venerdì 20 marzo 2015

LO SQUADRISTA PERFETTO


L’essenza dello  squadrismo è un radicale disconoscimento dell’altro come persona, visto come ostacolo a ciò che voglio, come oggetto da eliminare; è uno “stile” di vita violento, l’esatto contrario della democrazia. Il prototipo perfetto dello  squadrista,  con la presunzione e la supponenza dell’eletto, menzognero ignorante e razzista come tutti radical-chic, è oggi Francesco Merlo.(ndA)


Di Luigi Amicone da Tempi

Insulti forsennati. Calunnie scimmiesche. Non un fatto, una pezza d’appoggio, una virgola fuori posto rispetto al tono e al registro del mero linciaggio a mezzo stampa
Volevate merda? Eccola. Ieri sulla prima e sull’intera pagina 35 di Repubblica ne scorre in quantità pericolose. Non solo per l’olfatto. Ma anche per lo Chanel numero 5 del diritto alla critica e all’informazione. Serve a qualcosa, il letame? Sì. Serve a seppellire un ministro e la sua progenie.

Di tutta l’inchiesta Grandi Opere, Francesco Merlo trangugia ed espelle solo un mischione di livore e di animosità. Che messe in pagina fanno l’effetto della materia fumante. Insulti e calunnie che non puoi neanche vomitare, tanto sono spessi, densi, violenti. Tanto passano per oro colato che va giù impetuoso, pigiato a forza, gorgogliante nella strozza della vittima di turno.

Succede questo. Passa un ministro non indagato dai magistrati. Passa insudiciato per il fatto stesso di non aver commesso alcun reato. Passa colpevole di niente. Massacrato a mezzo di intercettazioni rese pubbliche per la classica gogna assassina. Infangato da illazioni che scatenano la pancia dell’invidia sociale. Sfregiato dal consueto uso politico delle inchieste. Insomma passa la testa del ministro Maurizio Lupi. E il solito letamaio di giustizia da bar sport.

Ma già, siccome lo scriba è fermo all’epoca in cui l’ebreo era considerato colpevole per il solo fatto di rappresentarlo come essere losco, spregevole, dal naso adunco, nel “contesto” di “affarista”, speculatore, predatore e sfruttatore dell’umanità, il Merlo è meraviglioso nell’affrescare “L’isola dei morti” di Böcklin, il dipinto preferito dal Fuhrer.
Bocklin, l'isola dei morti

Dice già tutto nell’incipit: «“Prima che da ministro devi dimetterti da padre”, gli avrebbe detto don Giussani». Ieri era san Giuseppe, la festa del papà. Dunque va bene così. È giusto che l’odiatore la festeggi così.

E infatti, preso per la collottola dal verbo di Merlo, Lupi diventa un morto che cammina. Diventa un padre spregevole che «getta la croce sulle spalle del figlio». Un padre abbietto che si materializza «nell’immagine di quel ministro dell’Ingegneria Pubblica che non molla la poltrona». E «perciò invece di liberare il figlio, lo aveva dannato e ora lo continuava a con-dannare alla Corruzione di Stato». 

Diventa il prototipo del giudeo ciellino. Quello della «“fede che si fa opera”, come l’ospedale di Don Verzè per esempio, “verbum caro factum est”, il verbo si è fatto carne». O più precisamente, «l’esempio originale della Compagnia delle Opere, di quel gran fumo di clericalismo simoniaco, presunte truffe, denunzie, scandali, ricatti, minacce e processi penali che ha accompagnato il miracolo economico di Cl».

Infine, Lupi diventa il cranio di un ministro («non indagato») su cui Repubblica pianta la bandiera nera. «Dunque – per concludere – avrebbe detto don Giussani a Lupi: “Per duemila euro al mese hai venduto il tuo Luca all’Italia rapace che nessuno conosce meglio di te”».

Ed è giusto così. È proprio giusto mettersi nella testa di don Giussani così. 

Un po’ come il giustiziere Jihadi John, boia dell’Isis, si è messo nella testa delle sue vittime.

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