venerdì 31 marzo 2017

I DAZI DI ...OBAMA

I giornali hanno scoperto i dazi. 

C’erano anche con Obama, ma in quel caso si trattava di dazi democratici, intelligenti a prescindere, una faccenda very cool, espressione del free market dell’America in progress con incorporato l’orticello biologico alla Casa Bianca. 

Quelli di Trump all’Unione europea invece sono… un momento… quelli di Trump non sono di Trump, ma dell’amministrazione Obama. Questo RISULTA dal bollettino del pubblico registro degli atti del governo federale del 28 december 2016, n.249.


La notizia vera è il riflesso pavloviano dei levrieri da tastiera democratica nell’azzannare l’amministrazione Trump anche quando l’origine del problema – se di problema si tratta – è da un’altra parte. La lista dei prodotti oggetto della contesa non è uscita dopo una riunione alla Casa Bianca tra Stephen Bannon e Kellyanne Conway, ma era stata depositata in un atto del 26 dicembre scorso, OBAMA REGNANTE

Questa lista è un aggiornamento di una serie di prodotti europei che erano soggetti a tassazione rafforzata già nel 1999 e sottoposti a regime speciale di importazione, in tutto o in parte, fino al 2011. Presidenze Bush, Clinton e toh! sempre Obama.
Basta leggere i documenti, stare ai fatti, non perdere tempo a cercare la post-verità degli altri, i cattivi a prescindere, ma provare a raccontare le cose come stanno.
Ecco l’allegato dei prodotti già sottoposti a tassazione speciale sull’import:



Ma quello che conta, appunto, è il racconto generale dell’amministrazione brutta, sporca e selvaggia, la cronaca di quelli che escono dalle catacombe e gridano “Wilma, passami la clava”.

MARCELLO PERA: DIRITTI UMANI E CRISTIANESIMO


Dal libro "Diritti umani e Cristianesimo"

Samuel Prout : Cattebrale di Ratisbona
"I padri liberali non erano consapevoli di aver creato una bomba a orologeria. 
Cominciare con l’individuo e i suoi diritti rinunciando all’idea di una vocazione umana, equivale a mettere in moto un processo che porta alla sovranità senza limiti dell’individuo, slegato dalla natura e dalla moralità naturale. 
In altri termini, il pensiero cristiano aveva detto: “Questi sono i tuoi doveri e che Dio ti aiuti”; il pensiero contemporaneo ora dice: “Questi sono i tuoi diritti e che il diavolo si prenda cura di te” (que le diable t’emporte)"

IL PORTAVOCE DEI VESCOVI BELGI : L'ABORTO UN OMICIDIO? LA PAROLA E' TROPPO FORTE!!

In Belgio la polemica è forte. E La Chiesa belga, e l’Università Cattolica di Lovanio, non stanno mostrando il meglio di sé. Anzi. 

La storia è semplice: un professore di filosofia dell’università, Sthéphane Mercier, durante un corso destinato agli studenti del primo anno ha trattato del tema dell’aborto, e prendendo spunto dal quello che ha scritto Peter Kreeft, professore del King’s College di New York, secondo cui l’embrione è persona dal concepimento, ha argomentato che l’aborto volontario è un omicidio premeditato, e dovrebbe essere proibito dalla legge (come era peraltro in occidente fino a qualche decennio fa). 
L'Università di Lovanio è ancora cattolica?

L’Università Cattolica di Lovanio dopo aver preso tempo,
ha emanato un primo comunicato, in cui dopo aver annunciato un’inchiesta, diceva che “a prescindere dall’istruttoria, il diritto all’aborto è iscritto nel diritto belga e il testo di cui siamo venuti a conoscenza è in contraddizione con i valori sostenuti dall’università. Il fatto di veicolare posizioni contrarie a questi valori durante l’insegnamento è inaccettabile”. In seguito ha annunciato la sospensione dei corsi di Stéphane Mercier, e un’indagine disciplinare nei suoi confronti, che potrebbe concludersi con delle sanzioni o il licenziamento

La risposta della Conferenza Episcopale Belga sul caso Mercier è stata farisaica e bugiarda: Don Abbondio era un dilettante al loro confronto

I vescovi hanno difeso la UCL con questa dichiarazione presente sul sito della conferenza episcopale (QUI): 
“A proposito della sospensione dei corsi di Stéphane Mercier, incaricato di corsi in quanto invitato all’UCL, i vescovi pongono la loro fiducia nella procedura interna avviata attualmente dall’UCL.
I vescovi sperano che la discussione sorta contribuirà ad una discussione serena sull’aborto nella società. I vescovi si oppongono all’aborto in nome del rispetto della vita. Secondo il diritto belga, non esiste il diritto all’aborto. La legge prevede che l’aborto possa essere praticato rispettando talune condizioni stipulate dalla legge senza produrre conseguenze sul piano penale. Quindi la legge prevede in quali casi l’aborto è autorizzato o no. Ma, in quanto tale, l’aborto è un delitto previsto dal diritto penale (CHE BUONA LEGGE, LA LEGGE BELGA! CHE BELLA IPOCRISIA… NDR).
Anche se la Chiesa è opposta all’aborto, distingue la persona dall’atto. La Chiesa capisce che talune donne possano arrivare a decidere di un aborto quando sono in situazioni di sofferenza, difficili o disperate. La gravità dell’aborto è un dramma per il bambino, per i suoi genitori e per la società. Comprendendo queste situazioni drammatiche, i vescovi tengono che si parli sempre con delicatezza e tatto delle persone e delle coppie che fanno la scelta dell’aborto.”

Difficile trovare posizione più ipocrita di questa! La gravità dell’aborto un dramma per il bambino? Altro che dramma! Il bimbo viene fatto letteralmente a pezzi!
Tommy Scholtès, un sacerdote, portavoce della Conferenza episcopale belga, ha detto: “Le parole di Stèphane Mercier mi sembrano caricaturali. La parola omicidio è troppo forte: presuppone una violenza, un atto commesso in piena coscienza, con un’intenzione, e questo non tiene conto della situazione delle persone spesso nella più grande angoscia”. Ha poi aggiunto che “formule del genere non aiutano la Chiesa, specialmente nel quadro dell’appello alla vita lanciato dal Papa”. Ha ammesso che il rispetto per la vita resta al centro della dottrina “ma il Papa chiama anche alla misericordia: dobbiamo mostrare comprensione, compassione”.


Siccome la lezione di Mercier era di natura teorico filosofica e non indirizzata ad una persona in particolare, il richiamo alla misericordia è del tutto fallace. Non si può mostrare “comprensione, compassione” nei riguardi dell’aborto. ù
La prima forma di carità è proprio la verità stessa: l’aborto è un CRIMINE ORRENDO, come il Papa ripete continuamente, e inutilmente, perché ormai gran parte degli uomini di Chiesa sono ottenebrati nell’uso della ragione e della fede. 

CON PIETRO CONTRO I "PAPISTI"



C’ero anch’io nel Parco di Monza per la messa con papa Francesco. Il motivo è semplice e lo ha ricordato il cardinale Angelo Scola nel saluto al termine della messa, citando Sant’Ambrogio: «Dove è Pietro, là dunque è la Chiesa». E prosegue la citazione: «Dove è la Chiesa, là non c’è la morte, ma la vita eterna». 


Andare all’incontro con il Papa è anzitutto riconoscere e affermare questa realtà, che è fondante la nostra identità. Tutto il resto – simpatie o antipatie, sintonia o perplessità e così via – viene dopo, è un altro livello, non può mettere in discussione il dato fondante. E questo vale per qualsiasi successore di Pietro: è garanzia della appartenenza oggettiva al Corpo di Cristo. Trovarsi ieri nel Parco di Monza - così come era già accaduto nel Parco Nord a Bresso con Benedetto XVI e tante altre volte con san Giovanni Paolo II – è stata una esperienza vera di Chiesa. Quel popolo presente ieri a Monza è lo stesso del 2012 a Bresso con papa Benedetto XVI e delle due visite a Milano (1983 e 1984) di san Giovanni Paolo II. È un popolo che si stringe attorno a qualsiasi successore di Pietro, perché – senza discettare di teologia - sa che la Chiesa non è di Francesco come di nessun altro: la Chiesa è di Cristo, e questo basta. 

Perché dico queste cose? Perché è deprimente leggere in questi giorni (e non solo) commenti sui giornali o sui social dove ci si preoccupa di dividere sempre il campo in pro e contro papa Francesco. E a guidare questo giochino sono anche firme note, carrieristi di successo, ideologi interessati, personaggi in cerca di una nuova verginità, semplici leccaculo (leccacalzini li chiama papa Francesco all’argentina). Tutti ansiosi di mettersi in mostra e di farsi vedere nel campo “giusto”, tutti zelanti nell’indicare chi sono i nemici del Papa, chi è “contro”, chi è da lasciare fuori dalla porta (nel mentre dicono di abbattere i muri). Trattano la Chiesa come fosse un partito, impongono un regime: qualsiasi domanda, qualsiasi perplessità, viene stroncata e negata in nome dell’obbedienza al Papa, abbassando il successore di Pietro al livello di qualsiasi tiranno che può fare il bello e il cattivo tempo nel suo regno, che ha potere di vita e di morte sui suoi sudditi. 

Noi siamo con Pietro. Sempre. Ma proprio per questo ci sentiamo liberi di domandare, esprimere perplessità, esigere chiarezza su questioni che sono fondamentali per la nostra fede e per la Chiesa, così come di formulare giudizi diversi su materie opinabili. Come del resto prevede il Catechismo e prescrive il Codice di Diritto canonico. 

 di Riccardo Cascioli

26-03-2017

domenica 19 marzo 2017

APPUNTI SUL POPULISMO 5 I TRE SIGNIFICATI DELLA PAROLA POPOLO DEMOS ETNOS PLEBS

Continua l’intervista ad Alain de Benoist dal post precedente

IL DISPREZZO DELLE CLASSI AL POTERE

Secondo De Benoist, la critica del populismo si è sviluppata attraverso tre stadi. «In un primo momento sono stati definiti “populisti” dei movimenti che venivano principalmente dall’estrema destra o dall’estrema sinistra, ma che avevano alcune caratteristiche nuove: accettavano il gioco della democrazia, per esempio.
In un secondo momento, la qualifica di populismo si è estesa a tutti i movimenti che avevano come caratteristica comune quella di far leva sul popolo per accusare le élite.
In un terzo momento, la critica del populismo si è rivelata una critica del popolo. 
Ciò si vede molto bene con il disprezzo, che è un disprezzo di classe, delle élite contro i popoli che hanno votato Trump, il Front National, e a favore della Brexit. Quando ha vinto la Brexit, ci hanno detto che ha votato il popolo degli idioti, degli imbecilli, dei vecchi, dei provinciali».

E ancora: «Questo disprezzo di classe è estremamente rivelatore perché poggia sulla confusione esistente intorno al significato di competenza. La competenza in politica non è una competenza tecnica, non è la competenza degli esperti. La competenza politica si riassume nell’attitudine a prendere decisioni e alla capacità di giudicare ciò che nel quotidiano è buono o cattivo per il popolo. 

GLI ESPERTI NON SANNO QUELLO CHE BISOGNA FARE, SANNO COME FARE QUELLO CHE LA POLITICA HA DECISO DI FARE

Quando si oppone al popolo “coloro che sanno”, si fa un errore drammatico perché “quelli che sanno”, gli “esperti”, non sanno quello che bisogna fare: sanno come fare quello che si è deciso di fare. Sta ai politici dire quello che bisogna fare, e agli esperti in un secondo momento dire come raggiungere questo obiettivo. 

Quando si dà agli esperti il monopolio della decisione, questi uccidono la politica, perché considerano che ci sia una sola soluzione razionale al problema politico: trasformano il problema politico in un problema tecnico. È lì che vediamo la vecchia formula: “L’amministrazione delle cose si sostituisce al governo degli uomini”».

Questa critica del popolo, per l’intellettuale francese, «disconosce ciò che bisogna intendere per popolo». 

Secondo De Benoist «ci sono tre grandi significati di popolo: 
il popolo come “demos”, ossia il popolo politico, il popolo in quanto potere costituente; 
il popolo come “etnos”, ossia il popolo come risultato di una storia culturale, nozione prepolitica; 
il popolo come “plebs”, ossia il popolo considerato come classe sociale, come classe proletaria e popolare. 
La grande caratteristica del populismo è quella di riunire queste tre accezioni del termine “popolo”».

In merito a quello che è successo negli ultimi trent’anni, conclude l’autore de Le Moment populiste, «ci sono tre grandi fenomeni sui quali il popolo non è mai stato consultato: l’immigrazione, la mondializzazione e la costruzione europea con il potere delle commissioni di Bruxelles. 

Ci hanno detto che l’immigrazione era un’opportunità per l’Europa, che la mondializzazione era felice e avrebbe prodotto vantaggi per tutti, e ci hanno detto che l’Europa avrebbe risolto tutti i problemi. 
Oggi le persone si rendono invece conto che l’immigrazione provoca molti problemi, patologie sociali, scontri culturali e religiosi di grandi dimensioni, che la mondializzazione si sviluppa a loro detrimento in ragione delle delocalizzazioni, della messa in concorrenza dei lavoratori europei con i lavoratori del Terzo mondo che ricevono salari irrisori, e si accorgono che l’Europa non è divenuta la soluzione a tutti i problemi, bensì un problema che si aggiunge agli altri. 
Il tutto in un contesto di crisi generalizzata, crisi dei valori, sparizione dei punti di riferimento, crisi di civiltà, crisi finanziaria, indebitamento pubblico di cui non si vede la fine, aumento della disoccupazione strutturale e non più congiunturale. Questo è il terreno fertile sul quale il populismo ha prosperato».



Leggi di Più:
 Trump? De Benoist: Antipolitici sarete voi | Tempi.it 

APPUNTI SUL POPULISMO 4 : VISTO DA DESTRA

Per il filosofo “infrequentabile” Alain de Benoist l’ascesa dei Trump, dei Le Pen e degli euroscettici è tutto il contrario di un fenomeno illiberale. INTERVISTA tratta da Tempi 


POPULISMO:  una parola strattonata in tutti i sensi, utilizzata abusivamente, con il solo obiettivo di delegittimare certe organizzazioni politiche.


«Osservo che il termine populismo è utilizzato sistematicamente in maniera negativa, peggiorativa, per designare movimenti o correnti di pensiero completamente differenti tra loro. I cantori del pensiero dominante dicono che questi movimenti sono principalmente demagogici, per nulla seri, e che costituiscono una minaccia per la democrazia. Ma sono analisi a dir poco superficiali, che passano completamente a lato della questione. Per la stesura di questo libro ho voluto adottare un approccio che parte dalla scienza politica, cercando di capire cos’è il populismo e qual è la sua storia», dice a Tempi De Benoist. «Dall’altro lato – spiega l’intellettuale francese – mi sono interessato ai continui tentativi di denigrazione del populismo, al perché questa parola è diventata una “parola-caucciù”, ossia una parola strattonata in tutti i sensi, utilizzata
Francia contro il governo
abusivamente, con il solo obiettivo di delegittimare certe organizzazioni politiche
.
Il 2016 è stato l’anno dell’ascesa del Front National, della Brexit in Inghilterra, dell’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, della crescita di Podemos in Spagna, e dell’espansione dei Cinque Stelle in Italia, senza dimenticare il grande risultato ottenuto dall’Fpö alle ultime elezioni austriache. Stiamo assistendo a un fenomeno generalizzato che va studiato nella sua complessità».
Per De Benoist, animatore della rivista antimoderna Eléments, fucina di idee della destra intellettuale francese, «bisogna partire dalla base per capire cos’è il populismo e quali sono le ragioni del suo successo».
La prima ragione, spiega, è «l’enorme diffidenza della stragrande maggioranza delle popolazioni nei confronti della classe politica al potere e delle élite economiche, finanziarie e mediatiche. A questo, si aggiunge una profonda crisi della rappresentanza. Le persone sentono di non essere più rappresentate e che i partiti di governo costituiscono una casta che utilizza il potere soltanto per difendere i propri interessi: c’è una spaccatura tra i rappresentanti e i rappresentati».
Oltre a questo fattore, analizza De Benoist, «c’è il divario che si è aperto da trent’anni a questa parte tra il popolo e la sinistra. Sinistra che storicamente aveva professato di voler difendere le classi popolari più dei leader dei movimenti di destra. Infine, il successo dei movimenti populisti è legato al recentrage dei programmi dei partiti di destra e sinistra. In altre parole: i partiti di destra e sinistra si succedono ma hanno praticamente la stessa politica, si distinguono nella scelta dei mezzi, ma gli obiettivi sono i medesimi. Le nozioni di destra e sinistra perdono la loro specificità, e lo testimoniano anche i sondaggi: la gente non vede più quale sia la differenza tra queste due categorie politiche».

IL POPULISMO NON E’ UNA IDEOLOGIA, NON E’ ANTIPOLITICO, NON E’ ANTIDEMOCRATICO

Sugli errori di analisi dei molti editorialisti ed “esperti” che affollano giornali e televisioni bollando tutto ciò che non è di loro gradimento come “populista”, De Benoist tiene a soffermarsi. «Il primo errore è quello di credere che il populismo sia un’ideologia, quando invece è una forma politica, uno stile politico, un nuovo modo di articolare le richieste sociali e politiche che può combinarsi con qualsiasi ideologia. È la ragione per cui ci sono dei populismi liberali, dei populismi antiliberali, dei nazional-populismi, dei populismi di sinistra e dei populismi di destra», dice l’autore di Vu de droite.
Londra, Trafalgar Square
«Il secondo errore è quello di pensare che il populismo sia un fenomeno intrinsecamente antipolitico, perché è vero il contrario. Il populismo è una reazione contro una politica che oggi è dominata dalla gestione, dall’economia, dall’espertocrazia, dalla morale dei diritti dell’uomo, da tutta una serie di cose che tendono a far sparire l’autonomia della politica. Il populismo è una “demande de politique”, una richiesta indirizzata alle classi dirigenti affinché facciano politica, invece di limitarsi alla gestione e all’amministrazione».

Il terzo errore individuato da De Benoist è credere che il populismo sia un movimento antidemocratico. «Anche qui, è l’esatto contrario di quanto proclamato dalla doxa mediatica. Ciò che il populismo contesta è la democrazia liberale, parlamentare e rappresentativa, che oggi non rappresenta più nulla. I movimenti populisti chiedono più democrazia, una democrazia partecipativa, diretta, nel senso che la gente deve essere maggiormente protagonista, che il loro potere non si deve ridurre all’andare a votare ogni quattro o cinque anni per delle persone che una volta elette difendono soltanto i loro interessi. I movimenti populisti combattono per una democrazia dove le persone possono decidere il più possibile autonomamente e per loro stesse».


APPUNTI SUL POPULISMO 3 ALFREDO MANTOVANO

TEMPI  Marzo 3, 2017 Alfredo Mantovano

Quella etichetta È usata oggi come quarant’anni fa il Pci adoperava l’etichetta “fascista” per chiunque non fosse in linea col “Progresso”


 Un fantasma si aggira sull’Europa… Questa volta si chiama populismo

A che serve demonizzarlo? Ciò che cade sotto questo nome è un insieme di reazioni, talora sbagliate nel merito, quasi sempre inadeguate, all’assenza di scelte politiche di fronte a problemi quotidiani veri. 

L’Europa a 28 non decide le questioni importanti e si impegna in regolamentazioni tanto dettagliate quanto distanti dalla realtà, per una serie di ragioni: non ultima la circostanza che è a 28. Nei consigli dei ministri dell’Unione un tavolo a 28 è ingestibile: ciascuno ha a disposizione un paio di minuti per l’intervento principale e, quando va bene, un tempo analogo per la replica. Come è possibile affrontare un negoziato con tanti interlocutori e così poco tempo a disposizione?

Se mancano le occasioni e i tempi per un confronto vero fra i 28, che con la Brexit scendono a 27, ma potranno crescere con i cinque nuovi Stati candidati all’ingresso e due potenziali, può accadere che ci si acquieti su documenti generici preparati dai tecnici, così generici che non forniscono nessuna soluzione alle questioni di volta in volta all’esame. Quanti vertici, per fare l’esempio più clamoroso, hanno avuto per oggetto l’immigrazione? Quali risultati hanno prodotto?

sabato 18 marzo 2017

APPUNTI SUL POPULISMO 2

LE OSSA ROTTE DEI PROGRESSISTI EUROPEI
In questi ultimi vent'anni la sinistra europei non proposto delle soluzioni diverse da quelle della destra ma ha semplicemente ignorato il problema e trattato come deficienti chi vedeva nell'immigrazione un'emergenza.
INTERVISTA A LUCA RICOLFI
Roma - Il risultato delle elezioni olandesi ha fatto tirare un sospiro di sollievo nelle cancellerie di molti Paesi europei. Lo spettro di una vittoria del partito populista e anti Ue di Geert Wilders si è dissolto, anche se l'estrema destra è in continua crescita.
Molti analisti, però, si attendevano un simile risultato, come il professor Luca Ricolfi, sociologo ed editorialista del Sole 24Ore. «Non sono sorpreso, il rischio che Wilders andasse al governo era già molto limitato. Bisogna sempre tener presente che quando si demonizza un pericolo, esiste una reazione. E proprio l'aspettativa di una vittoria di Wilders ha determinato questa reazione. Come accade in Francia, quando i Le Pen si avvicinano al potere, c'è una reazione delle persone assennate che votano un altro per fermare questa eventualità».
Il premier olandese Rutte è stato riconfermato, anche se il suo partito è in calo. Tutto come prima o il voto cambierà comunque volto all'Olanda?
«Secondo me cambierà, ma non sarà il voto a modificare le cose ma la situazione. La dirigenza europea si sta rendendo conto che ha dormito per 20 anni. Penso che nei prossimi anni ci sarà una sorta di riscossa degli europeisti. Il timore di un'altra Brexit, dell'instabilità, dei rapporti con Trump farà sì che le forze europeiste avranno un sussulto.
Mi sembra un momento molto favorevole per una riorganizzazione e ristrutturazione anche mentale. Tutti si stanno rendendo conto che l'Europa è stata governata con i piedi, la classe dirigente non è stata all'altezza, dal problema dell'immigrazione alla crescita, dalle banche alla stabilità finanziaria. Ora è possibile, e auspicabile, che si sveglino».
In Olanda ha vinto il centrodestra moderato, ma in campagna elettorale il premier ha avuto una linea dura, come lo stop ai comizi dei ministri turchi o la lettera aperta agli immigrati. È questo che lo ha premiato?
«Me lo sono chiesto anch'io, in verità non ho una risposta. Ma penso che in futuro qualche stilla contro l'immigrazione entrerà anche nel vocabolario dei partiti progressisti. Ormai in Europa pure loro si rendono conto di aver sottovalutato, snobbato il problema dell'immigrazione. Quello che ha fatto il Pd in Italia con la scelta di Minniti al ministero dell'Interno, per esempio, è una salto di qualità, impensabile fino a due anni fa. Minniti è uno che ha ben presente il problema immigrazione. Questo tipo di aggiustamento è in atto un po' in tutt'Europa. I partiti progressisti avranno più buon senso».
Facendo un parallelo con l'Italia, pensa questo nuovo corso influenzerà anche il voto nel nostro Paese?
«Penso che il tema immigrazione influenzerà abbastanza le elezioni, anche se non è detto che questo vento soffierà a favore della Lega o di Fratelli d'Italia. Potrebbe spingere i 5Stelle o Forza Italia, più sensibili della sinistra al problema. Per prima cosa un elettore esclude i partiti che non vedono il problema e in Italia sono solo due: il Partito Democratico e l'estrema sinistra, tutti gli altri lo vedono. Non mi sento di dire che il voto non premierà Salvini, ma di sicuro toglierà voti alla sinistra. Comunque, guardando le tendenze, Forza Italia dovrebbe sorpassare la Lega. E lo interpreto come un voto di governo. Se fossi un elettore di destra, mi chiederei se ha più probabilità di governare Berlusconi o Salvini e quindi voterei Berlusconi».
La sinistra italiana ha tirato un sospiro di sollievo e ha plaudito la non vittoria populista. Ma i progressisti olandesi sono usciti dal voto con le ossa rotte. Un segnale da cogliere?
«L'apertura all'immigrazione non si sa dove porti, ma di sicuro porta lontano dai partiti di sinistra. La cecità di questi ultimi 20 anni è stata troppo grave per non avere un costo politico ed è giunto il momento in cui questa cambiale viene pagata. Non possono riciclarsi in pochi mesi e la gente ha capito che con la sinistra al governo il problema dell'immigrazione non si risolverà mai. Come ho scritto nel libro Sinistra e popolo, in questi vent'anni non hanno proposto delle soluzioni diversi da quelle della destra ma hanno semplicemente ignorato il problema e trattato come deficienti chi vedeva nell'immigrazione un'emergenza. La gente si è sentita disprezzata da questo atteggiamento. Provi a vivere in un quartiere ad alta densità di immigrati... A farne le spese è spesso la povera gente, che la sinistra guarda dall'alto in basso. Ora cercano di correre ai ripari, ma non è una revisione genuina, hanno solo preso paura perché si vota».
Il giornale Riccardo Pelliccetti - Ven, 17/03/2017 - 08:35


APPUNTI SUL POPULISMO 1

LO SCONTRO E’ FRA ELITISMO E POPOLARISMO
«Trump? Vedo che qui si parla di extreme right, destra estrema. Ma la distinzione destra e sinistra non coglie più la realtà.E la grande vittoria del nuovo presidente americano è tutta su un'altra dimensione: il suo merito fondamentale è quello di aver scardinato alle radici il politicamente corretto».

Guido «George» Lombardi vive negli Stati Uniti dai primi anni Settanta. Di Donald Trump è vicino di casa: lui abita al 63esimo piano della Trump Tower, il presidente Usa al 66esimo. Per la stampa di mezzo mondo è «l'amico italiano» del neo-presidente, l'immobiliarista che, senza alcun incarico ufficiale, e con la sua attività sui social network, ha contribuito al successo del nuovo inquilino della Casa Bianca. In questi giorni è a Milano, invitato da una neonata associazione, «Un ponte per Trump», creata da un giornalista, Massimo Lucidi e da un imprenditore, Marco Arturi, per dare vita a un network tra i simpatizzanti «trumpiani» in Italia. Ieri Lombardi ha presentato in un convegno l'ultimo libro di Maria Giovanna Maglie: «@realDonaldTrump» e diffuso a piene mani il verbo dell'amico Donald.
«Vede, come le dicevo la distinzione che conta oggi non è tra destra e sinistra, ma tra elitismo e popolarismo, una parola che rende meglio quello che molti chiamano populismo, termine che a me non piace. E proprio qui sta il merito di Trump, che gli andrebbe riconosciuto anche se non avesse vinto: ha abbattuto il pensiero totalitario del politically correct. Una roba degna dello stalinismo, di quando il leader e le sue azioni non potevano essere oggetto della minima critica: c'era e c'è ancora un'élite, voi li chiamate «poteri forti» che attribuisce delle etichette e decide quello che si può dire e quello che è lecito fare. Trump ha buttato tutto a mare. E in questo modo ha restituito la libertà di pensiero e di azione agli americani. Lui ha ridato il potere al popolo. Lo aveva promesso e ora lo sta facendo».
Il discorso, secondo Lombardi vale per gli Stati Uniti ma anche per l'Europa intera. «Voi siete come nel 1939. Allora il nazismo stava conquistando il continente e gli altri Paesi non avevano la forza di opporsi. Poi, finalmente, l'Inghilterra ha mandato a casa Chamberlain e trovato il coraggio per dire basta. La Brexit è stato questo. E adesso bisogna vedere se il resto dell'Europa saprà ribellarsi al destino profetizzato da Oriana Fallaci quando parlava di Eurabia. Il prossimo 7 maggio, il giorno del ballottaggio delle elezioni presidenziali francesi potrebbe essere quello di un nuovo sbarco in Normandia. Questo se la Francia saprà voltare pagina con la le Pen . E vedremo se alle prossime elezioni italiane ci sarà un nuovo sbarco ad Anzio».
Per il momento, però, almeno in Olanda l'ondata del nuovo rappresentato da Geert Wilders sembra essersi infranta: «Forse gli olandesi non hanno avuto abbastanza coraggio. E per questo continueranno ad avere in casa i tedeschi che dettano le leggi in campo economico e gli immigrati che fanno il bello e cattivo tempo. Un paese come il Belgio sembra ormai perso, gli altri devono decidere che fine vogliono fare».

Il Giornale 17/3/2017
FOTO ANSA

venerdì 17 marzo 2017

POPOLI E POPULISMO


Un fantasma si aggira per l’Europa. Questa volta si chiama "populismo".

Questa etichetta è usata oggi come quarant’anni fa il PCI adoperava l’etichetta “fascista” bollando così non i nostalgici del ventennio, ma chiunque non fosse in linea col Progresso. Allora arbitro di decidere chi fosse in linea col Progresso sul piano politico era il vertice del PCI, e sul piano culturale l’elite ad esso collegata. Oggi i soggetti che rilasciano questa patente sono altri, sono le elite europeiste e globaliste, ma non cambia l’automatismo. Oggi i massmedia e le classi politiche dominanti applicano la definizione di "populismo" (utilizzando una parola che ha già in sé un significato negativo) anche alle giuste pretese dei popoli di salvaguardare la propria identità, le proprie tradizioni, i propri valori.


Il CROCEVIA con questo seminario interattivo complementare al 

“Percorso Elementare di Cultura” 

mira a stimolare nelle persone che lo frequentano, attraverso un confronto con i relatori, una capacità di giudizio sugli avvenimenti del tempo presente secondo le categorie, i criteri ed il linguaggio della nostra cultura, e affermando che la soluzione non sta né negli slogan urlati, né nelle etichettature di comodo, ma nella realistica e coraggiosa ricerca di risposte concrete adeguate alle vite quotidiane dei popoli.


domenica 12 marzo 2017

LA PIETRA SCARTATA DAI GESUITI ......

Nell'impagabile intervista concessa al vaticanista Giuseppe Rusconi (la si veda qui: http://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-personalita/672-gesuiti-padre-sosa-parole-di-gesu-da-contestualizzare.html), il generale dei gesuiti Arturo Sosa ad un certo punto dice: «Dottrina è una parola che non mi piace molto, porta con sé l’immagine della durezza della pietra».
Andrea Mantegna , Agonia di Cristo
Non gli piace la dottrina perché non gli piacciono le pietre. 
Questione di gusti, si dirà.
Il fatto è che a Dio, invece, le pietre piacciono. Dio, «mia roccia ... mia rupe in cui mi rifugio»: così lo invoca il salmista, da Lui ispirato.  Dio non disdegna di essere chiamato roccia, cioè pietra. E anche suo Figlio si definisce «pietra»: la pietra che i costruttori hanno scartato e che è diventata testata d'angolo (cfr. Mt 21,42).
(A proposito, quella volta disse anche che «chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà» (Mt 21,44). Pare che ogni tanto dicesse di queste cose. Ma chissà: come è noto allora non c'era il registratore).

 DAL BLOG DI LEONARDO LUGARESI

martedì 7 marzo 2017

IL CUORE DELL’EDUCAZIONE


L’omelia di mons. Camisasca 
nella messa per il XII anniversario della morte di don Giussani.

Guidare le persone alla consapevolezza dei loro bisogni e accompagnarle verso Dio in una vita di comunione: questo è il cuore dell’educazione che ha cercato di vivere e insegnare don Giussani.

Cari fratelli e sorelle, cari amici, è sempre una grande gioia ritrovarci per celebrare assieme questa santa Messa di suffragio per don Giussani, occasione di memoria e soprattutto di ringraziamento per i tanti doni che Dio, attraverso la sua persona, ha fatto alle nostre vite e a tutta la Chiesa.


Lasciandomi provocare dal Vangelo di questa sera, vorrei assieme a voi soffermarmi su un passaggio che l’evangelista Marco pone alla nostra attenzione, che ben descrive anche uno degli aspetti più interessanti della vita di don Giussani. Gesù è interpellato da un padre che si rivolge a lui perché suo figlio sia liberato da uno spirito muto che lo possiede da molti anni – fin dall’infanzia (Mc 9, 21), abbiamo ascoltato – e che non gli permette di vivere: Se tu puoi qualcosa – chiede accoratamente il padre – abbi pietà di noi e aiutaci (Mc 9, 22). Cristo, pur potendo operare subito il miracolo, si ferma di fronte a questo padre e corregge la sua domanda. Lo invita a fare un itinerario perché, attraverso la situazione drammatica in cui si trova, comprenda ciò di cui egli ha veramente bisogno e quale sia la strada attraverso cui non solo suo figlio, ma anche lui stesso, possa essere veramente liberato. Gesù gli disse: “Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede”. Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: “Credo; aiuta la mia incredulità!” (Mc 9, 23­24). Cari amici, in questo episodio, con brevi tratti, è condensato il cuore dell’educazione, ciò che don Giussani, mettendosi alla scuola di Gesù, ha cercato di vivere ed insegnare in tutta la sua esistenza.

Le circostanze in cui la vita ci pone, anche quelle più drammatiche, sono la strada che ci conduce ad una conoscenza più profonda di noi stessi e di Dio.
Del nostro bisogno di aiuto, ma anche del cammino che la nostra libertà è chiamata a fare. Gesù non si sostituisce alla libertà del padre. Aspetta che egli si rivolga a lui. Semplicemente è presente e la luce della sua presenza suscita la richiesta da parte dell’uomo.

È questo il primo passo dell’educazione: aiutare le persone, con la testimonianza propositiva della nostra vita, a prendere coscienza dei propri bisogni e dei propri desideri.
Spesso questi bisogni o questi desideri sono superficiali, si riducono alla richiesta di risolvere una situazione che non riusciamo a vivere. Ma Gesù prende sul serio anche questi desideri. Sa che essi sono la strada perché altri desideri, più profondi, possano emergere.
Quanta gente incontriamo iniziando a prendere sul serio i loro bisogni! La mancanza di lavoro, la necessità di essere aiutati nello studio, il bisogno di trovare una casa dove stabilirsi per un periodo di trasferta… La condivisione dei bisogni, come ci ha insegnato don Giussani, è via alla condivisione della vita.

Nel Vangelo il Maestro, partendo proprio dalle richieste di chi a lui si rivolge, prende le persone per mano e le conduce, passo dopo passo, attraverso un itinerario in cui il loro io, da semplice soggetto passivo di un aiuto esterno, si rialza e diventa protagonista. Le aiuta cioè a scoprire la promessa nascosta al fondo di ogni situazione attraverso cui Dio permette loro di passare. Al padre che gli dice: se tu puoi, Gesù risponde, “non se io posso, ma se tu puoi! Se tu puoi credere!”. “La malattia di tuo figlio è stata per te l’occasione di entrare in rapporto con me. Ma sarebbe troppo poco se io guarissi tuo figlio senza introdurti in una vita di fede, nella quale anche tutte le altre circostanze della tua vita potranno essere vissute in modo vero. Tutto è possibile per chi crede!”.

Ci è rivelato così un secondo passo del cammino dell’educazione. Dopo aver aiutato le persone a prendere coscienza dei propri bisogni, non basta rispondere loro offrendo semplicemente la riposta alle loro domande. Occorre introdurle in un rapporto, in un luogo in cui siano esse stesse a giudicare la corrispondenza di ciò che ascoltano o vedono vivere in noi con il loro desiderio. Occorre indirizzarle su una strada lungo la quale tutta la loro vita sia progressivamente e gratuitamente abbracciata dal calore di una comunione vissuta.

È questo ciò che ogni uomo e ogni donna desidera nel fondo del suo cuore: sentirsi amato e poter amare. È questo ciò che noi, attraverso il carisma di don Giussani, abbiamo sperimentato e che siamo chiamati a vivere a servizio di tutta la Chiesa.

Chiediamo dunque al Signore, anche per l’intercessione di don Giussani, che le nostre vite, le nostre case e le nostre comunità siano luoghi autentici di accoglienza e di amicizia, luoghi nei quali possa trasparire la bellezza della vita cristiana, luoghi abitati da quella comunione che tutti desideriamo e nella quale soltanto ogni persona può sperimentare la liberazione e la pace della propria vita. Amen.


Omelia nella santa Messa per il XII anniversario della morte di don Giussani Reggio Emilia – Basilica della B. V. della Ghiara, 20 febbraio 2017

giovedì 2 marzo 2017

UN ALFABETO DIMENTICATO


 scritto da Aldo Maria Valli
«Che cosa significa “misericordia”? Guarisci il mio peccato, rendimi in grado di accettare la tua volontà. Questo significa “misericordia”!».
Da qualche tempo (come ho accennato in un altro intervento) sono alle prese con l’insegnamento di un padre spirituale ortodosso del Monte Athos (sto aiutando un giovane e bravo monaco in un lavoro di traduzione) e resto colpito da questa definizione della misericordia. Che suona così antica ma proprio per questo così nuova per noi cattolici.
In primo piano non c’è la richiesta che Dio guardi ai limiti della creatura e li giustifichi. C’è una creatura che si sente peccatrice, invoca la guarigione e chiede aiuto per accettare la volontà divina.
L’idea di misericordia è qui ribaltata rispetto all’uso che appare ricorrente oggi in ambiente cattolico, dove spesso, dicendo misericordia divina, si pensa prima di tutto al diritto che l’uomo avrebbe di essere comunque giustificato, accolto e compreso da un Dio la cui capacità di misericordia  sarebbe proporzionale alla sua disponibilità a giustificare, accogliere e comprendere.
Mi sto accorgendo che il padre spirituale ortodosso propone, nelle sue meditazioni, un alfabeto da noi quasi dimenticato. Voglio qui proporre alcune parole.

LE PAROLE CHE CANCELLANO IL "MOSTRO DONALD"

Riro Maniscalco
ilsussidiarionet
mercoledì 1 marzo 2017


 La prima volta di Trump.
Tecnicamente non è uno State of the Union Address (che richiede l'essere stato in carica per un anno almeno), è un Congress Address, ma di fatto lo è, essendo la prima volta dopo il discorso di inaugurazione che il presidente parla al Paese.

I media, più volte definiti dalla nuova amministrazione "il partito di opposizione", fibrillano. Piove forte a Washington DC, vedremo se arriveranno anche tuoni e fulmini. Nell'attesa, tra una pubblicità e l'altra, con quel fare cinematografico che hanno tutte le forme di comunicazione in America, Cnn si presenta come "The most trusted news", e anche il New York Times ha comprato spazi pubblicitari per dirci che "la verità è difficile da trovare", ed è per questo che il New York Times esiste.

Trump si troverà a parlare a un Congresso diviso, a partiti divisi, a un popolo americano diviso, a milioni di coscienze divise almeno un po' tra desiderio di cambiamento e paura di un nuovo che potrebbe snaturare quello che l'America è sempre stata.
Donald Trump si presenta tra gli applausi scroscianti dei repubblicani e quelli di circostanza di alcuni democratici. La solita, belligerante, cravatta rossa ha lasciato il posto a un più rassicurante capo d'abbigliamento blu e bianco. Anche questo è un segnale, un "prima della parola".

 Il presidente attacca quello che a mio avviso è stato il suo migliore discorso di sempre. Francamente ho sempre dubitato che sapesse parlare. Se vogliamo afferrare la spina dorsale di tutto il messaggio di questa sera dobbiamo partire dalla fine: "Il mio compito non è quello di rappresentare il mondo, il mio compito è quello di rappresentare gli Stati Uniti d'America".