lunedì 25 agosto 2014

DIFENDERE I CRISTIANI IN IRAQ

Si è conclusa ieri la visita di solidarietà dei Patriarchi orientali cattolici e ortodossi a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno. Una visita i cui toni sono andati oltre il contesto pastorale e di protocollo, specie dopo l'incontro con il presidente della regione autonoma, Massoud Barzani, durante il quale i Patriarchi non hanno risparmiato di esprimere un fermo punto di vista riguardo alla questione della legittimità dell'uso della forza per respingere l'aggressione degli jihadisti dello Stato islamico e riportare i cristiani a Mosul e nei villaggi della piana di Ninive.



Un punto di vista che i Patriarchi hanno poi espresso pubblicamente in una conferenza stampa che ha seguito l'incontro. Dopo la conferenza i Patriarchi Younan, dei siro-cattolici, ed Ephrem Karim, dei siro-ortodossi si sono trattenuti un po' più a lungo nella regione, per stare vicino ai gruppi di fedeli in Iraq. Il cardinale Béchara Raï e Gregorios III sono invece rientrati in Libano.
Come riferito dall’agenzia Asia News, la conferenza non ha avuto nulla di convenzionale. Anzitutto per il “grido d’allarme” lanciato dai Patriarchi riguardo alla situazione nel Paese, per cui hanno invocato un immediato intervento che “corrisponde a ciò che insegna la Chiesa cattolica in materia di legittima difesa”.
"Non c'è nemmeno un secondo da perdere”, afferma Youssef II Younane, “è in gioco la nostra sopravvivenza in Mesopotamia. Le nazioni libere che aderiscono alla Carta dei diritti dell'uomo devono avere il coraggio di essere fedeli ai loro principi”.
“Noi – rimarca con vigore il Patriarca - chiediamo un intervento internazionale in nostra difesa, e non certo per conquistare alcunché. Noi abbiamo il diritto di difenderci e noi chiediamo di essere difesi. La comunità internazionale lo ha ben fatto in precedenza in Kossovo, malgrado l'opposizione, all'epoca, della Russia”.
Per questo noi, insieme a Papa Francesco, i Capi delle Chiese orientali chiedono “di fare in modo che vengano rispettati i nostri diritti per un intervento militare di natura difensiva, per fronteggiare i gruppi jihadisti che ci minacciano". 
D’accordo anche il Patriarca maronita Béchara Raï ad interpellare al più presto la comunità internazionale. "Noi - ha detto – pensiamo che lasciare campo libero agli jihadisti dello Stato islamico sarebbe davvero vergognoso per l'Occidente. Che un gruppo di terroristi di ispirazione diabolica sia lasciato libero di agire è uno scandalo senza precedenti”.
“Noi – ha soggiunto il cardinale - chiediamo alla comunità internazionale di assumersi le proprie responsabilità. È inammissibile che un gruppo di questa natura opprima in questo modo dei popoli, e che la comunità internazionale non prenda la difesa di un gruppo incapace di difendersi da solo". 
Dal canto suo, il Patriarca Younane ha implicitamente accusato la dottrina wahabita, professata in Arabia Saudita, quale fonte di ispirazione dello Stato islamico. "Tale gruppo non ha potuto nascere - ha affermato - se non grazie a questo sostegno. Oggi cerca di sottrarsi alle proprie responsabilità, che derivano da questa situazione". 
In merito all'incontro con il presidente Barzani - infoma ancora Asia News - , fonti vicine alla delegazione patriarcale hanno rivelato che egli avrebbe fornito ampie rassicurazione sul fatto che i peshmerga sono pronti a fare il loro dovere, per difendere i cristiani d'Iraq, ma che il Kurdistan al contempo richiede migliori equipaggiamenti dal punto di vista militare. 
Al tempo stesso, Barzani ha confidato ai membri della delegazione che i jihadisti hanno riempito di mine le strade e le case dei villaggi abbandonati dai cristiani in fuga e che, in caso di bisogno, i peshmerga non dispongono delle attrezzature e dell'esperienza necessarie per farlo. 
Nel suo intervento, infine, il Patriarca Ephrem ha rivendicato addirittura una regione autonoma per i cristiani d'Iraq, nel contesto di una repubblica federale irachena. “La Costituzione irakena lo permetterebbe”, ha spiegato Ephrem. E non ha mancato di rivolgere un appello al segretario generale Onu Ban Ki-moon affinché si rechi in visita personalmente in Iraq.
Una parola anche per Papa Francesco perché faccia “un uso più audace della propria influenza per la causa dei cristiani iracheni”. Il Patriarca dei siro-ortodossi ha infine chiesto la liberazione di Mosul, costatando che sia ormai possibile assicurare il rientro in alcuni villaggi della piana di Ninive. 
A conclusione della visita e dando il via alla conferenza stampa, il Patriarca Sako dei caldei ha affermato che le Chiese d'oriente sono un insieme di "piccole Chiese, ma che attraverso la loro unione, possono formare una Chiesa grande e forte". 

 http://www.zenit.org/it/articles/i-patriarchi-orientali-legittimo-l-uso-della-forza-per-difendere-i-cristiani-in-iraq

PIERBATTISTA PIZZABALLA: IL POTERE DEL CUORE

Pubblichiamo il testo integrale dell'intervento di padre Pierluigi Pizzaballa, custode di Terra Santa, dal titolo "Il potere del cuore - Ricercatori di verità", che ha aperto ieri il Meeting di Rimini. È un testo determinante per comprendere la complessa realtà del Medio Oriente e imparare un giudizio che nasce dalla fede.


Non è semplice, in poco tempo e in una sede come questa, entrare in un tema così ampio e complesso, come quello del Medio Oriente di oggi, a ferro e a fuoco, in radicale e drammatica trasformazione.
È ancora più difficile mettere in relazione questa tragica situazione con il “potere del cuore”, che è il tema del nostro incontro. Cosa potrà mai fare il cuore di fronte al dramma umanitario che i media ci vanno mostrando da mesi? C’è bisogno di ben altro che qualche parola buona o di buoni sentimenti, verrebbe da pensare.
Credo invece che sia un errore limitarsi ad una professionale analisi politica, sociale e storica di quanto sta avvenendo (sempre che si riesca a farla!), senza uno sguardo religioso, redento, che aiuti a leggere ed interpretare gli eventi senza tuttavia lasciarsene travolgere. I due ambiti sono necessari l’uno all’altro. Abbiamo bisogno di esperti che ci aiutino a comprendere i radicali cambiamenti a cui stiamo assistendo dal punto di vista politico, economico e sociale. Ma abbiamo anche bisogno di uno sguardo alto, ampio, libero da paure e complessi.
In questi ultimi mesi, a Gerusalemme, siamo stati subissati da richieste e proposte che giungono dalle più impensabili associazioni e movimenti internazionali di carattere assolutamente laico che, preoccupati di quanto sta avvenendo, vogliono coinvolgerci in iniziative le più disparate in ambito mediatico, culturale, politico e addirittura militare, per “salvare il cristianesimo e la sua cultura” in Medio Oriente e non solo. Sono preoccupazioni legittime, come purtroppo constatiamo, ma alle quali manca lo sguardo di fede, lo sguardo di chi non solo confida nelle proprie capacità operative di diverso genere, ma anche affida, consegna la propria vita ad un Altro, in altro modo. 
In altro modo significa: operando, pregando e ascoltando ogni suggerimento del cuore, lasciando che la ricerca appassionata e libera della verità indichi strade sconosciute o insperate, pronti ad assumersi la responsabilità di dare corpo al nostro personale impegno verso gli altri, con gli altri. 
Non sono venuto qui per presentare la cronaca degli eventi. La conosciamo già dai media, insieme alle diverse analisi su quanto avviene. Diamo, comunque, innanzitutto, una nostra lettura di quanto sta avvenendo, sapendo di essere necessariamente parziali e approssimativi.

RUSSIA & UCRAINA/ SCALFI: GLI IDOLI OCCUPANO IL VUOTO LASCIATO DALLA FEDE

Un giudizio sulla crisi in Ucraina 
da ricordare e da riproporre

Come sappiamo la posizione di molti in Italia, anche nel mondo cattolico, è marcatamente condizionata dal patriarcato cattolico di Kiev. Queste posizioni esaltano la ”novità della rivoluzione di Maidan’ perchè sono anche segno di un rinnovamento spirituale”. Ebbene, il  24 giugno 2014 con un articolo sul Sussidiario è intervenuto padre Scalfi, fondatore di Russia Cristiana. Vale la pena di riprenderlo.
Padre Scalfi dà un giudizio che è impossibile non condividere come cristiani. Qual è la novità dell’intervento di padre Scalfi? La novità è che ridefinisce il criterio dimenticato e quindi ridistribuisce le responsabilità tra le parti coinvolte nel conflitto ucraino. Sopratutto ci ricorda che per giudicare è necessario un criterio.
Le vere ragioni di queste crisi che si susseguono inesorabili non sono frutto della spontaneità dei popoli:  è abbondantemente provato e dimostrabile che le motivazioni che le ha segretamente sospinte sono crudelmente geopolitiche (e pianificate da interessi che non c’entrano con i sentimenti dei popoli e delle persone). A Maidan come nel Donbass  questi sentimenti sono stati cinicamente sfruttati.

E’ un pantano dal quale se ne esce solo se la posizione ricordata da Scalfi è compresa e diffusa.
Ora più che mai occorrono posizioni  personali ed originali. E’ un lavoro che tocca ciascuno.  Sulle vicende ucraine l’Italia ha assunto una posizione del tutto appiattita su quelle atlantiste.  Sono posizioni che possono essere spiegate solo dal fatto che la prassi del cinismo e della logica di schieramento è ormai abituale: è una logica che ci fa un giorno amici e un giorno nemici dei nostri ‘vicini’ e ci  relega costantemente a comprimari dei potenti.  Il giudizio su questo comportamento (che non segue la verità ma il puro interesse politico) non può che essere negativo. Ed a livello personale, abbracciare queste posizioni, eludendo le ragioni degli altri, è irragionevole: non ci possiamo attendere che quelle persone che combattono tra di loro si perdonino a vicenda mentre noi stessi sposiamo solo una posizione senza suggerire una vera ragione per cui valga per tutti vivere e coesistere in unità.
Questo il giudizio di padre Scalfi
Fonte ilsussidiario.net 21/06/2014 Autore Romano Scalfi

venerdì 22 agosto 2014

IL TRENO HA FISCHIATO

(una sintesi forse infelice, ma per chi ha fretta…
e per non dimenticare la realtà.
Poi se la fretta ti è passata, leggi tutto il racconto di Luigi Pirandello)


                  (...)  La sera, il capo ufficio, entrando nella stanza di lui, esaminati i registri, le carte: E come mai? Che hai combinato tutt’oggi?

Belluca lo aveva guardato sorridente, quasi con un’aria d’impudenza, aprendo le mani. Che significa? aveva allora esclamato il capo ufficio, accostandoglisi e prendendolo per una spalla e scrollandolo.

Ohé, Belluca! Niente, aveva risposto Belluca, sempre con quel sorriso tra d’impudenza e d’imbecillità su le labbra. Il treno, signor Cavaliere. Il treno? Che treno?
Ha fischiato.
Ma che diavolo dici?
Stanotte, signor Cavaliere. Ha fischiato. L’ho sentito fischiare…
Il treno?
Sissignore. E se sapesse dove sono arrivato! In Siberia… oppure oppure… nelle foreste del Congo… Si fa in un attimo, signor Cavaliere!
Gli altri impiegati, alle grida del capo ufficio imbestialito, erano entrati nella stanza e, sentendo parlare così Belluca, giù risate da pazzi. 

                  (...) Non avevo veduto mai un uomo vivere come Belluca. Ero suo vicino di casa, e non io soltanto, ma tutti gli altri inquilini della casa si domandavano con me come mai quell’uomo potesse resistere in quelle condizioni di vita. Aveva con sé tre cieche, la moglie, la suocera e la sorella della suocera: queste due, vecchissime, per cataratta; I’altra, la moglie, senza cataratta, cieca fissa; palpebre murate. Tutt’e tre volevano esser servite. Strillavano dalla mattina alla sera perché nessuno le serviva. Le due figliuole vedove, raccolte in casa dopo la morte dei mariti, l’una con quattro, l’altra con tre figliuoli, non avevano mai né tempo né voglia da badare ad esse; se mai, porgevano qualche ajuto alla madre soltanto. Con lo scarso provento del suo impieguccio di computista poteva Belluca dar da mangiare a tutte quelle bocche? Si procurava altro lavoro per la sera, in casa: carte da ricopiare. E ricopiava tra gli strilli indiavolati di quelle cinque donne e di quei sette ragazzi finché essi, tutt’e dodici, non trovavan posto nei tre soli letti della casa. Letti ampii, matrimoniali; ma tre.

              (...) Ebbene, signori: a Belluca, in queste condizioni, era accaduto un fatto naturalissimo. Quando andai a trovarlo all’ospizio, me lo raccontò lui stesso, per filo e per segno. Era, sì, ancora esaltato un po’, ma naturalissimamente, per ciò che gli era accaduto. Rideva dei medici e degli infermieri e di tutti i suoi colleghi, che lo credevano impazzito. Magari! diceva Magari!

Signori, Belluca, s’era dimenticato da tanti e tanti anni ma proprio dimenticato che il mondo esisteva. Assorto nel continuo tormento di quella sua sciagurata esistenza, assorto tutto il giorno nei conti del suo ufficio, senza mai un momento di respiro, come una bestia bendata, aggiogata alla stanga d’una nòria o d’un molino, sissignori, s’era dimenticato da anni e anni ma proprio dimenticato che il mondo esisteva. Due sere avanti, buttandosi a dormire stremato su quel divanaccio, forse per l’eccessiva stanchezza, insolitamente, non gli era riuscito d’addormentarsi subito. E, d’improvviso, nel silenzio profondo della notte, aveva sentito, da lontano, fischiare un treno. Gli era parso che gli orecchi, dopo tant’anni, chi sa come, d’improvviso gli si fossero sturati. Il fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d’un tratto la miseria di tutte quelle sue orribili angustie, e quasi da un sepolcro scoperchiato s’era ritrovato a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo che gli si spalancava enorme tutt’intorno. S’era tenuto istintivamente alle coperte che ogni sera si buttava addosso, ed era corso col pensiero dietro a quel treno che s’allontanava nella notte. C’era, ah! c’era, fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti, c’era il mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui quel treno s’avviava… Firenze, Bologna, Torino,Venezia… tante città, in cui egli da giovine era stato e che ancora, certo, in quella notte sfavillavano di luci sulla terra. Sì, sapeva la vita che vi si viveva! La vita che un tempo vi aveva vissuto anche lui! E seguitava, quella vita; aveva sempre seguitato, mentr’egli qua, come una bestia bendata, girava la stanga del molino. Non ci aveva pensato più! Il mondo s’era chiuso per lui, nel tormento della sua casa, nell’arida, ispida angustia della sua computisteria…(...) 




giovedì 21 agosto 2014

CACCIARI: “LE PAROLE DEL PAPA SU GUERRA E PACE? UNA SVOLTA RADICALE PER LA CHIESA CATTOLICA”

Il filosofo: "Per la prima volta un vescovo di Roma abbandona l'idea cattolica di 'guerra giusta'. Quella di Wojtyla era ancora un'idea tradizionale: ma lui era l'ultimo grande pontefice medioevale"

Massimo Cacciari "Per la prima volta un pontefice abbandona l'idea cattolica di "guerra giusta": e questa è una novità epocale". Il filosofo non ha dubbi: Jorge Mario Bergoglio, parlando con i giornalisti nel viaggio di ritorno dalla Corea, si è espresso in termini assolutamente laici, nel momento in cui ha evocato un possibile intervento in Iraq deciso dalle Nazioni Unite. Ragiona, cioè, in termini realistici e non "assoluti".

"Il che - afferma Cacciari - dimostra che vi sono trasformazioni colossali in atto nel mondo della Chiesa cattolica". Che ormai confluisce sulle posizioni del diritto positivo proprie dei laici: "In sostanza Francesco dice che non possiamo rimanere impotenti di fronte a queste stragi quotidiane. Ma lo fa con termini non dissimili da quelli che usava Bobbio. Ed è anche il grande realismo di un papa gesuita che percepisce il tramonto dell'Occidente".

"SI TRATTA di una svolta radicale nella teologia politica della Chiesa. Per la prima volta Francesco abbandona l'idea cattolica di "guerra giusta"". Massimo Cacciari interpreta come "una novità epocale" le parole del pontefice sulla tragedia irachena.

Il Papa ha sostenuto che è lecito fermare la violenza dei seguaci del califfato islamico. Fermare, non fare la guerra. E i modi in cui fermarla devono essere decisi dalle Nazioni Unite. Si appella in sostanza a un organismo internazionale.
"Ma questo è un bel problema. Un Papa che si mette a ragionare in termini realistici, e sulla base di diritti positivi, una questione teologica la pone. La mia non è una critica. Solo una constatazione delle colossali trasformazioni dentro la Chiesa".

A cosa di riferisce?
"Con quelle parole papa Francesco ha abbandonato completamente l'idea cattolica di "guerra giusta". Quando io stabilisco che la guerra deve essere fondata sul diritto internazionale, il cui organo effettivo è rappresentato dalle Nazioni Unite, non ha più senso parlare di "guerra giusta". La categoria di giusto non ha a che fare con il diritto positivo".

Sta dicendo che il giusto ha a che fare con valori assoluti?
"Ma certo. La dignità teorica e teologica della "guerra giusta" è fondata su valori assoluti e irrelativi, che non vengono decisi dalle Nazioni Unite".

Lei si riferisce al principio di bellum iustum di Sant'Agostino, che traeva la legittimità della guerra non dal diritto ma dalla volontà di Dio?
"Sì, lei lo dice in termini più radicali, ma è così. Per parlare di "guerra giusta" devo riconoscere in Dio la volontà di quel conflitto, non affidarmi al diritto internazionale, che nasce dall'accordo tra diritti positivi nazionali".

Papa Francesco non parla mai di "guerra giusta", anzi respinge la parola "guerra". Ed esclude i bombardamenti. Ma la sua posizione teorica non sembra distante dalla nozione di "guerra giusta" elaborata da Norberto Bobbio, che era fondata su basi giuridiche: l'intervento militare può essere un mezzo per difendere il diritto dei popoli aggrediti.
"Sì, c'è analogia. Bobbio esprimeva un principio laico per il quale è necessario l'intervento militare per salvaguardare i diritti umani. Ma se è corretto quello che abbiamo detto finora - ossia che Francesco considera legittimo un intervento nella misura in cui viene deciso dall'Onu - siamo in presenza di una laicizzazione dell'idea cattolica di "guerra giusta". Non vedo differenze neppure con la posizione sostenuta da tutti i governi europei durante le guerre del Golfo. Si tratta di una banalizzazione laicista della "guerra giusta"".

Ma perché "banalizzazione"? Un Papa non può invocare una guerra, allora cerca di dare la sveglia ai governi.
"Ma io parlo dal punto di vista della teologia politica: la posizione di Francesco è fragilissima. La sua è una posizione che potrebbe sostenere un Renzi o una Merkel. Se mi permette, io dal Papa mi aspetto qualcosa di più, ossia che mi dica che bisogna intervenire sulla base di valori considerati assoluti. Un grande papa medioevale, se ci fosse un eccidio di cristiani come quello in atto, tenderebbe alla crociata. Per fortuna l'attuale papa non lo è. Francesco ragiona in termini realistici. Però pone alla Chiesa un problema teologico".

Anche Wojtyla aveva sostenuto negli anni Novanta la necessità dell'intervento militare come extrema ratio. E davanti all'assedio di Sarajevo usò la stessa formula di Francesco: fermiamo gli aggressori ingiusti.
"Ma la sua era ancora un'idea tradizionale di "guerra giusta". Wojtyla è stato l'ultimo grande papa medioevale, che ha chiuso un secolo straordinario. La sua storia appartiene alle tragedie del Novecento. È stato il papa che ha sfidato l'impero comunista. Francesco è il papa gesuita che percepisce con grande realismo il tramonto dell'Occidente. E teme che il conflitto iracheno possa rendere difficile l'evangelizzazione soprattutto in quelle zone".

Nel Novecento il rapporto tra Chiesa cattolica e guerra è stato controverso. Benedetto XV stigmatizzò la Grande Guerra come "inutile strage", ma i cappellani militari in trincea usavano le immaginette per promuovere il conflitto.
"Certo. Ma questa è la storia, che ripropone le contraddizioni della Chiesa. Oggi noi assistiamo a un grande passaggio culturale: per quanto concerne le questioni della pace e della guerra, la Chiesa cattolica confluisce sulle posizioni del diritto positivo che sono proprie dei laici. E non è un caso che a compiere questo passaggio sia un papa gesuita: è la posizione di chi vuole contare - secondo la tradizione di quell'ordine - sul piano politico dell'immanenza ".

È significativa anche l'enfasi che ha posto sulla "terza guerra mondiale".
"La guerra mondiale è un conflitto tra grandi potenze, qui che c'entra? Però il pontefice ha voluto avvertirci: guardate che le guerre stanno dilagando, non possiamo assistere impotenti alle stragi quotidiane. Manca il katéchon , la forza per tenere a freno stermini e genocidi. Il Papa si richiama a questa forza".

Da Repubblica, intervista di Simonetta Fiori

“AHIMÉ, BASTA TACERE! GRIDATE CON CENTOMILA LINGUE. VEDO CHE, PER LO TACERE, LO MONDO È GUASTO, LA SPOSA DI CRISTO È IMPALLIDITA”.

Con queste parole tuonava santa Caterina da Siena scrivendo a un alto prelato.

(Nota del Blog: continuano gli stringenti interventi di Socci sulla persecuzione dei Cristiani, e la critica all'operato del Vaticano e del Papa; spesso sopra le righe, a tratti sferzante e velenoso, interpreta una parte di opinione cattolica. Noi non condividiamo molte affermazioni, ma è utile seguirlo)

Si sente il bisogno anche oggi nella Chiesa di donne e uomini di fede ardente e di cuore libero che – come Caterina – si rivolgano così a un papa (Gregorio XI) pieno di timori, che non faceva quello che avrebbe dovuto: “Io, se fussi in voi, temerei che il divino giudicio venisse sopra di me”.
Ma i nostri sono tempi di clericalismo, di bigottismo e di adulatori. E le voci dei grandi santi (o degli uomini liberi) non ci sono o non si sentono.

Eppure è difficile e – per un cattolico – molto doloroso capire e accettare l’atteggiamento del Vaticano di papa Bergoglio di fronte alla tragedia dei cristiani (e delle altre minoranze) in Iraq, braccati e massacrati dai sanguinari islamisti del califfato anche in queste ore.
Prima, per settimane, un’evidente reticenza, quasi imbarazzo a parlarne. Perfino l’iniziativa di preghiera della Cei del 15 agosto scorso è stata passata sotto silenzio dal Papa che evidentemente ha in antipatia la Chiesa italiana.

Ora, finalmente, dopo una ventina di giorni di massacri di uomini, donne e bambini, e dopo mille pressioni (anzitutto da parte dei vescovi di quella terra e dei diplomatici vaticani), papa Bergoglio si è deciso a pronunciare le fatidiche parole, sia pure in modo assai felpato: “è lecito fermare l’aggressore ingiusto”.
Sai che sforzo… Ci mancava pure che dicesse che è lecito lasciare che l’aggressore massacri la gente inerme e innocente, che crocifigga i “nemici dell’Islam”, che seppellisca vivi i bambini, che stupri e venda le donne come schiave.

Con ben altra tempestività ed energia Giovanni Paolo II nel 1993 tuonava sul dovere di difendere gli inermi dai massacri: “Se vedo il mio vicino perseguitato, io devo difenderlo: è un atto di carità. Questa per me è l’ ingerenza umanitaria”.
Ma non c’è più Giovanni Paolo II e purtroppo nemmeno Benedetto XVI. Dunque dopo aver detto, con incredibile ritardo, che “è lecito fermare l’aggressore ingiusto”, Bergoglio si è affrettato ad aggiungere che però va fatto senza “bombardare” o “fare la guerra”.
Cosicché viene amaramente da chiedersi se egli vuole salvare la faccia (propria) o la vita di quegli innocenti. Qual è infatti il modo per “fermare” una banda di assassini crudeli senza usare le armi? Cosa propone papa Bergoglio per “fermare” quei carnefici? Un tressette col morto? Un thè con monsignor Galantino?
Si dirà che il Papa non può esortare a usare la forza, sia pure per salvare vite innocenti. Sbagliato. Da secoli la dottrina cattolica ha sancito il diritto alla legittima difesa e il principio di “uso della forza” per la legittima difesa.
Proprio i teologi della Scuola di Salamanca come il domenicano Francisco de Vitoria, nel XVI secolo, fondarono sulle basi della legge naturale il diritto internazionale,
Benedetto XVI lo ricordò alle Nazioni Unite evocando “il principio della ‘responsabilità di proteggere’ (che) era considerato dall’antico ius gentium quale fondamento di ogni azione intrapresa dai governanti nei confronti dei governati”.
E aggiunse che “il frate domenicano Francisco de Vitoria, a ragione considerato precursore dell’idea delle Nazioni Unite, aveva descritto tale responsabilità come un aspetto della ragione naturale condivisa da tutte le Nazioni, e come il risultato di un ordine internazionale il cui compito era di regolare i rapporti fra i popoli”.

In questo quadro Giovanni Paolo II nell’Evangelium vitae del 1995 affermava: “la legittima difesa può essere non soltanto un diritto ma un grave dovere per chi è responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile. Accade purtroppo che la necessità di porre l’aggressore in condizione di non nuocere comporti talvolta la sua soppressione. In tale ipotesi, l’esito mortale va attribuito allo stesso aggressore che vi si è esposto con la sua azione”.
Parole significative perché Giovanni Paolo II si è sempre caratterizzato per la difesa energica della pace (per esempio opponendosi alla guerra americana in Iraq), ma con altrettanta energia ha incitato la comunità internazionale a fermare, anche con l’uso della forza, i carnefici in azione (e si noti bene che a quel tempo la popolazione minacciata era di religione islamica).

Quello che semmai papa Francesco dovrebbe chiedere – sulle orme di Giovanni Paolo II – è che tale “uso della forza” da parte della comunità internazionale sia proporzionato e mirato a disarmare gli aggressori e a salvare la vita dei braccati.
Ma purtroppo non si è sentita nessuna riflessione approfondita. Si nota solo la preoccupazione di Francesco di non uscire dallo stereotipo del papa “politically correct”. Infatti ha sentito il bisogno di ripetere che fra le minoranze minacciate dall’Isis ci sono anche non cristiani “e sono tutti uguali davanti a Dio”. Un’ovvietà che è parsa una “excusatio non petita…”.

Del resto se rileggiamo insieme i vari interventi di papa Bergoglio su questa carneficina non si troverà mai la parola islam, islamisti o musulmani. Se uno disponesse solo delle parole del Papa non capirebbe minimamente a chi si deve questa “tragedia umanitaria” e per quale motivo viene perpetrata.
Una reticenza grave, figlia dell’ideologia cattoprogressista che interpreta erroneamente il dialogo con i musulmani come una resa, anche psicologica. Tanto è vero che ci sono commentatori cattoprogressisti che arrivano perfino a ripetere che i carnefici del Califfato non hanno niente a che vedere con l’Islam.
Peccato che tali carnefici impongano alle minoranze conquistate la conversione immediata all’Islam in alternativa alla morte, come è accaduto nei giorni scorsi a Kocho, un piccolo villaggio del Nord Iraq abitato da yazidi dove i jihadisti hanno massacrato circa 80 uomini che si rifiutavano di convertirsi e incatenato e deportato un centinaio di donne e bambini.
Naturalmente è comprensibile che le autorità della Chiesa non cerchino lo scontro, la polemica o il conflitto religioso. Giusto. Ma è anche un dovere dire la verità e dare ai fedeli un serio “giudizio culturale” su quello che il mondo oggi sta facendo ai cristiani.
Soprattutto considerando la subalternità culturale di tanti cattolici: c’è chi ritiene deprecabile perfino parlare di “cristiani perseguitati” (eppure sono il gruppo umano più perseguitato, nel maggior  numero di paesi del mondo).

Detto questo voglio sottolineare che le dichiarazioni di papa Francesco dell’altroieri sono comunque un passo avanti, sperando che – senza dover aspettare troppo, perché la situazione è drammatica – arrivino presto parole ancora più chiare e decise.
Sono un passo avanti che dovrebbe chiarire le idee ai tanti che nei giorni scorsi, contro chi domandava una parola chiara, ribattevano stizziti che chiedere di fermare gli assassini significava volere la guerra e le crociate.
L’intervento del Papa chiarisce le idee anche a quelli che affermavano: “se il Papa tace significa che vuol evitare ritorsioni più gravi”, oppure “se non dice niente significa che sta operando riservatamente”.
Erano balle. In realtà in Vaticano si sono illusi per settimane che vi fosse ancora una via diplomatica, mentre i carnefici del califfato – come denunciavano i vescovi del posto – volevano solo conquistare, convertire a forza e massacrare. Non sanno nemmeno cosa siano il “dialogo” o la diplomazia.
Un’ultima nota. Negli interventi fatti durante il viaggio in Corea, papa Bergoglio ha anche giustamente invitato tutta la Chiesa alla riflessione sui martiri di ieri e di oggi e alla preghiera. Sacrosanto. Ma è un invito molto blando, senza la mobilitazione di tutta la Chiesa per soccorrere queste vittime e senza quella profonda consapevolezza culturale che sapeva darci Benedetto XVI. Oggi domina lo smarrimento.

Antonio Socci


Da “Libero”, 20 agosto 2014

mercoledì 20 agosto 2014

NON POSSIAMO DIALOGARE CON TUTTI

Mons. Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio  
mercoledì 20 agosto 2014

È un fatto enorme questo gigantesco esodo in massa di cristiani espulsi dai luoghi dove da millenni era radicata la presenza cristiana, esclusivamente perché cristiani. 
Quindi per quello che la tradizione cattolica chiama l’odio della fede. 


E questo deve essere detto esplicitamente: non sono soltanto buttati fuori dalle loro case, privati di tutti i loro beni, privati di tutti i loro diritti e quindi della possibilità di sussistenza; ma la ragione di tutto questo è la fede.
E questo i cristiani, la Chiesa, non possono non sentirlo come un evento terribile e insieme grandioso, perché è l’evento del martirio.

Ho ascoltato con molta gratitudine gli interventi di papa Francesco, così forte, così appassionato e insieme così profondamente compreso di dolore, di compassione.

Con non meno gratitudine ho letto la lunga intervista del cardinale Kurt Koch all’Osservatore Romano , che ha offerto un momento di dolorosa riflessione su questo evento.

Non si capisce perché alcune cose vengano chiamate Shoah e per queste non venga usato lo stesso termine, che dice di una spaventosa e dissennata ideologica violenza contro l’altro semplicemente perché ha una posizione religiosa diversa dalla propria.

Ma il cardinale Koch ha insistito su un aspetto che non è sempre in primo piano negli interventi del mondo cattolico. Il problema è che c’è una grande difficoltà a una denuncia esplicita. 

I responsabili di questi spaventosi avvenimenti hanno nomi e cognomi espliciti, e non soltanto quelli degli ultimi, degli epigoni di questa vicenda di criminalità ideologica. Ma c’è una tradizione che risale lungo i secoli della presenza islamica nel Medio Oriente e in Europa. Ora, il cardinale Koch dice che dovremmo essere più coraggiosi nella denuncia. Ecco, il coraggio è sempre un elemento fondamentale per una presenza cristiana, ma più che mai in un momento come questo

Il coraggio è un aspetto della testimonianza cristiana, è un aspetto fondamentale dell’impatto con la realtà del mondo e degli uomini che ci vivono. Queste responsabilità dunque devono essere dette e proclamate, altrimenti anche le denunce e la volontà di condividere la situazione tremenda di tanti nostri fratelli rischiano di essere parziali. 
Certamente noi occidentali, in particolare noi cristiani di questo Occidente che giustamente negli ultimi tempi è stato indicato come caratterizzato da una profonda stanchezza, rischiamo di non affrontare la realtà secondo tutti i suoi fattori. 
Soprattutto cerchiamo di nascondere o quantomeno di ridurre l’impatto con questo mondo islamico che, ci piaccia o no, ha la responsabilità storica di questi eventi oggi come lungo i secoli che hanno preceduto questo ultimo. 

Forse c’è una prevalenza della volontà di dialogo a ogni costo che deprime la verità

E un dialogo senza la verità o che non parta dalla verità non è un dialogo: è un compromesso, è una connivenza, è un’ignavia. Ricordo ancora gli interventi di papa Benedetto XVI nel corso dell’indimenticabile Sinodo sulla nuova evangelizzazione quando intervenne dicendo che «il dialogo è in misura della forza della propria identità»; e la forza della propria identità è la pienezza della coscienza critica della propria identità. 

Il dialogo è espressione di una cultura: il dialogo non produce cultura, la esprime. Ci nascondiamo o rischiamo di nasconderci di fronte a questa terribile minaccia che incombe sull’Occidente, e non solo sull’Occidente, facendo un po’ quello che hanno fatto le cosiddette democrazie liberali borghesi nei confronti della terribile vicenda hitleriana, nei tempi immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale. 

Non avere il coraggio di questa denuncia è esattamente nella misura della debolezza della fede. Il resto finisce per essere solo un vaniloquio. La Chiesa non ha bisogno di vaniloqui e, per quanto mi risulta, neanche Dio.

FERMARE L'AGGRESSORE

CONFERENZA STAMPA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
DURANTE IL VOLO DI RITORNO DALLA COREA
Volo Papale 
Lunedì, 18 agosto 2014

FERMARE L’AGGRESSORE

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Santità, mi chiamo Alan Holdren, lavoro per la Catholic News Agency, ACI Prensa a Lima, in Perù, anche EWTN. Come Lei sa, le forze militari degli Stati Uniti da poco hanno incominciato a bombardare dei terroristi in Iraq per prevenire un genocidio, per proteggere il futuro delle minoranze – penso anche ai cattolici sotto la Sua guida. Lei approva questo bombardamento americano?

(Papa Francesco)
Grazie della domanda così chiara. In questi casi, dove c’è un’aggressione ingiusta, posso soltanto dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare, dovranno essere valutati. Fermare l’aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo anche avere memoria! Quante volte, con questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista! Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stata l’idea delle Nazioni Unite: là si deve discutere, dire: “E’ un aggressore ingiusto? Sembra di sì. Come lo fermiamo?”. Soltanto questo, niente di più.
Secondo, le minoranze. Grazie della parola. Perché a me dicono: “I cristiani, poveri cristiani…” Ed è vero, soffrono. I martiri, sì, ci sono tanti martiri. Ma qui ci sono uomini e donne, minoranze religiose, non tutte cristiane, e tutti sono uguali davanti di Dio. Fermare l’aggressore ingiusto è un diritto dell’umanità, ma è anche un diritto dell’aggressore, di essere fermato per non fare del male.

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domenica 17 agosto 2014

NAZARAT

IL VESCOVO NEGRI ESPONE SULLA FACCIATA DELL’ARCIVESCOVADO IL SIMBOLO DEI CRISTIANI PERSEGUITATI DAGLI ISLAMISTI
Agosto 14, 2014 Luigi Negri
«Noi tutti dovremmo desiderare di essere là con loro, per rinforzare la presenza anche numerica dei cristiani in luoghi dove da duemila anni la Chiesa e i cristiani sono presenti e perseguitati»

Il 14 agosto, vigilia della Festa dell’Assunzione di Maria, in previsione della preghiera per i cristiani perseguitati, sulla facciata dell’Arcivescovado di Ferrara sarà posto un manifesto. Nel messaggio se ne spiegano le ragioni.



L’esposizione sulla casa del vostro Vescovo, casa di tutto il nostro popolo cristiano di Ferrara-Comacchio, del marchio raffigurante l’iniziale della parola “Nassarah” (“Nazzareno”), il termine con cui il Corano individua i seguaci di Gesù di Nazareth – che viene imposto dalle milizie dell’autoproclamatosi califfo al-Baghdadi agli infedeli-cristiani per i quali non c’è posto nello Stato islamico dell’Iraq e del Levante a meno che si convertano, soggiacciano a una speciale tassazione, subiscano la devastazione dei loro antichi luoghi di culto e la confisca dei beni – vuole dire pubblicamente che l’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio si sente una cosa sola con questi nostri fratelli e sorelle che portano nel loro corpo e nella loro anima le ferite della passione e della morte del Signore.

Mentre ci prepariamo alla giornata di preghiera (15 agosto) perché torni la pace – o meglio sarebbe dire perché il Signore Gesù Cristo faccia un miracolo, per il quale umanamente parlando non si intravedono possibilità, neanche minime – vorrei che per tutta la Diocesi fosse vero quello che il Papa Francesco ha più volte richiamato, ossia che non sia soltanto un “dire” preghiere, ma sia un pregare con la totalità della vita e dell’intelligenza del cuore. Sia, soprattutto, una richiesta di perdono a Lui poiché la nostra vita di cristiani occidentali è gravemente colpevole nel senso della responsabilità nei confronti di quanto sta accadendo.
Questa responsabilità si esprime con un’ingenuità a dir poco patologica. Si deve parlare di dialogo, certamente sì, ma lo si deve e lo si può fare solo se esso porta con sé la consapevolezza della propria identità e della complessità dell’interlocutore in questione. In ogni caso il dialogo non può essere perseguito ad ogni costo e non può rappresentare assolutamente una forma di dimissione della presenza cristiana nel Medio Oriente.
Noi tutti dovremmo desiderare di essere là con loro, per rinforzare la presenza anche numerica dei cristiani in luoghi dove da duemila anni la Chiesa e i cristiani sono presenti e perseguitati. Preghiamo affinché il Signore ci renda capaci di instaurare e perseguire un dialogo intelligente e non una resa senza condizioni, e preghiamo anche affinché il Signore ci conceda di aiutare positivamente non solo a fermare la fuga di migliaia e migliaia di nostri fratelli e sorelle, colpevoli solo di essere cristiani come i primi martiri ma, per quanto sarà possibile, rafforzare la loro presenza che non possiamo non considerare un contributo essenziale al Bene Comune dell’intera Umanità. Questo è il modo autentico di pregare per la pace che è dono di Cristo Risorto: “La Pace sia con voi”. Il resto finisce per essere solo un vaniloquio. La Chiesa non ha bisogno di vaniloqui e, per quanto mi risulta, neanche Dio.
+Luigi Negri
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa


IL LORO MARTIRIO RISVEGLIA LA NOSTRA FEDE IMBORGHESITA

SULLA CANONICA DI CERVIA CAMPEGGIA LA “N” ARABA DEI CRISTIANI PERSEGUITATI

Luglio 29, 2014 Leone Grotti
Intervista al parroco Pierre Laurent Cabantous: «Questo segno viene messo sulle case dei cristiani di Mosul. Noi per solidarietà, oltre alla preghiera, l’abbiamo affisso sulla canonica. In Italia c’è troppa rassegnazione»


La lettera “N” in arabo (“ن”), che sta per Nazarat e che è stata usata dai terroristi dello Stato islamico in Iraq per marchiare le case dei cristiani e così cacciarli dalla città, campeggia da tre giorni anche sulla canonica della Concattedrale di Cervia. Ad affiggerla è stato il parroco Pierre Laurent Cabantous (foto a destra) «per dare un segno, una testimonianza di comunione con tutti i nostri fratelli che in questo momento vengono massacrati e anche crocifissi in Iraq, Siria e non solo», dichiara a tempi.it.

Padre, come le è venuta questa idea?
Siccome questo segno viene messo sulle case dei cristiani di Mosul, noi per solidarietà, oltre alla preghiera, l’abbiamo affisso sulla canonica. Perché siamo anche noi seguaci del Nazareno.

I suoi parrocchiani come hanno accolto questa iniziativa?
Molto bene, in modo entusiasta. Domenica ho spiegato il significato di questo gesto prendendo spunto dal Vangelo della perla preziosa: nella parabola si parla di chi vende tutto per acquistare il campo dove è nascosto il tesoro. La domanda che ho rivolto a tutti è: e noi, cosa siamo disposti a mettere in gioco per la nostra fede? Ho citato la testimonianza di Meriam, che si è fatta condannare a morte pur di non abiurare e ha dovuto partorire in carcere, ho parlato di Asia Bibi, che è in prigione da anni ormai. La Chiesa è un unico corpo: oggi delle membra di questo corpo soffrono e noi come possiamo restare indifferenti? Ecco perché ho affisso quella “N”, perché come diceva Madre Teresa di Calcutta, l’indifferenza è più grave del peccato.

Che valore ha per lei la testimonianza dei cristiani perseguitati?
Questi nostri fratelli subiscono il martirio in odio alla fede. La loro testimonianza ci scuote dal nostro torpore, dalla nostra fede un po’ imborghesita e ci fa chiedere: a noi cosa costa essere cristiani? Io penso che un po’ costi anche a noi perché in Occidente ormai anche noi siamo marchiati, almeno culturalmente.

Pensa che qualcuno seguirà il suo gesto?
Non lo so e non è importante. Però è triste che oggi non si veda nessuno in piazza mentre anni fa, quando c’è stata la guerra in Iraq, tanti hanno protestato con le bandiere della pace. Dove sono questi pacifisti ora? Dove sono le bandiere arcobaleno? Io sono solo un parroco di provincia ma mi rammarica un po’ vedere in Italia una certa rassegnazione a questi eventi terribili.
C’è un antidoto a questa rassegnazione?
Sì, il primo antidoto è la preghiera, sperando che dalla preghiera nasca anche la capacità di far sentire la nostra voce per sollecitare i responsabili delle nazioni a venire in aiuto di questa gente. Ricordiamoci che in gioco c’è uno dei beni più preziosi al mondo, la libertà religiosa. Il califfo sta compiendo crimini contro l’umanità. In Francia hanno dimostrato solidarietà ai cristiani scendendo in piazza davanti alla cattedrale di Notre-Dame a Parigi e anche a Lione. E noi in Italia?



LE PAROLE DELLA CHIESA SUL CALIFFO: AZIONI CRIMINALI INDICIBILI

Il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso sulla violenza degli jihaidisti in Iraq

2014-08-12 L’Osservatore Romano

«Il mondo intero ha assistito, stupefatto, a ciò che ormai viene chiamata “la restaurazione del califfato” che era stato abolito il 29 ottobre 1923 da Kamal Atatürk, fondatore della Turchia moderna. Il fatto che questa “restaurazione” venga contestata dalla maggioranza delle istituzioni religiose e politiche musulmane non ha impedito ai jihadisti dello “Stato islamico” di commettere e di continuare a commettere delle azioni criminali indicibili». Lo scrive il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso in un comunicato diffuso questa mattina, marted 12 agosto.

«Il Pontificio Consiglio, tutti coloro che si trovano impegnati nel dialogo interreligioso, gli adepti di tutte le religioni, così come gli uomini e le donne di buona volontà, non possono fare a meno di denunciare e condannare senza ambiguità queste pratiche indegne dell’uomo: il massacro di persone per il solo motivo della loro appartenenza religiosa; la pratica esecrabile della decapitazione, della crocifissione e di appendere i cadaveri in luoghi pubblici; l’imposizione ai cristiani e agli yazidi di scegliere tra la conversione all’islam, il pagamento di un tributo (jizya) e l’esodo; l’espulsione forzata di decine di migliaia di persone, tra i quali bambini, anziani, donne incinta e malati; il prelevamento di ragazze e donne appartenenti alle comunità yazida e cristiana come bottino di guerra (sabaya); l’imposizione della pratica barbara dell’infibulazione; la distruzione dei luoghi di culto e dei mausolei cristiani e musulmani; l’occupazione forzata o la desacralizzazione di chiese e monasteri; il ritiro dei crocifissi e altri simboli religiosi cristiani come quelli di altre comunità religiose; la distruzione del patrimonio religioso-culturale cristiano, di valore inestimabile; la violenza abietta al fine di terrorizzare le persone per obbligarle ad arrendersi o a fuggire.

«Nessuna causa potrebbe giustificare tali barbarie e certamente non una religione. Si tratta di un’offensiva di estrema gravità contro l’umanità e contro Dio che ne è il Creatore, come ha spesso ricordato Papa Francesco.
«Non si può dimenticare tuttavia che cristiani e musulmani hanno potuto vivere insieme — anche se, è vero, con alti e bassi — nel corso di secoli, costruendo una cultura di convivenza e una civiltà di cui vanno fieri. È su questa base, d’altronde, che in questi ultimi anni il dialogo tra cristiani e musulmani è continuato e si è approfondito.
«La situazione drammatica dei cristiani, degli yazidi e di altre comunità religiose ed etniche numericamente minoritarie in Iraq esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani, delle persone impegnate nel dialogo interreligioso e di tutte le persone di buona volontà. Tutti devono condannare unanimemente, senza alcuna ambiguità, questi crimini e denunciare la pratica di invocare la religione per giustificarli. Altrimenti quale credibilità avranno le religioni, i loro adepti e i loro capi? Quale credibilità potrebbe ancora avere il dialogo interreligioso ricercato con pazienza in questi ultimi anni?

I responsabili religiosi sono anche chiamati a esercitare la propria influenza presso i governanti per la cessazione dei crimini, la punizione di coloro che li commettono e il ristabilimento di uno stato di diritto su tutto il territorio, garantendo il ritorno alle proprie case a coloro che sono stati espulsi. Ricordando la necessità di un’etica nella gestione delle società umane, questi stessi capi religiosi non mancheranno di sottolineare che il sostegno, il finanziamento e l’armamento del terrorismo sono moralmente condannabili.

«Detto questo, il Consiglio Pontificio per il Dialogo Interreligioso è riconoscente nei confronti di tutti coloro che hanno già levato la propria voce per denunciare il terrorismo, soprattutto quello che utilizza la religione per giustificarlo. Uniamo dunque la nostra voce a quella di Papa Francesco: “Che il Dio della pace susciti in tutti un autentico desiderio di dialogo e di riconciliazione. La violenza non si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace!”».

lunedì 11 agosto 2014

DA CESENA UNA LETTERA PER L'IRAQ

Caro don Julian,

il mio cuore e il cuore di tanti miei amici è ferito dalle terribili notizie che ci giungono dall'Iraq e da altri luoghi dell'oriente in merito alla persecuzione dei nostri fratelli cristiani.

Ci sono ormai tanti martiri che scuotono la nostra coscienza e la nostra debole fede.

A volte mi sveglio di notte e penso alla loro sofferenza:sono cacciati dalla loro terra e dalle loro case,derubati di tutto e continuamente minacciati di morte.


Cosa possiamo fare?

Almeno pregare incessantemente da soli e con altri amici.
A Cesena per un anno abbiamo invitato a pregare per la nostra Nazione recitando il Rosario il primo lunedì di ogni mese nella chiesa del Suffragio nel centro della nostra città.
Ricominceremo in settembre e l'intenzione sarà per i cristiani perseguitati.  Penso che sarebbe molto bello se  il Movimento proponesse a tutte le comunità di pregare col Rosario in un giorno   fisso di ogni mese (il primo lunedì o altro..) per i cristiani perseguitati.

Salirebbe al cielo una preghiera potente e sarebbe un aiuto a non dimenticare.
Il pensiero che a Mosul non viene più celebrata la Messa dopo 18 secoli veramente mi sconvolge.

Un grande abbraccio
Arturo (*)

Arturo Alberti, medico pediatra,  è stato fondatore e presidente di AVSI per più di 20 anni.
Ora dedica il suo impegno a  Orizzonti (http://www.orizzonti.org/) una ONLUS nata a Cesena alcuni anni fa e che sostiene diverse realtà in America Latina e Africa


L'EUROPA O RIDIVENTERÀ CRISTIANA O DIVENTERÀ MUSULMANA

GIACOMO BIFFI

Intervento dell'arcivescovo di Bologna al Seminario della Fondazione Migrantes, 30 settembre 2000


(...) 
Conclusione

In un'intervista di una decina d'anni fa, mi è stato chiesto con molto candore e con invidiabile ottimismo: "Ritiene anche Lei che l'Europa o sarà cristiana o non sarà?". Mi pare che la mia risposta di allora possa ben servire alla conclusione del mio intervento di oggi.

Io penso - dicevo - che l'Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la "cultura del niente", della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l'atteggiamento largamente dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa "cultura del niente" (sorretta dall'edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all'assalto ideologico dell'Islam, che non mancherà: solo la riscoperta dell'avvenimento cristiano come unica salvezza per l'uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell'antica anima dell'Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto.

Purtroppo né i "laici" né i "cattolici" pare si siano finora resi conto del dramma che si sta profilando. I "laici", osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l'ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo tardi. I "cattolici", lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta e sostituendo all'ansia apostolica il puro e semplice dialogo a ogni costo, inconsciamente preparano (umanamente parlando) la propria estinzione.La speranza è che la gravità della situazione possa a un certo momento portare a un efficace risveglio sia della ragione sia dell'antica fede.

E' il nostro augurio, il nostro impegno, la nostra preghiera.

LEGGI QUI IL TESTO COMPLETO
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/7283