venerdì 2 dicembre 2016

TRUMP CORRE A INDIANAPOLIS.



Attraversiamo l’Atlantico e andiamo nell’epicentro della rivoluzione, il luogo dove sta rombando il motore della storia, gli Stati Uniti. 

Donald Trump ha cominciato un Victory Tour che è la plastica rappresentazione della sua presidenza.

Ha fatto tappa in Ohio, cuore della vittoria repubblicana, l’America della mietitrebbia, delle infinite distese di grano e mais, cuore pulsante di uno sterminato e sempre sorprendente paese.

Ma prima è sceso in pista a Indianapolis, accompagnato dal vicepresidente Mike Pence, Trump ha convinto i manager della Carrier (condizionatori d’aria) a non trasferire mille posti di lavoro in Messico. Strike. Peggy Noonan  (del WSJ) riconosce a Trump la sua abilità di negoziatore, il polso energico, il risultato, ma con un avvertimento che pesca nella grandiosa storia americana: lo scontro di John Fitzgerald Kennedy con i produttori d’acciaio.
Stati Uniti, primi anni Sessanta, JFK chiede di non aumentare il prezzo dell’acciaio, sembra aver convinto tutti. Ma il boss della U.S. Steel fa di testa sua e aumenta il prezzo, seguito subito dopo dagli altri. Per JFK è un colpo di martello in testa, il prestigio della sua presidenza è intaccato. Che fare? Il giovane democratico è un duro, usa tutte le sue armi, blocca gli acquisti d’acciaio della Difesa, apre dossier fiscali, minaccia i produttori. Alla fine tutti si piegano di fronte al presidential power. Una grande vittoria. E un boomerang. Perché da quel momento i democratici vengono visti come “nemici” della business community e Barry Goldwater fa la sua campagna conservatrice in difesa della libertà del mercato.

Un memento per l’attivismo di Trump. Il Wall Street Journal pensa questo: c’è il presidente e c’è il mercato. Ma il dato di fatto, oggi, è che Trump sta rivoluzionando l’agenda politica americana (e dunque globale), sta dettando tempi, ritmi e contenuti a tal punto da mandare a carte quarantotto le poche certezze che erano rimaste ai democratici.

E’ sempre sul WSJ che troviamo un’intervista a Pence che dispiega l’agenda della nuova Casa Bianca, un piano profondo e da attuare in fretta, il nocciolo è tutto nell’idea di far decollare produzione e lavoro lavorando con il machete su tasse e regolazione. Pence finora è stato trattato dai media come una figura che deve temperare il sulfureo Trump, ma in realtà basta dare un’occhiata ai suoi discorsi per capire che il vicepresidente è un tipo tosto che conosce i meccanismi della politica e ha in testa un’idea di amministrazione con il turbo per sfruttare la maggioranza conquistata nel Congresso.

I democratici sono sotto un rullo compressore. Se Trump è il difensore della working class americana, se salva posti di lavoro, se gli operai durante la sua visita alla fabbrica della Carrier a Indianapolis lo ringraziano (ci sono immagini che parlano da sole), loro che faranno? Un disastro.

Il trionfo di Trump è un cambio del paradigma economico degli ultimi trent’anni. Siete ancora scettici sull’impatto di The Donald?

Dal Taccuino di Mario Sechi

Il foglio

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