giovedì 16 giugno 2016

IL CARDINALE CHE DIFFONDEVA E GARANTIVA CERTEZZA



Il libro “Ubi fides ibi libertas. Scritti in onore di Giacomo Biffi” (Ed. Cantagalli, pag. 350, € 18) è stato presentato ieri a Bologna nella Biblioteca dell'Archiginnasio. Il libro è composto da una serie di scritti, tra cui quelli di Papa Francesco, Benedetto XVI, Angelo Bagnasco, Angelo Scola, Carlo Caffarra, Matteo Maria Zuppi, Luigi Bettazzi, Giorgio Guazzaloca, Marcello Pera, Luigi Giussani. A un anno dalla morte dell'indimenticabile “italiano cardinale”, per gentile concessione dell'editore, proponiamo ai lettori della “Nuova Bussola” un estratto del contributo al libro di Giuliano Ferrara, già Direttore del quotidiano “Il Foglio”. 

«...Come memorialista e critico letterario, nelle Memorie di un italiano cardinale o negli scritti su Collodi e sul Risorgimento, Biffi seppe essere witty, seppe fecondare con lo humour del suo occhio scrutatore e del suo spirito di grandissimo moralista un discorso anche pubblico sull’incontro e sul conflitto tra cristianesimo e modernità. Si occupò con trasparenza, figlio di un papa Giovanni, di un Paolo, di due Giovanni Paolo e di un Benedetto, del profilo laico, ma sanamente laico, della politica e della storia contemporanea....

Disse che Cristo negli anni della predicazione era ricco e amico di ricchi. Che il dubbio è parte costitutiva della persona umana (a dubitare ci arrivo da solo, aggiungeva) ma la funzione della Chiesa è diffondere, elaborare, garantire certezza. Che l’anticristo di Solovev era un pacifista, un vegetariano pieno di buoni sentimenti. Che nessuna ecologia è credibile se non parta dall’abbraccio a una visione intransigente di ciò che è difesa della vita. Che essere chiamati integralisti, per i cattolici seri, può equivalere a essere chiamati cristiani. Ebbe parole di fuoco sacro contro la demolizione della fede dall’interno, intesa come costrizione dei semplici a diventare cattolici adulti. Derise i falsi profeti non di sventura ma di serenità e di ore tranquille imminenti. Gli attentati alla libertà di giudizio cominciano dal linguaggio, disse, e così chiosò la prevalenza del politicamente corretto. Si scatenò con bonaria ferocia contro coloro che a forza di comprensione e dialogo non riuscivano più a denunciare l’intossicazione della fede cristiana e del suo sostrato di cultura e di civiltà.

Ma tutto questo, e molto, moltissimo altro ancora, non era mai disgiunto da una benevolenza vera verso le persone, verso gli erranti, verso coloro che potevano essere censurati con la nota vivacità ma sempre restavano, e non solo nel loro cuore ma nel cuore di Biffi che li segnava a dito, uomini di Dio. Non era un pedante, non voleva una Chiesa prescrittiva e moralistica nel senso della teologia morale ormai ossificata, ma assertoria e sicura di sé nel suo magistero di umanità e di divinità. Nelle conversazioni con l’emerito era spettacolare la sua irruenza, la sua secchezza chiara e distinta nell’eliminazione dell’equivoco, non meno della sua carezzevole sicurezza del fatto che nella Chiesa si ama e si è amati in un modo speciale, tutto proprio, il che naturalmente rendeva effervescente e a suo modo santa, per uno come me che stava fuori dalla Chiesa in senso tecnico, la vitalità di idee e di sentimenti che si godeva intra muros.

Biffi parlava della Madonna con un fondo lacrimale che non stingeva le linee diritte del discorso, e considerava la fede come la quintessenza che qualcuno doveva pur alchemicamente distillare, compito non bigotto ma umanistico, non mistico ma di razionalismo cristiano. Con i razionalisti immanentisti, negatori di ogni possibile trascendenza, aveva nulla da spartire. Con chi credeva nella possibilità della fede e nella Rivelazione come origine del mondo cristiano, come notizia, come scrittura e sacra doctrina, sapeva tenere il timone della discussione su una rotta appunto laica e sempre risonante di idee storiche, di atteggiamenti non fideisti.

Insomma, il Cardinale esercitava una paternità indicibilmente autorevole, dava un senso liturgico, inteso come convocazione continua del creato di fronte al mistero del suo essere creato, anche alle polemiche del basso mondo. E finì con quella splendida predicazione degli Esercizi Spirituali, sentendo e facendo sentire alla corte teologico-papale di Benedetto XVI la voce immensamente allegra e annunciatrice dei cherubini. Un testo di tale bellezza, estroversione, e caratura letteraria, che mi sembrò giusto, opportuno, pubblicarlo su un piccolo giornale quotidiano, di cui portavo la responsabilità, come testamento di un prete pieno di immaginazione, di obbedienza, di fede e di amore del mondo nel senso in cui il mondo può essere amato da un principe della Chiesa. Pubblicarlo integralmente, certo, e forse anche integristicamente».


Giuliano Ferrara

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