venerdì 8 gennaio 2016

LE ANFORE VUOTE DI TRACCE

Caro Direttore,
ti scriviamo in relazione all’articolo apparso il 22 u.s. sulla homepage di Tracce, sul “Natale in moschea” (http://www.tracce.it/default.asp?id=302&id_n=51615).

1. Molto bello rincontro tra uomini, cattolici e musulmani, e il confronto che avviene nel rispetto dell’altro e si prolunga attorno ad una tavola. Nel confronto ognuno offre all’altro quello che è, con tutte le sue esperienze, le tradizioni da cui è stato formato, ciò in cui crede e che uno ha di più caro. Un confronto così è costruttivo, perché costruisce i rapporti umani nel rispetto dell’altro. E, nel caso di Genova, possiamo immaginare che sia avvenuta proprio una cosa di questo genere, anche perché la comunità di CL ha illustrato la mostra su don Giussani, come anche l’imam, immaginiamo, abbia illustrato il Corano e le tradizioni musulmane.

2. Proprio per questo facciamo fatica a capire le considerazioni finali, che come dice Manzoni sono “il sugo” della storia, ciò che se ne vuole trattenere: «Che cosa abbiamo fatto ieri? Abbiamo ascoltato. Non avevamo qualcosa da difendere o da imporre o da dialettizzare. Anfore vuote. Solo così secondo me si può incontrare l’altro».
Ci pare che l’immagine dell’anfora vuota per accogliere l’altro non c’entri proprio niente con l’ingenua baldanza di cui ci parla Don Giussani. Va bene il Natale in moschea, va bene ascoltare in silenzio l’imam, ma non va bene che Tracce pubblichi sulla homepage e senza possibilità di commento il fatto che non abbiamo nulla “da difendere” (o, come si dice subito dopo in politically correct, di “imporre” o “dialettizzare”).
Cerchiamo di spiegarci meglio. Per Adriana Mascagni (“Al mattino”) io vado sì con l’anfora vuota, ma ALLA FONTE, non AL DIALOGO o in moschea. Si può immaginare un dialogo tra “anfore vuote”? Sicuramente no. Neppure l’altro è un’anfora vuota. Nessuno lo è. Invece, il dialogo può e deve avvenire solo tra “anfore piene”, rispettose, ma piene della coscienza di sé, del proprio compito e del proprio limite e, dunque, del proprio bisogno di redenzione. È questa coscienza che fonda la civiltà. Altrimenti, che cosa ci si scambia? Il “vuoto”?
La nostra vita è diventata più bella, più fruttuosa, più responsabile, e i frutti si vedono. Si vedono e, se occorre, li difendiamo, eccome!

3. Un altro aspetto grave è per noi rappresentato da due ulteriori affermazioni. La prima, “Solo così secondo me si può incontrare l’altro”, cerca di far discendere da una scelta precisa (e per noi miope in quanto non considera tutti i fattori in gioco) un rifiuto di ogni altro tentativo. La seconda, “Cristo è misteriosamente (incomprensibilmente) in tutto”, in questo contesto può dare adito a molti equivoci.
In conclusione, lascia che ti diciamo che siamo preoccupati delle scivolate «buoniste» della nostra stampa: talora si rinuncia alla chiarezza del giudizio per far spazio a un irenismo confuso, ingenuo e talvolta involontariamente connivente col male. Non sarà la paura a salvarci.

P.S. Crediamo infine che una testata autorevole come Tracce non possa banalizzare in poche righe condiscendenti una vicenda come quella di Giuliano Delnevo, giovane italiano convertito all’islam estremista e morto in Siria combattendo per l’equivalente locale di Al Qaeda. Oltre che confondere le idee ai lettori ed alterarne il giudizio con un’informazione approssimativa e fuorviante, questo approccio all’argomento compromette l’affidabilità e l’autorevolezza della nostra testata.

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediald=999920&sez=120&id=49611

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