lunedì 7 novembre 2016

MORTE ALL'UNTORE

Morte all’untore!


6 novembre



L'uomo nero del momento (per qualche giorno, s'intende) è padre Giovanni Cavalcoli, per via di qualcosa che si dice abbia detto in una sua trasmissione a Radio Maria. Nessuno di quelli che ne parlano, in effetti, sa che cosa egli abbia detto, ma non fa niente. Per ora è alla gogna.
Mi sono appena imbattuto in una pagina sulla rete in cui qualcuno mostra disprezzo e fa dell'ironia su padre Cavalcoli, citando tra l'altro un suo saggio teologico intitolato (risum teneatis!) «Sulla differenza tra l'anima dell'uomo e quella della donna».
E tutti a sghignazzare, con faccine e commenti (tipo: “ma perché, le donne hanno l'anima?”) ...
Ho dato un'occhiata all'articolo, che è reperibile in rete, e - giusto per far capire che cosa contiene effettivamente - ne riporto testualmente l'inizio: «Questa questione, irrilevante nel passato, è venuta sempre più alla ribalta della riflessione antropologica mano a mano che, sotto l'influsso della civilizzazione cristiana, si è posta sempre più in luce la dignità della persona umana, ed in particolare la personalità femminile ha dato prova di possedere, in certi campi dell'attività spirituale, delle qualità diverse e superiori a quelle dell'uomo, pur nella fondamentale partecipazione, con lui, della medesima natura umana».

C'è così tanto da ridere? Il senso dell'articolo di padre Cavalcoli, che è un teologo tomista, è quello di cercare di superare un limite della posizione di san Tommaso che «non si è posto questo problema» perché «al suo tempo [...] la diversità e la reciproca complementarità spirituale tra uomo e donna non erano apparse così in evidenza come oggi». Il suo tentativo può essere discutibile (anzi, lo è per definizione, come ogni saggio teologico) ma è del tutto rispettabile. E perciò dovrebbe essere rispettato. Chi non lo rispetta, smette di essere a sua volta rispettabile.
Due note a margine: 1) eclissi odierna dell'intelligenza, soprattutto negli "intelligenti" di professione; 2) O gran bontà dei cavalieri antichi! I Padri, ad esempio, spesso (non sempre, a dire il vero) polemizzavano molto meglio di noi, che di solito “facciamo l'altro scemo, per poi dire che è scemo”.

7 novembre
Devo ritornare sulla vicenda di padre Cavalcoli, che non sta in cima ai miei pensieri (e neanche particolarmente simpatico) perché vedo che anche nel suo caso si è verificata quella che ormai sta diventando una consolidata prassi ecclesiastica.
Quando un cristiano viene attaccato dal mondo, i “suoi” immmediatamente lo abbandonano, lo isolano e lo condannano; se proprio non lo lapidano, perlomeno si affrettano a manifestare solidarietà ai lapidatori. «Lui con noi non ha nulla a che fare»: questo è il messaggio. Non si aspetta di verificare le accuse, non si invita a distinguere e a comprendere bene che cosa il meschino abbia veramente detto o fatto, non si rivendica la parte di verità che anche in una posizione discutibile o erronea c'è quasi sempre, non si cercano, se errore c'è, né giustificazioni né attenuanti che, anch'esse, non mancano quasi mai. Soprattutto non si testimonia la cosa più importante: l'unità, la comunione che, tra cristiani, dovrebbe venire sempre prima di ogni eventuale presa di distanza (che pure talvolta è doverosa).
No, se il mondo prende di mira uno e grida: «Ha bestemmiato!», subito i suoi fratelli (è così che ci chiamiamo, non è vero?) si fanno da parte, lo lascino solo e dicono al mondo: «Sì ha bestemmiato. Ma è lui che ha bestemmiato, noi non c'entriamo. Non siamo come lui. Stiamo dalla tua parte».
Questo comportamento è stupido e cattivo. Cattivo, perché dal punto di vista morale, è lecito chiedersi se in questo modo di agire vi sia della ... com'è che si chiama? Non mi viene la parola, eppure ultimamente la si ripete tanto spesso ... ah, sì: misericordia. Per quanto mi sforzi, non ne vedo.
Ma almeno è “utile”? C'è dell'accortezza, sia pure un po' machiavellica? Beh, facendo così si accetta supinamente, anzi si contribuisce a far sì che sia il mondo a dettare le regole, e a stabilire che cosa è bene e che cosa è male; che cosa i cristiani possono e che cosa non possono dire; anzi, che cosa Dio stesso sia autorizzato a fare e che cosa non si può permettere di fare (per esempio, castigare). Se ci sia della lungimiranza, in tutto ciò, ciascuno lo valuti come crede. A me non pare.
Ma forse gli zelanti diranno che è sempre «meglio che muoia un uomo solo per il popolo e non perisca la nazione». È vero che è una frase del Vangelo, ma non ricordo che l'abbia detta Gesù. (Però io ho un'edizione vecchia, può darsi che adesso sia cambiato).

Giovanni, 11,45

*Molti giudei, che erano andati da Marita, constatando ciò che Gesù aveva fatto, credettero in lui. *Alcuni invece andarono dai farisei a raccontare l’accaduto. *Allora i capi dei sacerdoti e i farisei convocarono un consiglio. E dicevano: Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. *Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui, e verranno i romani e distruggeranno il tempio e la nostra nazione. *Uno di essi, chiamato Caifa, che i quell’anno occupava la carica di sommo sacerdote, disse loro: Voi non capite nulla, *non riflettete che è meglio che un uomo solo muoia per il popolo, piuttosto che correre il rischio che perisca tutta la nazione. 

Nessun commento:

Posta un commento