lunedì 20 novembre 2017

CONTRARIE AL BUON COSTUME


BADA COME PARLI (ABBIAMO UN PROBLEMA CON LA LIBERTA')
Prima ci rendiamo conto che siamo ormai in regime di “libertà condizionata”, meglio (o meno peggio) è.
Teoricamente, l'articolo 21 della costituzione è sempre in vigore, ma di fatto il suo primo comma, quello che tutti ricordano e sbandierano: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», viene sempre più fagocitato dall'ultimo, che nessuno cita mai: «Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume».
La questione è: chi decide che cos'è il buon costume? La risposta è semplice: lo decide chi detiene il potere. Quello reale, non quello formale (i titolari del potere formale sono, in pratica, degli esecutori). Quando i costituenti scrissero quell'articolo era chiaro a che cosa si riferivano («o gran bontà dei cavalieri antichi!»), e del resto vivevano in un'Italia in cui quell'espressione aveva un senso immediatamente comprensibile a tutti, perché c'era un ethos condiviso. Ma oggi?
Oggi i controllori del discorso pubblico impongono in maniera sempre più sfacciata e impudente che buon costume è ciò che pensano loro. 
L'altro giorno, per esempio, un mio amico, don Francesco Pieri, si è fatto, ad alta voce, una domanda - che io voglio riproporre in termini più “asettici” perché risalti meglio la sua indiscutibile legittimità: "il numero di individui appartenenti alla specie umana la cui morte è stata causata, direttamente o indirettamente, dall'attività di Salvatore Riina è maggiore o minore di quello degli individui appartenenti alla specie umana la cui morte è stata causata, direttamente o indirettamente, dall'attività di Emma Bonino?"
Ciascuno, ovviamente, ha il diritto di considerare questa domanda sbagliata, malposta, oziosa, assurda, oppure provocatoria, scandalosa, ripugnante eccetera eccetera, ma la campagna mediatica che si è immediatamente scatenata nei confronti dell'autore del quesito, reo oltretutto di essere un prete cattolico, serve oggettivamente a ribadire nella testa della gente il concetto che espressioni del pensiero di quel genere sono «contrarie al buon costume». Per ora non sono ancora legalmente perseguibili (forse), ma - come diceva Napoleone - l'intendece suivra.
(Frattanto qui da me, a Cesena, il comune si è già portato avanti, stabilendo - per via amministrativa! - come discriminare i buoni dai cattivi nella possibilità di manifestazione pubblica del pensiero).
Contro tutto questo, c'è un principio evidente a cui dovremmo stare attaccati come ostriche: la libertà di espressione del pensiero non è reale se non viene garantita anche ai pensieri (che noi consideriamo) aberranti, moralmente ripugnanti, inaccettabili. Siamo liberi, anzi abbiamo il dovere morale e politico di combatterli con tutte le armi intellettuali di cui disponiamo, ma dobbiamo tutelarne la libertà.

Altrimenti la libertà di cui cianciamo continuamente non è diversa da quella di cui si gode in Corea del Nord, dove tutti sono liberi di dire “Viva Kim Jong Un!”. L'unico problema è che possono dire solo quello. Noi possiamo dire qualche cosa di più, ma è una differenza solo quantitativa, non qualitativa.
LEONARDOLUGARESI.WORDPRESS.COM


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