venerdì 29 aprile 2016

UN CARISMA DA RISCOPRIRE

 “OCCORRE LA FORZA DI
METTERSI CONTRO”

Tratto da : NON POSSIAMO TACERE (pag. 74-76)
Di Mangiarotti –Graziola


(omissis) 

Si tratta di cogliere anzitutto lo spirito (di don Giussani) che lo ha mosso, per poter capire bene anche la lettera delle sue singole affermazioni. Tenendo presente questo spirito si evita l’errore di interpretare male certi suoi giudizi storici: essi infatti oggi si possono facilmente applicare ad un oggetto sbagliato, fraintendendo completamente il loro significato originale. Lo si visto sopra parlando della sua opposizione alla riduzione del Cristianesimo ai valori: egli parlava dei ‘valori comuni’ imposti dal potere e non intendeva in nessun modo negare la necessità per i cristiani di battersi per la difesa dei valori inalienabili della legge di Dio. Anzi, tutto il suo richiamo a costituire comunità cristiane di ambiente (scuola, università, lavoro, quartiere, città, nazione) era sempre collegato all’esortazione al coraggio dell’annuncio pubblico della verità.
Strasbourg, Saint-Pierre-le-Jeune,XIV secolo

Per questo esisteva il ‘raggio’, cioè il raduno pubblico e aperto a tutti della comunità di ambiente per sfidare ciascuno ad un paragone con l’ideale cristiano. Per questo esistevano le ‘iniziative’, cioè i gesti pubblici della comunità di ambiente, quali convegni, conferenze, testimonianze, viaggi, libri, per favorire al massimo l’incontro con la gente e aiutarla a conoscere in modo vivo e integrale l’annuncio cristiano e il suo giudizio sulla realtà.

Il Movimento è nato per realizzare questa presenza là dove essa non c’era o dormiva o taceva. Don Giussani lo racconta con le sue parole, tratte da uno dei testi fondativi della realtà di Comunione e Liberazione: Il cammino al vero è un'esperienza (ed. SEI, Torino 1995) è una testimonianza già a tutti nota, ma si provi a fare attenzione ai termini precisi che in essa vengono usati:

“Durante un viaggio in treno verso il litorale adriatico attaccai discorso per caso con un manipolo di studenti. Li trovai paurosamente ignoranti circa la natura e lo scopo della vita cristiana e della Chiesa.
Pensai allora di dedicarmi alla ricostituzione di una testimonianza cristiana nell’ambiente scolastico in cui risultava di fatto assente una presenza cristiana e dove si era fatta invece pressante la battaglia anticattolica dei professori e dei gruppi portatori di idee e valori laicisti. (p. VIII)”
Egli specifica che non si trattava solo di riscoprire l’essenziale ‘teologico’ del Cristianesimo, ma anche ciò che esso produce come impegno culturale dentro l’ambiente: “La nostra decisione per l’essenziale produsse, senza programmi ma come immediato sviluppo di cultura e di energia affettiva, le piccole e grandi battaglie culturali in cui i giovani di GS si coinvolsero con generosità e coraggio: prima fra tutte quella citata per la libertà di educazione in un contesto ideologico ed ecclesiastico insensibile quando non ostile a ogni contestazione di quel tipo di involuta libertà di coscienza, e quindi di educazione ed espressività culturale, di cui oggi vediamo le gravi conseguenze e le più subdole applicazioni. (p. X)”

Affermando che “il richiamo cristiano deve essere deciso come gesto”, specificava una serie incalzante di osservazioni che smascherano senza pietà tutte le nostre ipocrisie e indicano una strada inequivocabile:

1) La prima condizione per raggiungere tutti è una iniziativa chiara di fronte a chiunque.
2) Può essere illusione ambiguamente coltivata quella di introdursi nell’ambiente o di proporsi alle persone con una indecisione tale da sminuire il richiamo, nel timore che il suo urto contro la mentalità corrente indisponga gli altri verso di noi, e crei insormontabili incomprensioni e solitudini. Si possono così cercare, magari con ansiosa scaltrezza, accomodamenti e camuffamenti che rischiano troppo facilmente di
rappresentare dei compromessi dai quali è poi assai arduo liberarsi.
3) Non dobbiamo dimenticarci che questa «mentalità corrente» non esiste solo al di fuori di noi, ma ci permea fin nel profondo. Per cui l’indecisione nell’affrontarla può costituire una posizione rovinosa per noi stessi.
4) Per essere onesti, ad un certo momento occorre porsi di fronte ai problemi seri, non solo nell’ambito interiore della propria coscienza, ma anche nel dialogo con gli altri.
5) Per questo occorre la forza di mettersi contro, che è quanto Cristo ci ha chiesto per farci entrare nel Regno: «Chi avrà avuto vergogna di me di fronte agli uomini, anch’io avrò vergogna di lui di fronte al Padre mio».
6) Forza, cioè coraggio («virtus», in latino): in fondo ciò che occorre è un po’ di quella virtù con cui Matteo, Zaccheo e la Maddalena affermarono la loro scoperta cristiana di fronte all’ambiente in cui erano immersi. O, se si vuole, ciò che occorre è rinnovare la testimonianza di Stefano di fronte al Sinedrio: sfidare l’opinione di tutti per seguire Gesù (pp. 5-6).

Affermando poi che “il richiamo cristiano deve essere integrale nelle dimensioni”, spiegava proprio ciò che sopra abbiamo cercato di dimostrare con le nostre povere parole, cioè che è esattamente una autentica vita cristiana che per poter essere tale esige di non perdere la sua dimensione culturale, vale a dire la capacità di annunciare tutta la verità insegnata da Cristo.

Ecco alcuni dei punti del capitolo dedicato a questo argomento:
“3) Affinché un gesto sia completo occorre che abbia tutte le sue dimensioni fondamentali: quelle che definiscono con precisione e fedeltà il suo volto vero.
4) Oscurare o trascurare qualcuna delle dimensioni che il gesto deve avere come sua natura e suo destino, sarebbe fare di quel suo volto una maschera, cioè una illusione se non una menzogna. L’integralità delle dimensioni in un gesto non è semplicemente questione di ricchezza o di pienezza, ma è una questione addirittura di vita o di morte per il gesto stesso; poiché senza l’impostazione almeno implicita di tutte le sue fondamentali dimensioni, il gesto non è povero, ma addirittura manca di verità, è contraddittorio alla sua natura, è ingiusto.
5) Le dimensioni naturali di un gesto sono profondamente legate tra di loro. Così, quanto più intensamente se ne vive una, tanto più ci si rende disponibili a vivere le altre.
Le dimensioni del richiamo cristiano sono: - cultura – carità - cattolicità. (pp. 12-13)”

Occorre la forza di mettersi contro la mentalità corrente, di sfidare l’opinione di tutti per seguire Gesù, di non privare l’esperienza cristiana della sua dimensione culturale. E’ impossibile non cogliere la grandezza di questo carisma, sia in queste parole chiare e nette, sia nella storia che esse hanno generato dentro la società. Il Movimento non può rinnegare tutto questo: è per esso stesso una questione di vita o di morte.

E non è solo una questione ciellina. Ciò che don Giussani ha insegnato e testimoniato per poter vivere la presenza cristiana dentro il mondo di oggi è stato riconosciuto dalla Chiesa come un carisma donato dallo Spirito Santo per il bene di tutta la Chiesa medesima e dell’umanità. Eppure ancora oggi questo metodo viene rifiutato da moltissimi cristiani perché ‘ciellino’ o ‘integralista’, e si cerca di sostituire ad esso una serie interminabile di
piani e progetti umani il cui esito è sotto gli occhi di tutti.

Il mondo di oggi non può incontrare Cristo se i cristiani non accettano di mettersi insieme in ogni ambiente in cui si trovano per vivere la fede nella sua integralità e per fare tutto ciò pubblicamente. Gli uomini attendono disperatamente questa carità da parte nostra, anche quando sembrano odiarla: dovranno attendere ancora a lungo?
 Continueranno ancora per molto tempo i cristiani ad essere invisibili negli ambienti in cui l’uomo moderno forma se stesso, la sua cultura, la sua esistenza, la sua missione? Si rifiuteranno i discepoli di Cristo ancora per altri decenni di mettersi insieme e di proporre a tutti la vita nuova e la cultura nuova che a loro sono state donate?

Noi umilmente ma convintamente crediamo che don Giussani, il cui processo di beatificazione è in corso, un giorno giungerà agli onori degli altari: possa egli dal Cielo urgere perché i cristiani abbiano il coraggio di compiere al più presto la loro missione.

Tratto da : NON POSSIAMO TACERE (pag. 74-76)
Di Mangiarotti –Graziola

giovedì 28 aprile 2016

IL MENÙ ANTICRISTIANO DELL’ANTONIANO

E LA RIVOLTA DELLA PLEBE AL CIBO INDÙ
I frati che hanno consegnato la mensa al cuoco vegano
di Camillo Langone | 27 Aprile 2016  ilfoglio

Ci sono parroci che concedono le chiese ai maomettani e ci sono frati che concedono le mense ai vegani: la notizia che il cuoco ayurvedico Simone Salvini è stato invitato all’Antoniano di Bologna per preparare i pasti ai poveri fa parte della storia ormai vecchia dell’apostasia clericale. 

Per quanto ignoranti, questi francescani dovrebbero sapere che il fondatore non tollerava derive perfettiste e a frate Morico che auspicava l’astinenza perfino nei giorni di festa ordinò: “Voglio che in un giorno come questo anche i muri mangino carne, e se questo non è possibile, almeno ne siano spalmati all’esterno”. Sebbene più esperti di canzoncine puerili (l’Antoniano organizza lo Zecchino d’Oro), questi frati dovrebbero sapere che Francesco in qualità di alter Christus non poteva che seguire il regime onnivorista di Gesù, colui che “dichiarava mondi tutti gli alimenti” (Marco 7,19) liberando l’umanità dai tabù della tavola.



Ci sono imprenditori che plaudono alla presente invasione perché abbasserà ancora il costo del lavoro e ci sono mangiatori di tofu che considerano i mangiatori di salsicce uno stadio primitivo dell’evoluzione umana: sono due esempi del generale tradimento delle élite. 

E la notizia successiva, quella secondo cui molti frequentatori della mensa si sono manifestati contrari alla svolta vegana, assume il sapore di rivolta della plebe. Contro una classe dirigente (da quando i cuochi vengono chiamati chef sono classe dirigente pure loro) in preda a una “visione turistica della realtà”, per dirla con Christopher Lasch, e che pertanto non vuole né può immaginare cosa sia fare la fila alla mensa dei poveri, dovendo poi combattere da una parte con immigrati numerosi e giovani che cercano di passarti davanti e dall’altra con cuochi fanatici che pretendono di sapere qual è il tuo bene. Il menù anticristiano dell’Antoniano viene imposto col ricatto salutista: tu sei povero e dunque più a rischio malattie, ci pensiamo noi a rimetterti in sesto, tu non devi fare nulla salvo, dettaglio forse risibile per persone ridotte all’elemosina, mettere il tuo corpo e la tua anima nelle mani dei cuochi di Brahma (la cucina ayurvedica è la cucina tradizionale induista).

Pazienza che i benefici della ayurvedica siano scientificamente provati quanto i benefici 
nasconda il fatto che lo zucchero bio conduce al diabete tale e quale lo zucchero non bio, pazienza che saziare centinaia di derelitti con vegetali significa sovraccaricarli di amidi, e quindi ancora una volta di zuccheri. Tanto i senzatetto non sono soliti leggere Gary Taubes o Lierre Keith o le altre recenti ricerche in campo nutrizionale, loro al massimo possono dire mi piace/non mi piace e pure con moderazione perché l’alternativa non è la costoletta alla petroniana dell’Osteria Bottega o, per rimanere a Bologna, la fiorentina di razza romagnola Igp del Caminetto d’Oro, bensì lo stomaco vuoto. Per raggiungere il suo obiettivo il cuoco italo-indù si dichiara pronto a tutto, anche alla truffa, “magari servendo legumi e cereali in forme più rassicuranti, tipo piccole polpette di legumi, salsicce di fagioli, ragù di soia”. E i frati dell’Antoniano sono entusiasti perché il lavoro di conversione dei bisognosi di Bologna a un’altra religione Simone Salvini lo svolge gratis.


sabato 23 aprile 2016

C È UN SOLO AVVENTURIERO AL MONDO: IL PADRE


Aprile 20, 2016  Caterina Giojelli
Articolo tratto da TEMPI

Tre uomini in un teatro parlano del padre attraverso lo sguardo di Charles Péguy davanti a una folla di gente «di una certa razza». Appunti da un incontro memorabile

È  tutto lì, fuori da una finestra. La sera di martedì 5 aprile, c’è una folla che si accalca nel teatro Rosetum, il centro culturale diretto dai Frati Cappuccini del convento di piazza Velasquez a Milano. Dall’altra parte della piazza, c’è la statua di bronzo di Padre Pio, e sotto, scolpiti nel basamento, sono raffigurati tre episodi dei Promessi Sposi: padre Cristoforo che affronta Don Rodrigo, padre Felice Casati tra gli appestati del Lazzaretto e fra’ Galdino alla questua delle noci. Sono loro, le mani della Provvidenza impegnate in azioni di una misericordia – che, come ricorda papa Francesco, «è il primo attributo di Dio. È il nome di Dio» – sconosciuta ai potenti e al pensiero del mondo, e ti viene a prendere quando meno te lo aspetti.  «Che diavolo hanno costoro? Che c’è d’allegro in questo maledetto paese? Dove va tutta quella canaglia?», si chiedeva l’Innominato guardando dalla finestra il popolo festante che andava dal cardinal Federigo Borromeo. Erano «uomini, donne, fanciulli, a brigate, a coppie, soli; (…) e andavano insieme, come amici a un viaggio convenuto». Guardava, l’Innominato, «e gli cresceva nel cuore una più che curiosità di saper cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tanta gente diversa». Qual era e quale è oggi questa buona notizia?


Uomini, donne, fanciulle a brigate a coppie o soli, e quella folla accalcata al Rosetum pare proprio la stessa dei Promessi Sposi una sera di primavera, dove tre uomini, un frate cappuccino, padre Marco Finco, un medico, Giancarlo Cesana, e un professore di liceo, Mauro Grimoldi, raccontano “Il padre attraverso lo sguardo di Charles Péguy”, il «più grande avventuriero della storia».

E che quindi parla a tutti, tutti noi che «amiamo la libertà di pensiero, ma per amarla ci vuole un pensiero», dice Cesana che ai tanti in sala presenti per affezione a una storia, mai dimentica di Péguy e iniziata con don Luigi Giussani, ricorda il fondatore di Cl quando raccontava il Vangelo e invitava a vedere, immaginare quello che veniva letto: «La Buona novella non è un trattato di logica, la verità non è una disquisizione, la vita è una cosa commossa, non aridità».

Ecco quindi Péguy, capace oggi come allora di esempi commossi, ed ecco dunque la fecondità del padre, la cui dissoluzione, riduzione a funzionario sociale e immagine stereotipata e sentimentale della realtà (non più creatore, non più padre, non più origine ma ruolo interscambiabile con quello della madre), «è principio logico e cronologico della distruzione della famiglia verso cui rema ogni dottrina moderna».

Già perché il mondo delle virtù della gente di mondo (compiacente, deferente, avvizzito dai diritti dell’amore, dalla libertà di morire e dare la morte) è quello di sempre, «il mondo delle persone intelligenti; progredite, scaltrite, delle persone che la sanno lunga, alle quali non si può darla a intendere (…): il mondo di quelli che non hanno una mistica», inizia Grimoldi, scegliendo pagine da La nostra giovinezza(1910).
Nonostante ci abbiano provato, ci provino sempre ad abbagliare coi fari di auto potentissime – negando gli dèi e adorando gli dèi, professando, diceva Eliot, la Ragione, e poi il Denaro, il Potere, e ciò che chiamiamo Vita, o Razza o Dialettica – troppo evidente, troppo appariscente è l’insufficienza e l’irrealtà dell’intellettualismo moderno, «la medesima sterilità inaridisce la città e la cristianità. La città degli uomini e la città di Dio. È questa la sterilità moderna. È infatti la prima volta nella storia del mondo che un mondo intero vive e prospera, sembra prosperare contro ogni cultura». Lo abbiamo visto, «prosperavano gli intellettuali. Sterili, infecondi, celibi. Senza cultura, essendo la cultura concezione: incontro, affetto, fecondazione, ospitalità, gestazione, e parto, nascita, inizio. Opera e presenza. Amorosa esperienza, che attrae nel proprio vertice ogni fatto, interesse, realtà».
Questi infelici potenti del pensiero debole ben raccontati ne Lo spirito di sistema (1905 ma pubblicato postumo) ignoravano la semplice gioia del cuore e il godimento delle mani, tutto ciò che fa la felicità e la gioia del buon operaio: «Mangiare una buona minestra fumante sotto il chiarore della lampada di casa, (…) tra gli spintoni dei figli magnifici: ecco ciò che essi non conobbero mai. Non così il grande avventuriero, il padre di famiglia. Ci siamo giunti, finalmente».

Fuori dal pensiero del Tempio
Il padre, tutta un’altra cultura. Concezione, opera e presenza. Che attrae nel proprio vertice ogni fatto – e i fatti son testardi e solo dai fatti viene la salvezza. Non è questa la buona novella cui Giussani chiedeva di partecipare? Non è un fatto quello che accade in questa sera di primavera a Milano? C’è tanta gente al Rosetum, come ce ne era tanta in Galilea, personaggi soli, dolorosi pieni di amore che non sapevano comunicare e pieni di voglia di vero che non sapevano incontrare. Fino a quel giorno in cui Lo avevano incontrato. E dal momento in cui aveva fatto effrazione nella loro storia erano diventati tanti, tanti dietro ai dodici che lo avevano seguito.

I personaggi della Buona Novella, la gente del Vangelo, si era coinvolta perché non coinvolgersi non era proprio possibile. Protagonisti insospettabili, che non trovavano spazio o voce tra i pensatori del Tempio, ma che dietro di Lui, con le loro lordure e sozzure, avrebbero rappresento quel residuo di mondo che cambiava il mondo, dove un’incalzante positività era vincitrice in qualunque caso. Non erano capaci che di una piccola speranza, la sola, inconfessata, nascosta speranza che accadesse qualcosa, che avvenisse un’avventura che non solo valesse la pena di essere vissuta nell’istante, ma che desse senso e ragione a tutti gli altri istanti, che vengono prima e che verranno dopo.

C’era gente in Galilea, e c’è gente al Rosetum dove Grimoldi legge Véronique (1910), e molti quel passo lo avevano già ascoltato – ed erano diventati anch’essi padri, uomini, da che avevano avuto il presentimento del vero che spingeva gli apostoli a remare verso l’altra riva – ma Grimoldi vuole rileggerlo tutto perché è in queste pagine che vive il temuto nemico dell’intellettuale moderno, che ha sede lo scontro tra cultura della morte e della vita: «C’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moderno: è il padre di famiglia. (…) Tutto è sapientemente organizzato contro di lui. Tutto si rivolta e congiura contro di lui. Gli uomini, i fatti; l’accadere, la società; tutto il congegno automatico delle leggi economiche. Tutto è contro il capo famiglia, contro il padre di famiglia; e di conseguenza contro la famiglia stessa, contro la vita di famiglia. Solo lui è letteralmente coinvolto nel mondo, nel secolo. Solo lui è letteralmente un avventuriero, attraversa un’avventura (…). Bisognoso di aiuto, di tutto, bisognoso di Dio, uno che segue, che deve seguire, chiedere, imparare tutto. Un padre figlio, un padre che ha bisogno di padre; del Padre. Di Dio. Perché Dio stesso è padre. Più padre di ogni altro padre». Una paternità invincibile che da oltre duemila anni attrae nel proprio vertice ogni fatto.

Tre cose scomode
«La preoccupazione più grande per noi dev’essere questa: che con semplicità di parole l’esperienza del Mistero torni tra la folla, tra la gente-gente. Essere nel groviglio umano l’unico punto di intelligenza. Essere lì come chi dica a ciascuno, qualunque cosa stia facendo o dicendo o scrivendo: “Tu cosa c’entri con questo?”», così Giussani a Libero, il 22 agosto 2002.

Cosa c’entra il padre di Péguy, quel Padre che è «paternità carnale che oltrepassa e trascende il vincolo biologico, che non si compiace di sé ma vive per i figli» con i padri e con i figli in quella sala di Milano, con la paternità di padre Marco, il frate che ha fatto del Rosetum un presidio culturale vivissimo in un quartiere che invece delle statue di Cattelan guarda il bronzo di padre Pio; con quella di Cesana, già guida per migliaia di famiglie della fraternità di Cl; con quella di Grimoldi, che nel mondo sempre più neutro, piallato e frastornato della scuola insegna tre cose tra le mille imparate da Péguy sul padre. Tre cose scomode, figlie del padre e non del mondo moderno.

La prima riguarda la libertà: «Ma cosa sarebbe una salvezza che non fosse libera? – immagina si chieda Dio nel Mistero dei santi innocenti –. Tale è il mistero, tale è il segreto, tale è il valore di ogni libertà. Questa libertà di questa creatura è il più bel riflesso che ci sia nel mondo della libertà del Creatore».
La seconda riguarda la speranza, difficile rischiosa e inconfessata speranza, poiché per sperare, scrive Péguy nel Portico del mistero della seconda virtù, bisogna aver ricevuto una grande grazia: «Un uomo aveva due figli. Di tutte le parole di Dio è quella che ha destato l’eco più profonda. (…) È la sola che il peccatore non ha mai fatto tacere nel suo cuore. (…) Tiene l’uomo per il cuore».
La terza riguarda la giustizia: «In cosa, come, perché una pecora vale novantanove pecore. E soprattutto perché è giustamente quella che s’è smarrita, che era perita, che vale giustamente le novantanove altre, le novantanove che non s’erano smarrite (…) è quella pecora, è quel peccatore, è quel penitente, è quell’anima. Che Dio, che Gesù riporta sulle spalle, abbandonando le altre».

Gente di una certa razza
«Grande sovrano! Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della divinità». È il brano del Racconto dell’Anticristo di Solov’ëv, una pietra miliare del Movimento, di quella gente presente in sala riunita – non perché la pensa nello stesso modo, ma perché, direbbe Péguy, appartiene a una certa razza – a ricordare la buona notizia, l’incredibile avventura del Padre stesso che si trova a dover dipendere da colui che è amato, «singolare avventura per la quale io, Dio, ho legate le braccia per l’eternità, singolare avventura con la quale mio Figlio mi ha legato le braccia». È sempre con Il portico del mistero della seconda virtù che Grimoldi chiude l’incontro.
Quale cristiana umiliazione, quale umiliazione di santo: chi ama viene a dipendere da chi è amato. E sulla Croce il Mistero è diventato uomo per ogni uomo che c’è in questo mondo ieri, oggi, domani. A quel tempo in Galilea, al tempo di Péguy, al tempo nostro che Cesana invita a ravvivare ancora una prossima volta, rileggendo proprio Solov’ëv.
E così uomini, donne, a brigate a coppie o soli, escono dal piccolo presidio antimoderno del Rosetum, spinti oggi come allora dal presentimento del vero, di una notizia lieta, così che qualcuno alla finestra possa domandarsi sempre cosa ci sia di così allegro in questo maledetto paese.



LEGGI IL BRANO COMPLETO DI VERONIQUE
http://www.tempi.it/a-cento-anni-dalla-morte-di-charles-peguy-rileggetevi-cosa-scriveva-sul-padre-di-famiglia-il-vero-avventuriero#.VxtNKvmLSM8



QUELLA DOMANDA CRUCIALE CHE ACCOMUNAVA PAPA MONTINI A GIUSSANI


Articolo tratto dall’Osservatore romano – 22 aprile 2016

Susciterà ricordi. Innescherà dibattitiGioventù studentesca. Storia di un movimento cattolico dalla ricostruzione alla contestazione di Marta Busani (in libreria dal 30 aprile per i tipi di Studium) è un libro che lascerà segni significativi nella storiografia del cattolicesimo nella seconda metà del Novecento perché, superando tanta memorialistica e altrettanta libellistica, documenti alla mano, colloca la storia di un’esperienza giovanile tanto importante quanto criticata, nell’ampio quadro ecclesiologico che caratterizza il xx secolo, dall’uscita dalla guerra mondiale alle grandi trasformazioni sociali e culturali che radicano nel Sessantotto italiano.


E soprattutto inquadra la nascita dell’esperienza ecclesiale che darà origine al movimento di Comunione e Liberazione, all’interno delle dinamiche e dei fermenti che hanno caratterizzato la diocesi milanese guidata da Giovanni Battista Montini. Storia diocesana, dunque, almeno in radice. Storia di multiformità, di sedimentazioni, di piani paralleli e poi di intrecci. Storia di uomini, di sacerdoti e vescovi, di giovani poi emersi nei decenni successivi come protagonisti in campi differenti. Storia di un’idea, di una sfida, di una visione che ruota intorno alla multiforme e spesso ambigua idea di modernità.
Giovinezza e scuola, cultura e fede, relazioni e politica: Marta Busani ripercorre con minuzia straordinaria, documento dopo documento, il formarsi e il trasformarsi di un’intuizione tutta ambrosiana, che all’ombra del grande episcopato di Giovanni Battista Montini, si è andata evolvendo e diffondendo fino a conquistarsi un’autonomia significativa, non pacifica, sempre esposta alla critica.

Giovanni Battista Montini e don Luigi Giussani: due figure che meriterebbero un’indagine incrociata, perché le innegabili diversità, generazionali e culturali, a un’attenta e onesta lettura lasciano trasparire consonanze inattese, preoccupazioni comuni, linguaggi carichi di parole condivise come quel “senso religioso” che diverrà una delle chiavi montiniane che nelle mani di Giussani aprirà porte che altrimenti sarebbero rimaste chiuse e lasciate in balia di una modernità atrofizzante e di una trascendenza anoressica. Il tutto legato da una passione per la gioventù — anzi, per la giovinezza — come terreno straordinario e fertile per l’incontro appassionato con Gesù Cristo.
Storia milanese, si diceva, in cui il tema dei grandi cambiamenti culturali e l’imporsi quasi ideologico della modernità, diviene l’orizzonte di riferimento, la domanda cruciale. Come far sopravvivere un’esperienza di fede in questo clima nuovo? E soprattutto: come non perdere i giovanissimi al contatto con l’aria destrutturatrice delle mode, degli insegnamenti, dei comportamenti e degli stili di vita?

Domanda tutta montiniana, cui don Giussani, chiamato dall’arcivescovo a occuparsi di una porzione giovanile di Azione cattolica, offrirà via via risposte nuove e in qualche caso dirompenti.
Il libro della Busani è innanzitutto un libro di storia in cui, accanto al dispiegarsi delle idee e dei metodi, con chiarezza vengono ricostruite le dinamiche e le posizioni. Nomi e cognomi, detti e contraddetti, in un quasi quotidiano dispiegarsi di posizioni, accuse e difese, scelte e loro contraccolpi, in un viavai appassionante di fatti che raccontano il formarsi storico dell’esperienza di Gioventù studentesca. Un libro, insomma, che serve per comprendere. Non per giudicare.
Si delineano così le relazioni con l’Azione cattolica, il difficile rapporto con la Fuci nel momento in cui Gioventù studentesca sbarca nell’università, le diffidenze dei parroci. Anche in questo caso con un alternarsi di consonanze e strappi, che danno il senso della complessità evolutiva dell’opera di Giussani. Amici e nemici, tutti animati da indiscutibile passione. Ma è la storia a decretare ragioni e torti, prospettive ed errori di prospettiva, nei rispettivi campi.
Così, se «la prima Gioventù studentesca — sorta nel contesto milanese intorno alla figura di Giancarlo Brasca — rappresenta un tentativo di tradurre anche in Italia quell’idea che era stata all’origine della Jeunesse Étudiante Chrétienne francese e belga, motivata dalla necessità di una presenza dell’Azione cattolica all’interno della scuola, con un carattere più specifico rispetto all’apostolato parrocchiale» come scrive Edoardo Bressan nell’introduzione al volume, «la proposta di don Giussani appare subito incentrata sulla libertà dell’adesione dei giovani e sulla sintonia con il loro vissuto personale, senza la quale l’annuncio cristiano, in una società secolare, non può essere più inteso».

La storia conduce — con un susseguirsi di esperienze, non ultima quella della caritativa nella Bassa e nelle periferie e quella ancor più importante della missionarietà in Brasile — alla nascita di Comunione e Liberazione e alle trasformazioni di tutta l’esperienza maturata in un quindicennio, in vero e proprio movimento ecclesiale.

Siamo nel cuore del Sessantotto. La storia si fa per taluni versi drammatica e passa dalla porta stretta delle lacerazioni, degli abbandoni, delle fascinazioni provenienti dal nuovo clima culturale e dalla contestazione. Storia dolorosa che, proprio nel momento in cui si fa lacerante — scrive l’autrice — «il travaglio di quegli anni, dovuto al tentativo di ridefinire i contenuti della propria autocoscienza e il proprio posto nella Chiesa in un momento di grande tensione nei rapporti con gli organi direttivi dell’Azione Cattolica ambrosiana», vede l’allontanamento imposto dal cardinale Colombo di Giussani da Gioventù studentesca.
In tale travaglio, tra separazioni e fedeltà, maturano le premesse della nascita, nel 1969, del movimento di Comunione e Liberazione. «Questi fatti furono decisivi perché ingenerarono nei responsabili laici di Gioventù studentesca un processo di ripensamento della propria storia che li portò, in un cammino lento e a tratti confuso, verso la presa di coscienza di essere un movimento nuovo nella Chiesa».


Nomi e cognomi, fatti, idee, scelte. Tutto è narrato con fedeltà assoluta al documento e con passione autentica. «Fugacità e preziosità»: questo il mistero del tempo passato secondo Montini di «Coscienza universitaria». Il resto è ricordo, rimpianto, in qualche caso risentimento, che poco hanno a che fare con la storia.

foto Ansa

NELLA MIA GUERRA CONTRO LA FALSITA' .....

WHY NOT?/ SALADINO: 10 ANNI E UNA VITA DISTRUTTA
venerdì 22 aprile 2016


"E' finito un incubo. Glielo assicuro, un autentico incubo. Ma è durato dieci anni e la mia famiglia, mia moglie, i miei figli, io stesso lo abbiamo pagato caro, sia per questioni di lavoro sia per motivi di salute". Se non ce lo ricordasse Tonino Saladino, la vicenda di cui è stato involontario protagonista bisognerebbe andare a ripescarla su internet, nelle biblioteche, tra le scartoffie delle cancellerie di tribunale. 

CHI E' TONINO SALADINO (da un articolo di www.vietatoparlare.it)
... ho letto tre giornali sul caso di Antonio Saladino presidente della Compagnia delle Opere, referente della stessa per il sud, ci sono state intercettazioni telefoniche, Saladino sembra che abbia conoscenze un pò dovunque , anche in ambiente politico ed abbia cercato di sfruttare queste conoscenze per la Compagnia delle Opere. Pensate che la Compagnia delle Opere nel sud ed in tutta italia è cresciuta ed è diventata importante … e già la cosa è sospetta. Pensate che Saladino per raggiungere gli obiettivi sociali della CDO aveva rapporti con politici di destra e di sinistra e cercava pure di avere appalti pubblici!!! Da quello che ho letto al momento non emerge nulla non solo di illegale ma neanche di amorale. Solo che la CDO è cresciuta ed aveva molti amici che credevano nelle sue finalità.  Posso aggiungere che l’inchiesta si chiama "Why not"….e questo la dice lunga sulla confusione, il pregiudizio ideologico  ed il sospetto che l’anima…sinceramente non ho capito quali siano i fatti…le ipotesi di reato, perchè mi sembra che di questo si occupi la magistratura,… o no?

Gli italiani hanno digerito tante di quelle vicende giudiziarie, complicate e intricate, in questi anni, che difficilmente si possono ricostruire e anche solo ricordarle tutte. Infatti, a un giovane che oggi ha vent'anni, l'ex magistrato Luigi de Magistris può sembrare solo un combattivo sindaco di Napoli, un neo-Masaniello che si batte contro l'arroganza di Matteo Renzi, in una città che non appare in grande salute e con un futuro roseo. Che ne può sapere, un ventenne, di quell'ex magistrato, che aprì due inchieste quando era pubblico ministero di Catanzaro? Chi può ricordare subito, solo citando "Poseidone" e "Why not", il nome di quelle inchieste che fecero scalpore per mesi e furono pompate in modo scandaloso da una parte della stampa e della televisione italiana? A Salerno c'era la "coda velenosa" di quelle inchieste. Si trattava in pratica di decidere se "Poseidone" e "Why not" fossero state sottratte a de Magistris sulla base di una sorta di "complotto massonico". Il risultato, la sentenza è stata una dura delusione per l'ex magistrato, per molti giornalisti presenti, soprattutto per quelli che hanno creato, lanciato e innalzato de Magistris al ruolo di vittima di "poteri oscuri", facendolo comunque diventare il nuovo Masaniello napoletano.

Il risultato quale è stato, Saladino?
C'è stata l'assoluzione di tutti noi imputati, siamo rimasti in sei dopo dieci anni, e la motivazione è che "il fatto non sussiste". Il lavoro dei giudici è stato preciso, puntuale, molto corretto. Una sentenza, quest'ultima, che ha smontato del tutto il cosiddetto complotto.

E alla fine lei è uscito definitivamente da questo incubo, dopo le altre assoluzioni.
Ma a quale prezzo! E mi rendo conto adesso di che cosa significhi esattamente entrare nel tunnel di una simile situazione, dove sei accusato di tutto, dove ti difendi con tutta la forza che ti resta e spesso, se non confidando nella solidarietà degli amici, ti senti solo, fragile, vulnerabile. Adesso, dopo la sentenza di Salerno, hanno ricominciato a telefonarmi a casa diverse persone. Prima evidentemente si erano dimenticate il mio numero.

E lei, anche se è rimasto travolto dalle due inchieste e da tutta la vicenda, orchestrata dai media, è fuori, ce l'ha fatta. Altri purtroppo non sono riusciti a superare quei momenti. 
E' vero. Alcuni non hanno retto, non ce l'hanno fatta, sono morti, si sono lasciati morire, sono rimasti soli e amareggiati. Questa giustizia che alla fine si dimostra corretta e rimette a posto le cose, non riesce in ogni caso a ridarti la serenità di dieci anni di vita vissuti nell'angoscia e con un disagio esistenziale che è difficile descrivere. Dieci anni di vita perduti.

Lei era un dirigente di spicco della Compagnia delle Opere in Calabria. Era riuscito a portare lavoro, aveva l'entusiasmo di chi vuole creare iniziative e l'orgoglio di riscattare, nei limiti del possibile, la situazione del suo Sud.
Avrei dovuto leggere prima quello che aveva scritto Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il significato di una sua bella frase è praticamente questo: a sud è meglio restare immobili, non fare nulla. Altrimenti si riesce a scatenare solo invidia.

Certo che il meccanismo usato in "Why not" ricorda il tritacarne di tante inchieste giudiziarie all'italiana. Arriva il "canarino" pentito e usato, la grancassa dei media, il protagonismo dei pm italiani, che sono gli unici magistrati al mondo che hanno tanto potere. Alla fine uno si ritrova stritolato e non sa più dove girarsi. E naturalmente viene pure accusato di aver messo in crisi le realtà di cui ha fatto parte, come la Compagnia delle Opere. Oppure compromette i contatti normali che ha avuto con uomini politici. Nell'inchiesta di "Why not" è finito, tra gli altri, pure Clemente Mastella e quella stessa inchiesta ha contribuito a mettere in crisi un governo.
Tutto vero, tutto da far rabbrividire. E poi il pensiero che ritorna continuamente alle cose fatte, alle occasioni che sono andate sprecate, al lavoro che ti è mancato, alla fatica di reinventarsi una vita di fronte alla tua famiglia che soffre. E puoi metterti a querelare a destra e a manca. Non c'è niente che ti ripaga dopo aver passato una simile vicenda.

Alla fine quello che sta meglio, dopo l'inferno che è stato scatenato in Calabria dieci anni fa, è di fatto l'attuale sindaco di Napoli Luigi de Magistris. Fuori dalla magistratura, ma primo cittadino a Palazzo san Giacomo. Proprio un'esemplare storia italiana di questi tempi.
Non ho più voglia di fare commenti. Ora sono soddisfatto per la correttezza dei giudici di Salerno.

Incredibile che in questo paese si resti ormai soddisfatti perché i magistrati si comportano correttamente. Che altro dovrebbero fare? Si potrebbe commentare che ci sarebbe da stupirsi per lo stupore. Ben tornato Saladino.
Grazie.

(Gianluigi Da Rold)

venerdì 22 aprile 2016
ilsussidiarionet

NOTA AMARA

Che ne sarà ora della affermazione:
 «CARO Direttore, leggendo in questi giorni i giornali sono stato invaso da un dolore indicibile nel vedere cosa abbiamo fatto della grazia che abbiamo ricevuto. Se il movimento di Comunione e Liberazione è continuamente identificato con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo averlo dato. »   




mercoledì 13 aprile 2016

PER I CRISTIANI PERSEGUITATI

ONLUS ORIZZONTI CESENA

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NAZARAT 2016 CES - 20apr -
Ti invitiamo a questa iniziativa di preghiera per i cristiani perseguitati in tutto il mondo che a partire dal 20 aprile p.v. si svolgerà il GIORNO 20 DI OGNI MESE.
La preghiera vuole essere un segno di vicinanza a tutti coloro che subiscono persecuzioni e discriminazioni a causa del loro credo religioso in particolare ai cristiani che nell'ultimo periodo sono stati vittime di attacchi violenti in molte parti del mondo.


"AIUTO ALLA CHIESA CHE SOFFRE" pubblica ogni anno un rapporto sulla libertà religiosa che puoi trovare qui.
Associazione Orizzonti Onlus
Subborgo F. Comandini 106/4
47521 Cesena FC

0547.25117 www.orizzonti.org

martedì 12 aprile 2016

IL NOVELLO ROBESPIERRE


Grande intervento di Andrea Cangini
GIÀ il fatto di riferirsi alla magistratura come a un «potere» dello Stato denuncia una torsione, una forzatura o, come usa dire, un «attentato alla Costituzione». L’articolo 104 dice infatti che la magistratura è «un ordine», non «un potere». Spacciandola per potere la si allinea a governo e parlamento, esibendo quella legittimità che in democrazia ha solo chi viene eletto dal popolo.
Ma è chiaro che il neopresidente dell’Anm, Piercamillo Davigo, si considera superiore a qualsivoglia premier.
Novello Robespierre, è mosso da impeto rivoluzionario. Sa che a parlar male dei politici l’applauso è sicuro, perciò non si risparmia. Ha rinfacciato a Renzi l’affondo sulle ferie dei magistrati, poi ha detto che «se i politici smettessero di rubare» il conflitto con i giudici si sanerebbe in radice.
Ad oltre vent’anni da Mani Pulite, oscilliamo ancora tra il «tutti lavativi» e il «tutti ladri». E mai che i capi dell’Anm sfruttino la carica per denunciare che negli ultimi 50 anni sono stati incarcerati 4 milioni di innocenti, che un quinto dei processi finisce prescritto, che in magistratura si fa carriera per meriti sindacali anziché professionali.
Meglio buttarla in politica, l’applauso è garantito.

Tratto da Il resto del Carlino

domenica 10 aprile 2016

ESSERE BRAVE PERSONE NON BASTA.


DAL BLOG DI LEONARDO LUGARESI



«Che dire poi del fatto che i più, a occhi chiusi, arrivano ad un tale odio [per il nome cristiano] che, pur rendendo a uno buona testimonianza, vi mescolano la condanna del nome?   "Brava persona Gaio Seio ... soltanto che è cristiano" (Bonus vir Gaius Seius, tantum quod Christianus). E un altro: "Io mi meraviglio che Lucio Tizio, che è un uomo così sapiente, a un tratto sia diventato cristiano" (Ego miror Lucium Titium, sapientem virum, repente factum Christianum). Nessuno si ferma a riflettere se Gaio è buono e Lucio è saggio proprio perché è cristiano o se è cristiano perché saggio e buono (Nemo retractat, ne ideo bonus Gaius et prudens Lucius, quia Christianus, aut ideo Christianus,  quia prudens et bonus)».
[Tertulliano, Apologeticum, 3,1]
In un mondo non cristiano, anzi ostile al cristianesimo, la testimonianza individuale delle virtù private dei cristiani non basta.
Non basta perché viene "sterilizzata" dal mondo. Non basta se non diventa "critica", cioè se non provoca gli altri a porsi la domanda che dice Tertulliano. Se non pone la questione del nesso tra i beni, di cui la vita del cristiano è segno, e il fatto di Cristo.

A questo, come magari vedremo meglio un'altra volta, si lega il fatto che la testimonianza cristiana è, per sua natura, sempre "pubblica".

sabato 9 aprile 2016

GRANDE INTERVISTA A JOHN WATERS, SULLA PERDITA DELLA TRASCENDENZA, LE PERVERSIONI IDEOLOGICHE DELLE LOBBY GAY E LA DIFESA DELLA VERITA' DELL'UOMO

MATRIMONI GAY WATERS NON HA DUBBI: “OBIETTIVO? CAMBIARE IL SIGNIFICATO DI FAMIGLIA E GENITORIALITÀ”

Intervista a John Waters, giornalista che nel 2015 si è opposto al referendum pro-matrimonio gay in Irlanda. Sui mutamenti prodotti dai matrimoni gay avverte: “L’obiettivo a lungo termine è quello di trasferire il ruolo di “genitore di diritto” dai genitori reali allo Stato”
di Carlo Mascio - 04/04/2016


Matrimonio egualitario, rivoluzione antropologica, omofobia, dinamiche totalitarie, crisi dei concetti tradizionali di famiglia e genitorialità. Sono solo alcune delle parole e delle espressioni che sono entrate prepotentemente nel dizionario del dibattito pubblico, ultimamente anche in Italia in seguito alle vicende legate all’introduzione delle Unioni Civili. John Waters è un giornalista irlandese noto per la sua ferma opposizione al referendum che nel 2015 ha fatto si che l’Irlanda divenisse il primo paese al mondo ad inserire nella Costituzione, per via referendaria, la parità tra matrimonio eterosessuale e quello omosessuale. Matchman News lo ha contattato per conoscere meglio la sua esperienza e analizzare in modo approfondito il variegato panorama delle questioni connesse ai matrimoni gay.
Mr. Waters, nel 2015 l’Irlanda è diventato il primo paese al mondo ad inserire nella Costituzione, per via referendaria, la parità tra matrimonio eterosessuale e quello omosessuale. Sappiamo che Lei si è battuto fortemente per impedire che questo potesse accadere. Ci può spiegare il motivo di fondo che l’ha spinta a scendere in campo?
I motivi erano tanti. Il più importante era l’idea che, equiparando costituzionalmente una coppia gay con quella tra un uomo e una donna, cioè padre e madre, l’emendamento serviva a dissolvere il significato di un concetto fondamentale come quello di “naturale”, com’è in effetti la capacità procreativa della coppia maschio/femmina. Sostenendo l’ «uguaglianza» per le relazioni omosessuali, la Costituzione irlandese non può più estendere la sua protezione alle relazioni genitori-figli basate sulla biologia, in quanto ciò può essere considerato discriminatorio nei confronti delle relazioni che, per loro natura, escludono la possibilità di genitorialità biologica per entrambi i partner. La modifica equivale quindi ad una negazione della natura e del microcosmo fondamentale della famiglia umana che risale agli inizi della specie. Ed è davvero così radicale. Ho anche deciso di combattere l’emendamento quando ho osservato la natura essenzialmente fascista della lobby gay in azione, rendendomi conto che in realtà questo movimento aveva raggiunto una comprensione profonda delle tecniche manipolative che, di fatto, hanno consentito di bypassare la democrazia.
Proprio per le sue posizioni contro il matrimonio gay lei è stato etichettato come “omofobo” e “bigotto” probabilmente anche da chi fino a poco tempo prima lavorava con lei. Raccontando brevemente la sua esperienza, ci può dire il perché di questa reazione violenta?
L’accusa di omofobia è stata mossa contro di me prima di tutto da una drag queen in televisione, senza alcuna prova. In seguito lei ha ritirato l’accusa e poi l’ha riproposta, anche se nulla di nuovo fosse effettivamente accaduto. In gran parte, tutto questo è dovuto al fatto che sono cattolico, e, grazie a questa circostanza, ho potuto sperimentare il paradosso di essere accusato di bigottismo da persone che, nel fare ciò, esercitavano e mostravano il proprio bigottismo. In realtà, anche se io sono un cattolico, la mia obiezione alla ridefinizione del matrimonio non è derivata principalmente dalla dottrina cattolica, bensì è il risultato della mia esperienza come sostenitore dei diritti dei padri e dei figli. Ma niente di tutto questo è stato preso in considerazione, dato che l’intero establishment dei media in Irlanda si era trasformato in un vero linciaggio, andando continuamente alla ricerca di persone da accusare di bigottismo, sia che l’accusa fosse fondata sia che essa non lo fosse. La reazione dei miei cosiddetti colleghi giornalisti sarebbe stata scioccante per me se non fossi stato a conoscenza già da tempo della grottesca corruzione ideologica che infetta praticamente tutto il giornalismo moderno, situazione che peggiora sempre di più  a causa della concorrenza del web. Ho constatato questo anche prima, anzi proprio dal momento in cui ho iniziato a scrivere di paternità, ormai quasi 20 anni fa. È una storia molto lunga, che spero di raccontare in modo più appropriato in un libro di prossima pubblicazione.
Nel corso della conferenza che ha tenuto a Roma lo scorso 4 marzo per la Fondazione Magna Carta, lei ha affermato: “Le lobby gay sono gestite da soggetti invisibili che progettano qualcosa di più radicale: no i diritti dei gay o diritti umani, bensì togliere i diritti ai padri e alle madri”. Perché questi “soggetti invisibili” hanno questo obiettivo? In sostanza, se a “guadagnarci” non sono le famiglie, i padri e le madri e nemmeno i gay, allora tutto questo va a vantaggio di chi?
In realtà, l’aspetto che ho voluto sottolineare è che le campagne sul matrimonio gay sono solo un elemento di un quadro molto più ampio, che è essenzialmente quello di cambiare la natura stessa e il significato dei concetti di “famiglia” e “genitorialità”. Ho spiegato le origini di questa ideologia, facendo riferimento alla Scuola di Francoforte, che ha cercato di reinventare il marxismo come arma culturale volta a regolamentare i rapporti umani, la famiglia e la genitorialità. In ogni caso, possiamo notare un elemento importante: le stesse categorie di attivisti sono coinvolte in una serie di questioni diverse ma tra loro strettamente collegate, questioni che sono vagamente classificate come “libertà”, quali aborto, matrimonio gay, maternità surrogata, ecc.  In un certo senso, il matrimonio gay altro non è se non l’ariete che viene utilizzato per demolire i modelli normativi e quanto viene dato per scontato.
L’obiettivo a lungo termine è quello di trasferire il ruolo di “genitore di diritto” dai genitori reali allo Stato, al quale poi sarebbe consentito di “riallocare” i bambini ad altri adulti, più o meno a suo piacimento. Se tutto questo appare inverosimile, vorrei semplicemente chiedere alle persone di riflettere a partire da quando hanno iniziato a considerare il matrimonio gay come un evidente diritto “umano” e “civile”. Oppure,  inviterei a guardare il loro giornale “liberale” preferito ed eseguire un controllo, analizzando a partire da quale momento questo ha effettivamente cominciato a pubblicare articoli sul matrimonio gay. La maggior parte delle persone rimarranno molto sorprese dal risultato di tale indagine.

CARDINALE SARAH: NON POSSIAMO LASCIARE L'UOMO SENZA UNA STRADA SICURA

Intervista al Cardinale Sarah di  Lorenza Formicola  L’Occidentale

“'Sono la Via, la Verità, e la Vita'. È questo che è stabile. È questo che io cerco di testimoniare”. L'Occidentale ospita una intervista al Cardinale Robert Sarah, uomo dalla fede ardente, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, e autore del libro "Dio o niente".


Il Cardinale Burke, tempo fa ha detto: “Se per fondamentalista si intende qualcuno che insiste sulle cose fondamentali, sono un fondamentalista.” Rispondeva ad una provocazione data la sua nota e ripetuta opposizione a ogni mutamento della prassi pastorale in discussione al Sinodo. Si sente di sposare questo stesso sentire?

Papa Benedetto XVI ha sottolineato senza sosta il problema della dittatura del relativismo. Oggi tutto è possibile. Non abbiamo più radici. Niente di stabile. Eppure noi una Dottrina stabile l’abbiamo, abbiamo una Rivelazione.  Far sì che la gente torni alle radici delle cose, della Rivelazione è un dovere per noi Vescovi. Non possiamo lasciare la gente senza una strada sicura. Senza una roccia su cui appoggiarsi. Nella parrocchia la roccia su cui appoggiarsi è il parroco, nella diocesi è il Vescovo, nella Chiesa universale, è il Papa. E noi cerchiamo di aiutare il Santo Padre ad assicurare la gente che una stabilità esiste. Che c’è una strada. E la strada è Gesù Cristo. Lo ha detto chiaramente: “Sono la Via, la Verità, e la Vita”. È questo che è stabile. È questo che io cerco di testimoniare. Abbiamo davvero una roccia, abbiamo una strada, abbiamo una Verità che ci salva. È inutile spostarsi da lì.

Quindi è anche lei un “fondamentalista”, nel senso che ha attribuito Burke al termine?

Sì, sicuramente. (Sorride di gusto)

La parola ‘fondamentalismo’ è ormai associata all’islam. Tema che ha invaso le nostre conversazioni quotidiane. L’islam identifica il mondo politico e quello religioso, convinto che solo il potere politico possa moralizzare l’umanità. Qui si rende manifesta tutta la differenza e la novità del cristianesimo, il cui Dio non è il Re di un banale regno temporale. In quest’ottica, non è forse vero, quanto diceva, quando era ancora Cardinale, il Papa Emerito? “Nella pratica politica il relativismo è il benvenuto perché ci vaccina della tentazione utopistica”. La Chiesa Cattolica del 2016 ha conservato questo stesso atteggiamento nei confronti della politica, oppure è convinta che in fondo, il Paradiso in terra si possa sempre realizzare?

Penso che dall’inizio noi dobbiamo dividere l’uomo. Separare cioè la sua identità propria e il suo lavoro, la sua politica. Non dobbiamo mischiare la religione con la politica. Però, allo stesso tempo, l’uomo è uno. Non puoi essere un cristiano in chiesa, e fuori un’altra persona. E come dunque radicare il Vangelo nel mio operare, nella politica, nell’economia? Questo è il problema fondamentale. Perché se divido, cosa succede? Sono un cristiano in chiesa, ma un passo fuori dalla chiesa e il mio comportamento è da pagano, da uomo che non crede a niente. Un uomo che crede solo nel suo avere, nel potere. Ma la vera fede opera nella carità.  La vera fede si manifesta nella carità, cioè nella concretezza delle azioni. E dunque penso che il problema stia tutto nell’essere ‘cristiani veramente veri’ nell’attualità, nell’economia nella politica, nell’arte, nella cultura, nella vita familiare. È impossibile dire sono cristiano e poi non mi sposo in chiesa, per esempio. (Sorride). È difficile dire sono un cristiano però non vado a messa. L’esser cristiano deve riflettersi per forza nella vita pratica. E ognuno di noi è immerso nella società. Dobbiamo vedere nella nostra vita il Vangelo. C’è una trasparenza che deve vedersi nella vita quotidiana, e questo è la vera cristianità.