sabato 29 ottobre 2016

FRANCESCO E LUTERO

“In Svezia voglio avvicinarmi ai miei fratelli. La vicinanza fa bene a tutti."
Pubblicata da ‘La Civiltà Cattolica’, l’intervista di Francesco a padre Ulf Jonsson, direttore della rivista dei gesuiti svedesi ‘Signum’
28 OTTOBRE 2016 tratto da Zenit

 “Avvicinarmi”. Sintetizza in una parola, Francesco, le sue speranze e aspettative per l’imminente viaggio in Svezia, dove parteciperà alla Commemorazione ecumenica dei 500 anni della Riforma organizzata da Federazione Luterana Mondiale e Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. “La mia speranza e la mia attesa sono quelle di avvicinarmi di più ai miei fratelli e alle mie sorelle in Svezia”, confida il Pontefice nella lunga e corposa intervista diffusa oggi da La Civiltà Cattolica. Suo interlocutore non è il direttore padre Antonio Spadaro – seppur presente al colloquio – bensì Ulf Jonsson S.I., direttore della rivista culturale dei gesuiti svedesi Signum, che spiega: “Pensavo che un’intervista fosse il modo migliore per preparare il Paese al messaggio che il Pontefice avrebbe indirizzato alla gente durante la sua visita”.
La distanza ci fa ammalare
Un messaggio di “vicinanza”, appunto, perché “la vicinanza fa bene a tutti. La distanza invece ci fa ammalare”, afferma il Papa. “Quando ci allontaniamo, ci chiudiamo dentro noi stessi e diventiamo monadi, incapaci di incontrarci. Ci facciamo prendere dalle paure. Bisogna imparare a trascendersi per incontrare gli altri. Se non lo facciamo, anche noi cristiani ci ammaliamo di divisione”. 
Parlare, pregare, lavorare insieme. Proselitismo è peccaminoso
Per questo il Pontefice incoraggia al dialogo – che “chiaramente spetta ai teologi” per poter studiare e superare i problemi, in primis quello della intercomunione – spostando il focus, o meglio “l’entusiasmo”, sulla preghiera comune e le opere di misericordia. Quindi sul “lavoro fatto insieme nell’aiuto agli ammalati, ai poveri, ai carcerati”. “Fare qualcosa insieme è una forma alta ed efficace di dialogo”, afferma infatti il Santo Padre, “è importante lavorare insieme e non settariamente”, perché “fare proselitismo nel campo ecclesiale è peccato”. Come ripeteva spesso Benedetto XVI “la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione”. Quindi “il proselitismo è un atteggiamento peccaminoso: sarebbe come trasformare la Chiesa in una organizzazione. Parlare, pregare, lavorare insieme, questo è il cammino che dobbiamo fare”.
Il demonio nemico dell’unità. Esiste un ecumenismo del sangue
“Nell’unità, infatti, quello che non sbaglia mai è il nemico, il demonio. Quando i cristiani sono perseguitati e uccisi – rimarca il Papa – lo sono perché sono cristiani e non perché sono luterani, calvinisti, anglicani, cattolici o ortodossi. Esiste un ecumenismo del sangue”. Lo si vede ai giorni nostri, basti pensare agli ortodossi o ai martiri copti uccisi Libia, dice il Pontefice. Per questo è necessario “pregare insieme, lavorare insieme e comprendere l’ecumenismo del sangue”.
Lutero ha messo la Parola di Dio nelle mani del popolo
Inoltre, attraverso il dialogo ecumenico, le differenti comunità possono arricchirsi reciprocamente con il meglio delle loro tradizioni. Ad esempio, secondo il Papa, la Chiesa cattolica dalla tradizione luterana può approfondire due cose fondamentali che sono “riforma” e “Scrittura”.“Riforma” perché “all’inizio quello di Lutero era un gesto di riforma in un momento difficile per la Chiesa”. Egli “voleva porre un rimedio a una situazione complessa. Poi questo gesto – anche a causa di situazioni politiche, pensiamo anche al cuius regio eius religio – è diventato uno ‘stato’ di separazione, e non un ‘processo’ di riforma di tutta la Chiesa, che invece è fondamentale, perché la Chiesa è semper reformanda“. “Scrittura”, perché “Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo”. 


A Nizza, strage in nome di Dio: “Quell’uomo uno squilibrato!”
Nell’intervista il Papa ricorda anche l’incontro interreligioso di settembre ad Assisi, organizzato da Sant’Egidio. Un incontro “molto rispettoso e senza sincretismo”, dice, durante il quale “tutti insieme abbiamo parlato della pace e abbiamo chiesto la pace”, perché “le religioni davvero vogliono”. “Non si può fare la guerra in nome della religione, di Dio: è una bestemmia, è satanico”, ribadisce il Papa. Cita quindi la strage di Nizza (nel giorno dell’intervista il Pontefice aveva ricevuto circa 400 familiari delle vittime dell’attacco ndr): “Quel pazzo che ha commesso quella strage lo ha fatto credendo di farlo in nome di Dio. Pover’uomo, era uno squilibrato! Con carità possiamo dire che era uno squilibrato che ha cercato di usare una giustificazione nel nome di Dio. Per questo l’incontro di Assisi è molto importante”.
Terrorismo delle chiacchiere: la lingua sviluppa un fuoco di male
Come già in altre occasioni, il Papa denuncia anche l’altra forma di terrorismo: quello delle chiacchiere, “un terrorismo interno e sotterraneo che è un vizio difficile da estirpare”, “una forma di violenza profonda che tutti abbiamo a disposizione nell’anima e che richiede una conversione profonda”.  Esso è un terrorismo “difficile da domare”, spiega Francesco, perché “tutti possiamo metterlo in atto. Ogni persona è capace di diventare terrorista anche semplicemente usando la lingua. Non parlo delle liti che si fanno apertamente, come le guerre. Parlo di un terrorismo subdolo, nascosto, che si fa buttando parole come ‘bombe’, e che fa molto male. La radice di questo terrorismo è nel peccato originale, ed è una forma di criminalità. È un modo per guadagnare spazio per sé distruggendo l’altro”.  Per contrastare tale tentazione è necessaria “una profonda conversione del cuore”. Perché “la spada uccide tante persone, ma ne uccide più la lingua” che “può sviluppare un fuoco di male e incendiare tutta la nostra vita”. 
Idolatrie sono falsa religione
Parimenti velenose sono, per il Papa, le “idolatrie” alla base di una religione: “soldi, inimicizie, spazio superiore al tempo, cupidigia della territorialità dello spazio”. Tutto ciò è “una trascendenza immanente”, cioè “una contraddizione”. Le vere religioni, sottolinea infatti il Santo Padre, sono “lo sviluppo della capacità che ha l’uomo di trascendersi verso l’assoluto”, insieme “alla ricerca della verità, della bellezza, della bontà e dell’unità”. Quando manca questa apertura “non c’è trascendenza, non c’è vera religione”, ma solo idolatria, una “finta religione”. 
Sono allergico a parlare di spazi, ma dalle periferie le cose si vedono meglio che dal centro
Idolatria è anche quella “della conquista dello spazio, del dominio, che attacca le religioni come un virus maligno” afferma Francesco. Per questo non gradisce domande del tipo: “Dove la Chiesa cattolica avrà le sue comunità più vive nei prossimi 20 anni?”. “Questa è una domanda legata allo spazio, alla geografia. Io ho allergia a parlare di spazi, ma dico sempre che dalle periferie si vedono le cose meglio che dal centro”, risponde. “La vivacità delle comunità ecclesiali non dipende dallo spazio, dalla geografia, ma dallo spirito. È vero che le Chiese giovani hanno uno spirito più fresco e, d’altra parte, ci sono Chiese invecchiate, Chiese un po’ addormentate, che sembrano essere interessate solamente a conservare il loro spazio. In questi casi non dico che manchi lo spirito: c’è, sì, ma è chiuso in una struttura, in un modo rigido, timoroso di perdere spazio”.
Svecchiare le Chiese con il dialogo tra giovani e anziani 
“Nelle Chiese di alcuni Paesi si vede proprio che manca freschezza”, osserva ancora il Vescovo di Roma. “In questo senso la freschezza delle periferie dà più posto allo spirito”; bisogna comunque “evitare gli effetti di un cattivo invecchiamento delle Chiese”. Per farlo bisogna puntare sulla “sfida” del rapporto tra giovani e anziani, perché “nei sogni degli anziani c’è la possibilità che i nostri giovani abbiano nuove visioni, abbiano nuovamente un futuro”. Invece le Chiese “a volte sono chiuse nei programmi, nelle programmazioni” che, per quanto necessari, non sono fonte di speranza. “La Chiesa giovane ringiovanisce di più quando i giovani parlano con gli anziani e quando gli anziani sanno sognare cose grandi, perché questo fa sì che i giovani profetizzino. Se i giovani non profetizzano, alla Chiesa manca l’aria”, assicura il Papa.
Medio Oriente terra di martiri. La donna sgozzata davanti al marito e ai figli
Al suo confratello confida pure la viva speranza di uno sviluppo più pacifico per i cristiani del Medio Oriente, oggi “terra di martiri”. “Io credo che il Signore non lascerà il suo popolo a se stesso, non lo abbandonerà”, afferma Papa Francesco. “Possiamo senza dubbio parlare di una Siria martire e martoriata. Voglio citare un ricordo personale che mi è rimasto nel cuore: a Lesbo ho incontrato un papà con due bambini. Lui mi ha detto che era tanto innamorato di sua moglie. Lui è musulmano e lei era cristiana. Quando sono venuti i terroristi, hanno voluto che lei si togliesse la croce, ma lei non ha voluto e loro l’hanno sgozzata davanti a suo marito e ai suoi figli. E lui mi continuava a dire: ‘Io l’amo tanto, l’amo tanto’. Sì, lei è una martire. Ma il cristiano sa che c’è speranza. Il sangue dei martiri è il seme dei cristiani: lo sappiamo da sempre”.
Quel pastore luterano che “ha fatto tanto bene alla mia vita”
Sempre frugando tra aneddoti e memorie, Papa Bergoglio ricorda tutte le situazioni e le persone che, in Argentina come a Roma, lo hanno avvicinato al mondo luterano. Quindi il suo collega, zio di una teologa luterana, che si sposò nella sede di calle Esmeralda quando lui aveva 17 anni, o quella volta che nella Facoltà di Teologia dei gesuiti a San Miguel, dove insegnava Teologia spirituale, invitò il suo omologo della vicina Facoltà di Teologia luterana, lo svedese Anders Ruuth, a tenere con lui lezioni di spiritualità.  “Era un momento davvero difficile per la mia anima – rammenta Francesco – io ho avuto molta fiducia in lui e gli ho aperto il mio cuore. Lui mi ha molto aiutato in quel momento. Poi è stato inviato in Brasile e quindi è tornato in Svezia”.  I due si rividero solo in un’altra occasione, ma il Pontefice lo ricorda ancora “con tanto affetto e riconoscenza” come “l’uomo che ha fatto tanto bene alla mia vita”.
Poi c’è stato il pastore della Chiesa di Danimarca, Albert Andersen, che adesso è negli Stati Uniti, che lo invitò in due occasioni a fare una predica ma con cui ebbe “una discussione molto forte a distanza” per delle dichiarazioni circa una legge sui problemi religiosi in Argentina. E ancora il pastore argentino David Calvo, della Iglesia Evangélica Luterana Unida, “anche lui una brava persona”; l’arcivescova primate della Chiesa di Svezia, Antje Jackelén, che “ha fatto un gran bel discorso” durante la sua visita ufficiale in Vaticano nel 2015; e il pastore “proprio bravo” della Chiesa luterana di Roma, dove – dice il Papa – “mi hanno molto colpito le domande che mi sono state fatte allora: quella del bambino e quella di una signora sulla intercomunione. Domande belle e profonde”. 
Contro l’ateismo solamente preghiera e testimonianza
Affrontando il tema della non credenza, specie in Svezia dove il 20% della popolazione si dichiara atea o agnostica, Papa Francesco spiega che quando una persona non crede in Dio “non si tratta di perdere qualcosa” ma “di non sviluppare adeguatamente una capacità di trascendenza”. “La strada della trascendenza dà posto a Dio, e in questo sono importanti anche i piccoli passi, persino quello da essere ateo ad essere agnostico”, dice. “Il problema è quando si è chiusi e si considera la propria vita perfetta in se stessa, e dunque chiusa in se stessa senza bisogno di una radicale trascendenza. Ma per aprire gli altri alla trascendenza non c’è bisogno di fare tante parole e discorsi. Chi vive la trascendenza è visibile: è una testimonianza vivente”. Bergoglio è convinto “che chi non crede o non cerca Dio forse non ha sentito l’inquietudine di una testimonianza. E questo è molto legato al benessere. L’inquietudine si trova difficilmente nel benessere. Per questo credo che contro l’ateismo, cioè contro la chiusura alla trascendenza, valgano davvero solamente la preghiera e la testimonianza”.
Non si può essere cattolici e settari
Sul ruolo dei cattolici in una cultura come quella svedese, il Papa esorta ad “una sana convivenza, dove ognuno può vivere la propria fede ed esprimere la propria testimonianza vivendo uno spirito aperto ed ecumenico”. “Non si può essere cattolici e settari”, sono “due parole in contraddizione”, afferma. Bisogna invece “tendere a stare insieme agli altri”.
Per questo all’inizio non era previsto di celebrare una Messa per i cattolici durante il viaggio: “Volevo insistere su una testimonianza ecumenica”, spiega Francesco. “Poi ho riflettuto bene sul mio ruolo di pastore di un gregge cattolico che arriverà anche da altri Paesi vicini, come la Norvegia e la Danimarca. Allora, rispondendo alla fervida richiesta della comunità cattolica, ho deciso di celebrare una Messa, allungando il viaggio di un giorno. Infatti volevo che la Messa fosse celebrata non nello stesso giorno e non nello stesso luogo dell’incontro ecumenico per evitare di confondere i piani. L’incontro ecumenico va preservato nel suo significato profondo secondo uno spirito di unità, che è il mio. Questo ha creato problemi organizzativi, lo so, perché sarò in Svezia anche nel giorno dei Santi, che qui a Roma è importante. Ma pur di evitare fraintendimenti, ho voluto che fosse così”.
Chi è Gesù per Bergoglio? “Colui che mi ha salvato e mi ha dato la grazia della vergogna”
L’ultima domanda è personale: “Chi è Gesù per Jorge Mario Bergoglio?”. “Gesù per me è Colui che mi ha guardato con misericordia e mi ha salvato”, risponde. “Gesù ha dato senso alla mia vita di qui sulla terra, e speranza per la vita futura. Con la misericordia mi ha guardato, mi ha preso, mi ha messo in strada… E mi ha dato una grazia importante: la grazia della vergogna”, che è “positiva” perché “ti fa agire, ti fa capire qual è il tuo posto, chi tu sei, impedendo ogni superbia e vanagloria”.


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