venerdì 24 febbraio 2017

“NOI, MINORANZA CRISTIANA IN TURCHIA, RIPONIAMO TUTTO NEL SIGNORE”

PARLA BARTOLOMEO 
PATRIARCA DI COSTANTINOPOLI



Negli scorsi mesi è uscita in inglese e poi in francese la prima biografia di Bartolomeo,
patriarca di Costantinopoli. Papa Francesco ne ha scritto la prefazione, e Benedetto XVI vi ha pure dato una testimonianza della sua amicizia col patriarca.
Bartolomeo aveva sempre  scoraggiato chi voleva scrivere su di lui ma per  il 25° della sua elezione non ha più frenato  l'amico John Chryssavgis, greco d'Australia, suo  collaboratore.

Il libro, “Bartholomew. Apostle and Visionary” è il titolo inglese ( Thomas Nelson editore, Nashville, pagine 272), è un grande affresco dell'attività di Bartolomeo e dei problemi che deve affrontare.


Il patriarcato ecumenico di  Costantinopoli vive nella precarietà, potendo  contare, come base di fedeli a Istanbul, su  poche migliaia di cristiani, i soli rimasti  dell'antica folta comunità greca, stante  l'ostilità delle autorità turche. Lo stesso  Bartolomeo, nato nel 1940 nell'isola egea di  Imbros, sotto sovranità turca, ha visto la  popolazione della sua isola, in origine  integralmente ellenica, diventare turca a schiacciante maggioranza, dopo che negli anni '60 e '70 le attività economiche dei residenti cristiani sono state strozzate da misure  amministrative e numerosi villaggi di nuovi coloni turchi sono stati creati dal nulla.

Eppure ciò che caratterizza Bartolomeo e il suo  patriarcato ecumenico non è il risentimento  verso la Turchia, ma il lealismo verso lo Stato nel quale si deve vivere, inclusa la ricerca di  relazioni politiche corrette e comprensive delle  reciproche esigenze.
Così Bartolomeo ha goduto  di una libertà d'iniziativa negata ai suoi  predecessori, potendo celebrare liturgia in  luoghi di memorie cristiane prima vietati al  culto, potendo restaurare 150 chiese ed edifici  in rovina appartenenti al patriarcato, potendo  ottenere la cittadinanza turca per membri del  sinodo patriarcale provenienti quasi tutti dal  vario mondo (cosa rilevante per garantire una  degna successione patriarcale in quanto solo col passaporto turco si può essere eletti).

D'altra parte, la debolezza strutturale del  patriarcato di Costantinopoli è proprio ciò che
lo accredita nella sua missione religiosa di  imparziale garante dell'unità e di strenuo
custode della tradizione a fronte delle tante  Chiese ortodosse nazionali indipendenti, facendo  del patriarca una sorta di papa degli ortodossi.
È l'eredita degli antichi Concili del IV e V  secolo che fecero della sede di Costantinopoli
la seconda Chiesa dopo Roma, rango divenuto poi  di prima Chiesa nei confronti del mondo  cristiano orientale dopo la separazione da Roma e dal cristianesimo d'Occidente nell'XI secolo. Ma questa eredità canonica ha sempre avuto bisogno di inverarsi storicamente per essere  effettiva.

Bartolomeo ha saputo ben esercitare  l'autorevolezza paradossalmente datagli da questa debolezza; un'autorevolezza che Chiese  rivali, come la grande Chiesa russa o la stessa Chiesa di Grecia, non potevano avere perché portatrici di interessi troppo pesanti e  particolari. Lo si è visto nella realizzazione del Concilio panortodosso di Creta nel giugno  scorso.
Soltanto la caparbia volontà di Bartolomeo, manifestatasi nell'organismo da lui creato ad hoc per arrivare al 'santo e grande Concilio', ovvero nella periodica Sinassi dei primati delle Chiese ortodosse autocefale, ha consentito questo risultato che generazioni di ortodossi hanno sognato sin dai primi del Novecento.

Creta è stato un inizio, una sorta di prova  generale di sinodalità possibile, ma intanto è  stato dimostrato che la galassia delle Chiese  ortodosse autocefale, spesso in contrasto per motivi etniconazionalisti, poteva superare gli  angusti orizzonti nazionali e avere un orizzonte  comune. Era l'obiettivo di Bartolomeo, storico  difensore dell'universalità cristiana, nel rispetto delle autocefalie legittime, ma non degli autocefalismi sciovinistici. D'altra parte è vocazione del patriarcato ecumenico essere sovrannazionale. Bartolomeo stesso, cittadino turco, di cultura greca, non ama qualificarsi in senso nazionale ma come cristiano aperto all'universale. Non a caso parla greco, turco, inglese, italiano, francese, tedesco, latino. È la non caratterizzazione nazionale che rende il patriarcato atto a rappresentare l'ecumene ortodossa e a gestirne le dinamiche più delicate.
Scrive Chryssavgis: «La debolezza delle risorse umane e materiali di Costantinopoli, il suo soffocamento e le sue sofferenze nelle attuali circostanze storiche sono ciò che assicura la perennità della sua imparzialità e accresce il suo prestigio». Come dice il Signore all'apostolo Paolo: «La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12, 9).

Ma quella di Chryssavgis è una biografia, non una storia istituzionale. E dunque il lettore vi
troverà appassionate descrizioni dell'infanzia di Bartolomeo o del suo apprendistato al
servizio di uomini come il patriarca Atenagora, il patriarca Dimitrios e il metropolita
Melitone, tra le più luminose ed ecumeniche figure del cristianesimo novecentesco. Gli anni della giovinezza a Imbros, tra l'altro, spiegano il grande impegno di Bartolomeo per l'ambiente, che lo ha reso famoso in tutto il mondo ben al di là dei mondi cristiani. Imbros, isola povera ma ricca di una natura gentile, segnata da olivi e allori, da montagna e mare, da fiori e profumi mediterranei, da un'aria pura e da acque terse, ha ispirato Bartolomeo alle battaglie ecologiche che lo hanno visto promuovere eventi globali dal mar Nero all'Adriatico, dal Baltico all'Artico, dall'Amazzonia al Mississippi. Si comprende che  papa Francesco, nella Laudato Sì, abbia indicato in Bartolomeo un maestro del rapporto tra fede e creato: Bartolomeo per primo ha connesso il tema ecologico al tema del peccato, ha stabilito la connessione tra fede e scienza per la salvaguardia della natura, ha consacrato il 1° settembre a giornata di preghiera per il creato.
Può sembrare strano che un patriarca si dedichi tanto a campagne per l'ambiente. Ma Bartolomeo è un uomo di visione, non il conservatore di un museo. Sa che se ci si chiude a difesa del-l'esistente, la causa è già perduta. Così Bartolomeo non si è perduto nella difesa delle sue posizioni strategiche a Istanbul e dintorni, nella sindrome dell'estinzione della sua comunità, ma ha allargato gli orizzonti a tutti i continenti e ai grandi problemi dell'umanità, con sensibilità interconfessionale e interreligiosa, non senza comprensione dei fenomeni della globalizzazione. È stata una pacifica controffensiva culturale che ha  arrestato la decadenza, tra l'altro procurandogli maggiore rispetto dalle autorità turche.

Bartolomeo non ha visto il mondo con gli occhiali della sventura, denunciando secolarizzazione e paganesimo, ma lo ha guardato in maniera positiva e creativa, cercando la collaborazione di tutte le persone di buona volontà per la salvaguardia del creato, per
l'unità della famiglia umana, per la giustizia tra i popoli.

ROBERTO MOROZZO DELLA ROCCA

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