martedì 17 febbraio 2015

PRETI, POESIE

«in questi giorni diversi preti di Cesena ci hanno lasciato. E il dolore di queste perdite è grande per tutti. Riguardando l’archivio delle mie poesie mi sono accorto di avere sei testi dedicati alla figura del prete. Allego i testi.

A testimonianza che anche con la poesia si può descrivere la vita, la dedizione, i sacrifici che tanti sacerdoti hanno profuso per dare il senso della vita a tanti uomini, indicargli la meta, vivere quel centuplo che Gesù ha promesso ai Suoi che lo seguono.

Mi permetto di condividere con voi queste riflessioni in versi, in cui voglio confermare la necessità di voler bene ai sacerdoti, figure insostituibili per vivere la fede cristiana. Anche quando i preti, come tutti noi, hanno limiti e fragilità.

Grazie e chiedo scusa se mi sono permesso.
Franco Casadei»

Preti col tricorno

Non li vedrò più
i preti col tricorno,
la veste sfilacciata
che striscia sulla ghiaia

non li vedremo più
i preti dalla dottrina austera,
le chiese aperte
i lini ricamati a mano
turiboli anneriti
madonne coperte sugli altari,
il velo che s’alza nei giorni stabiliti

ore di misericordia
nascosti da una grata
giorni, anni
seduti su una panca
fra rosari e salmi

non li vedremo più
su biciclette di ruggine
su auto rottamate
lungo i sentieri
a benedire stalle e casolari
le muffe di case popolari

le messe in gregoriano
i patroni in processione
fiori d’arancio
torme di bambini
i cortei con rintocco a morto
verso i cimiteri

come noi, peccatori e santi,
per secoli guide di popolo,
segno del mistero.

Avremo altri preti
senza collare
senza vesti nere
le chiese con le porte chiuse…

non li vedremo più.


Don Oreste Benzi e la gazzella

(Rimini, anni 90)Don Oreste seduto alla scrivania.
Davanti a lui, appoggiata appena
sul bordo della sedia,
una giovanissima nigeriana, esile
e nervosa come una gazzella inseguita.

Quei due, così diversi:
il vecchio grosso prete in veste nera
e quella fanciulla rubata all'Africa,
una preda spaventata, gettata
su un marciapiede d'Occidente.

Sotto alla scrivania i piedi di quei due.
La ragazza ha piedi minuti nei sandali,
piccoli agili piedi di savana abituati,
per sopravvivere, a correre e a fuggire.
Il prete, grossi piedi da contadino
dentro a robuste scarpe impolverate.
Scarpe come carrarmati che macinano
la strada e non si fermano davanti a niente.

I piedi della ragazza fremono inquieti
nella tentazione ancora una volta di scappare.
Quelli di don Benzi
ben piantati a terra, saldi come radici.

Sotto alla scrivania, dopo un poco,
finalmente fermi, in pace,
anche quei piccoli piedi di gazzella.

La visitatrice


La stanza d’ospedale silenziosa nella sera
l’ossigeno scorre in un gorgoglìo leggero.
Il malato si è aggravato
la malattia ne ha scavato il volto.
Nelle ultime ore gli uomini tutti
assomigliano a Cristo sull’erta del Calvario.

Si sta seduti accanto, gli si tiene una mano.
E si tace. La visitatrice che si avvicina
svuota di senso ogni parola.

L’ossigeno non basta ad acquietare
l’affanno del respiro. Una campana suona,
lontano. Non si ha più idea dell’ora.
Anche il tempo in quest’ombra
ha perduto consistenza. Quanto lunga
sarà la notte? Si galleggia nel nulla,
la prospettiva usuale delle cose sradicata.

Nei tratti del malato si avverte inesorabile
l’incalzare di una forza che gli è straniera.
In un duello estremo il petto
sussulta ad ogni battito del cuore:
non vogliono arrendersi, gli uomini, alla nemica.

Si decide di chiamare un prete.
È la sera di un sabato, tutti sono fuori casa,
hanno da fare. Anche il parroco ha la festa
all’oratorio, i genitori da intrattenere.
Dalla cornetta si avvertono risate di bambini,
ma il sacerdote non esita:
«Dieci minuti e sono lì», mi dice.
E lo immagini che impartisce ordini
ai ragazzi più grandi e agli adulti
spiega perché si dovrà assentare.

E in dieci minuti arriva. Non fa domande,
non chiede se il malato fosse devoto
o andasse a Messa. Chino sul letto di un uomo
che agonizza, amministra i Sacramenti,
insieme si prega la Madonna a bassa voce.
Poi se ne va, confortando le mie mani.

La Chiesa, con tutti i suoi peccati,
è una madre che, chiamata, ti abbraccia
al di là di qualunque torto o ragione.
E ti rivela che Cristo è Signore
e garante degli enigmi umani.

Nell’ombra della stanza la notte avanza,
non più ostile come prima.

Una tonaca nera nel cuore di Marsiglia

Quella tonaca nera svolazzante ti fa voltare.
Un prete come quelli di una volta
per le strade di Marsiglia
Cinquantatre anni, non ha quelle rughe
di amarezza che il tempo marchia in viso.
Un uomo bruno, sorridente,
eppure con un che di monacale.

In chiesa la Messa:
l’organo suona splendidamente,
la gente canta a piena voce un canto antico.
Rigore e bellezza in ogni gesto.
L’omelia di parole schiette
e dette con passione, come se ognuno
dei presenti a quel prete stesse a cuore.

E la straordinaria lentezza della consacrazione:
“Voglio che tutto sia splendente
attorno all’Eucaristia.
Che all’elevazione la gente capisca
che Lui è qui davvero.
Non è teatro, è abitare il Mistero.
Anche il cuore ha bisogno di sentire”.

“Un sacerdote che abbia la chiesa vuota
– dice – si deve interrogare.
E’ a noi che manca il fuoco”.

Mi attraggono i preti che indossano la talare:
con la loro divisa da lavoro sono un segno,
per dire chi si è e a chi si appartiene.

“Per avvicinare Cristo agli uomini
– conclude –
bisogna farseli amici, farli sentire amati.
Non è necessario essere santi,
occorre però essere buoni”.

Quel prete 
Di tanto in tanto salgo al cimitero
su in collina e poi alla chiesetta
fra i cipressi, in fondo al viale.
Rivedo quel prete da decenni
le consuete prediche di devi, di non fare.
Con sorpresa lo ritrovo piegato sull’altare
un belato la sua voce, questo è il mio corpo,
il respiro ansante come Gesù nell’orto.
Una vicina di panca m’informa:
ha appena lasciato l’ospedale,
e all’alba se n’è tornato alla sua pieve.
Niente omelie stamani, solo un bisbiglio
farfugliato sopra un’ostia opaca.

La noia dei sermoni, intransigente…
era lo stesso prete, quasi morente.
Migliaia di volte ha perdonato
convertito il pane, abbracciato pianti,
senza fascino apparente, ha fatto il prete.
Gli occhi affondati, agnello già immolato,
in una domenica di nebbia per me,
per dieci vecchie, un’ultima volta
ha offerto il corpo in croce.

Ho visto un prete piangere


E’ entrato dalla porta stretta
a destra dell’altare,
un cero rosso nel silenzio
dell’ora, l’ultima del giorno

piegato sulla panca, davanti
a un legno di sangue crocifisso,
il brivido di un pianto

io, dietro la colonna…
sono uscito furtivo
dall’orto degli ulivi

rimane un segreto senza nome,
una schiena curva sulle mani
quel respiro tremante
nell’ora di nessuno.

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