Forse che questa è la strada buona?


 di Tommaso Scandroglio da lanuovabq

domenica 6 luglio 2014

IL 4 LUGLIO E LA LIBERTA' RELIGIOSA

Oggi è il Quattro Luglio, la festa nazionale con cui gli Stati Uniti d’America celebrano l’indipendenza dalla gran Bretagna, proclamata a Filadelfia nel 1776, ovvero la quintessenza di ogni patriottismo americano. E oggi si conclude il “Fortnight for Freedom: Freedom to Serve”, ovvero i “15 giorni della libertà per servire”, indetti dalla Conferenza episcopale cattolica statunitense anzitutto per chiedere a Dio il dono della libertà religiosa, e la conclusione solenne è  la Messa di mezzogiorno (ora della Costa Orientale) celebrata nel santuario nazionale dell’Immacolata Concezione della capitale  degli Stati Uniti dal cardinal Donald W. Wuerl, arcivescovo di Washington, e dall’arcivescovo di Louisville, nel Kentucky, mons. Joseph E. Kurtz, presidente della Conferenza episcopale cattolica americana.

È una mobilitazione senza precedenti, una vera e propria Crociata di cui nessun media ha parlato, capace di smuovere parrocchie e conventi, suore e frati, organizzazioni laicali e movimenti, anche con il “concorso esterno” di altri credenti, protestanti, ortodossi ed ebrei.
Le “salmerie” delle “truppe” sono state immagazzinate sul sito dei vescovi americani, dalle litanie per la libertà religiosa alle preghiere a san Tommaso Moro (martire “di Stato” e patrono degli uomini politici) e alla Vergine di Guadalupe (“imperatrice e madre delle Americhe”), dagli spunti per la meditazione quotidiana alle intenzioni dei fedeli per l’uso liturgico nelle Messe “speciali” appositamente celebrate, dalla guida per l’adorazione eucaristica in difesa di vita, matrimonio e libertà ai sussidi appositamente pensati per le parrocchie, il tutto disponibile in inglese e in spagnolo, ma anche in vietnamita e in tagalog (la lingua dei filippini). Una portentosa “novena” speciale e allungata, insomma, che, un occhio sagace al calendario, ha voluto intenzionalmente appoggiarsi alle memorie liturgiche di santi “attuali” quali Pietro e Paolo (la fedeltà al Vicario di Cristo e la missione ad gentes), i primi martiri della Chiesa di Roma (dai colossei di ieri a quelli di oggi), Giovanni Battista (patrono di tutti i santi e primo servo di Cristo) nonché Giovanni Fisher e il citato Tommaso Moro, messi a morte da uno Stato dispotico perché fedeli al principio non negoziabile del matrimonio indissolubile.

La dura offensiva che da anni L’Amministrazione retta dal presidente Barack Obama porta avanti contro fedi e religioni, e prima di tutto contro la Chiesa Cattolica, preoccupa infatti fortemente i vescovi americani, che doviziosamente ricordano e documentano ogni discriminazione.

Quello americano è del resto un caso clamoroso. Nel cuore del “mondo libero”, al centro della “democrazia perfetta”, si svolge da tempo un braccio di ferro che non ha precedenti se non nei Paesi totalitari. 
In tutti i modi la Casa Bianca tenta infatti di ridurre al silenzio la Chiesa (e in genere ogni fede) e di renderne ininfluente al lato pratico certamente la missione spirituale ma anche la grande opera di sollecitudine sociale che negli anni, con un impennata mai vista proprio in questi ultimi tempi di confronto serrato, le ha fatto guadagnare la stima e il rispetto persino di ambienti del tutto improbabili, talora persino di Chiese protestanti altrimenti decisamente critiche verso il cattolicesimo. 
Il contenzioso più evidente è certamente quello scoppiato attorno alla riforma sanitaria voluta da Obama, che impone ai datori di lavoro di sottoscrivere per i propri impiegati polizze assicurative che comprendono anche ogni tipo di tecnica per il controllo delle nascite, e proprio la ferma opposizione della Chiesa Cattolica in questo campo ha schierato solidalmente a fianco dei vescovi numerosi esponenti significativi del mondo protestante.

Ma la battaglia è proseguita lungo le mille sponsorizzazioni che Obama e il Partito Democratico hanno apertamente elargito a ogni tipo d’intervento legislativo che miri a calpestare i “princìpi non negoziabili”, dalla distruzione della famiglia naturale attraverso l’“ideologia di gender” e il “matrimonio” omosessuale (talora persino la poligamia) alla lotta aperta contro la libertà di educazione, sino al vero e proprio tentativo di emarginare dalla vita pubblica del Paese (di cui pure sono parte integrante e decisiva da sempre) i credenti e in specie i cattolici fedeli al Magistero. Per questo la Conferenza episcopale cattolica americana si è trovata persino nella condizione limite di dover istituire, nell’autunno del 2011, un “Comitato ad hoc per la libertà religiosa” che vigili sulle gravi violazioni di cui il governo americano si sta macchiando, compiendo un gesto eccezionale se si pensa che di solito organismi così vengono istituiti per monitorare i Paesi dove la cristianofobia versa quotidianamente il sangue dei credenti.

La strategia dei vescovi americani è peraltro cristallina: fanno quadrato, con grande sostegno di popolo, coniugando, con raffinata intelligenza e carità, la fermezza sui princìpi (difesi senza paura in ogni sede pubblica) e la disponibilità al confronto sereno e schietto (mai da loro negata benché sempre di fatto rifiutata dalla Casa Bianca). 
Durante il “Fortnight for Freedom” lo ha dimostrato ancora una volta il capo dei vescovi americani mons. Kurtz, che il 30 giugno ha firmato, accanto a leader di Chiese e organizzazioni protestanti ed ebraiche, in tutto rappresentando 100 milioni di americani, una lettera  con cui si chiede ai leader delle maggioranze e delle minoranze politiche delle due ali del Congresso di Washington di difendere l’oggi minacciato “Religious Freedom Restoration Act” (RFRA), cioè la legge votata (quasi all’unanimità) dal parlamento americano nel 1993 che impedisce di limitare l’esercizio pratico della libertà religiosa, secondo quanto peraltro già prevede la Costituzione federale americana. Come ha efficacemente scritto mons. Kurtz, «grazie a Dio per il RFRA», strumento di vittorie importanti come quella, recente, nel “caso Hobby Lobby”.

Nell’“era Obama” gli Stati Uniti stanno certamente diventando un luogo sempre più ostile per i cattolici, ma ciononostante gli Stati Uniti stanno pure diventando “un Paese più cattolico”. I cattolici americani sono infatti oggi tra i cittadini più patriottici, spesso quelli che hanno più chiaro il senso autentico delle libertà americane; “i più americani degli americani”, insomma, con una Chiesa viva e fedele che guida con carità e coraggio un “esercito” ben addestrato.


mercoledì 2 luglio 2014

SE DAI FRUTTI SI VEDE L'ALBERO

(Il sinodo sulla Famiglia comincia a manifestare irritazioni scontri e poca comprensione reciproca.  nota di admin)

Sembrava quasi una bega di paese, un piccolo “scandalo” diocesano assurto alle cronache nazionali per il solito corto circuito mediatico. E invece la vicenda del parroco di Cameri, don Tarcisio Vicario, consegnato alla gogna mediatica dal suo vescovo monsignor Giulio Brambilla per aver tentato di spiegare ai propri parrocchiani perché non è possibile ammettere ai sacramenti i conviventi, sta diventando il simbolo della lotta che si prepara al prossimo Sinodo sulla famiglia.
Amami e capirai: MARC CHAGALL, IL CANTICO DEI CANTICI
Don Tarcisio aveva semplicemente cercato di spiegare il Catechismo sostenendo che una convivenza implica il permanere in una situazione contraria alla legge di Dio, mentre dopo un peccato anche grave – fosse anche l’omicidio – ci si può riconciliare se veramente pentiti. Il vescovo di Novara non solo aveva preso le distanze e svergognato il suo prete, aveva anche preteso – in puro stile maoista - che firmasse una lettera di scuse da leggere nelle chiese.
Nei giorni successivi, ovviamente, su giornali e social media è stato tutto un “Dalli a don Tarcisio”, mentre il povero parroco era nel frattempo in viaggio in Irlanda per un pellegrinaggio programmato da tempo (magari è vero, ma siccome si dice sempre così qualche dubbio viene).
Ma la vicenda ha avuto una eco che è arrivata fino alla preparazione del prossimo Sinodo dei vescovi. Il 26 giugno infatti c’è stata la presentazione dell’Instrumentum Laboris che sarà la base della discussione al Sinodo (clicca qui).
A presentarlo alla stampa c’era anche il segretario generale del Sinodo dei vescovi, il cardinale Lorenzo Baldisseri, che già nei mesi scorsi era stato protagonista di uscite che andavano nel senso di una ridefinizione della dottrina sul matrimonio. Nell’occasione Baldisseri ha presentato le diverse parti del corposo documento, insistendo molto sull’attenzione e la sensibilità verso le «situazioni pastorali difficili», sulla necessità di «guarire le persone ferite» e di «una pastorale capace di offrire la misericordia che Dio concede a tutti senza misura».

Insomma, nulla che possa rovinare l’immagine di una Chiesa accogliente, che non giudica più, in cui si evita di dire le cose spiacevoli per non urtare la sensibilità, in cui quel che conta è l’amore, come direbbe anche Barack Obama.  Senonché a margine della presentazione dell’Instrumentum Laboris un giornalista dell’Ansa chiede al cardinal Baldisseri della vicenda di Cameri e delle parole di don Tarcisio. E allora improvvisamente la musica cambia: «Una pazzia», dice Baldisseri, «si tratta di un’opinione strettamente personale di un parroco che non rappresenta nessuno, neanche se stesso». Non rappresenta nessuno, neanche se stesso: in pratica gli ha dato del malato di mente. E allora si è cominciato a capire che la misericordia di cui tanto si parla non riguarda tutti, anzi per qualcuno il giudizio sarà senza alcuna pietà.

Ma la reazione sproporzionata del cardinale Baldisseri si può spiegare con il fatto che a chi cerca di nascondere nella nebbia di tante parole dolci ed espressioni accattivanti il tentativo di modificare la dottrina della Chiesa, a dare maggiormente fastidio è proprio la riproposizione pura e semplice della verità sull’uomo che la Chiesa ha sempre annunciato. 

E che questo sia il punto lo conferma l’intervento di un altro cardinale, il canadese Thomas Collins, arcivescovo di Toronto, che in un’intervista concessa il 25 giugno a “Word on Fire” (e segnalata dal blog di Sandro Magister) afferma chiaramente che c’è chi sta creando una aspettativa sul cambiamento di dottrina nella Chiesa a riguardo del matrimonio, così come accadde con Paolo VI alla vigilia dell’enciclica Humanae Vitae: «Questo genere di aspettativa – dice il cardinale Collins – si basa sull’idea che la dottrina cristiana sia come la politica di un governo: quando cambiano le circostanze, o quando cambia l’opinione della maggioranza, allora anche la politica cambia». Ma non è così: «La dottrina cristiana è fondata sulla legge naturale che è inscritta da Dio nella nostra natura, e soprattutto sulla parola rivelata da Dio».

E neanche a farlo apposta, richiesto di chiarire l’insegnamento della Chiesa in materia di divorziati risposati, il cardinale Collins usa esattamente le stesse espressioni del povero parroco di Cameri: «I cattolici divorziati e risposati non possono ricevere la santa comunione dal momento che, quali che siano la loro disposizione personale o le ragioni della loro situazione, conosciute forse solo da Dio, essi persistono in una condotta di vita che è oggettivamente in contrasto con il chiaro comando di Gesù. Questo è il punto. Il punto non è che essi hanno commesso un peccato; la misericordia di Dio è abbondantemente assicurata a tutti i peccatori. L’omicidio, l’adulterio e altri peccati, non importa quanto gravi, sono perdonati da Gesù, specialmente attraverso il sacramento della riconciliazione, e il peccatore perdonato riceve la comunione. In materia di divorzio e di secondo matrimonio il problema sta nella consapevole decisione, per le ragioni più diverse, di persistere in una durevole situazione di lontananza dal comando di Gesù». 
Anche il cardinale Collins fa dunque un confronto tra la convivenza e peccati gravi quali l’omicidio. Nessuna equiparazione, ma la spiegazione di una differenza, perché uno può accedere alla comunione e l’altro no.

Collins ovviamente non si ferma qui: anche lui – come del resto il parroco di Cameri - è attento ai bisogni e alle sofferenze di chi vive situazioni familiari irregolari, ma la cura pastorale non può essere a scapito della verità: sarebbe «offrire una consolazione nel breve periodo al costo di una grande sofferenza nel lungo periodo». 
E a quanti pensano di dover aggiornare la dottrina e il linguaggio perché la gente oggi non capisce più o comunque la maggioranza non segue, il cardinale Collins ricorda che «quando Gesù predicava in Galilea divorzio e secondo matrimonio erano accettati dalla società. La legge di Mosè lo permetteva. L’insegnamento di Gesù, che divorzio e secondo matrimonio non sono ammessi, era rivoluzionario. Era anche un’indicazione con cui affermava la propria divinità, perché solo Dio ha il potere di cambiare la legge di Mosè».

La vicenda del Sinodo dunque, nella sua essenza si giocherà qui: tra chi si pone il problema di elevare ogni uomo a Dio, sostenendolo nella difficoltà del cammino, e chi vuole ridurre il disegno di Dio alla misura dell’uomo, rassegnandolo alla sua mediocrità.

E in ogni caso don Tarcisio
 potrà chiedere ospitalità all’arcidiocesi di Toronto.
 
TORONTO


 TRATTO DA UN ARTICOLO DI RICCARDO CASCIOLI
LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA