martedì 31 marzo 2015

FUORI DALLA CABINA L'EUROPA HA CHIUSO DIO


Le cronache sulla tragedia dell’aereo precipitato in Alta Provenza descrivono tutto nel dettaglio, ma ne manca sempre uno. Essenziale.
Anche nei giorni del dolore di tante famiglie, nell’elaborazione del lutto, quando si cerca di arginare l’oceano di lacrime che sale dal cuore con la rabbia, manca dalle cronache la sola presenza capace di illuminare la notte oscura del male e della morte: Dio.
E’ stato notato che i giornali parlano di soccorritori, volontari e psicologi, ma mai della presenza di sacerdoti…

Forse nella Francia della “laicité”, la Francia che legifera contro i segni religiosi negli spazi pubblici, Dio continua ad essere come il Pilota che è stato chiuso fuori dalla cabina: fuori dalla scena pubblica, fuori dalla storia.

Del resto è stato proprio un poeta francese come Jacques Prévert a cantarlo: “Padre nostro che sei nei Cieli/ Restaci./ E noi resteremo sulla terra”.
Totalmente diverso il comportamento degli americani dopo l’11 settembre 2001 e dopo altre tragedie simili.
Oltreoceano il dolore della comunità assume subito un orizzonte religioso, si esprime con la preghiera, con segni e riti che rimandano alla grande speranza che vince il male e la morte.
Negli Stati Uniti la religione cristiana esprime la forza morale che illumina la vita comune, la democrazia e la libertà personale (non a caso è consuetudine che il giuramento del presidente venga fatto sulla Bibbia).
E’ stato detto, banalmente, che questa dell’Alta Provenza è la prima tragedia aerea europea: volo partito dalla Spagna, diretto in Germania, precipitato in Francia con passeggeri di tutte le nazionalità.
Ma è una tragedia europea anche perché mostra lo smarrimento spirituale della nostra Europa, incapace di dare un nome al mistero del Male e di accogliere la testimonianza di un Bene più forte della morte.

NEUROPA
In fin dei conti potremmo dire che questa tragedia assume un valore simbolico. Perché l’oscura follia individuale del copilota, che ha causato la strage, evoca le nostre follie collettive e i loro fiumi di sangue.
E’ un po’ la metafora del Novecento europeo, il tempo delle ideologie, dei totalitarismi e delle due guerre mondiali.
Forse qualcuno troverà eccessivo o arbitrario questo parallelo. Ma l’immagine di un uomo solo, perso nei meandri della sua mente, che impedisce al vero pilota di rientrare nella cabina, e – suicidandosi – porta a schiantarsi sulla roccia tutta un’umanità, fotografa in modo impressionante il Novecento europeo.
Somiglia al secolo in cui si è preteso di espellere Dio dalla cabina della storia e l’uomo, solo, nel suo delirio di onnipotenza, nel suo superomismo che ha partorito tiranni sanguinari, ha prodotto l’inferno sulla terra.
E oggi? Oggi che apparentemente quelle ideologie e quei totalitarismi, in Europa, sono stati spazzati via? Siamo sicuri che i loro veleni non circolino ancora nelle nostre vene?
Siamo certi che la laica tecnocrazia europea, così politically correct, nichilista e accanita gendarme dei parametri economici, non ci stia portando in picchiata contro la montagna?
Oggi che continuiamo a tenere il Pilota fuori dalla cabina della vita sociale e della storia, stiamo andando verso un mondo più umano? Siamo sicuri che stavolta l’espulsione di Dio ci sta facendo volare nei cieli della felicità e della libertà?

La potenza tecnologica e scientifica di cui disponiamo, mirabile come il jet della Lufthansa, appare guidata da un’ideologia tecnocratica faustiana che è incapace di distinguere il bene dal male e addirittura rifiuta di porsi il problema del Bene e del Male. Infine rifiuta i “limiti” che si devono imporre al “copilota”, cioè all’uomo.
Crediamo che così ci arridano davvero le magnifiche sorti e progressive? Molti segni dicono l’esatto contrario.

IN PICCHIATA
Non c’è solo la perdurante crisi economica che sembra condannare l’Europa a un declino che porterà povertà e crisi sociali devastanti, mentre veniamo “comprati” dall’imperialismo economico di giganti totalitari come la Cina o dalla finanza petrolifera islamica.
Ma c’è di più: c’è la sistematica guerra contro la vita e contro la famiglia, il vertiginoso restringimento delle libertà personali e dei diritti dei popoli, il disprezzo verso ogni riferimento morale e spirituale, l’incapacità totale di far fronte alla pesantissima minaccia islamista, se non con il dileggio satirico delle religioni e delle cose sacre.
C’è il declino demografico, l’immigrazione massiccia, il nichilismo dilagante che rende un deserto la vita spirituale delle giovani generazioni.
Sono solo alcuni dei segnali di allarme che ci dicono: attenzione, l’ “aereo Europa” perde vertiginosamente quota e sta andando in picchiata contro una montagna. Poi come sempre l’Europa trascina con sé il mondo.

LO SCHIANTO ?

Un grande filosofo francese contemporaneo, René Girard, in un suo libro recente, analizzando proprio questi segni, scriveva: l’impressione è che l’intera umanità si stia recando a una sorta di appuntamento planetario con la propria violenza”.
Girard, grande convertito, ritiene che la sorte della civiltà si giochi nel prendere posizione di fronte a Gesù Cristo, colui che ha tagliato in due la storia umana e che pone ogni epoca davanti al bivio: o lui o la violenza distruttrice del Male.
Del resto è quello che la Chiesa ha provato a ripetere per tutta la modernità. Scrisse il grande John Henri Newman: “L’eccesso dell’iniquità è l’indizio di una morte prossima. Se si rimuovesse dal mondo la Chiesa, il mondo giungerebbe in breve tempo alla sua fine”.

Anche Benedetto XVI, che nei nostri anni è la voce del “Pilota divino” rifiutato dal mondo, nell’enciclica sulla speranza ha messo a tema “la fine perversa di tutte le cose” come conseguenza della cancellazione definitiva del cristianesimo.
Lo ha fatto con una citazione di Kant molto eloquente: “Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore (…) allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo (…) inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo stato destinato ad essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose”.
E’ un pensiero drammatico, quasi apocalittico. Ma c’è una controprova? Sì e ce la fornisce la storia.

CONTROPROVA

Infatti l’Europa, che era il continente più piccolo e svantaggiato, messo al tappeto dalle invasioni barbariche, ha potuto letteralmente conquistare tutto il pianeta alla sua civiltà proprio grazie all’energia intellettuale e morale che si è sprigionata dai secoli cristiani, che non sono solo quelli del Medioevo, ma anche quelli dell’umanesimo, del Rinascimento e dell’epoca barocca post-tridentina.
Proprio in questi giorni rileggevo due pensieri di un grande sociologo e storico delle religioni, Rodney Stark (non cattolico) che parlando ai moderni europei li ammoniva così: se il cristianesimo non avesse fatto irruzione nella storia “la maggior parte di voi non avrebbe imparato a leggere e gli altri leggerebbero papiri scritti a mano”.
E ancora:
“Senza una teologia affidata alla ragione, al progresso, all’uguaglianza morale, il mondo intero sarebbe oggi più o meno dove le società non europee erano, diciamo, nell’800: un mondo pieno di astrologi e alchimisti ma non di scienziati. Un mondo di despoti, senza università, banche, fabbriche, occhiali, camini e pianoforti. Un mondo dove la maggior parte dei bambini non raggiunge i 5 anni di vita e molte donne muoiono dando alla luce un figlio. Un mondo che vive veramente in ‘secoli bui’ ”.
L’uomo contemporaneo, credente o no, deve tutto al cristianesimo. Eppure lo disprezza e volendo escludere la fede, rischia di perdere la ragione. E di suicidarsi.

Antonio Socci

Da “Libero”, 29 marzo 2015

Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”

sabato 28 marzo 2015

ARRIVANO LE UNIONI CIVILI.


IL MATRIMONIO SALUTA E SE NE VA.
di STEFANO SPINELLI

            Era nell’aria. In Commissione giustizia al Senato cominciavano a circolare strane richieste di audizioni di rappresentanti di associazioni come “Arcigay”, “Arcilesbica”, “Famiglie Arcobaleno”, “Gay Lib”, “Gay net”, “Gay Center”, “Lgbt Mae”, “Consultorio Transgenere” e – non poteva mancare un sindacato – “CGIL nuovi diritti”.

            Alla fine, è stato tutto chiaro. Pochi giorni fa Renzi ha chiesto di accelerare. Ieri la Commissione di Palazzo Madama, con una maggioranza inedita Pd e M5S (contrari Ncd, Lega e FI), ha approvato il DDL Cirinnà, che istituisce le Unioni Civili e le prevede (questo è il punto essenziale della legge) anche per persone dello stesso sesso. Il testo equipara dette unioni alla famiglia fondata sul matrimonio ed estende i diritti familiari sinora riservati alle coppie sposate, anche alle semplici unioni, comprese quelle omosessuali.
El Greco, il 5° sigillo dell'Apocalisse

            Tutti diritti e nessuna responsabilità. In pratica, non vi è più alcuna differenza tra sposarsi e convivere (indipendentemente dal sesso). E’ sufficiente una dichiarazione delle due persone all’ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni. E tutti i diritti matrimoniali (patrimoniali, previdenziali, quindi anche pensione di reversibilità, familiari) sono automaticamente conseguiti.
            E sapete come si rompe questo “connubio” registrato agli atti civili? Con una semplice “dichiarazione unilaterale” del primo componente che si stanca della unione civile registrata!

            E pazienza se l’altra parte che ha contratto l’unione non è molto d’accordo! E pazienza se dovesse esserci di mezzo un figlio. Sì, perché l’Unione Civile prevede la possibilità di adottare un figlio; per il momento solo parzialmente, ossia il figlio biologico di uno dei membri della nuova unione che si va a costituire (si chiama stepchild adoption). 

            Non è quindi vero che il disegno di legge non prevede la possibilità di adozione per gli omosessuali in certi casi. Comunque il diritto di adozione verrà sancito in tempi brevi. In Germania, dove era vigente una norma analoga, la magistratura costituzionale ha previsto l’estensione dei casi di adozione anche a coppie gay. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sanzionato la legge austriaca che prevedeva l’adozione solo per le unioni civili eterosessuali, estendendola anche agli omosessuali. Aperto uno spiraglio, il gioco è fatto!
           
            Con questo disegno di legge, IN UN COLPO SOLO SI FAN FUORI I TRE FONDAMENTI DEL MATRIMONIO:

            a) la bisessualità (maschio-femmina, padre-madre),
 b) la famiglia come luogo di stabilità degli affetti e di aiuto reciproco (per prendersi  o lasciarsi basta una semplice dichiarazione in anagrafe),
c) il luogo di crescita e di educazione dei figli nell’ambito di un percorso  generazionale e identitario chiaro della famiglia parentale (si pongono infatti le premesse per procurarsi un figlio con la fecondazione eterologa e l’utero in affitto o con l’adozione da parte di due persone dello stesso sesso).


Una bella conquista civile. Non c’è che dire!

L’INVASIONE DELLA POLITICA

Pubblichiamo parte del testo della Comunicazione del Vescovo

Giampaolo Crepaldi

per la presentazione e l’inaugurazione della Scuola di Dottrina sociale della Chiesa per la formazione all’impegno sociale e politico, tenutati a Palazzo Economo (Trieste) il 19 marzo scorso. La Scuola è organizzata in collaborazione con l’Osservatorio Cardinale Van Thuân.



Quando la Chiesa si interessa della politica non è mai per motivi politici, ma religiosi e morali. Religiosi, perché la politica è un campo da evangelizzare e può essere a sua volta evangelizzante. Morali, perché la politica sia campo ove si rispetta e si completa l’ordine del creato. […]
Oggi dobbiamo constatare un doloroso paradosso. La politica, che si pensava in arretramento dopo la crisi delle ideologie classiche, anziché arretrare sta avendo un forte colpo di coda. Oggi, i parlamenti e i governi, i consigli regionali e le giunte comunali si attribuiscono il dovere di intervenire in ambiti molto delicati della vita personale e comunitaria: l’inizio e la fine della vita, la procreazione, il matrimonio … perfino le identità sessuali. I movimenti libertari degli anni Sessanta e Settanta volevano togliere questi ambiti dalle istituzioni, per restituirli al soggetto. Oggi avviene il contrario: quelle stesse correnti ideologiche affidano proprio alle istituzioni politiche la missione di cambiare la natura delle cose in campi tanto delicati. Negli anni Sessanta e Settanta i movimenti rivoluzionari e contestatori avevano affidato al sesso un significato politico. Non stupisce che oggi venga affidato alla politica il compito di intervenire nell’ambito del sesso. Ciò che una volta si praticava in tono contestativo ed antisistema, oggi viene insegnato a scuola.


Un doloroso paradosso dei nostri tempi
Mentre la politica invade questi ambiti nevralgici della vita personale e comunitaria e mette mano all’ordine naturale della creazione, mentre la politica si fa non solo ingegneria sociale ma anche ingegneria antropologica, si assiste alla scomparsa dei cattolici in politica. Nei giorni scorsi il Parlamento di Strasburgo ha approvato due Rapporti – il Rapporto Tarabella e il Rapporto Panzeri - anche con il voto favorevole di molti cattolici deputati e solo il voto contrario di qualche sparuto deputato cattolico. […] Il confronto emerso nei giorni scorsi a Trieste e da qui deflagrato anche a livello nazionale, dimostra come la politica entri ormai nelle aule e nelle famiglie e pretenda di “prendersi cura” dei nostri bambini con interventi che il cardinale Bagnasco ha chiamato “di rieducazione”, mentre Papa Francesco ha parlato di “colonizzazione della famiglia”. In questi casi la Chiesa preferisce lasciare il protagonismo ai genitori, ma con ciò non si chiama fuori dal gioco. Essa è dalla parte dei genitori che difendono i propri figli e rivendicano il loro diritto originario a provvedere alla loro educazione.

QUESTA E' LA FEDE DI MYRIAM DI QARAQOUSH



La sua testimonianza è commovente. E’ di una bellezza immensa. E’ ciò che accade quando la fede diventa mentalità.
E’ ciò che accade quando la fede diventa cultura, cioè uno sguardo semplice sulle cose che si trasforma in una melodia e viene cantata dal popolo, e si ritrova nelle feste. Quando la fede diventa una cosa così semplice i nomi delle persone e dei fatti sono occasione per noi.
Allora si parla della mamma e si parla di Dio, si parla dell’amica e si parla di Dio.. Si parla di Dio e si pensa all’amica ed a sè.
Sono questi i nostri amici. Sono loro, questi piccoli che dobbiamo sostenere come possiamo, soprattutto con la preghiera.
Chiediamo a noi stessi una sete di verità e di poter stare con stupore davanti alla bellezza, così. Che il Signori illumini i nostri passi e ci doni la sua Grazia affinchè possiamo portare il Suo nome, come ci ha fatto vedere Myriam.
SamizdatOnLine
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Myriam di Qaraqoush – ciò che vale - 

mercoledì 25 marzo 2015

PAPA FRANCESCO: LA CRISI DELLA FAMIGLIA E LO SBAGLIO DELLA MENTE UMANA

Napoli
Sabato, 21 marzo 2015
INCONTRO CON I GIOVANI 
SUL LUNGOMARE CARACCIOLO



“La famiglia è in crisi: questo è vero, non è una novità. I giovani non vogliono sposarsi, preferiscono convivere, tranquilli e senza compromessi; poi, se viene un figlio si sposeranno per forza. Oggi non va di moda sposarsi! Poi, tante volte nei matrimoni in chiesa io domando: “Tu che vieni a sposarti, lo fai perché davvero vuoi ricevere dal tuo fidanzato e dalla tua fidanzata il Sacramento, o tu vieni perché socialmente si deve fare così?”. È successo poco tempo fa che, dopo una lunga convivenza, una coppia che io conosco si decise a sposarsi. “E quando?”. “Ancora non sappiamo, perché stiamo cercando la chiesa che sia in armonia con il vestito, e poi stiamo cercando il ristorante che sia vicino alla chiesa, e poi dobbiamo fare le bomboniere, e poi …”. “Ma dimmi: con che fede ti sposi?”. 
La crisi della famiglia è una realtà sociale. Poi ci sono le colonizzazioni ideologiche sulle famiglie, modalità e proposte che ci sono in Europa e vengono anche da Oltreoceano Poi quello sbaglio della mente umana che è la teoria del gender, che crea tanta confusione. Così la famiglia è sotto attacco. Come si può fare, con la secolarizzazione che è attiva? Come si può fare con queste colonizzazioni ideologiche? Come si può fare con una cultura che non considera la famiglia, dove si preferisce non sposarsi? Io non ho la ricetta, La Chiesa è consapevole di questo e il Signore ha ispirato di convocare il Sinodo sulla famiglia, sui tanti problemi. “


DUE PRINCIPI SCOMODI

Salvatore Abbruzzese

IL SUSSIDIARIONET
mercoledì 25 marzo 2015


L'adozione di bambini da parte di coppie gay implica la necessità di sbarazzarsi di due principi, di due assiomi dati fino ad oggi per evidenti.


Il primo assioma è costituito dalla necessità, per il bambino adottato, di avere per genitori adottivi un uomo e una donna. Se si accetta l'adozione di bambini da parte di coppie gay occorre negare che uomo e donna siano da considerare come due dati naturali (quindi necessari) per essere invece delle semplici costruzioni culturali, quindi storiche, quindi rivedibili, quindi superabili.
Alla luce di questa negazione il fatto che siamo nati tutti da un padre e da una madre sarebbe sostanzialmente falso. Di fatto saremmo nati solo da due condizioni biologiche dell'esistenza (il maschile e il femminile) che non direbbero nulla circa il legame con i due generi dell'uomo e della donna così come gli abbiamo conosciuti attraverso la nostra cultura. La condizione biologica paterna e quella materna potrebbero essere sostenute indipendentemente dal genere: una donna potrebbe ricoprire adeguatamente la dimensione della paternità così come un uomo potrebbe fare altrettanto con quella della maternità. Gli elementi necessari per natura non deciderebbero minimamente circa i generi necessari per cultura. Maschile e femminile, indispensabili al momento della fecondazione biologica, non implicherebbero affatto la loro trasposizione meccanica nei due generi dell'uomo e della donna al momento della crescita e dell'educazione. Ciascuno dei due generi potrebbe scegliere il maschile o il femminile in base ad un atto consapevole del quale sarebbe responsabile.

Il secondo assioma che si deve eliminare è costituito dal vincolo che il soggetto detiene rispetto al proprio sesso naturale. Quest'ultimo non costituirebbe più un'evidenza che questi deve riconoscere, ma una contingenza che può superare. Il genere dato per natura sarebbe superato da quello scelto per percezione interiore. Per di più la situazione sessuale, il sesso acquisito biologicamente, non sarebbe decisivo rispetto ai doveri di genere che in ogni società vengono accreditati al maschile e al femminile. Questi doveri, questi compiti, non avrebbero nulla di naturale ma sarebbero storicamente definiti dai contesti sociali, sarebbero quindi oggettivamente ascrivibili all'uno o all'altro "sesso percepito" senza nessuna conseguenza circa la loro capacità effettiva di realizzazione.


Si potrebbe dire molto sulla fragilità di entrambe queste eliminazioni. Ciascuno può comunque prendere posizione. Ciascuno può comunque decidere se maschile e femminile non siano più essenziali per crescere ed educare un bambino ma restino collegati alla sola "meccanica della fecondazione" e non sfociano affatto meccanicamente e direttamente nei generi di uomo e donna. Allo stesso modo ciascuno può decidere se la propria dimensione sessuale sia quella che viene da lui intuita e scoperta e non quella che gli viene invece manifestata dalla sua natura fisica. 

Il problema fondamentale di entrambe le eliminazioni dei principi appena detti risiede nell'esito che presentano.

Entrambe infatti non costituiscono solo delle antropologie, delle concezioni dell'uomo e della donna che, in fondo, riguardano solo le vite private dei singoli, ma entrambe, nel caso dell'adozione, concernono un terzo. Un terzo che non c'è, ma che dovrà avere a che fare con ciò che noi oggi, più o meno coscientemente, stiamo avvalorando o tollerando: la possibilità di essere adottato, quando non addirittura voluto attraverso l'utero in affitto o la fecondazione eterologa, da una coppia di uomini o di donne convinti sia che non c'è bisogno della presenza di entrambi i generi per crescere un bambino, sia che il genere percepito, ciò che costoro si sentono di essere, prevalga su ciò che essi sono per natura.
Sarà il bambino non ancora nato o che ha perso i genitori o che è stato da questi abbandonato che sarà chiamato a sopportare il peso di queste scelte.

In caso di errore, nel caso che la tesi dell'indipendenza del maschile e del femminile dal sesso di chi lo esercita, assieme a quella della priorità del genere scelto rispetto a quello consegnato dalla natura, si rivelassero due formidabili sciocchezze (non sarebbe la prima volta che colossali scempiaggini siano sostenute sul piano scientifico, l'ultima è stata quella del primato della razza ariana), sarà lui e solamente lui a pagarne le conseguenze sul piano psichico. Conseguenze che, come tutti sanno, si svilupperanno solo dopo diversi anni dall'adozione.

In pratica, caro Renzi e cari compagni di strada, stiamo scegliendo per gli altri. La questione non è di diritto privato, non concerne la vita privata del singolo, non si tratta di stabilire se questi abbia o no il diritto di fare ciò che vuole, ma riguarda dei terzi, che non hanno voce o che non sono ancora nati. Stiamo decidendo sulla loro pelle.


Si chiede troppo se si ritiene che il principio di precauzione, quando non addirittura la semplice prudenza dovrebbero essere già sufficienti a far cessare quest'ultima follia della società post-moderna, così euforicamente irresponsabile da un lato e superficialmente indifferente dall'altro?

lunedì 23 marzo 2015

"IL PAPA INVITA COMUNIONE E LIBERAZIONE A ESSERE PIÙ VISIBILE NELLA SOCIETÀ". (GIOVANNI PAOLO II, 13 MAGGIO 1984)


22 Marzo 2015 ASSUNTINA MORRESI

A seguito delle dimissioni di Maurizio Lupi sono apparsi articoli, come quello ad esempio di Michele Brambilla (ciellino) su La Stampa, che parlano del fatto che “sembra al tramonto una stagione molto discussa, quella dei ciellini in politica “ e, più avanti, aggiunge “Dire che tutto si sia risolto in un’occupazione del potere sarebbe ingiusto, perché l’impegno di Cl in politica ha prodotto anche molte cose buone, alcune straordinariamente buone. Ma che ci sia stata una degenerazione, a volte un compiacimento nella gestione del potere, un giustificare tutto in nome della fede, un liquidare le obiezioni con lo slogan «non facciamo i moralisti», beh, questo è innegabile. Non tutti i ciellini hanno fatto finta di non cogliere, qualche giorno fa, la reprimenda di Papa Francesco”. E continua: “Ma Cl non è un blocco monolitico. Anzi molti ciellini ritengono che un certo modo di stare in politica abbia finito per nuocere al movimento più di qualsiasi nemico esterno. Don Julián Carrón, il successore di don Giussani, pensa con dolore che si è scambiata la testimonianza con l’egemonia, e spiega la differenza con un esempio: testimonianza vuol dire che, se ho il potere di nominare un primario in ospedale, nomino il più bravo; egemonia vuol dire che nomino uno di Cl. C’è da aggiungere qualcosa? No, non c’è da aggiungere niente”.
Voglio fare alcune osservazioni:
1. Sul rapporto fra Cl e la politica, invito tutti a riprendere i libri che ne parlano, citando testimoni diretti, e mi riferisco ai tre “Comunione e Liberazione”, di Massimo Camisasca (ed. San Paolo), che nessuno cita più. Chi fa, si sa, può sbagliare, e certamente di errori ne possono essere stati fatti tanti, perché tanto si è fatto. Anche Papa Francesco ha detto che preferisce “una chiesa che sbaglia per fare qualcosa che una che si ammala per rimanere rinchiusa”.
Ma a ridurre l’intera storia di CL a un malsano rapporto con la politica, noi di CL non possiamo starci. Non è questa la nostra storia.
Basta scorrere le pagine dei libri di Camisasca – per chi non se lo ricordasse proprio, cosa è stata la nostra storia – per rinfrescare la memoria di come siamo nati, cresciuti, certamente anche corretti e ripresi da Don Giussani, ma sempre in un fiorire di opere e nella ricchezza della nostra presenza nella vita pubblica, anche politica.
Qualche esempio: “L’impegno politico e la nascita del Movimento Popolare” (MP), II vol, cap. XIX, che inizia con “Sentivamo innanzitutto la necessità che la politica non fosse separata dalla vita concreta”, e quindi la Scuola Quadri, e ancora “Furono gli interventi di Don Giussani, in diverse occasioni, a correggere la rotta a favore della DC”, in riferimento alle amministrative del 1970, e poi la Redazione Culturale, e il 21 dicembre 1975, primo Convegno di Movimento Popolare. E il suo sviluppo, III vol. cap. X, la prima uscita di Formigoni alle europee del 1984, con 454.000 preferenze, mentre il capolista, Ministro degli Interni, tale Oscar Luigi Scalfaro, non arrivò a 400.000, e poi i referendum, i boat people, il terremoto in Irpinia, la rivolta in Polonia.. e intanto il Sabato (cap.VIII, vol.3) erede di Radio Supermilano, molto centrato a Roma (leggi Tantardini per la politica), e poi nasce il Meeting di Rimini, nel 1980. Leggeteli, i libri di Camisasca. Almeno guardate l'indice. 
Ognuno di noi partecipava di tutto questo. Noi avevamo incontrato Testori, il Sabato era il nostro giornale, nostro era il Meeting, noi sostenevamo i dissidenti e Solidarnosc, e nostre erano le mille opere che nascevano ogni giorno, indipendentemente da dove vivessimo.
Era, ed è, la nostra storia, perché la nostra Comunione è la nostra Liberazione.
2. E' assurdo collegare il giudizio di autoreferenzialità di Papa Francesco di due settimane fa al passato rapporto fra CL e la politica. Il giudizio del Papa è su adesso, quindi negli ultimi anni, e non può essere un giudizio riferito a oltre dieci anni fa. Prima i Papi ci dicevano altro.
Per esempio, leggo a pag. 57 del terzo volume di Camisasca un intervento di Giovanni Paolo II del 1984 (c’erano già MP, Il Sabato, il Meeting):
Vi sono grato in modo speciale” disse il Papa ricevendo i ciellini il 13 maggio a Castel Gandolfo “per l’impegno con cui vi siete dedicati all’Anno Santo della Redenzione e specialmente al Giubileo dei giovani”. Ma nelle parole del Papa, durante quella fredda sera accanto al lago, c’è anche un invito importante per CL: a essere visibile. Se fosse stato possibile, ancora più visibile. "Dobbiamo essere una chiesa visibile", intitola “Avvenire”, e “La Repubblica”: "Il papa invita Comunione e Liberazione a essere più visibile nella società". “Alcuni – disse testualmente il Santo Padre – forse vorrebbero che la Chiesa fosse più nascosta, meno visibile: ma questo non è giusto. La Chiesa deve essere visibile, soprattutto per se stessa. La comunione tra noi è legata alla nostra visibilità. Poi c’è un altro aspetto: noi come Chiesa, come cristiani, come ciellini, dobbiamo essere visibili per gli altri”, e questo “noi ciellini” si impresse nella memoria di tutti i presenti.


(il link al discorso completo), eccolo qua.

L'EGEMONIA DI CL COME OSSESSIONE


Carlo Michele Brambilla, vice direttore de Lastampa,

vedo che l’aria laica di Torino ti ha fatto respirare un po’ di sano cinismo. Mi fa piacere, ma adesso ascolta cosa penso io di quello che hai scritto.

Tu, citando don Julian Carron (successore di don Luigi Giussani alla guida di Comunione e Liberazione), parli del rischio di egemonia di Cl: “Testimonianza vuol dire che, se ho il potere di nominare un primario in ospedale, nomino il più bravo; egemonia vuol dire che nomino uno di Cl”.
Del “rischio egemonia” aveva parlato, se ricordo bene, due anni fa il giorno dell’apertura del Meeting di Rimini, Dario di Vico sul Corriere, e vedo che da allora anche tu ci sei tornato sopra diverse volte. Quindi deve essere una cosa seria. Invece non lo è. 

Scusa, Michele, ma di che stai parlando? Tu stai facendo passare l’idea che il potere di nomina di qualche dirigente di una Asl equivalga all’egemonia e non ti accorgi (ma è impossibile che tu non te ne sia accorto) quale è la vera egemonia che ammorba il Paese.
Parliamo di cultura. Alla Biennale d’arte di Venezia per 7 mesi consecutivamente verrà letto “Il Capitale” di Marx ininterrottamente. Tu come definiresti la decisione di Okwui Enwezor? Immagino una grande tolleranza culturale e anche coraggiosa nel riproporre un testo dimenticato dalla storia, del tutto inattuale nelle sue premesse e nelle sue conclusioni che non ha nulla da dire ai contemporanei se non il prezzo espresso in euro. Ovviamente se al posto di Okwui Enwezor ci fosse Luca Doninelli che riproponesse l’opera omnia dl Bill Congdon, saresti in prima fila a denunciare il “rischio di egemonia” di Cl sulla Biennale. Giusto?

Parliamo di amministrazione della cosa pubblica. Tu dici (meglio: fai intendere) che siccome Formigoni nominava i primari degli ospedali di Cl, allora Cl è egemone. Guardati intorno. Tu non puoi non sapere (lo sai, vero?) come vengono scelti i professori universitari a Bologna, a Roma, dove perfino il papa è stato cacciato, a Napoli, guarda come vengono scelti i primari degli ospedali dell’Emilia Romagna e chi e a chi assegna gli appalti pubblici in quella regione e poi dimmi chi è che "corre il rischio" di egemonia nella gestione della  cosa pubblica. Prova a chiedere a qualche imprenditore "non allineato" di tutta l'Emilia Romagna, a un qualsiasi piccola Srl (non chiedere a una cooperativa, poi capisci perché) chi comanda e come in quella Regione e poi fammi sapere.
Parliamo di economia? Ti spiego: la Cdo (“il Braccio economico di Cl”) svolge una funzione educativa verso migliaia di imprenditori ed è totalmente assente a livello di rappresentanza politico-sindacale nazionale e locale. Quando a Palazzo Chigi c’è da firmare un contratto nazionale, discutere una legge con le rappresentanze sociali, la Cdo non c’è. E non c’è nemmeno nei tavoli regionali, provinciali o comunali. Svolge un’attività “sul territorio” ma non influenza nemmeno di un epsilon la politico-economia di nessuna istituzione pubblica. Nessuno dei tuoi amici, ci metto due mani sul fuoco, conosce nemmeno il nome del presidente nazionale della Cdo.

Allora, Michele, di quale egemonia stai parlando? La stragrande maggioranza delle aziende iscritte alla Cdo sono no profit, e tu lo sai.

La tua critica, citando Carron, è un invito (o un piccolo ricatto) ai ciellini perché si impegnino di meno, perché facciano meno casino, perché non esagerino con la testimonianza, sennò corrono il rischio di essere egemoni. 

Il tuo è un giochetto funzionale a chi è davvero egemone in Italia nel mondo degli affari, della politica e della cultura. La tua critica è funzionale a chi ritiene ogni posizione eterodossa debba essere ricondotta all’interno di un recinto dove possa essere controllata, addomesticata senza però mai confrontarsi con essa.

La tua critica serve a fare sentire i ciellini in colpa ogni volta che compiono un atto pubblico, una presa di posizione, una testimonianza.

La tua critica, caro Michele, è funzionale a chi ha il potere.

21 marzo 2015 PANORAMA


I MARTIRI CRISTIANI I BOIA JIHADISTI E NOI CHE ABBIAMO DIMENTICATO LA LEZIONE DI OTRANTO

Marzo 22, 2015 Alfredo Mantovano da Tempi


Oggi come allora la comunità internazionale deve decidere se, come insegna la dottrina sociale della Chiesa e come ha ricordato papa Francesco, non sia urgente esercitare il diritto e il dovere di «fermare l’aggressore ingiusto»

La storia non è mai uguale a sé stessa. Riesce a essere maestra, se si decide di prenderne gli insegnamenti e di cogliere le analogie con quanto accaduto in altre epoche.

Nel 1480 Otranto, città italiana all’epoca fra le più importanti, è distrutta, i suoi abitanti sono uccisi in combattimento e i sopravvissuti martirizzati uno per uno, tagliando loro la testa, esattamente come fanno oggi i boia dello Stato islamico, dall’esercito ottomano di Maometto II.


La distruzione di Otranto non avviene per caso: segue di 27 anni la presa di Costantinopoli ed è l’esito della ritrosia dei governanti dell’Occidente a unire le forze contro la minaccia proveniente da Oriente. Vi è chi giunge all’intelligenza col nemico: in un conflitto che vede schierati da una parte il Papato e Napoli e dall’altra Firenze, Milano, Venezia e la Francia, costellato da omicidi e congiure, Lorenzo de’ Medici e la Serenissima spingono i Turchi ad aggredire le sponde adriatiche del Regno partenopeo.

Novant’anni dopo, nel 1571, la ruota gira diversamente: una flotta di Stati cristiani ferma la minaccia turco-islamica nel Mediterraneo al largo di Lepanto. Lo scenario europeo non è migliorato rispetto al 1480: la Francia fa lega con i principati protestanti per contrapporsi agli Asburgo e si compiace della pressione che i turchi esercitano contro l’Impero nel Mediterraneo; Parigi e Venezia non muovono un dito per difendere i Cavalieri di Malta nell’assedio condotto contro di loro da Solimano il Magnifico.
La vittoria di Lepanto non è quindi il frutto della convergenza di interessi politici; al contrario, è un inaspettato trionfo che si realizza nonostante le divergenze: per una volta principi, politici e comandanti militari sanno accantonare le divisioni e unirsi per difendere l’Europa, grazie a un residuo di visione del mondo sostanzialmente comune, fondata sul rispetto del cristianesimo e del diritto naturale.

L’indifferenza è una resa

Oggi la minaccia terroristica e la persecuzione delle comunità cristiane non risparmia nessuna zona del globo. Recarsi a Messa la domenica in Pakistan o in Nigeria è andare incontro al martirio; lo stesso accade se non si fugge dai luoghi dove si parla ancora l’aramaico, l’antica lingua di Gesù. Le stragi e le decapitazioni dei fedeli di Cristo in diretta tv sono pianificate e puntano, come si voleva fare a Otranto nel 1480 o come sarebbe accaduto all’Italia e alla Spagna se non ci fosse stata Lepanto, a eliminare la Croce come segno di speranza e di salvezza. Oggi come allora ogni comunità cristiana è chiamata alla preghiera perché la fede dei martiri resti salda, ma la comunità internazionale deve decidere se, come insegna la dottrina sociale della Chiesa e come ha ricordato papa Francesco, non sia urgente esercitare il diritto e il dovere di «fermare l’aggressore ingiusto».

Certo, lo stesso Pontefice aggiunge che la soluzione non sta nella sola opzione militare, che «una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto», che la difesa deve essere multilaterale, possibilmente sotto l’egida di organizzazioni internazionali.


Ma la scelta è fra Otranto e Lepanto, fra l’indifferenza che concorre ai massacri e il sentire come una lesione a sé stessi l’uccisione di migliaia di fedeli mentre assistono alla Messa. Non scegliere significa aver deciso che i boia vadano avanti.

LA RIEDUCAZIONE GENDER DEI BAMBINI, MODELLO EMILIA-ROMAGNA


di Andrea Zambrano23-03-201
da lanuovabussola


L'ideologia gender prosegue la sua marcia inarrestabile nella formazione di una nuova antropologia. E lo fa con i soldi pubblici e con il cavallo di Troia dello spauracchio delle malattie sessualmente trasmissibili. La paura di contrarre l'Aids è il concetto cardine attraverso il quale le scuole statali iniziano ad anticipare gender theory, omofobia, aborto e preservativo già dalle scuole medie, abbassando l'asticella dell'informazione sessuale dalle Superiori alle Medie. Peccato che anche in questo caso i genitori siano completamente impotenti. Anche perché a proporre una rivoluzione antropologica a suon di omofobia sono addirittura le Asl, che grazie all'autorevolezza scientifica di cui godono possono essere utilizzate dalle lobby gay per introdurre tra i banchi l'ideologia relativista secondo cui l'amore non è altro che un coacervo di sentimenti ed emozioni che vanno assecondati a seconda delle sensazioni.

È il caso dell'opuscolo “Viva l'amore”, un libretto che la Regione Emilia Romagna ha promosso all'interno del XV Programma per la prevenzione e la lotta all'Aids. E poco importa se nelle oltre 150 pagine del libretto in uso ai docenti e rivolto ai ragazzi, di Aids si parli in poche sole pagine. Tutto deve servire a portare acqua al mulino della gender strategy. Come?

Presentando i cambiamenti adolescenziali come assolutamente neutri. E sottoponendo i giovani alle sperimentazioni. Il tutto mentre Papa Francesco ribadisce che «con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio, gli orrori delle dittature li abbiamo visti nelle grandi dittature genocide del '900 e costringono i ragazzi a camminare sulla strada dittatoriale del pensiero unico».

Qui non ci sono esperimenti scientifici a fare da corollario a idee genocide, ma teorie che la Scienza non ha mai fatto sue sulla natura dell'uomo che a seconda del contesto può sentirsi maschio o femmina. La sperimentazione parte dalla rossa Emilia, che gode di un blocco ideologico forte che va dalla politica, attraverso la Regione, la quale sceglie i vertici e quindi le indicazioni sanitarie alle scuole complici e distratte.

venerdì 20 marzo 2015

LO SQUADRISTA PERFETTO


L’essenza dello  squadrismo è un radicale disconoscimento dell’altro come persona, visto come ostacolo a ciò che voglio, come oggetto da eliminare; è uno “stile” di vita violento, l’esatto contrario della democrazia. Il prototipo perfetto dello  squadrista,  con la presunzione e la supponenza dell’eletto, menzognero ignorante e razzista come tutti radical-chic, è oggi Francesco Merlo.(ndA)


Di Luigi Amicone da Tempi

Insulti forsennati. Calunnie scimmiesche. Non un fatto, una pezza d’appoggio, una virgola fuori posto rispetto al tono e al registro del mero linciaggio a mezzo stampa
Volevate merda? Eccola. Ieri sulla prima e sull’intera pagina 35 di Repubblica ne scorre in quantità pericolose. Non solo per l’olfatto. Ma anche per lo Chanel numero 5 del diritto alla critica e all’informazione. Serve a qualcosa, il letame? Sì. Serve a seppellire un ministro e la sua progenie.

Di tutta l’inchiesta Grandi Opere, Francesco Merlo trangugia ed espelle solo un mischione di livore e di animosità. Che messe in pagina fanno l’effetto della materia fumante. Insulti e calunnie che non puoi neanche vomitare, tanto sono spessi, densi, violenti. Tanto passano per oro colato che va giù impetuoso, pigiato a forza, gorgogliante nella strozza della vittima di turno.

Succede questo. Passa un ministro non indagato dai magistrati. Passa insudiciato per il fatto stesso di non aver commesso alcun reato. Passa colpevole di niente. Massacrato a mezzo di intercettazioni rese pubbliche per la classica gogna assassina. Infangato da illazioni che scatenano la pancia dell’invidia sociale. Sfregiato dal consueto uso politico delle inchieste. Insomma passa la testa del ministro Maurizio Lupi. E il solito letamaio di giustizia da bar sport.

Ma già, siccome lo scriba è fermo all’epoca in cui l’ebreo era considerato colpevole per il solo fatto di rappresentarlo come essere losco, spregevole, dal naso adunco, nel “contesto” di “affarista”, speculatore, predatore e sfruttatore dell’umanità, il Merlo è meraviglioso nell’affrescare “L’isola dei morti” di Böcklin, il dipinto preferito dal Fuhrer.
Bocklin, l'isola dei morti

Dice già tutto nell’incipit: «“Prima che da ministro devi dimetterti da padre”, gli avrebbe detto don Giussani». Ieri era san Giuseppe, la festa del papà. Dunque va bene così. È giusto che l’odiatore la festeggi così.

E infatti, preso per la collottola dal verbo di Merlo, Lupi diventa un morto che cammina. Diventa un padre spregevole che «getta la croce sulle spalle del figlio». Un padre abbietto che si materializza «nell’immagine di quel ministro dell’Ingegneria Pubblica che non molla la poltrona». E «perciò invece di liberare il figlio, lo aveva dannato e ora lo continuava a con-dannare alla Corruzione di Stato». 

Diventa il prototipo del giudeo ciellino. Quello della «“fede che si fa opera”, come l’ospedale di Don Verzè per esempio, “verbum caro factum est”, il verbo si è fatto carne». O più precisamente, «l’esempio originale della Compagnia delle Opere, di quel gran fumo di clericalismo simoniaco, presunte truffe, denunzie, scandali, ricatti, minacce e processi penali che ha accompagnato il miracolo economico di Cl».

Infine, Lupi diventa il cranio di un ministro («non indagato») su cui Repubblica pianta la bandiera nera. «Dunque – per concludere – avrebbe detto don Giussani a Lupi: “Per duemila euro al mese hai venduto il tuo Luca all’Italia rapace che nessuno conosce meglio di te”».

Ed è giusto così. È proprio giusto mettersi nella testa di don Giussani così. 

Un po’ come il giustiziere Jihadi John, boia dell’Isis, si è messo nella testa delle sue vittime.

giovedì 19 marzo 2015

IL PADRE DI FAMIGLIA, IL VERO, IL REALE AVVENTURIERO.



 Charles Péguy


Il 19 marzo è la festa del papà. Qui di seguito vi proponiamo la lettura di un brano appartenente a Véronique. Dialogo della storia e dell’anima carnale di Charles Péguy. 

C’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moder­no: è il padre di famiglia. Gli altri, i peggiori avventu­rieri non sono nulla, non lo sono per niente al suo confronto. Non corrono assolutamente alcun perico­lo, al suo confronto. Tutto nel mondo moderno, e so­prattutto il disprezzo, è organizzato contro lo stolto, contro l’imprudente, contro il temerario,
Chi sarà tanto prode, o tanto temerario?

Contro lo sregolato, contro l’audace, contro l’uomo che ha tale audacia, avere moglie e bambini, contro l’uomo che osa fondare una famiglia. Tutto è contro di lui. Tutto è sapientemente organizzato contro di lui. Tutto si rivolta e congiura contro di lui. Gli uomini, i fatti; l’accadere, la società; tutto il congegno automatico delle leggi economiche. E infine il resto. Tutto è contro il capo famiglia, contro il padre di famiglia; e di conse­guenza contro la famiglia stessa, contro la vita di fami­glia. Solo lui è letteralmente coinvolto nel mondo, nel secolo. Solo lui è letteralmente un avventuriero, corre un’avventura. Perché gli altri, al maximum, vi sono coinvolti solo con la testa, che non è niente. Lui invece ci è coinvolto con tutte le sue membra. Gli altri, al maximum, si giocano solo la loro testa, il che non è niente. Lui invece mette in gioco tutte le membra. Gli altri soffrono solo per se stessi. Ipsi. Al primo grado. Lui solo soffre per altri. Alii patitur. Al secondo, al ven­tesimo grado. Fa soffrire altri, ne è responsabile. Lui solo ha degli ostaggi, la moglie, il bambino, e la malattia e la morte possono colpirlo in tutte le sue membra. Gli altri navigano a secco di vele. Lui solo, qualunque sia la forza del vento, è obbligato a navigare a piene vele. Tutti hanno vantaggio su di lui e lui non ha vantaggio su nes­suno. Si muove continuamente con i suoi ostaggi, in lungo e in largo tra quei terribili fortunali. Le cose che accadono, i guai, la malattia, la morte, tutto ciò che accade, tutti i guai hanno vantaggio su di lui, sempre; è sempre esposto a tutto, in pieno, di fronte, perché navi­ga su una larghezza immensa. Gli altri scantonano. So­no corsari. Sono a secco di vele.

mercoledì 18 marzo 2015

IL PAPA E CL

Mons. Santoro: amare Gesù attraverso il carisma

mercoledì 18 marzo 2015


Come Vescovo interpellato da molti amici manifesto la mia gratitudine al Santo Padre per l’invito a non ridurre il carisma di Comunione e Liberazione a etichetta, a cenere, a metodo autoreferenziale, ad essere meri impresari di una ONG.
E’ vero che, in mezzo alla confusione generale, siamo cresciuti seguendo un cammino ben preciso, quello del carisma. Ma quante volte ho dovuto insistere anch’io invitando la gente del movimento a partecipare con piena disponibilità e non solo formalmente ad incontri ecclesiali e sociali con altre realtà aggregative senza chiuderci in false superiorità, come se fossimo i soli ad avere la formula e l’esperienza giusta del vangelo!
Don Giussani ci ha sempre insegnato ad imparare dalla realtà, da tutti e particolarmente dal magistero del Papa e dei Vescovi, dalla vita della Chiesa e da ogni incontro valorizzando tutti i segni di verità che troviamo. Da Leopardi a Pavese, da Kafka a Pasolini, dagli ortodossi, dai fratelli ebrei ai monaci buddisti.
Ci sono infatti vari modi di incontrare Gesù. Tutti sono veri quando ti portano a Gesù. Il carisma è uno di questi modi. Ognuno ha la sua storia. Come quando tu incontri Gesù attraverso un amico, un’amica o tuo marito o tua moglie. Chi ti salva è Gesù, ma tu non puoi buttare a mare tuo marito per rimanere con Gesù. Le due cose sono unite.
Il Papa ci vuol dire che non dobbiamo buttare a mare il carisma perché è superato, ma che attraverso il carisma, dobbiamo amare sempre più Gesù.

Questo significa essere decentrati. E poi dobbiamo portarlo con la passione che don Giussani ci ha insegnato, nella vita, dove viviamo, in quelle che papa Francesco chiama le periferie e particolarmente tra i poveri con una testimonianza di autenticità umana e di povertà.
Non per una strategia, ma perché senza Gesù non possiamo vivere. Come quando siamo entrati nelle scuole e nelle università, nelle favelas del Brasile e tra gli ammalati di Aids dell’Africa. Tutti luoghi dove continuiamo ad esserci.

E Francesco riconosce questo quando afferma: “il carisma originario non ha perso la sua freschezza e la sua vitalità”.
Io sono stato molto toccato dall'incontro col Papa; ci ha invitati a vivere ciò a cui Don Giussani sempre ci ha educato anche con correzioni di una forza straordinaria. E, siccome tutto questo lo viviamo con i nostri limiti, è giusto che qualcuno ce lo ricordi. 

Siamo dinanzi ad un richiamo forte e ad un invito ad approfondire la natura del carisma, a viverlo con verità, non a buttarlo a mare. In questo senso si muove tutta la“teologia dei carismi” vissuta nella Chiesa e approfondita dopo il Concilio Vaticano II nella visione della “Chiesa come comunione” e particolarmente sviluppata sino ad oggi a partire dal primo incontro internazionale tra i movimenti ecclesiali, a cui don Giussani ha attivamente partecipato.

In quell’occasione san Giovanni Paolo II, nell’udienza del 27 settembre1981, ebbe a dire: “La Chiesa stessa è un movimento”.
In tempi diversi Papa Francesco ci mette in guardia a non “pietrificare” il carisma, facendone un oggetto da museo e ci indica il cammino che è quello del decentramento: “al centro c’è solo il Signore”. Questo tema non lo si può liquidare negandolo o ripetendolo mimeticamente; esige un approfondimento rigoroso e un cordiale impegno di sequela.

Il Papa ci ha ripetuto quanto ha anche detto nella intervista alla Civiltà Cattolica della sua Compagnia di Gesù: “La Compagnia è in se stessa decentrata: il suo centro è Cristo e la sua Chiesa. Se invece guarda troppo a se stessa, mette sé al centro come struttura ben solida, molto ben “armata”, allora corre il pericolo di sentirsi sicura e sufficiente”. E siccome i gesuiti di errori nella loro ammirabile storia di missionari e di santi ne hanno fatti ben più di noi, impariamo la lezione perché, con il nostro volto, possiamo “essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa in uscita”.

+ Filippo Santoro
Vescovo di Taranto