domenica 27 novembre 2016

FIDEL, IL LÍDER MAXIMO CHE HA PERSEGUITATO I CRISTIANI FINCHÉ HA POTUTO

Dietro gli incontri ufficiali con i Papi e le strette di mano, Fidel Castro è stato uno spietato tiranno anche con i cristiani

26 Novembre 2016

Roma. L’ultima volta che Fidel Castro ha incontrato il Papa risale a poco più di un anno fa. Era settembre e Francesco, prima di mettere piede negli Stati Uniti, aveva deciso di fare tappa a Cuba. Trenta minuti di colloquio a casa del dittatore in pensione, al termine della messa che era stata celebrata nella piazza della Rivoluzione dell’Avana. Il clima, raccontò Padre Federico Lombardi, all’epoca direttore della Sala stampa vaticana, era stato cordiale e informale. Francesco aveva donato a Fidel due libri di Alessandro Pronzato sull’umorismo e la fede, alcuni cd del gesuita Armando Llorente, morto nel 2010 e professore di Castro quando quest’ultimo aveva studiato dai gesuiti, una copia dell’enciclica Laudato Si' e una dell’esortazione Evangelii Gaudium. Da parte sua, l’anziano Líder Maximo in tuta Adidas aveva contraccambiato con il volume “Fidel e la religione”, di Frei Betto. Temi dell’incontro: difesa dell’ambiente e attualità.


Il Papa, nel suo primo discorso in terra cubana aveva espresso i suoi “sentimenti di speciale considerazione e rispetto a Fidel”. Mossa diplomatica e di cortesia e nulla di più, ma che aveva creato malumore tra le file dei dissidenti. Tre anni prima, nel 2012, fu Benedetto XVI a incontrare Fidel: nessuna visita a domicilio, ma un incontro in nunziatura. Castro chiese consiglio a Ratzinger su quali libri leggere per passare il tempo e in seguito al viaggio del Pontefice sull’isola caraibica, fu ripristinato il Venerdì Santo come festa civile.

Di certo, però, l’incontro rimasto nella storia è quello del 1998, quando Castro ancora tiranno incontrastato di Cuba accolse ai piedi della scaletta dell’aereo l’anziano Giovanni Paolo II, che a tutti i costi aveva voluto visitare l’isola della Revolución. La frase simbolo del viaggio fu quella pronunciata da Karol Wojtyla appena atterrato: “Possa Cuba aprirsi con tutte le sue magnifiche possibilità al mondo e possa il mondo aprirsi a Cuba”. Giovanni Paolo II aveva chiesto – oltre alla fine del pluridecennale embargo statunitense – più libertà per il popolo e per la chiesa. Fidel rispose ripristinando il Natale come festa civile e concedendo qualche spazio di manovra e azione alla chiesa, pur sotto il ferreo e mai messo in discussione controllo delle autorità statali. In tutte e tre le tappe, fondamentale è stato il contributo di cucitura e pazienza del cardinale Jaime Ortega y Alamino, arcivescovo dell’Avana e da pochi mesi a riposo per raggiunti limiti d’età. La sua strategia si è basata per oltre trent'anni nel dialogo con il governo, anche a costo di ricevere critiche dalla comunità cristiana in patria e all'estero. Il successo maggiore è stato l'accordo con gli Stati Uniti, propiziato anche dal ruolo silenzioso del cardinale Pietro Parolin, segretario di stato vaticano.

Ma dietro gli incontri ufficiali, i doni, gli abbracci e i calorosi saluti, la storia racconta di un dittatore spietato con le opposizioni e con i cristiani. Un anno fa, pochi giorni dopo il viaggio di Francesco sull’isola, AsiaNews, portale del Pontificio istituto missioni estere, pubblicò la lettera di un esule che aveva come unico fine quello di “parlare di una realtà diversa da quella che il mondo ha visto in questi giorni. Da essere umano libero, ho voglia di scrivere e dire quello che penso del regime comunista all’Avana e come cattolico, voglio dire quello che mi piacerebbe vedere nella chiesa cubana, come frutti che io spero da questa visita”.

“Perché non chiamare le cose con il loro nome, chiamando ‘dittatura’ il governo dell’Avana e chiedendo pubblicamente che esso garantisca ai cubani libertà e una vita senza persecuzioni e senza paura? Fa male vedere che lo stesso regime che si beffava (e si beffa) di Dio , la chiesa, i religiosi e le religiose, il Papa, abbia ricevuto Francesco fingendo di dare l’immagine di un governo rispettoso degli esseri umani e dei loro diritti. E quello che mi fa più male è sapere che esso non ha alcuna intenzione di cambiare”.

E a corroborare la tesi, si elencavano le schedature dei semplici fedeli che volevano partecipare agli incontri con il Pontefice (messa compresa), molti dei quali messi in stato di fermo (donne comprese) solo perché sospettati di essere contro il regime. Il timore era che si replicasse quanto avvenuto nel 1998, quando Giovanni Paolo II durante l’omelia pronunciata durante la messa all’Avana pronunciò tredici volte la parola “libertà”, con i fedeli che iniziarono a scandire – in forma ritmata – “Libertad! Libertad”.

QUARERE DEUM

"In base alla storia degli effetti del monachesimo possiamo dire che, nel grande sconvolgimento culturale prodotto dalla migrazione di popoli e dai nuovi ordini statali che stavano formandosi, i monasteri erano i luoghi in cui sopravvivevano i tesori della vecchia cultura e dove, in riferimento ad essi, veniva formata passo passo una nuova cultura.
Benedetto XVI al College des Bernrdins

Ma come avveniva questo? Quale era la motivazione delle persone che in questi luoghi si riunivano? Che intenzioni avevano? Come hanno vissuto?

 Innanzitutto e per prima cosa si deve dire, con molto realismo, che non era loro intenzione di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato.

La loro motivazione era molto più elementare.
Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio.

Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio.

Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile. Si dice che erano orientati in modo “escatologico”.


BENEDETTO XVI: College des Bernardins, Parigi, 12 settembre 2008

I DISSENSI NELLA CHIESA


 (De la musique avant toute chose)



Tira una brutta aria. Tempo di divisioni, il nostro, e non solo nella società civile, ma - quel che è assai più grave - anche nella chiesa. Fratture profonde, contrasti che si incattiviscono. Sbaglieremmo se pensassimo che quel che serve è uno sforzo di buona volontà per comporre i dissidi, trovare un compromesso e “andare d'accordo”. Non è questione di diplomazia ma di armonia, cioè di “musica”.
CHICAGO SIMPHONY ORCHESTRA
Lo dice chiaramente il nostro Origene: «Dobbiamo apprendere col massimo impegno la scienza dell'armonia (consonantiae disciplina), perché come in musica, se l'armonia delle corde sarà stata aggiustata in modo da suonare insieme (consonanter aptata) essa produrrà il dolce suono di un canto ben modulato; ma se c'è una qualche dissonanza nella lira, essa emette un suono sgradevolissimo e la dolcezza della melodia si corrompe: così, anche quelli che combattono per Dio, se hanno tra di loro dissensi e discordie, saranno in tutto sgraditi  e nulla di loro piacerà a Dio, anche se portano a termine molte guerre, e ammassano un grande bottino e gli offrono molti doni. [...] Dico anche qualcosa di più: se non sarai diventato capace di eliminare qualsiasi dissenso rispetto ai comandi di Dio e qualsiasi discrepanza dai precetti evangelici, tu non potrai vincere il nemico e non potrai superare l'avversario». [Origene, Omelie sui Numeri, 26,2]
Nella chiesa, il problema non è la molteplicità di voci, né la diversità dei ritmi, né l'ampiezza degli intervalli, né la varietà dei timbri. Il problema è l'accordatura di tutti e di ciascuno all'unica nota fondamentale, che è quella del Logos. Ciascuno dunque pensi alla propria, di intonazione: ascolti la nota del “canto del Logos”, la senta vibrare dentro di sé, registri se è in consonanza ... e solo allora canti.
Ripeto: il problema della chiesa è innanzitutto “musicale” (nel senso in cui i Padri intendono la musica). La cattiva musica che si fa tanto spesso nelle chiese durante la liturgia è soltanto l'epifenomeno di una sordità ben più profonda, di una mancanza di “armonia ecclesiale” che fa sentire i suoi effetti in tutta la vita della chiesa.

 leonardolugaresi.wordpress.com

NON C'È PACE SU AMORIS LAETITIA

Il Papa tace ma il neocardinale suo amico parla e accusa.
L’ARCIVESCOVO COLIN FARREL, prefetto del nuovo dicastero vaticano per i laici, la famiglia e la vita, appena promosso Cardinale, ha tirato una bordata violentissima contro uno dei suoi colleghi americani più rappresentativi, Charles J. Chaput, arcivescovo di Philadelphia e presidente, negli States, della commissione episcopale per l'applicazione di "Amoris laetitia.
E la bordata ha riguardato proprio questa controversa esortazione postsinodale, oggetto nei giorni scorsi di un clamoroso appello, fin qui inascoltato, di quattro cardinali al papa, perché sia fatta chiarezza sui suoi passaggi più ambigui e generatori di conflitti. "Io non condivido il senso di ciò che l'arcivescovo Chaput ha fatto", ha detto  il nuovo "capo” vaticano della pastorale della famiglia. "La Chiesa non può reagire chiudendo le porte ancor prima di ascoltare le circostanze e la gente. Non è così che si fa".

La principale "colpa" di Chaput, secondo Farrell, è di aver pubblicato all'inizio dell'estate per la sua diocesi di Philadelphia delle linee guida che tradirebbero le aperture di "Amoris laetitia", poiché non ammettono alla comunione i divorziati risposati tranne nel caso che vivano come fratello e sorella.
Quando invece secondo Farrell "dobbiamo cercare di trovare le vie per portarli alla piena comunione", seguendo gli insegnamenti di papa Francesco.

Inoltre, Farrell ha detto che invece di lasciare che ogni vescovo faccia nella sua diocesi ciò che ha fatto Chaput, si dovrebbe prima aspettare che l'intera conferenza episcopale di ciascuna nazione si riunisca a decidere una linea comune, senza più divisioni tra un vescovo e l'altro.
Vista l'asprezza dell'attacco, per di più "ad personam", il Catholic News Service ha chiesto a Chaput se voleva replicare. E gli ha inviato quattro domande scritte.
Prima però va aggiunto che in una parallela intervista al progressista "National Catholic Reporter" Farrel ha anche detto di non capire perché mai dei vescovi e dei cardinali pretendano dal papa chissà quali chiarimenti alle presunte oscurità di "Amoris laetitia".
"Io penso che il papa abbia già parlato", ha detto, riferendosi alla nota lettera nella quale Francesco ha approvato come unica giusta l'esegesi fatta dai vescovi argentini della regione di Buenos Aires, favorevole alla comunione ai divorziati risposati che vivono "more uxorio".

REPLICA ALL'INTERVISTA DEL CARDINALE FARRELL
di Charles J. Chaput, Arcivescovo di Philadelphia
D. – La commissione ad hoc di cui lei fa parte ha in programma una consultazione con l'intera conferenza episcopale degli Stati Uniti su come applicare "Amoris laetitia"?
Cattedrale di San Pietro e Paolo, Philadelphia
R. – L'ha già fatto. La commissione ha sollecitato riflessioni ed esperienze da parte dei vescovi di tutto il paese. Questo lavoro è stato completato qualche settimana fa. Il rapporto della commissione è stato presentato all'allora presidente della conferenza, l'arcivescovo Kurtz. Il cardinale DiNardo, come nuovo presidente, presumibilmente ne farà l'uso che lui e la dirigenza della conferenza troveranno appropriato.
D. – Perché ha ritenuto importante pubblicare nella sua arcidiocesi le linee guida pastorali che sono entrate in vigore il 1 luglio?
R. – Perché sia il documento finale del sinodo sia papa Francesco in "Amoris laetitia" hanno incoraggiato i vescovi di ciascun luogo a fare così. In realtà la domanda è un po' strana. Sarebbe molto più pertinente chiedere perché mai un vescovo dovrebbe ritardare l'interpretazione e l'applicazione di "Amoris laetitia" a beneficio del suo popolo. Su una materia così vitale come il matrimonio sacramentale, esitazioni e ambiguità non sono né sagge né caritatevoli.
Come si sa, sono stato delegato al sinodo del 2015 e poi eletto e confermato nel consiglio sinodale permanente. Ho quindi una familiarità con la materia e il suo contesto che il cardinale designato Farrell forse non ha.
"Amoris laetitia"  è stata pubblicata l'8 aprile. Le nostre linee guida erano già pronte il 1 giugno, dopo aver consultato il nostro consiglio presbiterale, il consiglio pastorale arcidiocesano, i vescovi ausiliari, la facoltà teologica del seminario e una varietà di liturgisti, canonisti e teologi, sia del laicato che del clero, i quali tutti hanno prodotto eccellenti riflessioni. Abbiamo aspettato fino al 1 luglio per completare una messa a punto finale. Altri vescovi hanno emesso le rispettive linee guida e le risposte adatte alle circostanze delle loro diocesi, che solo loro, in quanto vescovi del luogo, conoscono in reale profondità.
D. – Il cardinale designato Farrell ha detto a CNS che, a suo giudizio, sotto la guida del capitolo ottavo di "Amoris laetitia" un pastore non può dire a tutti i divorziati e civilmente risposati: sì, fai la comunione. Ma nemmeno può dire a tutti: no, la comunione non è possibile a meno che viviate come fratello e sorella. Come risponde a questa osservazione?
R. – Mi chiedo se il cardinale designato Farrell abbia davvero letto e compreso le linee guida di Philadelphia che sembra mettere in questione. Le linee guida mettono un chiaro accento sulla misericordia e la compassione. Ciò ha senso in quanto le circostanze individuali sono spesso complesse. La vita è complicata.  Ma misericordia e compassione non possono essere separate dalla verità e rimanere virtù autentiche.La Chiesa non può contraddire o aggirare la Scrittura e il suo stesso magistero senza invalidare la sua missione. Questo dovrebbe essere ovvio. Le parole di Gesù stesso sono molto dirette e radicali, in materia di divorzio.
D. – Ha qualche altro commento che desidererebbe fare?
R. – Penso che ciascun vescovo negli Stati Uniti provi una speciale fedeltà a papa Francesco come Santo Padre. Noi viviamo questa fedeltà facendo il lavoro al quale siamo stati ordinati come vescovi. Secondo il diritto canonico – per non dire secondo il senso comune – il governo di una diocesi appartiene al vescovo del luogo come successore degli apostoli, non a una conferenza, sebbene una conferenza di vescovi possa spesso offrire un valido spazio per la discussione. In quanto ex vescovo residenziale, il cardinale designato Farrell sicuramente lo sa. E questo rende i suoi commenti ancora più strani, alla luce del nostro impegno per una collegialità fraterna.

dal blog di Sandro Magister

mercoledì 23 novembre 2016

L'AFFETTO CHE CI STRAPPA DAL NULLA


TEMPI Novembre 22, 2016 Pietro Piccinini
GIANCARLO CESANA (foto Ansa)
Nell’epoca delle fragilità e dei desideri impazziti, ecco una proposta piena di ragione, verità e amicizia. La testimonianza di Giancarlo Cesana tra don Giussani e Freud


Non c’è bisogno di andare fino in America dove le università (sì, le università) stanno organizzando lezioni, incontri e “spazi sicuri” per dare sostegno psicologico agli studenti scioccati (sì, scioccati) dalla vittoria di Trump. Anche qui da noi, e da tempo, l’educazione mostra gravi segni della tendenza a ridursi a una sorta di guscio mentale protettivo contro l’impatto con la realtà. Basta osservare il moltiplicarsi nelle scuole italiane di corsi antibullismo, antistereotipi, antitutto, che spesso, non a caso, sono guidati da psicologi o esperti vari: più che una “guerra ai pregiudizi” ormai è una vera e propria guerra al giudizio. Cioè alla realtà. Ma è di questo che hanno bisogno i giovani? È di questo che abbiamo bisogno noi?

Ecco, in un contesto simile il libro di Giancarlo Cesana andrebbe tenuto fisso sul comodino. Insegnanti, genitori, educatori in genere, anche studenti, tutti dovrebbero averlo sempre a portata di mano. Perché Ed io che sono? (La Fontana di Siloe, 127 pagine, 10 euro) parla proprio di psicologia e di educazione, ma senza dare istruzioni per l’uso o suggerire formule magiche antiqualcosa, semplicemente restituendo entrambe le cose al loro ambito. E a entrambe il loro fascino. Cesana ha passato una vita su questi temi, sia per professione (è medico e psicologo) sia per passione (ha affiancato per oltre trent’anni don Luigi Giussani nella conduzione di Cl). Il libro perciò è anche una testimonianza. Soprattutto, è un libro strano perché si muove appunto “tra psicologia ed educazione”, come recita il sottotitolo, ma tutto ruota attorno al problema dell’affezione, l’affetto, l’energia che principalmente sostiene la vita dell’uomo, direbbe san Tommaso.

Un giudizio dell’intelligenza
È strano perché la preoccupazione di Cesana è spiegare la differenza tra psicologia ed educazione, una differenza che non conoscono più nemmeno gli insegnanti, eppure per farlo l’autore non smette mai di parlare di affezione. Forse perché è così grande la confusione affettiva sotto il cielo, che perfino una cosa naturale come educare ormai ci sembra essere un esercizio da psicologi.
E invece Cesana dice: sbagliato appaltare l’educazione agli esperti. Perché è sbagliato pensare che l’affetto, la vita, sia un problema psicologico.
L’affetto per Cesana – e qui arriva una delle definizioni spiazzanti che caratterizzano il suo approccio – «è un giudizio dell’intelligenza». L’amore non è un sentimento, non è una pulsione. È un giudizio. Un giudizio «carico di attaccamento all’altro, in quanto segno di un positivo per me». Ed è proprio «la divisione tra affezione e giudizio» l’origine della fragilità psicologica in cui siamo immersi. Infatti «tutte le patologie mentali», scrive Cesana, ultimamente «sono disturbi dell’affetto, ossia della capacità di attaccarsi e godere della realtà». E non a caso «il primo e reale rimedio al disagio psichico» è sempre un rapporto: «Senza transfert, senza affezione, non ci può essere una valida psicoterapia». E ancora: «Senza rapporto, senza essere voluto da un altro e volere un altro, l’Io non sussiste, non capisce il proprio significato».

lunedì 21 novembre 2016

IL PAPA E' VERAMENTE INFALLIBILE?

Da una conversazione di Benedetto XVI con Peter Seewald in Luce del mondo (pp. 22-26)


Per la Chiesa Cattolica il Papa è il Vicarius Christi, il rappresentante di Cristo in terra. Ma lei veramente può parlare a nome di Cristo?

Nell’annuncio della fede e nell’amministrazione dei sacramenti, ogni sacerdote parla e agisce su mandato di Gesù Cristo, per Gesù Cristo. Cristo ha affidato la sua Parola alla Chiesa. Questa Parola vive nella Chiesa. E se nel mio intimo accolgo e vivo la fede di questa Chiesa, se parlo e penso a partire da questa fede, allora quando annuncio Lui parlo per Lui, anche se nel dettaglio possono esserci delle insufficienze, delle debolezze. Quel che conta è che io non esponga le mie idee ma cerchi di pensare e vivere la fede della Chiesa, di agire su Suo mandato in modo obbediente.

Il Papa è veramente “infallibile”, nel senso in cui a volte lo presentano i mass media? E cioè un sovrano assoluto il cui pensiero e la cui volontà sono legge?

Questo è sbagliato. Il concetto dell’infallibilità è andato sviluppandosi nel corso dei secoli. Esso è nato di fronte alla questione se esistesse da qualche parte un ultimo organo, un ultimo grado che potesse decidere. Il Vaticano I – rifacendosi ad una lunga tradizione che risaliva alla cristianità primitiva –alla fine ha stabilito che quell’ultimo grado esiste. Non rimane tutto sospeso! In determinate circostanze e a determinate condizioni, il Papa può prendere decisioni in ultimo vincolanti grazie alle quali diviene chiaro che cosa è la fede della Chiesa. E cosa non è
Il che non significa che il Papa possa di continuo produrre “infallibilità”. Normalmente il Vescovo di Roma si comporta come qualsiasi altro vescovo che professa la propria fede, la annuncia ed è fedele alla Chiesa. Solo in determinate condizioni, quando la tradizione è chiara ed egli sa che in quel momento non agisce arbitrariamente, allora il papa può dire: “Questa determinata cosa è fede della Chiesa”. In questo senso il Concilio Vaticano II ha definito la facoltà della decisione ultima: affinché la fede potesse conservare il suo carattere vincolante.


Il ministero petrino – così Lei spiegava – garantisce la concordanza con la verità e la tradizione autentica. La comunione con il Papa è presupposto per una fede retta e per la libertà. Sant’Agostino aveva espresso questa idea così: dove c’è Pietro, c’è la Chiesa, e lì c’è anche Dio. Ma è un’espressione che viene da altri tempi, oggi non è più valida…

In realtà l’espressione non è formulata in questi termini e non è di Agostino, ma ora non è questo il punto. In ogni caso si tratta di un assioma anche della Chiesa Cattolica: dove c’è Pietro, c’è la Chiesa. Ovviamente il Papa può avere opinioni personali sbagliate. Ma come detto: quando parla come Pastore Supremo della Chiesa, nella consapevolezza della sua responsabilità, allora non esprime più la sua opinione, quello che gli passa per la mente in quel momento. In quel momento egli è consapevole della sua grande responsabilità e, al tempo stesso, della protezione del Signore; per cui egli non condurrà, con una siffatta decisione, la Chiesa nell’errore ma al contrario, garantirà la sua unione con il passato, il presente ed il futuro e soprattutto con il Signore. Questo è il nocciolo della faccenda e questo è quello che percepiscono anche altre comunità cristiane.

LA WATERLOO DEL GIORNALISMO


Al vertice della disinformazione Giovanna Botteri, Rai

 di Cesare Maffi  italia oggi


Lungo, lunghissimo è l'elenco di coloro che si mangiano le mani. La vittoria di Donald Trump lascia uno strascico di lacrimosi, di delusi, di frustrati, perfino d'increduli (fino alla certezza matematica della sconfitta di Hillary Clinton) che Belzebù potesse prevalere.
Bisognerebbe aprire la lista con i commentatori, titolati o improvvisati, di casa nostra, i quali per mesi hanno dipinto Trump come la quintessenza del male, dell'imbecillità, della sprovvedutezza, garantendo che avrebbe trionfato la dolce, brava, esperta futura prima presidente donna degli Stati Uniti.

Possiamo additare, come modello di questa enorme disinformazione partigiana e prevenuta, la corrispondente della Rai Giovanna Botteri. Ha in continuazione ritratto come uomo della vergogna il «miliardario», il «magnate», sfrontato e offensivo, cupo e torvo di fronte alla trionfante Hillary, per la quale sprecava encomi, con toni assurdamente enfatici esaltandola come nume tutelare di tutte le minoranze oppresse dai cattivi alla Trump. La sua propaganda, condotta a spese di chi paga il canone, le avrà prodotto un mal di fegato, come del resto a tutti gli analisti, i corrispondenti, gli esperti, gli americanisti, compatti nell'auspicare e nel prevedere (difficile distinguere i pronostici dagli auspici) il trionfo della Clinton.

Sovente tali annunci evitavano di approfondire l'analisi stato per stato, pur essendo i risultati determinati esclusivamente dal conto dei delegati. Il ruolo dei grandi elettori è stato finalmente esaminato soltanto negli ultimi giorni, anzi, da alcuni sprovveduti nelle ultime ore. Ovviamente fra i vinti figurano i sondaggisti, che hanno fornito sia dati con alternanze impossibili, sia travolgenti vittorie della Clinton, tanto complessive quanto in un sovrabbondante numero di stati.

Hanno così trionfato i silenti, quelli che ai sondaggi non rispondono ma poi votano: la vecchia maggioranza silenziosa. Se ne dolgono, adesso, i difensori di quelle tante minoranze che da noi ritengono debbano sempre essere tutelate a prescindere. Piangono perché si è affermata una minoranza che loro detestano: i bianchi incazzati (e poveri, va aggiunto). Infatti le lacrime più amare le versano i radical chic, i progressisti ricchi, sdegnati perché quelli che un tempo erano definiti proletari non votano democratico né negli Stati Uniti né in Italia. L'alta finanza ha votato per la Clinton e adesso si lamenta, come si vede dalle borse. Gli operai, invece, hanno votato per Trump: coloro che restano a bocca aperta di fronte a tale fenomeno sono gli stessi che non hanno mai capito come nell'Italia settentrionale il partito di maggioranza nelle fabbriche sia la Lega.

Ovviamente i quattro quinti della classe politica nostrana sono in lutto, partendo da Matteo Renzi, il quale più volte si è speso in ammirazioni per la Clinton, non si sa quanto produttivamente per il nostro Paese: se Trump avesse notato l'appoggio renziano, potrebbe perfino esserselo legato al dito. Piangono, come quelle signore che, intervistate da una Rai clintoniana di ferro, spiegavano che avrebbero votato per la Clinton «perché è donna». 
(...) Questa America ha confermato di non essere socialista, di non volere la politica sociale propagandata da Obama, di non apprezzare il buonismo così in voga presso i democratici americani (e italiani).

giovedì 17 novembre 2016

BURKE SPIEGA I DUBIA: "IN ATTO UNA DIVISIONE TREMENDA"

di Benedetta Frigerio

LA NUOVA BUSSOLA 17-11-2016



Dopo la pubblicazione dei cinque “dubia” (dubbi) avanzati da quattro cardinali al papa e relativi all’esortazione apostolica Amoris Laetita, uno di loro è intervenuto per sottolineare come la decisione grave, ma comunque ammessa dal diritto canonico, presa con sincero spirito filiale e amore alla Chiesa, deve essere vista come “un atto di carità, unità e preoccupazione pastorale, invece che come un’azione politica”. 

Sono le parole del National Chatolic Register che ieri ha intervistato il cardinale Raymond Burke, patrono del Sovrano militare ordine di Malta. “Sua Eminenza, cosa pensa di ottenere con questa iniziativa?”, gli ha domandato il giornalista Edward Pentin. “Solo una cosa – ha replicato il cardinale – ossia il bene della Chiesa. Ce ne sono molti altri certamente, ma questi cinque punti critici hanno a che fare con i princìpi morali immutabili. Perciò noi, come cardinali, abbiamo giudicato nostra responsabilità a richiedere un chiarimento relativo a tali questioni, in modo da porre fine a questa confusione dilagante che sta di fatto guidando le persone nell’errore”.

La mancanza di verità, infatti, sta producendo lacerazioni enormi. Basti pensare, ha proseguito Burke, che “i preti sono divisi fra loro, i preti dai vescovi, i vescovi fra loro. E’ in atto una divisione tremenda”.
L’ambiguità di fondo è contenuta nel capitolo ottavo dell’A.L., per cui ci sono direttive di alcune diocesi secondo cui i preti in confessionale possono, “se lo ritengono necessario, permettere a una persona che vive un’unione adultera, e che continua a viverla, di accedere ai sacramenti, mentre in altre diocesi, in accordo a quella che è sempre stata la pratica della Chiesa, un prete può dare questo permesso solo a chi prende il fermo proposito di pentimento e di vivere castamente”. Poi ha ricordato cosa dice il Vangelo sull’adulterio, per cui il matrimonio sarebbe messo in pericolo dalla prima prassi, la quale, se ammessa, nega o l’indissolubilità o il fatto che la Comunione è davvero il corpo di Cristo. Inoltre il punto non concerne solo la comunione ai divorziati, bensì l'esistenza di norme morali immutabili e di un male intrinseco e oggettivo di una determinata azione.

Brandmuller, Burke, Caffarra, Meisner
Perciò, a chi giudica politica l’azione dei cardinali, Burke ha ribadito rincarando che la risposta a questi dubbi deve essere pubblica perché molte persone dicono: “Siamo confuse e non capiamo perché i cardinali o qualche autorità non interviene per aiutarci”. E ancora: “Posso assicurare che conosco tutti i cardinali coinvolti e che questa decisione è stato intrapresa con il più grande senso di responsabilità come vescovi e cardinali. Ma è anche stata intrapresa con il massimo rispetto per il ministero petrino”. Infatti, riguardo all’idea del papa come un rivoluzionario che deve cambiare la Chiesa il cardinale ha chiarito che non è questa la funzione di Pietro, ma quella di difendere la dottrina servendo le verità di fede, così come sono state tramandate dalla Chiesa fin dai primi tempi.

A questo punto Pentin si è chiesto cosa possono fare da soli quattro cardinali e la risposta è stata: “La questione è la verità. Nel processo di san Tommaso Moro qualcuno gli ha detto che molti dei vescovi inglesi avevano accettato l’ordine del re e lui ha replicato che poteva anche essere vero, però il santo in cielo non accettò (…) anche fossimo stati uno, due o tre, se si tratta di una questione di verità essenziale alla salvezza delle anime, allora dove essere detta”. Il giornalista ha incalzato domandando a Burke chi bisogna seguire in caso di conflitto sulla verità della tradizione: la tradizione o l’autorità? Il cardinale ha risposto che “ciò che vincola è la tradizione. L’autorità della Chiesa esiste solo per servire la tradizione. Penso al passo di san Paolo nella lettera Galati (1, 8): “Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema”. Perciò, nel caso in cui un papa dicesse un’eresia, sarebbe "un dovere, come già accaduto storicamente, dei cardinali e dei vescovi chiarire che il papa sta insegnando una cosa errata e chiedergli di correggerla”.


Insiste Pentn: e se il Papa non rispondesse ai dubbi esposti? "Esiste, nella tradizione della Chiesa, la pratica della correzione del pontefice romano. Si tratta di qualcosa di molto raro ovviamente. Ma se non ci ricevessimo risposta ai dubbi, allora direi che dovremmo correggere con un atto formale un errore grave", ha concluso il porporato.

IN DIFESA DELL'ELETTORE "IGNORANTE"


di Peppino Zola

16-11-2016

Al direttore de “la nuova bussola”

ti scrivo, questa volta, per difendere, con convinzione, gli “ignoranti”, che, forse, coincidono con quel tipo umano che il grande Chesterton (avremmo tanto bisogno, oggi, di uno come lui) descriveva come “l’uomo comune”, cioè l’uomo dei problemi e della vita quotidiana, l’ uomo che preferisce la vita vera alle ideologie del momento. Oggi potremmo dire che l’uomo comune è quello lontano dal “pensiero unico”, che pretenderebbe di dominare incontrastato non solo sui nostri corpi, ma anche sulle nostre anime. E perché voglio difendere gli ignoranti? Perché sono sotto attacco e sotto vari profili.

Sono sotto attacco in Gran Bretagna, perché pare che siano stati loro a far vincere la Brexit. Gli “intelligenti” delle grandi città, quelli molto vicini al potere, quelli laureati, quelli che sanno tutto di banche e di finanza, quelli che scrivono sui giornaloni e che partecipano ai talk show televisivi, quelli che disegnano le vignette, erano sicuri di vincere ed, invece, gli ignoranti della campagna (che in democrazia contano come gli istruiti) li hanno fatti perdere. Gli istruiti, che, a sentir loro, dovrebbero sapere tutto, non si erano accorti che avrebbero perso. E, poverini, sono rimasti male. Qualcuno di loro ha cominciato a ragionare (anche ad alta voce) nel senso di dire che su certe materie dovrebbero decidere solo i laureati, quelli che ne sanno di più e non quei poveretti di ignoranti, su cui ricadono pesantemente le conseguenze negative delle decisioni degli intelligenti, i quali non avevano saputo (o non avevano voluto) vedere la situazione del popolo vero, non quello dei dibattiti. Gli ignoranti, molti dei quali, magari, credono ancora in Dio, nella importanza della famiglia, nella sacralità della vita, nel lavoro e nel sano divertimento, hanno deciso di dire basta a questa Europa burocratica, lontana, ideologica e dannosa per la vita quotidiana, così come avevano detto NO, in altri Paesi, ad una costituzione europea che disconosceva le sue origini giudaico-cristiane. Evviva gli ignoranti.

Essi, ora, sono sotto attacco un po’ in tutto il mondo perché hanno fatto in modo, negli USA, che non vincesse quella snob di Hillary, ma quel cafone di Donald. Anche in questo caso con grande sorpresa, a conferma che gli intelligenti non sanno più leggere la realtà, essendo totalmente autoreferenziali e, quindi, autopresuntuosi. Ora, quelli che studiano si stanno ribellando e non accettano il voto: ad uno di loro, intervistato in TV, ho sentito dire apertamente che Trump è stato votato solo da chi non ha studiato. E’ una tesi, questa, che sta mettendo in dubbio la legittimità del suffragio universale. Taluni, soprattutto molto ricchi, cominciano a sussurrare che sarebbe meglio il voto di pochi e non di tutto il popolo “ignorante”.

Caro direttore, Ti ringrazio di avere denunciato sul tuo bel giornale quanto detto pubblicamente dalla corrispondente RAI dagli USA, la quale si chiedeva come sia possibile che il popolo non segua quel che dicono loro i giornalisti, tutti pro Hillary. Probabilmente, molti tuoi colleghi si stanno montando la testa e vorrebbero che a votare fossero solo le redazioni dei loro giornali.

Mi sto chiedendo come sia stato possibile che si verificasse questo distacco enorme tra la classe dirigente ed il popolo vero, quello che comprende anche tante persone povere e “ignoranti”.

Penso che sia accaduto ciò che il mio grande maestro, il servo di Dio don Luigi Giussani, aveva tante volte paventato e cioè il venir meno dell’appartenenza dei capi al popolo reale. Solo tale appartenenza ci rende capaci di un giudizio realistico, nato da una esperienza. Sta venendo meno l’esperienza della comunità popolare e ciò rende tutto più difficile, compresa la vera comprensione delle esigenze e dei desideri dell’uomo comune, che viene dileggiato e calunniato, definendolo semplicisticamente “populista”. Ma forse la verità va cercata proprio in mezzo al popolo, ignoranti compresi.


mercoledì 16 novembre 2016

QUANTO SOFFRE IL “CORRIERE” (E CON LUI TUTTI I NOSTRI RADICAL CHIC)!


Dopo aver sepolto tutti i possibili candidati ministeriali di Trump sotto un cumulo di “ISMI
e di fobie (Razzismo, sessismo, omofobia, islamofobia ecc., quel “basket of deplorables” che secondo l’Arcivescovo Chaput ha condotto la Clinton alla sconfitta), il corrispondente del Corriere da NY raggiunge il massimo della stigmatizzazione politically correct  infierendo sul neurochirurgo Ben Carson candidato alla carica di ministro dell’istruzione.


Questo cronista interplanetario scrive che Carson si è candidato (udite! Udite!) “con un programma dirompente: riscoprire e valorizzare le «radici cristiane» nella storia americana; ridimensionare lo spazio dedicato all’Islam nei manuali scolastici; rimettere in causa la teoria dell’evoluzione o il Big bang; ridurre o abolire i fondi pubblici alle scuole che «coltivano pregiudizi anti americani”.

Questi progressisti sembrano aver dimenticato come argomentare in modo puntuale, e sono invece diventati esperti di condanna, derisione e scherno, ma bisogna avere comprensione per le sofferenze di questa elite sconfitta dal popolo,  e che non si capacita come sia possibile che tutto il sistema di idee e di vita incarnato e predicato dalla bella gente dell’elite liberal americana possa essere rigettato dalle masse bifolche del midwest nell’urna.
E’ la reazione al dissenso tipica delle chattering classes, le classi pensanti e ciarliere, i cui “pensatori di punta” pensano che il suffragio universale comincia a rappresentare un serio pericolo per la civiltà occidentale
Una volta Bertolt Brecht, in uno dei suoi rari momenti di perlessità, disse ironicamente, a proposito dei dirigenti comunisti della Germania Est che reprimevano la sollevazione popolare nel 1953, che il Partito ha deciso di sfiduciare il popolo e di nominarne uno nuovo.
Per nostra fortuna l’America non assomiglia ancora alla Germania Est.



MONS. CHAPUT ARCIVESCOVO DI FILADELFIA:I PROGRESSISTI AMANO LA COSTITUZIONE SOLO QUANDO E' A LORO VANTAGGIO

Filadelfia, Chaput sfida i liberal: Donald voce dell’America bistrattata
New York, 15 novembre 2016 - L’ONDA di proteste contro il neopresidente Trump scatena l’indignazione di chi nelle manifestazioni a oltranza coglie «il rischio di minare il processo democratico negli Stati Uniti». Il copyright è di monsignor Charles Chaput, arcivescovo di Filadelfia, cuore di quella Pennsylvania storica ‘terra promessa’ dei quaccheri che alle presidenziali ha voltato le spalle alla Clinton. Il francescano pellerossa, non certo ascrivibile fra i pochissimi bergogliani in seno all’episcopato Usa – netta la sua opposizione alla riforma della pastorale familiare –, è il primo vescovo a stelle e strisce a entrare pubblicamente a gamba tesa sulle contestazioni on the road dell’America liberal. 

Mons. Charles Chaput
Come si spiega queste manifestazioni infinite?
«C’è molto da criticare in idee, comportamenti personali e politiche di Trump, così come è per la Clinton. Tuttavia, lui ha vinto dell’elezioni aperte e regolari. Le proteste in corso, nella loro violenza e sete di vendetta, sono espressione dell’intolleranza tipica della cultura di sinistra Usa. Molti ‘progressisti’ sembrano amare la Costituzione degli Stati Uniti solo quando questa opera a loro vantaggio. Quando non lo fa o nel caso in cui perdano delle elezioni chiave, chi si oppone alle loro istanze diventa subito un nemico e un bigotto».

Anche in Europa sono tanti quelli spaventati dalle intenzioni del magnate: per esempio, il giro di vite sugli islamici non pensa che possa peggiorare una situazione già incandescente?
«Trump è un pragmatico, non un ideologo. Non può agire come un dittatore... Se perseguirà politiche estremiste, la sua presidenza sarà destinata al fallimento. In caso contrario, se vorrà farsi aiutare da validi consiglieri e li ascolterà, il suo mandato porterà alcuni buoni risultati per il Paese».

Il linguaggio del tycoon in campagna elettorale è stato più volte sopra le righe.
«Spesso è suonato eccessivo. Tuttavia, bisogna capire che le sue parole hanno rappresentato la profonda frustrazione di molti milioni di americani, tanti dei quali ben istruiti e intelligenti. La Clinton ha fatto un errore fatale nel descrivere i sostenitori del tycoon come ‘un branco di deplorevoli’. Questo tipo di approccio elitario ha spinto molte persone buone verso Trump, che almeno ha ascoltato le loro ansie e preoccupazioni».

Anche da presidente il tycoon ha rilanciato la proposta di di un muro anti-immigrati al confine col Messico. Ce n’è bisogno?
«Per me è un’idea stupida, e il solo pensiero che il Messico possa pagare la barriera è una sciocchezza. Ma è importante capire perché l’idea del muro abbia avuto così presa sulla popolazione. Non è solo l’espressione di un pregiudizio, anche se c’è parecchio di ciò e questo è amaramente doloroso per le minoranze. Molti statunitensi constatano che le leggi sull’immigrazione vengono ignorate e la loro sicurezza, i loro posti di lavoro, le loro opportunità stanno evaporando. Hanno davanti agli occhi anche l’agitazione dei migranti in Europa, e non vogliono che accada lo stesso negli Stati Uniti».
 (NOTA: la costruzione del muro è stata iniziata dav Clinton nel 1996 e ogni anno vengono espulsi migliaia di clandestini irregolari. obama ne ha espulsi più di tre milioni!)

Così il muro diventa un simbolo?
«Sì, incarna un desiderio di maggiore sicurezza e di rispetto dello Stato di diritto. Questo non la rende una buona idea, tutt’altro. Molte delle persone, che invocano la barriera, agiscono spinte da una preoccupazione non comprensibile».

Sul muro si è giocato lo scontro Papa-Trump. Francesco deve incontrare il neo presidente e capire il malessere degli statunitensi su islamici e migranti?
«Sono sicuro che il Pontefice e Trump s’incontreranno a tempo debito. Normalmente una conversazione faccia a faccia porta a una miglior comprensione fra le persone».

Che giudizio dà degli otto anni di presidenza Obama?
«Il suo mandato era iniziato con grandi promesse, ma si è chiuso con un sonoro fallimento. Tutta colpa della sua resistenza al compromesso, della sua testardaggine ideologica su aborto e sessualità e della sua disistima della libertà religiosa».


Tratto da ilrestodelcarlino

lunedì 14 novembre 2016

OGNUNO CASTIGA CHI AMA. (OVVERO: PERCHÉ SIAMO SUPERIORI AGLI ANIMALI)



«Dio non si muove a sdegno né per le scimmie, né per i topi; ma è vero invece che egli impone agli uomini un giudizio e una punizione, quando essi hanno trasgredito le tendenze naturali. Egli formula minacce a costoro per mezzo dei profeti, e per mezzo del Salvatore giunto a noi per il bene di tutta l'umanità, affinché quelli che intendono le minacce si convertano, e quelli che invece trascurano le esortazioni alla conversione paghino le pene commisurate all'errore. Ed è giusto che Dio, nella sua volontà di provvedere al bene dell'universo intero, infligga queste pene agli uomini che hanno bisogno di un trattamento e di una correzione di tal natura e di tale gravità» [Origene, Contro Celso, 4,99].
La mentalità animalista moderna è incantata dagli animali, per quanto sono belli e per quanto sono “giusti” ... Noi uomini, invece, facciamo schifo. Per questo, “vivano gli animali e muoia l'uomo!”. Origene, che è un genio, in due parole ci fa capire il nocciolo della questione e vaporizza questo pseudopensiero, seducente (anche perché comodo) ma falso.
È vero: gli animali sono belli, sono giusti e, se vogliamo metterla così, sono anche buoni. (Tutti, però: anche mosche, zanzare e ratti di fogna. Niente razzismi tipicamente “umani”).
Il punto è che lo sono perché non sono liberi. Sono perfetti perché sono ciò che devono essere, secondo natura, e non possono fare a meno di esserlo. Noi uomini no. Ma proprio in questo, e solo in questo, sta la nostra gloria, il nostro unico valore, l'unica cosa che è veramente solo nostra e di nessun altro: la libertà. Che è, ovviamente, libertà di scegliere il bene o il male; libertà quindi anche di sbagliare, anzi libertà di “essere sbagliati”. Come, di fatto, quasi sempre quasi tutti almeno un po' lo siamo: “un po' sbagliati”.
Il “correlativo oggettivo” della nostra libertà (se si può dire così) è l'ira di Dio. E qui c'è la seconda genialata di Origene, che ci spiega una cosa che dovrebbe essere evidente ma che oggi tutto sembra voler negare. Polemizzando con Celso che aveva sostenuto, appunto, che «l'uomo di fronte a Dio non è affatto diverso dalle formiche o dalle api» (4,83) e che «gli animali privi di ragione non soltanto sono più sapienti della natura umana, ma persino più cari a Dio» (4,97), Origene smonta tutto il suo lungo trattato sulle virtù zoologiche con questo semplice argomento: ok, va tutto bene, le api le formiche e gli elefanti ... ma Dio si adira solo con gli uomini! Questo è il nostro privilegio sugli animali, questo il titolo della nostra nobiltà, questa la prova che noi siamo creature speciali, potenzialmente figli di Dio.
Oggi il tema dell'ira divina è diventato scandaloso e improponibile e siamo ormai in tempi in cui – come diceva Chesterton, se non sbaglio – “chi dirà che l'erba è verde avrà la mano mozzata”, ma se c'è un'evidenza universale che tutti, ma proprio tutti, sono in grado di vedere guardando alla propria vita è questa: noi con chi ci arrabbiamo? Con quelli che amiamo, con quelli che per noi contano, quelli di cui ci importa. Nessuno si arrabbia per (e con) qualcuno di cui non gli importa nulla. C'è una diretta correlazione tra amore e ira: chi non ama non si adira. Chi ama poco si adira solo quando è in gioco quel poco che gli importa. Ma sempre l'amore si adira di fronte al male fatto (e patito) dall'amato.

Dio, che è amore infinito, come potrebbe non adirarsi per il male? Dunque Dio si adira. Il diavolo no.