giovedì 10 dicembre 2015

GIOVANNA D’ARCO E IL PROGRESSISTA COLLETTIVO


Non è Giovanna d’Arco ma il rifiuto occidentale della religione

Contro la scelta psicologista di rappresentarla come una pazza.
di Antonio Gurrado | 08 Dicembre 2015 ilfoglio

Giovanna D'Arco alla Scala
Cos’applaudiva unanime il pubblico alla prima della Scala? L’opera, certo, la direzione, l’allestimento, gli acuti, la presenza scenica, sicuramente il luccicante sfarzo e non ultimo il sollievo per essere scampati al pericolo di un attentato. Soprattutto però applaudiva, stando al Corriere della Sera, una “pulzella poco santa ma molto umana”, il “parto di fantasia di una ragazza mitomane e allucinata”, una “vergine visionaria” che “sublima le nevrosi abbracciando la fede in modo integrale”; o meglio “una giovinetta ottocentesca un po’ toccata”, secondo Repubblica, anzi una “fanciulla disturbata” da una “ordinaria follia” che la portava allo “sprofondamento ossessivo in contorsioni emotive e repressioni sessuali”; per la Stampa, senza mezzi termini, non solo il “delirio di una psicotica”, di una “creatura nevrotica che oscilla fra depressione e follia”, ma anche la rappresentazione plastica di “quanto pericolosa possa diventare la passione religiosa che trascende nella sfera civile”, utile in un’epoca di “fanatismo religioso”, nel nostro “nuovo medioevo”.

Ha un bello sgolarsi chi cerca di associare la passione cristiana di Giovanna d’Arco alla vittoria identitaria di Marine Le Pen; siamo di fronte, scrive il Giornale, a “una Giovanna più pazza che santa”, a “incubi frutto di una mente malata”, insomma alla “isteria di una donna” che richiama le “immaginazioni di un’isterica” di cui l’Unità elogia lo sviluppo in una “sfera onirica e surreale”.

Sul tappeto rosso del dopo-prima, la sfilata delle recensioni s’inchina alla drastica scelta dei registi Moshe Leiser e Patrice Caurier che hanno trasferito il già vacillante libretto di Temistocle Solera nella testa di una fanciulla del secolo Diciannovesimo, malaticcia nonostante le forme sopranesche.
Non è Giovanna d’Arco ma è convinta di esserlo, non combatte davvero per la Francia ma sogna di farlo, non muore sulla pira come nella storia né in battaglia come nel libretto bensì nella stanza in cui è confinata, consunta da un male interiore e immaginario.

C’è un filo rosso che collega questa scelta psicologista con la tendenza a derubricare come follia gli atti di terrorismo islamico, ossia a ridurre scelte morali consapevoli e pubbliche – nel bene o nel male – a espressioni di individualità strabordanti rimaste vittima di traumi irrisolti.

I registi hanno voluto costringere la religione entro la sfera della psicosi, del disturbo, della proiezione interiore frutto di un padre vessatorio che compra una bambola-madonnina oppure (gran novità) di una rutilante castità foriera di ossessioni, come già adombrato dall’opera di Verdi il cui anticlericalismo seguiva la moda pecorona dell’Ottocento.


Mentre infuriano visioni e battaglie, il letto della folle resta sempre in scena come la persistenza della psicologia nella nostra interpretazione ombelicale di ogni evento. Nulla accade perché deve ma tutto è ombra di qualcosa che ci portiamo dentro.
Allora diventa accettabile la qualsiasi interpretazione dell’eroismo di Giovanna d’Arco – perfino quella fantasiosamente femminista della strana coppia Carla Fracci (“una donna che ha difeso le donne”) e Patti Smith (“una donna che ha vissuto la sua vita e non ha ceduto al compromesso”) – anzi, prostrandosi all’altare della turba psicologica, nessuno si domanda neanche lontanamente se possa suonare offensiva un’inaugurazione istituzionale, con tanto di inno di Mameli, in cui si deride la santa patrona di una nazione confinante e per di più sotto attacco.

Niente, il pubblico applaude ignaro che troppa psicologia ci renderà indifesi e che il sogno, narratologicamente, è sempre la soluzione più facile per cavarsela quando non si sa che pesci pigliare.

Nessuno si accorge che l’idea di rinchiudere questa Giovanna d’Arco non in un consultorio di oggi ma in un letto ottocentesco un po’ bohémien in realtà è stata geniale, rivelatrice: il nostro essere refrattari alla religione oggettiva, che crediamo tanto moderno e progressivo, è rimasto fermo a due secoli fa.
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