sabato 24 dicembre 2016

LA GIUSTA CHIAVE DI LETTURA DEL CONCILIO


DISCORSO DI SUA SANTITÀ 
BENEDETTO XVI
ALLA CURIA ROMANA IN OCCASIONE 
DELLA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI
Giovedì, 22 dicembre 2005

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!

(…) L'ultimo evento di quest’anno su cui vorrei soffermarmi in questa occasione è la celebrazione della conclusione del Concilio Vaticano II quarant'anni fa.


Tale memoria suscita la domanda: Qual è stato il risultato del Concilio? È stato recepito nel modo giusto? Che cosa, nella recezione del Concilio, è stato buono, che cosa insufficiente o sbagliato? Che cosa resta ancora da fare? Nessuno può negare che, in vaste parti della Chiesa, la recezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile, anche non volendo applicare a quanto è avvenuto in questi anni la descrizione che il grande dottore della Chiesa, san Basilio, fa della situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea: egli la paragona ad una battaglia navale nel buio della tempesta, dicendo fra l'altro: “Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede …” (De Spiritu Sancto, XXX, 77; PG 32, 213 A; SCh 17bis, pag. 524).

Emerge la domanda: Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione.
I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un'interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna.

Dall'altra parte c'è l'“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio.

In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito. In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margine per la domanda su come allora si definisca questo spirito e, di conseguenza, si concede spazio ad ogni estrosità. Con ciò, però, si fraintende in radice la natura di un Concilio come tale. In questo modo, esso viene considerato come una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve servire. I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso. I Vescovi, mediante il Sacramento che hanno ricevuto, sono fiduciari del dono del Signore. Sono “amministratori dei misteri di Dio” (1 Cor 4,1); come tali devono essere trovati “fedeli e saggi” (cfr Lc 12,41-48). Ciò significa che devono amministrare il dono del Signore in modo giusto, affinché non resti occultato in qualche nascondiglio, ma porti frutto e il Signore, alla fine, possa dire all'amministratore: “Poiché sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto” (cfr Mt 25,14-30; Lc 19,11-27). In queste parabole evangeliche si esprime la dinamica della fedeltà, che interessa nel servizio del Signore, e in esse si rende anche evidente, come in un Concilio dinamica e fedeltà debbano diventare una cosa sola.

All'ermeneutica della discontinuità si oppone l'ermeneutica della riforma, come l'hanno presentata dapprima Papa Giovanni XXIII nel suo discorso d'apertura del Concilio l'11 ottobre 1962 e poi Papa Paolo VI nel discorso di conclusione del 7 dicembre 1965.
Vorrei qui citare soltanto le parole ben note di Giovanni XXIII, in cui questa ermeneutica viene espressa inequivocabilmente quando dice che il Concilio “vuole trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti”, e continua: “Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell'antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell'opera, che la nostra età esige… È necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo. Una cosa è infatti il deposito della fede, cioè le verità contenute nella nostra veneranda dottrina, e altra cosa è il modo col quale esse sono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata” (S. Oec. Conc. Vat. II Constitutiones Decreta Declarationes, 1974, pp. 863-865).
È chiaro che questo impegno di esprimere in modo nuovo una determinata verità esige una nuova riflessione su di essa e un nuovo rapporto vitale con essa; è chiaro pure che la nuova parola può maturare soltanto se nasce da una comprensione consapevole della verità espressa e che, d’altra parte, la riflessione sulla fede esige anche che si viva questa fede. In questo senso il programma proposto da Papa Giovanni XXIII era estremamente esigente, come appunto è esigente la sintesi di fedeltà e dinamica. Ma ovunque questa interpretazione è stata l’orientamento che ha guidato la recezione del Concilio, è cresciuta una nuova vita e sono maturati frutti nuovi. Quarant’anni dopo il Concilio possiamo rilevare che il positivo è più grande e più vivo di quanto non potesse apparire nell’agitazione degli anni intorno al 1968. Oggi vediamo che il seme buono, pur sviluppandosi lentamente, tuttavia cresce, e cresce così anche la nostra profonda gratitudine per l’opera svolta dal Concilio. (…)


PER QUALE SCOPO SI VIVE IN LIBERTÀ?


DISCORSO DEL PAPA BENEDETTO XVI ALLE AUTORITÀ POLITICHE 
E AL CORPO DIPLOMATICO

Praga sabato 26 settembre 2009

La mia visita pastorale alla Repubblica Ceca coincide col ventesimo anniversario della caduta dei regimi totalitari in Europa Centrale ed Orientale, e della “Rivoluzione di Velluto” che ripristinò la democrazia in questa nazione (…)
Benedetto XVI al Castello di Praga
Oggi, specialmente fra i giovani, emerge di nuovo la domanda sulla natura della libertà conquistata. Per quale scopo si vive in libertà? Quali sono i suoi autentici tratti distintivi? (…)
Ogni generazione ha il compito di impegnarsi da capo nell’ardua ricerca di come ordinare rettamente le realtà umane, sforzandosi di comprendere il corretto uso della libertà (cfr Spe salvi, 25). Il dovere di rafforzare le "strutture di libertà" è fondamentale, ma non è mai sufficiente: le aspirazioni umane si elevano al di là di se stessi, al di là di ciò che qualsiasi autorità politica od economica possa offrire, verso quella speranza luminosa (cfr ibid., 35), che trova origine al di là di noi stessi e tuttavia si manifesta al nostro interno come verità, bellezza e bontà. La libertà cerca uno scopo e per questo richiede una convinzione.
La vera libertà presuppone la ricerca della verità – del vero bene – e pertanto trova il proprio compimento precisamente nel conoscere e fare ciò che è retto e giusto. La verità, in altre parole, è la norma-guida per la libertà e la bontà ne è la perfezione (…)
Per i Cristiani la verità ha un nome: Dio. E il bene ha un volto: Gesù Cristo. La fede cristiana, dal tempo dei Santi Cirillo e Metodio e dei primi missionari, ha avuto in realtà un ruolo decisivo nel plasmare l’eredità spirituale e culturale di questo Paese.

Deve essere lo stesso nel presente e per il futuro. Il ricco patrimonio di valori spirituali e culturali, che si esprimono gli uni attraverso gli altri, non solo ha dato forma all’identità di questa nazione, ma l’ha anche dotata della prospettiva necessaria ad esercitare un ruolo di coesione al cuore dell’Europa. Per secoli questa terra è stata un punto d’incontro tra popoli, tradizioni e culture diverse. Come ben sappiamo, essa ha conosciuto capitoli dolorosi e porta le cicatrici dei tragici avvenimenti causati dall’incomprensione, dalla guerra e dalla persecuzione. E tuttavia è anche vero che le sue radici cristiane hanno favorito la crescita di un considerevole spirito di perdono, di riconciliazione e di collaborazione, che ha reso la gente di queste terre capace di ritrovare la libertà e di inaugurare una nuova era, una nuova sintesi, una rinnovata speranza. Non è proprio di questo spirito che ha bisogno l’Europa di oggi?

L’Europa è più che un continente. Essa è una casa! E la libertà trova il suo significato più profondo proprio nell’essere una patria spirituale.

SOLO I CONFINI CI SALVERANNO DALLA TEOCRAZIA FINTAMENTE RELIGIOSA

Che si tratti dell’Isis o dei salafiti, il progetto prevede la cancellazione dei confini politici, culturali, religiosi per imporre a tutti la stessa teocrazia anonima, astorica e omogeneizzante.
 Dicembre 21, 2016 
Rodolfo Casadei

Due cose hanno in comune gli attentati di Berlino contro un mercatino natalizio e di Ankara contro l’ambasciatore russo in Turchia: l’ideologia islamista radicale dei loro autori e il loro disprezzo imperialista per i confini. Per contrasto, l’insegnamento da trarre dagli eventi è che le ideologie vanno combattute e i confini vanno difesi e protetti.

Fra le frasi che l’agente di polizia Mevlut Mert Altintas avrebbe concitatamente gridato subito dopo avere assassinato l’ambasciatore Andrei Karlov, ce ne sarebbe una che dice all’incirca così: «Noi moriamo ad Aleppo, tu muori qui». A quale “noi” si riferiva l’attentatore? Non certo a quello della nazionalità, perché l’agente delle forze speciali era un turco nativo di Smirne, mentre ad Aleppo muoiono civili siriani, dunque arabi per lingua e cultura, e combattenti di molte nazionalità, per lo più mediorientali e dell’Asia centrale (libanesi, iracheni, iraniani, sauditi, ceceni, uzbeki, ecc.).

Non poteva riferirsi nemmeno al “noi” dei musulmani genericamente intesi, perché tutti i protagonisti della tragedia di Aleppo, con l’eccezione dei piloti dell’aviazione militare russa, sono musulmani: sono musulmani e spesso interpretano entrambi i ruoli sia i carnefici che le vittime. E non è affatto vero che tutti i musulmani sciiti o alawiti combattono dalla parte del regime di Damasco, mentre tutti i musulmani sunniti sono schierati dalla parte dei ribelli. (…)

Dunque il “noi” a cui si riferiva Altintas pochi minuti prima di essere abbattuto dai suoi colleghi poliziotti era evidentemente quello dei fanatici del califfato o comunque dello stato islamico governato da versioni intransigenti della sharia. È un “noi” che non coincide forzatamente con l’Isis, testa di turco (mai metafora fu più appropriata) di tutte le derive dell’islam politico, ma si estende a gruppi armati e finanziati dagli stati arabi del Golfo come Ahrar al Sham, Jabhat Fateh al Sham, Faylaq al Sham, ecc.

Prima della guerra civile internazionalizzata che l’ha ridotta in rovine e ne ha spazzato la via la popolazione o con la morte violenta o con l’emigrazione per sfuggire ai combattimenti, Aleppo era un mosaico di culture, religioni ed etnie stratificate nel corso di una storia lunga cinquanta secoli. Mosaico insediato in un paese arabo postcoloniale, dunque retto da un sistema politico autoritario e familistico come tutti quelli degli stati nati dalla dissoluzione dell’Impero Ottomano prima e del potere coloniale europeo poi (con l’eccezione del Libano). Chi, come Bernard Henry Levy, si strappa le vesti per l’inazione internazionale di fronte alla battaglia finale che ha causato molte vittime fra la popolazione civile e ha portato alla riconquista della città da parte delle forze governative col contributo decisivo dell’aviazione militare russa e delle fanterie iraniane ed Hezbollah libanesi, non ci ha mai spiegato perché le vittime di Aleppo Ovest, colpite dai tiri di mortaio e di bombole del gas riempite di esplosivo sparati dai ribelli, contassero meno di quelle di Aleppo Est causate dagli attacchi dei caccia russi e degli elicotteri governativi.

TUONI E FULMINI


GLI AUGURI DEL PAPA ALLA CURIA ROMANA

Due anni fa le quindici malattie
L'anno scorso le dodici medicine
Quest'anno papa Francesco, nel discorso di giovedì 22 dicembre per gli auguri natalizi alla curia romana, ha scelto di passare in rassegna le tre "resistenze" che allignano tra i prelati vaticani: le "aperte", le "nascoste" e soprattutto le "malevole".
Eccole:

"Era necessario parlare di malattie e di cure perché ogni operazione, per raggiungere il successo, deve essere preceduta da approfondite diagnosi, da accurate analisi e deve essere accompagnata e seguita da precise prescrizioni.
"In questo percorso risulta normale, anzi salutare, riscontrare delle difficoltà, che, nel caso della riforma, si potrebbero presentare in diverse tipologie di resistenze:
le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo sincero;
– le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del “gattopardismo” spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima;

– esistono anche le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive (spesso “in veste di agnelli”). Questo ultimo tipo di resistenza si nasconde dietro le parole giustificatrici e, in tanti casi, accusatorie, rifugiandosi nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità, nel conosciuto, oppure nel voler portare tutto sul personale senza distinguere tra l’atto, l’attore e l’azione.
In attesa dell'anno prossimo...

dal blog di Sandro Magister

IL "VESCOVO COLLETTIVO" CANCELLA IL NATALE



Ovvero la condanna della religione cattolica all’irrilevanza
perseguita proprio dai suoi pastori.




L’intervista rilasciata l'altro giorno al Corriere della Sera da monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della CEI, poco dopo i tragici fatti di Berlino, è già stata variamente commentata (negativamente), soprattutto per quell’ostinazione con cui ripete sempre lo stesso ritornello: la religione non c’entra, guerre e violenze sono provocate da soldi e potere e ovviamente dai commercianti di armi. Uno schema fisso, che pretende di scongiurare una guerra di religione o lo scontro di civiltà (tanto per usare altre due frasi fatte che vengono usate spesso a sproposito) e invece ritarda solo la possibilità di comprendere la natura di questa guerra dichiarata e già combattuta da una sola parte.


Più volte abbiamo spiegato quanto sia pericoloso continuare a non riconoscere la matrice religiosa islamica del terrorismo, o cercare di minimizzare asserendo che in fondo ci sono fondamentalisti in tutte le religioni, anche quella cattolica. Non torniamo dunque sullo stesso argomento, qui piuttosto interessa sottolineare un altro aspetto, ovvero la condanna della religione cattolica all’irrilevanza perseguita proprio dai suoi pastori. 

Posizioni come quella di monsignor Galantino – peraltro condivisa da tanti vescovi -  lungi dal diminuire la minaccia islamica (non saranno certo le sue affermazioni a ridurre l’afflato religioso dei terroristi) in realtà rendono irrilevante proprio il cattolicesimo. Alla fine infatti si insegna ai cattolici a non considerare rilevante la fede nel motivare le azioni degli uomini, che si muoverebbero invece solo per denaro. 

Sembra che neanche i vescovi comprendano più il significato religioso di quel che accade, non solo nella decisione di diventare terrorista: siamo a pochi giorni dal Natale e in Germania è stato colpito proprio un tipico mercatino natalizio. Probabilmente la maggioranza di quanti lo affollavano al momento della strage non saranno presenti alla veglia natalizia sabato notte, magari non vanno mai in chiesa, eppure quei mercatini restano una tradizione tipica legata al Natale cristiano, un significato che ai terroristi non sfugge. 

Ma questo è ancora solo un aspetto secondario. Il rifiuto di considerare la religione come un fattore decisivo per l’agire porta a giudicare quel che accade con categorie mondane, alla subalternità culturale, e alla fine a ridurre la fede a fatto personale, privato, che ispira al massimo una eticità nel vivere. Tra tre giorni il mondo cristiano celebrerà la nascita di Gesù, Dio che si fa carne e si fa compagnia all’uomo: un fatto che ha cambiato il corso della storia, eppure di questo evento senza pari nelle parole di monsignor Galantino, che deve giudicare a caldo un fatto terribile come la strage di Berlino e l’assassinio politico in Turchia, non c’è neanche una eco lontana.

Perché accadono queste tragedie, chiede il giornalista? Il denaro, il potere, i ricchi, i commercianti di armi, risponde il “vescovo collettivo”. E cosa si può fare per scongiurare queste violenze, chiede ancora il giornalista? Cominciare ad usare un linguaggio meno violento e poi fare uno sforzo per la pace, è la risposta. Stupida anche dal punto di vista culturale e politico, ma soprattutto evidenzia che per il “vescovo collettivo” il Natale non ha più nulla da dire. Né nel giudicare il male né nell’indicazione di una strada che dal male ci liberi. 

Dice l’evangelista Giovanni che la luce è venuta nel mondo ma il mondo non l’ha riconosciuta, «la luce splende nelle tenebre ma le tenebre non l’hanno accolta». È qui il giudizio sul mondo contemporaneo, sulla vita personale di ognuno così come sulla vita dei popoli. È il rifiuto di Cristo, della misericordia di Dio che genera violenza. Ed è la conversione l’inizio di un mondo nuovo. 

Quando due settimane fa abbiamo lanciato la campagna raccolta fondi titolando “Il Natale non è negoziabile”, proprio questo intendevamo. Vediamo intorno a noi come anche i pastori (non tutti per fortuna) si accontentino di un annuncio ridotto a sentimento, a qualche opera buona, pensino soltanto ad andare a braccetto con il mondo. La Bussola è nata invece proprio per rendere presente, nel modo di informare e di giudicare l’attualità, tutta la potenza di questo annuncio di salvezza. Per questo con ancora più consapevolezza affermiamo oggi che “Il Natale non è negoziabile”.

di Riccardo Cascioli lanuovabussola 22-12-2016



martedì 20 dicembre 2016

LA LAUREA PERCEPITA

AH AH!

Scusate, lo so che oggi non c’è niente da ridere, ma un tal Roberto Esposito su Repubblica (deve essere famoso perché non c’è scritto chi è) nella pagina delle IDEE ha scritto un articolone affermando che : ”La ministra senza la laurea è un contro senso”. Questi qui non sanno proprio come farci ridere. Io preferisco riderci sopra riportando questo post di un amico:

MI SENTO, DUNQUE SONO.

“Trovo che siano poco comprensivi coloro che rimproverano al nuovo ministro della pubblica istruzione di aver dichiarato il possesso di una laurea inesistente. La signora, a quanto ho appreso, è una seguace delle teorie di genere e dunque è stata a suo modo coerente: si è “sentita” laureata e quindi giustamente ha pensato di esserlo. In effetti, se vale per una cosa così determinante come il sesso, perché non dovrebbe valere per un banale titolo di studio?
Con quanta più dolcezza andrebbe il mondo (almeno quello scolastico e universitario) se si adottasse ufficialmente questo principio: quando uno “si sente laureato”, lo è!


(Per non scontentare neppure i tradizionalisti più pignoli si potrebbe, al massimo, introdurre la distinzione tra laurea laurea percepitama in pratica la differenza di ridurrebbe ad un “p.” da mettere dopo il “dott.”).” 

BY LEONARDO LUGARESI

A VITA PRIVATA


ALLA FACCIA DEL NEW YORK TIMES
ALLORA COME OGGI PROPRIO NON CE LA FA


Il 20 dicembre del 1924, dopo nove mesi, Adolf Hitler lascia la prigione di Landsberg. Era stato processato e condannato per il tentato putsch della birreria di Monaco di Baviera dell’8 novembre del 1923. In prigione Hitler scrisse il Mein Kampf. Quando fu rilasciato il New York Times ne diede una breve notizia dicendo che le autorità erano sicure che Hitler e il suo movimento politico non costituivano più un problema e lui sarebbe tornato in Austria per ritirarsi a vita privata.

TROPPE «LEGGENDE NERE» SULLA CHIESA

RODNEY STARK DIFENDE I CATTOLICI


«False testimonianze» (Lindau), il volume del sociologo e accademico protestante, affronta temi scottanti come la schiavitù, le crociate e l’antisemitismo
di PAOLO MIELI

La Baylor University di Waco (Texas) è nota dal 1845, anno in cui fu fondata, per essere il più grande ateneo battista, per la sua gloriosa squadra di football — i Baylor Bears — e per essere stata fino a poco tempo fa un centro mondiale dell’ostilità alla Chiesa di Roma. Quest’ultimo elemento accresce il valore di un libro, False testimonianze (edizioni Lindau), che un docente della stessa Baylor, Rodney Stark, ha ideato per «smascherare alcuni secoli di storia anticattolica».

«Non sono cattolico», afferma Stark nella prefazione, «e non ho scritto questo libro per difendere la Chiesa; l’ho scritto per difendere la storia». «Confesso», ricorda Stark, «che quando per la prima volta mi sono imbattuto nell’affermazione secondo cui non solo l’Inquisizione spagnola sparse ben poco sangue, ma fu essenzialmente una forza di primo piano a sostegno della moderazione e della giustizia, l’ho liquidata tra me e me come l’ennesimo esercizio di bizzarro revisionismo da parte di qualche autore a caccia di notorietà». Poi però lo studioso iniziò a fare delle accurate ricerche e scoprì che era stata proprio l’Inquisizione ad impedire che la sanguinosa caccia alle streghe, dilagata in gran parte dell’Europa nel XVI e XVII secolo, attecchisse anche in Spagna e in Italia dove, per strano che possa sembrare, «invece di bruciare le streghe gli inquisitori mandarono sulla forca alcune persone colpevoli di aver bruciato le streghe».

Una per una Stark smonta molte delle «colpe» che gli storici hanno attribuito per anni alla Chiesa cattolica. Non per negarle, bensì per ricondurle alla loro giusta dimensione. Un discorso valido per le crociate, per l’«oscurantismo che avrebbe soffocato il Medioevo», per lo scontro con la scienza. E ancora a proposito della supposta predilezione cattolica per i regimi tirannici, dell’opposizione al capitalismo e più in generale alla modernità.
Uno dei primi miti da abbattere è per Stark quello secondo cui la Chiesa per secoli sarebbe stata favorevole alla schiavitù. È vero che Papa Innocenzo VIII nel 1488 accettò in dono da Ferdinando d’Aragona un centinaio di schiavi e ne regalò alcuni ai suoi cardinali preferiti. Ma, secondo Stark, è assai più significativo che dal Duecento san Tommaso d’Aquino avesse stabilito che la schiavitù è peccato; che nel Quattrocento Papa Eugenio IV avesse minacciato di scomunica gli spagnoli che nella colonizzazione delle isole Canarie avevano schiavizzato le popolazioni indigene; che nello stesso secolo i pontefici Pio II e Sisto IV avessero emanato bolle antischiaviste; che lo stesso abbia fatto — nel Cinquecento — Paolo III, riferendosi esplicitamente al Nuovo Mondo. E così fece, nel Seicento, anche Urbano VIII su sollecitazione dei gesuiti del Paraguay. Anzi, fu proprio l’ostilità dei gesuiti latinoamericani allo schiavismo — condivisa dalla Chiesa di Roma — a provocare l’urto tra alcune potenze europee e l’ordine fondato da sant’Ignazio da Loyola. Conflitto che si sarebbe concluso con la temporanea soppressione dell’ordine stesso. Una vicenda che andò di pari passo con la fondazione (nel 1609), ad opera di Antonio Ruiz de Montoya, della Repubblica gesuitica del Paraguay, che copriva un’area grande il doppio della Francia ed era strutturata in una trentina di Reducciones, le rivoluzionarie comunità di indiani Guaraní.

sabato 17 dicembre 2016

LA RIVOLTA DEI MISERABILI


 MAI FARE I CONTI SENZA I FATTI

Appunti da un paradossale evento “comunitario” al Manhattanville College.
 Per capire perché nessuno osava nemmeno immaginare il trionfo di The Donald

 Due settimane fa ho partecipato a un evento accademico all’interno di un gruppo di discussione che aveva per oggetto l’importantissimo tema dell’integrazione dell’etica nel curriculum accademico. Era stato presentato come un evento comunitario. Si diceva che tutti i segmenti della popolazione accademica (amministrazione, staff, professori, studenti) avrebbero discusso e modellato insieme l’approccio dell’università alle materie fondative che informano di sé tutti i programmi accademici. Il giorno prima dell’evento (un venerdì pomeriggio al termine delle lezioni) ho chiesto ad alcuni studenti di accompagnarmi.
foto Ansa

Al gruppo di discussione ho fatto parlare gli studenti per il dipartimento di Filosofia. Hanno presentato argomentazioni chiare e spassionate che dimostravano che un requisito necessario per una corretta integrazione dell’etica nel curriculum era una comprensione condivisa della natura del bene comune e degli strumenti attraverso i quali può essere realizzato; che una comprensione condivisa richiedeva non la trasmissione di emozioni, ma la suscitazione di un pensiero razionale e un genuino dialogo razionale fra professori e studenti; che gli studenti volevano impegnarsi attivamente in questo genere di dialogo; che ne avevano bisogno, poiché erano così manipolati a livello emozionale dalla società che erano diventati spaventati e disimpegnati. Hanno parlato per quindici minuti circa, e sono stati magnifici.

Al termine della discussione uno dei moderatori del gruppo ha comunicato le nostre raccomandazioni a tutti i partecipanti. Non ha citato nemmeno una parola di quello che i miei studenti avevano detto. Ha presentato dei punti che erano stati evidentemente preparati prima dell’evento. Il più saliente di essi era che l’università avrebbe dovuto aggiungere alcune letture obbligatorie al curriculum del primo anno e dedicare più attenzione all’inclusività. I miei studenti erano furiosi. Qualche giorno dopo, uno di loro mi ha posto la domanda delle domande: come si comunica un argomento razionale a una persona che non vuole ascoltare?

Una generazione senza sogni
All’indomani della stupefacente vittoria di Donald Trump, questa piccola storia spiega perché ha vinto e perché la sua vittoria è tanto importante. Quel che è successo ai miei studenti all’evento “comunitario” è emblematico di ciò che è diventato pratica comune in ogni angolo e in ogni ambiente del mondo occidentale. Non alludo semplicemente al tradimento della volontà delle persone, o all’imposizione di uno stantio programma preconfezionato fatto passare come la “volontà della gente”. Alludo alla completa indifferenza per i fatti.
La ragione principale per cui ho chiesto agli studenti di parlare all’evento “comunitario” accademico è che la generazione che attualmente sta studiando nelle università occidentali è significativamente diversa dalle precedenti generazioni. I giornalisti la chiamano la generazione dei Millennial.

Qualunque cosa dicano i giornalisti dei Millennial americani, la verità è che sono una massa impaurita. Non hanno sogni romantici riguardo al college. Non hanno fantasie alla Love Story a proposito di archi gotici, di battaglie a palle di neve nel cortile, innamoramenti, scontri coi genitori per dire loro che si sbagliano, passeggiate al tramonto e vite straordinarie da vivere. I Millennial vanno al college perché pensano che bisogna farlo per sperare di trovare un posto di lavoro. Non hanno illusioni per quanto riguarda la professione. Sono rassegnati al fatto che sarà difficile trovare lavoro e che sarà terribilmente noioso. Non sono spinti dal desiderio di dimostrare ai loro genitori che non hanno capito nulla della vita. La presa dei genitori su di loro è totale. Non discutono coi professori. Cercano di sapere che cos’è che i professori vogliono poter leggere nelle loro tesine, o agli esami, in modo da poter avere i voti migliori e andare avanti.
I Millennial dichiarano di essere annoiati. Ma quando gli si chiede cosa intendono per noia, la loro risposta è sorprendente. Si tratta, secondo la definizione di uno dei miei studenti, della «apatia nei confronti dell’attrazione che le cose esercitano», o come un altro mi ha detto, «l’inversione del bene: il desiderio di non desiderare nulla affatto».

L’obbedienza all’opinione dominante
Il mondo dei Millennial è grigio. È spaventosamente simile al mondo di Winston Smith, il personaggio del romanzo 1984 di George Orwell: un mondo dove bisogna obbedire per sopravvivere, e dove il tipo di obbedienza più importante di tutti è l’obbedienza dell’opinione.
Quel che è accaduto in seguito alla discussione comune prevista dall’evento “comunitario” accademico non è semplicemente che i miei studenti sono stati traditi, e che gli è stato imposto un programma preconfezionato. La cosa più importante di quell’evento è che è stata completamente ignorata la realtà dello studente di oggi. Una delle implicazioni di ciò è che l’interesse primario di chi ha preparato il programma che poi è stato presentato al nostro gruppo non era di trovare una soluzione a un problema reale, cioè determinare il modo migliore per infondere etica nel curriculum. I fatti erano di importanza secondaria. Quest’ultimo punto è precisamente ciò che ha determinato il risultato delle ultime elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Allo stesso modo di coloro che hanno preparato il programma per il nostro evento accademico “comunitario”, chi ha preparato il programma dell’approccio del governo americano a quelli che sono innegabilmente gravi problemi, non ha un interesse reale nei fatti.

Quei fatti sono foschi. Lasciamo perdere per un momento questioni etiche cruciali come l’aborto, e questioni di grande importanza come nominare il successore di Antonin Scalia alla Corte suprema. Consideriamo alcuni fatti fondamentali. Il reddito familiare medio negli Stati Uniti oggi è più basso di quello che era dieci anni fa. Circa 46 milioni di americani (cioè uno ogni sette) ricevono sussidi governativi per poter mangiare: Buoni Alimentari. I premi per le assicurazioni sanitarie sono aumentati in modo drammatico. Il costo del mio, se manterrò la stessa assicurazione, crescerà del 35 per cento: vuol dire circa 1.300 dollari all’anno. Negli ultimi quattro anni il nostro governo ha trasformato in un reato punibile non avere un’assicurazione sanitaria. Si stima che il totale dei prestiti studenteschi negli Stati Uniti – la quantità di denaro per cui gli studenti si sono indebitati per frequentare il college – superi i mille miliardi di dollari. Inoltre ci sono stati attacchi terroristici negli Stati Uniti (San Bernardino e Orlando sono soltanto due di essi) e l’uso di oppiacei è aumentato drammaticamente. Un fatto ancora più triste è che le politiche di governo messe in atto negli ultimi anni, rappresentate in grande maggioranza da ordini diretti del presidente, ignorano tutti questi fatti. Non sto dicendo che non si occupano di essi in modo appropriato, dico che li ignorano, e si concentrano su questioni come quella di permettere alle persone di entrare nella toilette di loro scelta.

La rivolta dei “miserabili”
Non c’è da stupirsi che nei sondaggi alla vigilia del voto la grande maggioranza degli americani abbia dichiarato che «il paese sta andando nella direzione sbagliata». Diversamente dai miei studenti, che non potevano reagire in modo diretto al fatto di essere stati traditi all’evento accademico “comunitario”, gli americani hanno potuto farlo e lo hanno fatto. L’8 novembre hanno votato per rompere con coloro che ignorano i fatti. Si sono manifestati in massa in Pennsylvania, Ohio, Michigan, Iowa, New Hampshire e Florida. Coloro che lo hanno fatto non sono accademici o intellettuali, che per anni hanno cucito e lodato le vesti dell’imperatore. Né rappresentano l’entourage dell’imperatore e i suoi eredi. Quelli che si sono manifestati sono i contadini e i minatori, che erano stati definiti “un branco di miserabili” perché insistevano che i fatti sono importanti. Quelli che si sono manifestati sono la maggioranza silenziosa: la pancia dell’America.

Siobhan Nash-Marshall è docente di Filosofia al Manhattanville College di Purchase, New York

mercoledì 14 dicembre 2016

FINE DI UN INCUBO, LA POPOLAZIONE DI ALEPPO FESTEGGIA… MA NON L’OCCIDENTE


·         di Patrizio Ricci dal blog VIETATOPARLARE

Fine di un incubo, la popolazione di Aleppo festeggia… ma non l’occidente
Ad Aleppo la popolazione festeggia nelle strade per l’avvenuta liberazione ma i difensori della democrazia tacciono. O meglio, per essere più esatti: TV e giornali occidentali omettono mostrare le immagini di Aleppo in festa. Si rivolgono invece, anzichè ai testimoni, ai social degli attivisti.
Un milione e mezzo di persone (tra cui migliaia di cristiani), festeggiano per la liberazione e la fine di un incubo ma l’informazione mainstream ha un’aria funesta e nervosa. Paradossalmente, le TV ed i corrispondenti occidentali non ci hanno fornito le immagini della folla in festa e non ci hanno riferito la prospettiva che si apre per la popolazione, quando piuttosto una notizia che ha tutto l’aria di essere stata costruita per screditare le forze siriane.
Nella fattispecie, da parte dei media mainstream, viene data per certa la notizia che le milizie irachene al seguito dell’esercito siriano abbiano ucciso deliberatamente 82 civili nelle loro case e di violenze generalizate.
Questo avviene nonostante sia noto che la fonte di questa  ‘notizia’ siano i report mandati via twitter e via skype da attivisti pro-ribelli.
Non è qui in discussione che in questa guerra, come in qualunque guerra, ci sia il rischio che il nemico possa essere ‘passato alle armi’ sul posto, che ci possano essere degli eccessi: la linea di comando può non funzionare nell’impeto di una battaglia. Ma qui non stiamo parlando del nemico, stiamo parlando di civili. E in questo caso, un pò di logica farebbe bene: dopo 2 settimane di accoglienza dei civili in uscita dalla città, i soldati perché si sarebbero messi a sparare in massa su civili inermi? Daltra parte nella sua intervista a Radiovaticana (qui audio), mons Tobji (arcivescovo maronita di Aleppo), riferisce chiaramente del sollievo della popolazione aleppina (nonostante la vita grama dopo 5 anni di guerra).
E’ evidente che se il ‘messaggio’ diffuso dai media mainstream è coerente con qualcosa, è coerente solo con la propria linea seguita finora, ovvero con la propria narrativa . Ma in tutto questo, la stranezza è che l’Onu stesso ammette che le fonti non sono verificabili. In una parola, c’è ‘distrazione’ su particolari significativi. Una vera e propria omissione di cronaca: finora non ho visto una sola immagine video della gente che ha festeggiato per le vie di Aleppo ieri sera, non una sola intervista e badate che molte TV tra cui al Arabiya erano in diretta in vari luoghi della città.
Comunque il commento del portavoce dell’Onu a cui tutti i media fanno riferimento è il seguente:

“While stressing that the United Nations is not able to independently verify these reports, the secretary general is conveying his grave concern to the relevant parties.”, cioè :”Pur sottolineando che le Nazioni Unite non sono in grado di verificare in modo indipendente queste relazioni, il segretario generale trasmette la sua grave preoccupazione per le parti interessate.”
http://www.vietatoparlare.it/aleppo-libera-fine-un-incubo-la-popolazione-festeggia-nelle-strade/

martedì 13 dicembre 2016

C'E' UN PRETE A CREMONA CHE NON VUOLE IL PRESEPE

Urge corso di retorica per preti. Tutti si sono scandalizzati per la decisione del cappellano del cimitero di Cremona, che quest'anno non ha voluto allestire il tradizionale presepio all'ingresso del camposanto. Io mi sono scandalizzato piuttosto per le sue argomentazioni virgolettate da agenzie nazionali e quotidiani locali: “Devo e voglio rispettare la sensibilità di chi non la pensa come noi, ovviamente dal punto di vista religioso. Non voglio entrare in dinamiche politiche”. Dinamiche politiche? Punto di vista religioso? Sensibilità di chi non la pensa come noi? Mi domando a cosa serva un prete che parla come la delegazione di un microgruppo parlamentare alle consultazioni; mi domando chi si farà convertire da un prete che parla come un dialogo riempitivo in una fiction su Rai1.

Questi virgolettati mi persuadono che al cappellano manchi la conoscenza di interi brani del fondamentale testo di retorica per religiosi: non vuole urtare la sensibilità di musulmani e atei perché non ha letto la parte in cui è scritto “Noi predichiamo Cristo, scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani” (1 Corinzi 1, 23); vuole garantire concordia fra le fedi perché non ha letto la parte in cui Gesù minaccia “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra” (Matteo 10, 34).
Se fossi vescovo di Cremona, esorterei il cappellano a passare le feste a rileggere la Bibbia fino al momento in cui trova un precedente per le sue parole: scoprirebbe che “dinamiche” non appare mai, “punto di vista” nemmeno, e neanche “sensibilità”.
DA ILFOGLIO


lunedì 12 dicembre 2016

TRUMP PUÒ RESTAURARE LA LIBERTÀ RELIGIOSA


di Ryan Anderson*11-12-2016
DA LANUOVA BUSSOLA


Donald Trump ha promesso che avrebbe fatto di nuovo grandi gli Stati Uniti. Se vuole onorare la promessa, dovrà iniziare ripristinando in modo energico la nostra prima libertà di americani: il libero esercizio della religione.

Purtroppo, durante l’Amministrazione retta dal presidente Barack Obama, tale libertà si è ritrovata sotto attacco come non mai. Per fortuna, molti di questi attacchi potranno essere neutralizzati nei primissimi giorni dell’Amministrazione Trump. 

Trump dovrebbe infatti impegnarsi a proteggere il libero esercizio della religione di tutti gli americani di qualsiasi fede. Nel discorso con cui ne ha riconosciuto la vittoria elettorale, Hillary Clinton ha fatto riferimento alla «libertà di culto», ovvero alla devozione limitata alla sinagoga, alla chiesa o alla moschea. Ma ciò che i Padri fondatori hanno voluto proteggere è il diritto di tutti a vivere manifestamente la fede in pubblico e in privato ogni giorno della settimana, premesso che rispettino pacificamente il medesimo diritto degli altri.

La riduzione della libertà religiosa alla mera libertà di culto è stata una caratteristica degli anni di Obama. I luoghi di culto, per esempio, sono stati esentati dal mandato del ministero della Salute e dei Servizi Umani che obbliga i datori di lavoro a fornire contraccettivi e farmaci abortivi ai propri dipendenti. Ma le scuole religiose, per esempio il Wheaton College, in Illinois, così come altre comunità ed enti religiosi di beneficenza quali le Piccole sorelle dei Poveri, hanno ottenuto una semplice “concessione”: l’offerta di un modo alternativodi conformarsi a quell’obbligo sempre però in violazione del loro credo.

L’Amministrazione Trump può sistemare tutto subito. Trump può infatti indicare al proprio ministro della Salute e dei Servizi umani di correggere le linee guida del suo dicastero introducendo garanzie chiare a protezione della libertà religiosa. E il Congresso può votare una legge, che Trump suo firmare, che abroghi e rimpiazzi l’“Obamacare”.

L’Amministrazione Obama si è analogamente impegnata in una serie di azioni esecutive – alcune delle quali verosimilmente illegali – per promuovere una radicale agenda transgender. Anche a questo Trump può mettere fine.

Per esempio, i ministeri obamiani della Giustizia e dell’Istruzione hanno reso noto ai distretti scolastici di tutto il Paese che da oggi interpretano una legge del 1972, la Title IX, in modo da imporre alle scuole di permettere agli studenti l’uso dei bagni, degli spogliatoi e delle docce a seconda dell’“identità di genere” che essi dichiarano. Lo hanno fatto dicendo che il vocabolo “sesso” da oggi significherebbe “identità di genere”.

Lo stesso ha fatto il ministero obamiano della Salute e dei Servizi umani, sostenendo che un certo provvedimento che nell’“Obamacare” proibisce le discriminazioni sulla base del “sesso” intende dire “identità di genere”; e così le polizze di assistenza sanitaria debbono coprire anche le terapie di riassegnazione del sesso e i medici del settore sono obbligati a eseguirle.

Obama ha pure emesso degli ordini esecutivi che vietano agli appaltatori federali e ai destinatari esteri di aiuti federali comportamenti che il governo giudica “discriminatori” sulla base dell’«orientamento sessuale e dell’identità di genere», laddove una cosa semplice come dire che i maschi biologici non dovrebbero utilizzare le docce femminili può contare come “discriminazione”.

Tutto questo può essere smantellato immediatamente. Trump può abrogare gli ordini esecutivi di Obama e può indicare ai ministri sia dell’Istruzione sia della Salute e dei Servizi umani così come al procuratore generale federale si interpretare il vocabolo “sesso” esattamente come l’ha inteso il Congresso: ovvero come una realtà biologica e non come “identità di genere”.

Il Congresso può poi rendere permanenti questi ordiniratificando l’emendamento Russell (1), che protegge la libertà del personale religioso d’istituzioni religiose, e approvando il Civil Rights Uniformity Act, il quale specifica che nelle leggi civili americane il vocabolo “sesso” non significa “identità di genere” a meno che il Congresso non lo dica esplicitamente.

Trump dovrebbe altresì chiarire che, sotto la sua sorveglianza, il governo federale non penalizzerà alcun individuo o alcuna istituzione per il fatto di credere che il matrimonio è l’unione fra un marito e una moglie e di agire in base a questo.

Trump può emettere un ordine esecutivo che stabilisca che quando si tratta di status fiscale, accreditamento, licenze, contributi pubblici e contratti, nessuna entità del governo federale può penalizzare qualcuno che agisca sulla base delle proprie convinzioni riguardo al matrimonio fra un uomo e una donna. Inoltre, per scongiurare l’eventualità che un futuro presidente possa invalidare tale ordine, il Congresso può approvare, e il presidente ratificarlo in legge, il First Amendment Defense Act (2).  Di fatto, durante la campagna elettorale Trump ha promesso che se fosse diventato presidente avrebbe sottoscritto la proposta.

Che si tratti di molestare un ordine religioso di suore, di costringere medici a eseguire terapie di riassegnazione del sesso o d’impedire che le scuole trovino soluzioni di compromesso che accontentino tutti e che rispettino la privacy corporea di tutti gli studenti, l’Amministrazione Obama ha condotto una guerra culturale aggressiva e non necessaria.

Siccome lo ha fatto quasi esclusivamente mediante azioni esecutive, l’Amministrazione Trump può velocemente riparare a questi danni (3). E il Congresso può ratificare tutto rendendolo legge permanente. Ciò significherà fare passi enormi sulla strada che garantisce la coesistenza pacifica, rendendo davvero gli Stati Uniti di nuovo grandi.

Traduzione di Maurizio Brunetti e Marco Respinti

* Ryan T. Anderson, Ph.D., è William E. Simon Senior Research Fellow in American Principles and Public Policy presso The Heritage Foundation di Washington. Il suo libro più recente è Truth Overruled: The Future of Marriage and Religious Freedom (Regnery, Washington 2015). Il 1° dicembre l’Acton Institute for the Study of Religion and Liberty di Grand Rapids, in Michigan, lo ha insignito a Londra del 2016 Novak Award intitolato al teologo cattolico Michael Novak. Questo articolo è stato pubblicato il 9 novembre 2016 sul notiziario conservatore online The Daily Signal, edito da The Heritage Foundation, con il titolo "Make Religious Freedom Great Again
NOTE dei traduttori
(1) Steven Dane “Steve” Russell, deputato federale del Partito Repubblicano in rappresentanza dello Stato dell’Oklahoma, conservatore ed esponente dei “Tea Party”, ha proposto un emendamento alla legge federale di bilancio della Difesa per il 2017 che introduce eccezioni alla normativa “antidiscriminazione” voluta dall’Amministrazione Obama per i cappellani militari che si servono di determinati appaltatori.
(2) Il First Amendment Defense Act è una proposta di legge introdotta nella Camera federale dei deputati il 17 giugno 2015 per impedire la discriminazione di chi per morivi religiosi giudica negativamente l’omosessualità.
(3) Gli ordini esecutivi presidenziali equivalgono a decreti.