lunedì 13 giugno 2016

L’ORRENDO BUNGA BUNGA DI REPUBBLICA SUL CAV.


Non gli è riuscito di sbatterlo in galera e di abbattere il profilo minimalista e colossale di un tizio che li surclassa da vent’anni. E ora lo sbaffo. Frustrazione e grettezza delle lorprimefirme di Repubblica di fronte al cuore di Berlusconi

di Giuliano Ferrara | 11 Giugno 2016

Uno sbaffo di merda è dire poco. Le pagine enfatiche e lungodegenti dedicate da Repubblica all’infarto di Berlusconi, alla sua valvola cardiaca, sono da manuale. L’operazione non è priva di rischi: ma va? La convalescenza sarà lunga: ma va? Il medico suggerisce riposo invece che campagne elettorali e stress: ma va? Domande e ipotesi compiaciute, miste a rancori mai sopiti, impaginazioni e previsioni che si risvegliano in un’ora di tramonto e di pena per i loro avversari, un’ora di rivincita e di sollievo per tutti loro.


Le penne al veleno di questi vent’anni, cronisti commentatori e titolisti, sono emblemi di frustrazione e di grettezza. Campeggia la voglia di dichiararlo morto in anticipo sui tempi. Di registrarne la sterilità: niente eredi, niente di fatto, zero risultati, una canna secca. Di raccontare la faida intorno al capezzale del rincoglionito che adesso si è pure sentito male. Di cominciare a deridere le ambizioni all’eredità politica, inventate, di questo nulla. Non dirò grandezza, quella è proprio fuori della portata, ma un elementare spirito civile, un senso del tempo se non della storia, una resipiscenza consapevole al di là della faziosità da cani che latrano la voce dei loro padroni, questo è quello che manca. E per ragioni forti, che lo spirito inconsapevolmente iettatorio, bugiardo e villano di quelle pagine definisce alla perfezione.

Lorfirmaioli di Repubblica sanno benissimo come stanno le cose. Non gli è riuscito di sbatterlo in galera. Non gli è riuscito di abbattere il profilo insieme minimalista e colossale di un tizio che li ha surclassati per oltre vent’anni e che li fa adombrare anche nella sua estrema vecchiaia, nella sua debolezza, nella malattia, e con tenacia li mostra nudi di umanità minima, di sapienza politica, di capacità di racconto, di ironia, che poi sarebbe il loro mestiere.

Questi eroi del bunga bunga mentale, estremi onanisti della critica e dell’interpretazione da caserma dei fatti della vita, si accostano con malagrazia a notizie cliniche che sperano fatali, non sanno stabilire il confine tra una vita che li ha beffati, che li ha selvaggiamente esclusi dalla comprensione della società e della politica, problema pubblico e privato di una generazione di cervelli all’ammasso, e la morte che ci riguarda tutti, che invoca naturalmente, con misura, con saggezza, il registro della pietà e di una nuova, definitiva,  intelligenza delle cose sottratta al nostro comune precariato mentale e corporale.

Peggio. La beffa ha proposto l’eredità politica, linguistica e culturale non a destra, dove lorprimefirme cercano l’introvabile e lo sanno, ma a sinistra; e non tra vecchioni impalatabili ma tra scout giovanissimi, strane figure di un paese cambiato da Berlusconi e riplasmato dalla sua sfrenatezza e libertà. Renzi è stata la Nemesi, l’articolo 18 che ha sancito il modo curioso e tortuoso di affermarsi della verità politica in Italia. L’esperimento è in corso. E’ una filiazione, lo sanno tutti ma non hanno il coraggio di dirlo che a tratti, solo per motivi polemici e quando decisamente obbligati a farlo dalle circostanze. La sinistra è uscita modificata, e geneticamente, da vent’anni di scontro all’arma bianca con il berlusconismo. Molto più di quanto la destra, che non è mai esistita se non nell’impersonificazione del Cav., sia oggi evidentemente frantumata e dispersa. La stessa tribuna, Repubblica, su cui si è spalmato lo sbaffo di ieri, è venuta a compromesso, tra mille incertezze e tremolamenti, con il nuovo regime che allude ogni giorno a quello vecchio, e alle mille panzane retrograde di questi finti utopisti: l’uomo solo al comando, il mercato come trascinatore dei posti di lavoro e dell’innovazione tecnica, la comunicazione politica svelta, non legnosa, rischiosa, magari brutta ma efficace, una certa libertà di tono che era sempre mancata da queste parti.

I pettegoli del cerchio magico, eredi dei guardoni del comune senso del pudore, scrittori dell’osceno che è nel privato di tutte le persone voluttuosamente perbeniste, si sono ritrovati l’incubo, la berlusconizzazione universale, in casa loro, in redazione, nella proprietà editoriale, nella direzione, e lo esorcizzano adesso con pagine di piccola abiezione maniacale, in cui trapela un istinto mortuario alimentato dalla deludente prestazione in vita. Non riescono proprio a tirarsi fuori dalla pozza afferrandosi per i capelli, operazione principesca, baronale, difficile ma che ogni persona che sia in sé per una volta ha tentato nella vita. Delusi da una vita spericolata e luccicante, che non sarà mai la loro, tristi nella dimensione ombelicale dei loro interessi parapolitici, affondano nel risentimento, nella cattiva coscienza, nella maldicenza come necessità di stile, come seconda pelle.


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