mercoledì 11 ottobre 2017

MONS. CREPALDI: GESÙ AMA TUTTI. PERÒ NON AMA TUTTO

“Cristo ama tutti, ma non ama tutto. In questo senso bisogna insistere sulla dottrina sociale della Chiesa per conoscere i criteri con i quali giudicare e costruire la società”. Sono le parole dell’Arcivescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi che in questa intervista presenta la seconda sessione del videocorso on line di Dottrina sociale della Chiesa.  


In questa intervista, nata come dialogo sugli aspetti più significativi del suo ultimo libro, scritto con Stefano Fontana, “La Chiesa italiana e il futuro della pastorale sociale” (Cantagalli, Siena 2017), Crepaldi spiega perché lo studio della Dottrina sociale sia indispensabile per uscire da quel pastoralismo ideologico e anti-teologico che alberga in molte realtà della Chiesa e che mostra sempre più la sua completa adesione al mondo.

Eccellenza, c’è molta confusione e a tratti disagio sul ruolo dei cattolici nel mondo, in politica, nella vita sociale, ma anche in quella comunitaria. Ospitiamo abortisti in parrocchia, ci approcciamo al tema dell’ideologia omosessualista in chiave irenista. Per non parlare del ruolo dei cattolici in politica. Siamo troppo assenti o fin troppo presenti?
Direi afasici. I nostri sono i tempi dell’afasia dei laici. Si sono avvitati in discussioni inutili sul partito dei cattolici. E così i cattolici in Parlamento sono molti, ma proprio in quanto cattolici non contano nulla.

Difficile, quando la posta in gioco è se scegliere tra Dio o l’uomo…
Ma la logica cristiana non è o Dio o l’uomo, ma per affermare l’uomo dobbiamo sempre più fare riferimento a Dio. La Chiesa è al mondo non per se stessa, ma per proporre Dio. E’ importante capire che non è la Chiesa che salva, ma è Dio che salva per suo tramite. Dio ha scelto questo strumento per realizzare il suo progetto di Grazia.

Però la Chiesa sembra sfiancata. I laici hanno assorbito un certo clericalismo, anche nel rapportarsi con il mondo. Il suo libro parla del fallimento di molte iniziative pastorali ammaliate dal pastoralismo, cioè lo sganciare la prassi dalla dottrina.
Una comunità non deve girare attorno al prete, ma attorno all’altare. Purtroppo si sono imposte due correnti teologiche, quella rahneriana in Germania con la sua “svolta antropologica”, e quella della Teologia della liberazione in America latina che è andata in prestito dall’ideologia marxista.

Quali sono le risposte della dottrina rispetto a questa deriva?
Direi che il grande salto dopo quella stagione è stato rappresentato dall’irrompere sulla scena di San Giovanni Paolo II Papa, il quale nella Conferenza di Puebla già nel 1979 ha rilanciato sistematicamente la Dottrina sociale della Chiesa. Da qui sono discese le grandi encicliche sociali del suo pontificato e il Compendio di Dottrina sociale, che ad oggi rappresenta un tesoro inestimabile.

Oggi però parlare di Dottrina sociale della Chiesa appare anacronistico e superfluo perché sopra tutto ormai deve esserci la prassi.
Oggi si fa un uso sistematico della Dottrina sociale della Chiesa in chiave pastoralista. Ma è un pastoralismo che assegna priorità alla prassi. Il risultato di questo processo però è un esserci senza sapere perché che non serve a nessuno.

Che futuro dobbiamo attenderci?
Non ci sarà nessun futuro se la pastorale sociale abbandonerà o trascurerà la Dottrina sociale della Chiesa come corpus dottrinale organico capace di abilitare i cattolici non solo a fronteggiare le patologie della società ma anche e soprattutto a costruirne la fisiologia.

Intende dire che la Chiesa deve tornare ad essere protagonista?
Intendo dire che dobbiamo opporci a quella che io ho chiamato la “profezia di Vattimo”.
Vattimo?
Il filosofo Gianni Vattimo. Negli anni ’90, quando la Democrazia Cristiana si disintegrò, Vattimo fece una previsione che devo ammettere si è realizzata.
Quale?
Si compiaceva della fine della Dc e dell’unità politica dei cattolici e auspicava che i cattolici da lì in avanti avrebbero pensato esclusivamente alla patologia sociale perché alla fisiologia sociale “avremmo pensato noi”, diceva.
Cioè: i cattolici si occupino a curare i malati, mentre a studiare le cause delle malattie ci pensano altre ideologie?
Esatto. Ma questo ha relegato la presenza dei cattolici ad assenza, a non analizzare i mali della società, limitandosi solo alla cura dei suoi effetti. In questo modo le cause del male sono definite ed affrontate da altri.

Eppure oggi basta utilizzare la parola dialogo per essere accreditati dal mondo.
Ma Gesù non ha mai usato la parola dialogo, non c’è una sola volta nel Vangelo che Gesù abbia “dialogato” così come lo intendiamo noi oggi. Anzi, direi che non c’è giorno della sua vita pubblica che Gesù non lo abbia passato a litigare. Ovviamente è un’iperbole, ma è per far comprendere che Cristo ci ha detto che dobbiamo amare tutti, ma non dobbiamo amare tutto. Ecco perché il laicato va formato, affinché abbia quei criteri per giudicare la realtà senza lasciarsi dettare i tempi e i modi da altri.

Un nuovo protagonismo comporterà però scelte precise, decisioni impopolari, un annuncio che diventa politicamente scorretto sui temi sui quali oggi si gioca la battaglia: la vita, la famiglia, l’antropologia…
Infatti bisogna smetterla di pensare che sia un peccato se i cattolici sono militanti. L’alternativa è il fatto che oggi, penso ad esempio al Parlamento, i cattolici non contano ormai nulla. 


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