sabato 19 dicembre 2015

"CHI SONO IO PER GIUDICARE UN GAY?" .....UN GIORNALISTA DELL'ESPRESSO

 | 16 Dicembre 2015

Alla celeberrima domanda di Papa Francesco stanno rispondendo in tanti, in questi giorni: tutti pronti a giudicare malissimo, e senza appello, i gay. Però stavolta contro questi giudizi malevoli e sprezzanti non si alza nessuna voce, nessuno Scalfarotto che protesti, nessun Vecchioni che si schieri. Il punto è che, nel caso di cui parliamo, si tratta di omosessuali che non appartengono alle lobby che si sono autoproclamate rappresentanti di tutte le persone omosessuali,  che cercano, con arroganza, di intimidire, in nome della propria diversità, chiunque sia diverso da loro.

Accade semplicemente che non tutte le persone omosessuali siano entusiaste dei vari Arcigay e Casseri e circoli Mieli che proliferano nel paese: c’è chi addirittura vorrebbe, come omosessuale, vivere da cristiano, proprio come dice Papa Francesco, che nella sua frase – riportata per intero – affermava: “Ma si deve distinguere il fatto che una persona è gay dal fatto di fare una lobby. Se è lobby, non tutte sono buone. Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Il catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate ma accolte”. Ecco, è successo che – udite udite – alcuni preti, e addirittura qualche vescovo, abbiano fatto propria l’indicazione di Papa Francesco, ed abbiano accolto persone omosessuali che si sono rivolte a loro, perché vogliono vivere da cristiani.

Una decisione personale e privata, di singoli cittadini che valutano e scelgono liberamente; spieghiamo, per essere sicuri di essere compresi da tutti, che si tratta di persone omosessuali che vogliono esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, e che, invece di sfilare in piazza con piume e paillettes, far celebrare il proprio matrimonio dal sindaco Marino, o andare in Ucraina per diventare padri ricorrendo all’utero in affitto, preferiscono ritrovarsi insieme per parlare e pregare, e per fare questo preferiscono addirittura rivolgersi a un prete cattolico piuttosto che ai dirigenti di Arcigay.

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Questa faccenda risulta intollerabile ai sedicenti paladini dei diritti civili e ai democratici sostenitori delle libertà di alcuni (ma non di tutti). Un giornalista dell’Espresso si è quindi intrufolato sotto falsa identità in uno di questi gruppi (gemmati dall’associazione americana “Courage”), e ha pubblicato un articolo sullo svolgimento degli incontri, dimostrando per l’ennesima volta – se ancora ce ne fosse bisogno – la palese inutilità dell’esistenza di quella istituzione chiamata Garante della privacy.

Il giornalista-infiltrato usa toni sprezzanti e offensivi, che descrivono il gruppo come “un mix di fanatismo, auto-punizione e tecniche mutuate dai gruppi di alcolisti”, e che  vanno inevitabilmente a colpire le persone omosessuali che a questi incontri partecipano per decisione libera e volontaria: sono descritti come persone plagiate, confuse, sostanzialmente inconsapevoli di quel che sta loro succedendo, persone la cui libera scelta non vale quanto la libera scelta altrui, perchè “sfidando il buonsenso e facendo leva sul proprio credo, i partecipanti si sottomettono con pignoleria alle indicazioni della congregazione per la dottrina della fede”.

Un manipolo di sprovveduti, insomma, questi omosessuali cristiani, pronti a farsi turlupinare da preti retrogradi e ovviamente sessuofobici. Vuoi mettere il coming out del fighissimo ex Mons. Charamsa, che chiaramente il giornalista propone come contraltare – nel senso letterale del termine. Ad andarci di mezzo è stato anche il vescovo di Reggio Emilia, Mons. Camisasca, chiamato in causa perché uno dei gruppi dell’associazione incriminata si trova nella sua città.

“Il vescovo - si legge in una nota della diocesi - conosce la realtà di Courage da un anno perchè alcuni uomini con orientamento verso persone dello stesso sesso, si sono a lui rivolti per essere aiutati a vivere nella preghiera, nella meditazione della sacra scrittura e nella castità. ". Courage, aggiunge Camisasca, "non intende essere una terapia riparativa e non chiede a nessuno di aderire a tali terapie. È un aiuto a vivere secondo quanto espresso dal catechismo della chiesa cattolica e dalla tradizione della chiesa". Le reazioni di alcune associazioni gay locali, come “La Gioconda” di Reggio, sono quelle che ci si aspetta, con l’accusa al vescovo di “trascinare la nostra città in pensieri cupi e malati”.

Per le persone omosessuali così violentemente intimidite, per la loro sensibilità, non c’è un pensiero, come non c’è una parola di dubbio sul trattamento che è stato loro riservato. E’ solo il vescovo che se ne preoccupa, sottolineando che "addolora che libere persone che si trovano a pregare siano violate così pesantemente nella loro privacy di cittadini italiani". Suona sempre più forte l’allarme per la libertà di parola, di pensiero e di associazione nel nostro paese, con un’ultima domanda: con la legge Scalfarotto (approvata alla Camera ma per ora incagliata al Senato), gli omosessuali che si ritrovano in queste associazioni, sarebbero puniti come omofobi?


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