mercoledì 27 dicembre 2017

IL NATALE NON È UN MITO


C’è chi lo presenta come la festa del solstizio, con l’inevitabile Babbo Natale e gli immancabili sermoni sulla pace e la solidarietà: è l’oblio della tradizione


 un’anticipazione di “Prediche corte, tagliatelle lunghe. Spunti per l’anima” (208 pp., 13 euro), il volume edito da Edizioni Studio Domenicano che contiene una selezione di brevi brani tratti da discorsi, relazioni e omelie del cardinale Carlo Caffarra, scomparso lo scorso settembre a 79 anni. 24 Dicembre 2017 ilfoglio

Fate il presepe

Il presepio è rappresentazione della nascita del Salvatore, e anche di come fu accolto, o rifiutato. E’ quindi rappresentazione del primo incontro degli uomini con Cristo, e in quel primo incontro nella storia subito si vide chi Lo accoglieva e lo riconosceva come senso della vita, e Lo adorava orientando a Lui la sua vita, e chi Lo rifiutava e anche Lo combatteva. Le semplici figure dei presepi da sempre annunciano la presenza di Cristo e mettono in guardia contro il sempre ricorrente rischio di non accoglierlo. Ma fare il presepio è già una dichiarazione e un annuncio: far posto a Gesù Bambino nei luoghi dove quotidianamente si vive vuol dire che si intende far posto a Lui nella vita, e che si intende portargli i doni delle nostre opere.
Presepio Chiesa di St. Joseph IL CAIRO

Oblio della tradizione

Immaginiamo che in una scuola si voglia celebrare il Natale. Può essere che ci sia qualche insegnante nelle scuole che… per rispetto a qualche bambino musulmano presente in aula parli e presenti il Natale come la festa del solstizio, con l’inevitabile presenza di Babbo Natale, e gli immancabili sermoni sulla pace e la solidarietà. Si trasforma cioè una narrazione storica in un “mito” che offre lo spunto per esortazioni moralistiche. Si compie in realtà un’operazione ideologica, che viene imposta al bambino, sradicandolo dalla tradizione in cui vive. […] L’oblio della tradizione o la sua trascuratezza ci fa ripartire dal niente, costringendoci a costruzioni ideologiche dettate dal momento.

Il cristianesimo è incontrare Gesù

Vogliamo vedere Gesù (Gv 12,21). Il cristianesimo [...] prima di essere una dottrina da apprendere e una regola da osservare, è l’avvenimento di un incontro: l’incontro della nostra persona colla persona di Cristo. E’ lasciare che la sua presenza occupi sempre più la nostra intelligenza, la nostra coscienza, la nostra libertà, fino al punto che possiamo dire con san Paolo: per me vivere è Cristo (Fil 1,21). E dove finalmente potete vedere, incontrare Gesù? Nella Chiesa: “E’ in essa e per mezzo di essa che Gesù continua a rendersi visibile oggi e a farsi incontrare dagli uomini” (Messaggio di Giovanni Paolo II, 5,3). E la Chiesa si rende concretamente presente vicino a voi, davanti a voi, nella vostra parrocchia, nei movimenti ed associazioni da essa riconosciuti. Perché nella Chiesa e per mezzo della Chiesa voi potete incontrare Gesù? Perché nella Chiesa voi potete sperimentare realmente la sua
Messa di Natale a Shangai
forza rigeneratrice della vostra umanità mediante il sacramento della Confessione. Perché voi potete entrare in una pienezza indicibile di comunione con Cristo mediante l’Eucaristia. E’ l’Eucaristia il luogo in cui voi potete soprattutto incontrare Cristo. E da questo incontro eucaristico voi ricevete la capacità di amare, cioè di donare voi stessi. E’ per questo che solo nell’incontro eucaristico con Cristo voi potete risolvere pienamente il problema, l’enigma della vita. L’uomo infatti “rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente” (Lett. Enc. Redemptor hominis 10,1, EE 8/28). E’ precisamente nell’incontro eucaristico con Cristo che tu ti incontri con l’amore, lo fai tuo, vi partecipi vivamente: l’amore di Cristo; l’amore con cui Cristo ha amato. E’ in questo che voi, carissimi giovani, ritrovate la grandezza, la dignità propria della vostra persona: diventate capaci di amare come Cristo ha amato.
  
Due esperienze per capire cosa significa seguire Cristo

Agostino dovette superare due enormi difficoltà (assai attuali!): la difficoltà di una visione materialista; la difficoltà di una visione fatalista
Prima esperienza: l’arrivo del primo figlio a una coppia sposata. Che cosa succede quando ad una coppia nasce il primo bambino? E’ sostanzialmente l’ingresso e l’instaurarsi di una nuova presenza dentro la loro vita. E’ arrivata una nuova persona! Di conseguenza la vita dei due sposi non può più essere come prima: ormai devono “fare i conti” con lui. Abitudini che forse duravano da anni dovranno essere cambiate. Il lavoro acquista un nuovo senso: lavorano soprattutto per lui, per assicurare il suo futuro. Potremmo dire che la loro giornata viene vissuta e la loro vita interpretata in larga misura alla luce della presenza del bambino. Seconda esperienza: un giovane si innamora di una ragazza o viceversa. Che cosa succede nella vita del giovane/della giovane? Ancora una volta: una persona entra con inaspettata potenza nella vita. C’è come un “urto”: i latini parlavano di “passio”, di passione. E’ un avvenimento che accade e che ti colpisce: ne sei “preso”. Ed in modo tale che tutte le energie – intelligenza e libertà – ne sono coinvolte, perché la persona intuisce che le si apre davanti una nuova possibilità di esistenza. E’ una presenza carica di attrattiva che la spinge a una risposta. Queste due esperienze così umane ci possono aiutare a capire cosa significa seguire Cristo.
Natale a Surabaya Indonesia

Incontrare Cristo non è una questione principalmente morale

Qualcuno potrebbe pensare: seguire Cristo significa vivere come Lui ci ha insegnato a vivere. Significa cambiare la propria vita in senso morale. E pensiamo alla vita immorale e sregolata di una persona che decide di… rientrare nell’ordine della legge morale. Pensare la sequela di Cristo in questi termini non è sbagliato. Anzi, come vedremo, questo modo di pensarla ne coglie un aspetto imprescindibile. Ma non è questo il nucleo centrale. Per convincervene andate a leggere con attenzione due pagine bibliche: Lc 19,1-10, l’incontro di Gesù con Zaccheo; e Fil 3,7-14. Voi costatate un fatto un po’ singolare. E’ vero che Zaccheo cambia la sua vita dal punto di vista morale: decide non solo di non rubare più, ma restituisce il mal tolto con una misura superiore a quella richiesta dalla legge. Ma se guardiamo alla storia di Paolo, le cose non stanno proprio in questi termini. Egli, prima dell’avvenimento decisivo (quello appunto che egli descrive in Fil 3,7-14), non teneva – a differenza di Zaccheo – condotte moralmente riprovevoli. Anzi, egli dice di se stesso che era irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge (Fil 3,6b). Dunque: si può essere malfattori e ladri, come Zaccheo, e non essere ancora alla sequela di Cristo, e questo è abbastanza facile da capire. Si può essere persone oneste e molto giuste, come Paolo, e non essere ancora alla sequela di Cristo, e questo è abbastanza difficile da capire. E non è neppure sempre vero che i secondi siano più vicini al Vangelo dei primi. Gesù una volta disse a chi era o si riteneva giusto: I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel Regno di Dio [Mt 21,31]. Partire dalla considerazione morale dell’esistenza non è la partenza migliore per capire la sequela di Cristo. Ed allora che cosa significa seguire Cristo?

Incontrare Cristo non significa cambiare il modo di interpretare il reale

Qualcuno a questa domanda potrebbe essere tentato di rispondere: cambiare il proprio modo di pensare, di valutare le cose, cioè, e di interpretare la realtà. Ancora una volta, devo dire che sicuramente non esiste vera sequela senza questo cambiamento. Ma ancora una volta non è questo il nucleo centrale. Abbiamo anche al riguardo un esempio nella storia della Chiesa. La conversione di Agostino, come è noto a tutti, fu lunga ed assai faticosa. Egli dovette superare due enormi difficoltà (assai attuali!): la difficoltà di una visione materialista; la difficoltà di una visione fatalista. Egli pensava che esistessero solo realtà materiali; egli pensava, da manicheo quale era, che l’uomo quando agiva male non fosse libero. Egli superò questi due formidabili errori soprattutto attraverso la lettura di libri neo-platonici. Fu la sua conversione? Non proprio. Essa può accadere quando incontra Ambrogio che, scrive egli stesso, lo “accolse come un padre e gradì il mio pellegrinaggio proprio come un vescovo” (Confessioni V, 13,23). Ed allora che cosa significa seguire Cristo? Che cosa succede a Zaccheo di così diverso dalla sua vita ordinaria? Incontrò Cristo che chiese di entrare in casa sua. Che cosa è successo a Paolo di così straordinario che cominciò da quel momento a considerare una perdita tutto ciò che fino a quel momento poteva essere per lui un guadagno? Abbiamo due testi che in maniera molto suggestiva ce lo dicono. Il primo dice: E Dio che disse: rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo (2 Cor 4,6). L’altro testo dice: Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunciassi in mezzo ai pagani… (Gal 1,15-16). Ha avuto un incontro con Cristo nel quale egli, Paolo, ha visto la Presenza: la presenza stessa di Dio, colla gloria del suo amore. Il profeta (Is 9,1) aveva preannunciato: Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce: su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulse. Nella vita di Paolo questa parola si è compiuta: una luce si è accesa nella sua esistenza perché ha incontrato Cristo; ha visto in Lui la presenza stessa di Dio che si prende cura dell’uomo.
Natale a Vilnius, Lituania

Incontro che coinvolge le radici della mia esistenza

Il cristianesimo prima di essere una dottrina da apprendere e una regola da osservare, è sempre l'avvenimento di un incontro
Per capire meglio che cosa significa qui la parola “incontro”, è necessario tener presente che quando esso accade veramente, sono le radici stesse della nostra esistenza ad essere coinvolte. E quali sono le radici della nostra vita? Che cosa nutre il nostro quotidiano esistere? Che cosa ci fa lavorare, ci fa studiare, ci fa prendere moglie/marito, ci fa desiderare e pensare? Come ha visto bene Agostino, è il desiderio di beatitudine, di pienezza di essere. Le nostre scelte sono sempre in vista di un bene particolare; ma alla fine ciascuna di esse si inscrive e si radica nel desiderio di un bene che sia tale da dare piena soddisfazione alla nostra fame e sete di beatitudine, al nostro sconfinato desiderio di verità, di bontà, di bellezza. Solo una cultura disumana e superficiale come in larga misura è la nostra poteva tentare di estenuare nell’uomo questo suo desiderio, insegnandogli che è possibile ben navigare anche se si naviga sempre a vista senza avere nessun porto a cui dirigersi; che è possibile ben camminare anche senza sapere dove andare.

L’incontro con Cristo pesca in questa profondità dell’essere: Cristo è “sentito” come la risposta vera e totale al proprio desiderio illimitato di beatitudine: “Mio Signore e mio tutto”, pregava san Francesco. Zaccheo ha capito che non nel denaro, ottenuto con tutti i mezzi, era la risposta al suo desiderio, ma la risposta era Lui, lo stare a tavola con Lui. Paolo ha capito che la glorificazione di Dio non consisteva in primo luogo nello sforzo morale dell’uomo, ma che tutta la sua felicità ormai era nel conoscere Lui, nell’essere con Lui. Pietro ha capito che non sarebbe più riuscito ad andare da nessun’altra parte, poiché sapeva che solo Lui aveva parole di vita eterna.

L’incontro con Cristo è un fatto che ha tutti i connotati propri dei fatti che accadono in questo mondo: in un tempo preciso ed in un luogo determinato; mentre Zaccheo è su una pianta, mentre Andrea e Pietro stavano pescando, mentre una donna samaritana va ad attingere acqua al pozzo, e così via. Ma nello stesso tempo è un fatto che è imprevedibile [Zaccheo mai si sarebbe aspettato!], incalcolabile [proprio nel momento in cui Paolo andava ad imprigionare i cristiani!], non programmato [la samaritana faceva ciò tutti i giorni], ma così corrispondente alle attese più profonde della persona da farle esclamare: “Tardi ti ho amato, o Bellezza tanto nuova e tanto antica!”.


martedì 26 dicembre 2017

SANTO STEFANO OVVERO DELL'AMICIZIA DI CRISTO



Omelia di Luigi Giussani per la festa di Santo Stefano
Desio, 26 dicembre 1944

Veni Sancte Spiritus.
Veni per Mariam.

Le sacre vesti che i ministri rivestono all’altare non han più il candore di ieri. Rosse sono: simbolo di sangue. Accanto alla dolcissima contemplazione di un Dio bambino riscaldato dall’amore della Madre, quale contrasto la visione di Stefano che muore fra il grandinare delle pietre, coperto di sangue! Con che raccapriccio il nostro pensiero passa dal canto degli angeli e dai volti affettuosi dei pastori alle figure urlanti e frementi d’odio dei lapidatori di Stefano!

Ma l’accostamento è denso di significato. Nel fulgore di luce che circonda la capanna di Betlem si delinea maestosa la figura della Croce.

S. Stefano fu il primo che per seguire il Maestro Divino sacrificò la propria vita. La festa del suo martirio unitamente a quella del S. Natale di cui completa il pensiero, ci danno una lezione di sacrificio. Il suo martirio ci indica un mezzo per aiutarci a vivere questa lezione di sacrificio; il suo martirio ce ne fa vedere i frutti preziosi.

Noi non comprenderemo nulla del vero significato del Natale, se non sentiamo vivamente che Dio si fece uomo per salvare noi: e per salvarci doveva sacrificarsi. Il Bambino, che contempliamo in questi giorni con tutto l’affetto e la riconoscenza di uomini credenti, porta impresso sulla sua fronte a programma di tutta la sua vita e monito alla nostra anima pensosa: «Io son nato a morire per te». Quando la nostra mamma da piccoli ci insegnava a compiere ogni giorno della novena del S. Natale un piccolo fioretto perché il Bambino Gesù ci stesse più comodamente sul fieno rigido e la paglia non lo facesse soffrire - Lui che sarebbe morto in Croce per nostro amore -, la nostra mamma senza saperlo coglieva in modo ingenuo, ma reale, il vero senso della nascita di Dio nel mondo, quello cioè di un profondo sacrificio.

Pensiamo: l’Infinito di Dio si è racchiuso in un minuscolo corpo di bambino. Egli, che ha creato tutto ciò che esiste, si è umiliato a nascere come un meschino figlio di uomo. Egli, l’Eterno, Bellissimo, Incorruttibile ha rivestito questa nostra carne, che ci pesa con tutte le sue esigenze, le sue infermità, la sua condanna a morire e a dissolversi. Egli, ai cui cenni tutte quante le creature si muovono come un canto immenso in Suo onore, ha vissuto in mezzo ai piccoli uomini, trattato colla stessa indifferenza con cui guardiamo le persone ignote che ci passano accanto. Egli, che costruì con meravigliosa sapienza tutte le leggi dell’universo e che conosce anche il più piccolo pensiero che s’alza dal nostro cuore nell’oscurità silenziosa della notte, fu trattato da pazzo. Egli, la giustizia vera, fu condannato ingiustamente. Egli, la vita stessa, in cui ogni vita affonda le radici di sua esistenza, morto sul patibolo degli schiavi. Egli, l’Amore, il cui sguardo trasformava una vita intera, la cui parola consolava una vita intera e di cui il tocco solo delle vesti risanava, giustiziato come un assassino.

IL BUE, L'ASINO E NOI


 Isaia: "Il bue conosce il suo padrone e l'asino la culla del suo padrone; ma Israele non lo sa, il mio popolo non capisce ". (1: 3)

JOSEPH RATZINGER

Colui che non ha afferrato il mistero del Natale non è riuscito a cogliere l'elemento decisivo nel cristianesimo. Chi non ha accettato questo non può entrare nel regno dei cieli - e questo è ciò che St. Francesco d'Assisi ha voluto ricordare di nuovo ai cristiani dei suoi giorni e di ogni generazione successiva.

Duccio di Buoninsegna (1310) Natività
Francesco ordinò che un bue e un asino fossero presenti nella grotta di Greccio nella notte di Natale. Aveva detto al nobile Giovanni: "Desidero realisticamente di risvegliare il ricordo del bambino come è nato a Betlemme e di tutte le difficoltà che ha dovuto sopportare nella sua infanzia. Vorrei vedere con i miei occhi corporei cosa significasse giacere in una mangiatoia e dormire sul fieno, tra un bue e un asino. "

Da allora in poi, il bue e l'asino hanno avuto il loro posto in ogni scena di presepe - ma da dove vengono effettivamente? È risaputo che le narrazioni natalizie del Nuovo Testamento non le menzionano. Quando esaminiamo questa domanda, scopriamo un fattore importante in tutte le usanze legate al Natale e, in verità, a tutta la pietà di Natale e Pasqua della Chiesa sia nella liturgia che nelle usanze popolari.

Il bue e l'asino non sono semplicemente prodotti dell'immaginazione pia: la fede della Chiesa nell'unità del Vecchio e del Nuovo Testamento ha dato loro il loro ruolo di accompagnamento dell'evento di Natale. Leggiamo in Isaia: "Il bue conosce il suo padrone e l'asino la culla del suo padrone; ma Israele non lo sa, il mio popolo non capisce ". (1: 3) I Padri della Chiesa videro in queste parole una profezia che indicava il nuovo popolo di Dio, la Chiesa composta sia da ebrei che da gentili.

Prima di Dio, tutti gli uomini, ebrei e gentili, erano come il bue e l'asino, senza ragione o conoscenza. Ma il bambino nella culla ha aperto gli occhi perché ora riconoscano la voce del loro Maestro, la voce del loro Signore. È sorprendente notare nelle immagini medievali di Natale come gli artisti danno ai due animali volti quasi umani e come si presentano davanti al mistero del bambino e si inchinano nella consapevolezza e nella riverenza.

Ma dopotutto, questo era logico, dal momento che i due animali erano considerati il ​​simbolo profetico del mistero della Chiesa - il nostro mistero -, dal momento che siamo solo buoi e asini nei confronti dell'Eterno Dio, buoi e muli ai cui occhi sono aperti la notte di Natale, in modo che possano riconoscere il loro Signore nella culla. 

Chi lo ha riconosciuto e chi non lo ha riconosciuto? Ma lo riconosciamo davvero?
Quando mettiamo il bue e il mulo accanto al presepe, dobbiamo ricordare l'intero passaggio in Isaia, che non è solo una buona notizia - nel senso della promessa di una conoscenza futura - ma anche un giudizio pronunciato sulla cecità contemporanea. Il bue e l'asino hanno conoscenza "ma Israele non lo sa, il mio popolo non capisce".

Chi è oggi il bue e l'asino e chi è il "mio popolo" che non capisce? Come possiamo riconoscere il bue e l'asino? Come possiamo riconoscere "il mio popolo"? E perché la mancanza di ragione riconosce, mentre la ragione è cieca?

Per scoprire la risposta, dobbiamo tornare con i Padri della Chiesa al primo Natale. Chi lo ha riconosciuto? E chi non lo ha riconosciuto? E perché era così?

Colui che non riuscì a riconoscerlo fu Erode, che non capì nemmeno quando gli parlarono del bambino: invece, fu accecato tanto più profondamente dalla sua brama di potere e dalla paranoia. (Mt 2: 3) Coloro che non lo riconoscevano erano "tutta Gerusalemme con lui". (Ibid.) Coloro che non lo riconoscevano erano il "popolo in vesti morbide" - quelli con un'alta posizione sociale. (Mt 11: 8) Coloro che non lo riconoscevano erano i maestri colti che erano esperti nella Bibbia, gli specialisti nell'interpretazione biblica che conoscevano certamente il passaggio corretto nella Scrittura ma non riuscivano ancora a capire nulla. (Mt 2: 6)

Quelli che lo riconoscevano erano il "bue e l'asino" (rispetto a questi uomini di prestigio): i pastori, i Magi, Maria e Giuseppe. Ma le cose potrebbero essere altrimenti? Quelli con una posizione sociale elevata non sono nella stalla dove giace Gesù bambino: è lì che il bue e l'asino hanno la loro casa.

E noi? Siamo così lontani dalla stalla perché i nostri indumenti sono troppo morbidi e siamo troppo intelligenti? Siamo così impigliati nella esegesi dotta delle Scritture, nelle dimostrazioni di inautenticità o accuratezza storica dei passaggi individuali, che diventiamo ciechi verso il bambino stesso e non percepiamo nulla di lui?
Siamo così tanto "a Gerusalemme", nel palazzo, a casa nostra e nella nostra arroganza e nella nostra paranoia, che non possiamo sentire di notte la voce degli angeli e poi partire per adorare il bambino?

In questa notte, quindi, i volti del bue e dell'asino ci guardano con una domanda: la mia gente non capisce, ma tu percepisci la voce del tuo Signore? 
Quando mettiamo le figure familiari nella scena del presepe, dovremmo chiedere a Dio di dare ai nostri cuori la semplicità che scopre il Signore nel bambino - proprio come Francesco una volta a Greccio. Perché allora anche noi potremmo sperimentare ciò che Tommaso da Celano racconta di coloro che parteciparono alla Messa di mezzanotte a Greccio: "ognuno tornò a casa pieno di gioia" .

tratta da Joseph Ratzinger, La benedizione del Natale 


Immagine:  La Natività con i profeti Isaia ed Ezechiele [riquadro centrale]  di Duccio di Buoninsegna, c. 1310 [National Gallery, Washington, DC] Il bue e l'asino guardano nella culla.

lunedì 25 dicembre 2017

LA MALA EDUCAZIONE AL VANGELO

ETTORE GOTTI TEDESCHI

Se incontrassi un giovane con vera vocazione che volesse entrare in seminario, sapendo che la sua strada è diventare anzitutto un santo sacerdote, magari poi vescovo, cardinale e persino papa, saprei a chi indirizzarlo, ma mi preoccuperei di aiutarlo a evitare seminari che potrebbero confondere (secondo me), la sua vocazione e la sua missione futura insegnando filosofia ispirata da Kant ed Heiddeger e teologia ispirata da Karl Rahner, dove si ignora completamente San Tommaso d’Aquino.

A promuovere questa preoccupazione e desiderare scrivere questo articoletto, che probabilmente non dice nulla di nuovo ai teologi, è stata la lettura di un libretto (con “approvazione ecclesiastica”), definito nella presentazione: "sintesi di conferenze agli educatori dei Collegi della Compagnia di Gesù". Si intitola Cristologia, per iniziare – Ed.AdP , 2006. L’autore è un notissimo gesuita spagnolo, padre José-Ramon Busto Saiz S.J., Rettore, alla data della pubblicazione, della Università Pontificia Comillas di Madrid, dove insegna esegesi e teologia. L’autore nella sua presentazione spiega che il libretto serve a iniziarsi al mistero di Gesù Cristo dopo l’esegesi storico-critica e la riscoperta della sua umanità da parte della teologia nella seconda metà del XX Secolo ed introduce Walter Kasper e la sua opera Gesù è il Cristo chiave di tutta la teologia. L’autore segue spiegando cosa è cambiato nella cristologia con il Vaticano II che ci ha resi un po’ più “adulti". E per farlo riporta i suggerimenti di Karl Rahner riferiti al rischio passato di inconsapevole eresia che consisteva nel fatto che per considerare Gesù vero Dio, si lasciava troppo in secondo piano che egli è vero uomo ed ha avuto una storia umana che deve esser investigata storicamente. Dagli anni Sessanta finalmente si comprende che per credere in Dio è necessario che Dio sia credibile. (Io non ci avevo mai pensato !).

Perciò non come i Vangeli ce lo hanno trasmesso, perché i Vangeli non sono opere storiche, danno testimonianze sospette, gli autori presunti (a parte forse uno) non sono testimoni oculari di quanto riferiscono, si contraddicono, non citano le fonti, probabilmente erano influenzati dai destinatari del loro lavoro che così volevano fosse interpretata la storia di Gesù, per aiutare la fede. I Vangeli vanno perciò letti criticamente. Il libro cita una sola volta Maria riferendo che la concezione e la nascita verginale di Gesù appartengono alla fede della Chiesa. Noi  confessiamo nel Credo che Gesù nacque da Maria Vergine, ma questo mistero non si deduce dalla ricerca storica, infatti non è accessibile che alla fede (incarnazione significherebbe infatti, se ho ben capito, che Dio vive in un uomo). Gesù predica il Regno di Dio, senza mai descriverlo, e spiega che questo regno giunge gratuitamente per tutti, indipendentemente dalle nostre azioni. Ciò significa che il regno di Dio è offerto gratuitamente a tutti senza bisogno di meritarlo perché Dio ci ama indipendentemente da ciò che facciamo. Se dovessimo meritare l’amore di Dio, allora Gesù sarebbe probabilmente un falso profeta? (si chiede l’autore). Comunque i primi destinatari dell’amor di Dio sono i poveri (materiali) poiché, lascia intendere l’autore, la inequità nella distribuzione dei beni è l’origine di tutti i mali (non il peccato originale, ignorato completamente). Perciò tutti sono figli di Dio (poveri, emarginati, peccatori), ma gli eletti sono i poveri materiali visto che il maggior peccato (inequità) è stato compiuto contro di loro.

La preghiera del Padre Nostro poi non è uscita dalle labbra di Gesù esattamente così come lo recitiamo, diciamo che è stata adattato dalle comunità primitive per esprimere la concezione di Gesù e dei suoi seguaci. Il nostro autore ispirato sottolinea che in questa preghiera Gesù auspica una vita dedicata alla produzione e alla ripartizione equa dei beni di questo mondo, naturalmente in relazione con la creazione (con profumo di ambientalismo ). La relazione con Dio avviene infatti attraverso l’ambiente che ci circonda, cose, animali, persone, perché la creazione è il corpo di Cristo e pertanto ogni volta che si violenta la creazione si violenta  il corpo di Cristo , pertanto si fa del male a Dio. E qui insegna a trasformare gli stessi  Vangeli (nonostante ne abbia messo in dubbio la veridicità) per affermare ciò che vuole. Dice che la frase “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” non è presente in nessun evangelista. Secondo lui Matteo dice  “dacci oggi il nostro pane di domani" e Luca dice “il pane di domani daccelo ogni giorno” . Forse io ho un Vangelo errato, ma Matteo 6,9-13 e Luca 11,3  dicono  invece quello che io recito nel Padre Nostro. Parlando dell’Eucarestia spiega che per i cristiani  è la ripetizione dell’ultima cena di Gesù. Molto intrigante la spiegazione che vien data sul perché i Giudei decidono di uccidere  Gesù: perché ha cacciato i mercanti dal tempio mettendo così in discussione il sistema sociale giudaico. Di fatto perciò Caifa fece il suo dovere a farlo condannare. Gesù la morte se l’è cercata proprio. Magari in complicità con Giuda stesso? Che pertanto va riabilitato. Il fatto più importante della nostra fede, la Resurrezione, in sintesi, viene trattata come professione di fede legata ad esperienze mistiche. Chi fa risorgere l’uomo è Dio e dicendo: Gesù è risorto, stiamo dicendo che Dio è risuscitatore di morti. Sulla Resurrezione non ci sono prove e i testimoni sono inattendibili (anche san Tommaso?),  persino probabili mentitori, nulla concorda di quel che asseriscono. Gesù è riconosciuto dopo la morte con gli occhi della fede. Ma se la Resurrezione non è provata i Sacramenti non sono divini, son stati stabiliti da un uomo, perfetto magari, peccatore magari (in quanto uomo, potrebbe non esserlo? si domanda l’autore).

Alla fine quale è stata l’opera di Gesù? Amare incondizionatamente, come Dio Padre. E la storia è fatta della corrispondenza di questo amore. Ma, ricorda il nostro autore, la famosa spiegazione di s. Anselmo sulla necessità della incarnazione di Dio per la logica della Redenzione non sta più tanto in piedi, perché è inaccettabile che Dio esiga la morte di un innocente, questa spiegazione va perciò cambiata spiegando che  la salvezza è già ottenuta, non dobbiamo meritare proprio nulla. Dio non è meritocratico. Ma allora, si domanda, Gesù è Salvatore di chi ? E ci ha salvato da che? Ma perché dovevamo esser salvati? Caro lettore il problema è complesso, prima del Vaticano II Dio si Incarna, viene crocefisso per prendersi le colpe del peccato originale, risorge e ci insegna che per risorgere anche noi dobbiamo volerlo e meritarlo. Dopo  il Vaticano II la nostra salvezza si ottiene riproducendo Gesù in noi, Gesù che ha già salvato tutto e tutti, ci ha già riconciliato, ci ha già fatto perdonare. Dio ci ha già donato la salvezza, non dobbiamo più meritare nulla. Per i cristiani non ci sono i 10 comandamenti che appartengono all’AnticoTestamento.

Ho voluto sintetizzare, male certamente perché non sono un teologo, tutto ciò per spiegare cosa può esser insegnato in un seminario o Università Pontificia. Nel libro mai  si parla di peccato originale, di  satana, del male, dell’inferno, della gnosi, mai in tutto il libro. Forse perché non devono più esistere? Ma se questo è ciò che viene insegnato, quali conseguenze potrà avere sulla formazione di un giovane con vocazione sacerdotale che aspira a santificarsi e santificare? E tutto ciò per render Dio credibile?



domenica 24 dicembre 2017

LA LUCE DEL NATALE DI GESÙ IN QUESTO TEMPO


Proprio per tutti, nessuno escluso
Julián Carrón*venerdì 22 dicembre 2017
Gentile da Fabriano Natività
«La realtà è superiore all’idea» (Evangelii gaudium, 231). Non c’è niente che sfidi di più la ragione dell’uomo, la logica umana, che un fatto, un avvenimento reale. Pensiamo al popolo ebraico in esilio, di cui parla il profeta Isaia. L’ultima cosa che gli ebrei si sarebbero aspettati, quando tutto sembrava finito, mentre erano in mezzo al nulla, era qualcuno che sfidasse le sconfitte che avevano subito e la misura con cui giudicavano. Tanto è vero che avevano cominciato ad abituarsi alla situazione in cui si erano venuti a trovare. Eppure in mezzo al deserto risuona una voce: «Io sono il Signore» (Is 41,13ss), una voce che pronuncia parole che nessuno avrebbe il coraggio di dire, tanto sono lontane dalla logica umana: «Non temere». Possibile?! Come si può non temere quando si è sperduti in mezzo al nulla, nell’esilio? Si tratta della stessa reazione che abbiamo anche noi davanti alle sfide attuali: ci assale la paura, ci viene da innalzare muri per proteggerci; cerchiamo sicurezza in qualcosa di costruito da noi, ragionando secondo una logica puramente umana, esattamente quella che viene provocata costantemente da Dio: «Io sono il Signore, non temere!». Davanti ai nostri occhi appare tutta la Sua diversità. Infatti quel «non temere!» è la cosa meno creduta oggi, la meno credibile anche per noi; davanti a tutto quello che sta accadendo nel mondo, chi può dire di non avere paura?
«Io sono il Signore, non temere». La nostra ragione e la nostra libertà sono provocate da questa promessa, come capitò al popolo in esilio. Anche noi siamo come un «vermiciattolo di Giacobbe, larva d’Israele», ci sentiamo così piccoli davanti all’enormità dei problemi. Siamo disponibili a dare credito all’annuncio della liberazione che risuona per noi oggi? «Non temere, io ti vengo in aiuto».
Commentando queste parole, papa Francesco ha detto: «Il Natale ci aiuta a capire questo: in quella mangiatoia […] è Dio grande che ha la forza di tutto, ma si rimpicciolisce per farci vicino e lì ci aiuta, ci promette delle cose» (Omelia Santa Marta, 14 dicembre 2017). C’è qualcosa di più sconvolgente per le nostre misure?
Sempre il Signore ci spiazza, perché ha uno sguardo diverso, vero, sul reale, capace di cogliere dati che noi non vediamo. Se accettiamo la sfida, noi che siamo così miseri potremo riconoscere la risposta al nostro grido: «Io, il Signore, risponderò loro, io, Dio d’Israele, non li abbandonerò». Chi confida in Lui, chi si abbandona al disegno di un Altro vede il compiersi della promessa: «Farò scaturire fiumi su brulle colline». Non è forse questo che ci stupisce di certi incontri? Mentre alcuni sono sempre più impauriti, sempre più ripiegati su se stessi, sempre più chiusi, sempre più scoraggiati, altri fioriscono e testimoniano un modo diverso, positivo, di vivere le cose solite.
Come è possibile che taluni risplendano di vita e altri trovino in ogni circostanza solo una conferma del loro scetticismo? Perché tutto passa attraverso la sottile lama della libertà. «Cambierò il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in zona di sorgenti»: se assecondiamo il richiamo del Signore, potremo vedere fiorire la vita in questa terra arida, in questa nostra situazione storica – non in un’altra, in questa. «Nel deserto pianterò cedri, acacie, mirti e ulivi; nella steppa porrò cipressi, olmi e abeti». Chi si affida a questa promessa comincerà a guadagnare la vita vivendo.
Eppure spesso si insinua in noi la domanda: il Signore non potrebbe risparmiarci tante circostanze sfavorevoli con cui dobbiamo confrontarci? Non ci rendiamo conto che certe situazioni sono il frutto di un uso sbagliato della nostra libertà; Israele non si era fidato del Signore, non aveva creduto alla Sua parola e aveva preferito allearsi con le potenze dell’epoca, finendo in esilio. Chi invece si affida comincia a vedere i segni del Signore in azione: Dio opera nella storia «perché vedano e sappiano, considerino e comprendano […] che questo ha fatto la mano del Signore, lo ha creato il Santo d’Israele». Chi non si affida non vedrà, perché il mondo sarà sempre pieno di contraddizioni che spaventano, ma in chi accoglie Gesù la vita comincia a risplendere. Chi Lo riconosce comincia a vedere i germogli di una vita che fiorisce.
Occorre essere semplici, come dice Gesù che viene nel Natale: «Fra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11,11).
Da duemila anni l’annuncio della salvezza, tanto impensabile dall’uomo quanto reale, è per ciascuno. È alla portata di tutti, nessuno escluso.
*Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione


PADRE PIERO GHEDDO: LA CHIESA E’ MISSIONE



Mercoledì 20 dicembre è morto padre Piero Gheddo, missionario-giornalista del Pontificio Istituto Missioni estere (Pime), una delle figure più importanti del mondo missionario europeo. Aveva 89 anni, era malato da tempo e da qualche giorno era ricoverato all’ospedale San Carlo di Milano (clicca qui per la sua biografia).

Mi è difficile parlare di padre Piero Gheddo, non solo per quanto è grande la sua figura. In fondo basterebbe dire che era un uomo appassionato di Cristo e della Chiesa, desideroso di comunicarlo a tutti gli uomini e che ha dedicato tutta la sua vita, fino all’ultimo giorno, per questo. Come ciò si sia realizzato concretamente ognuno può leggerselo nella breve biografia che gli ha dedicato il suo confratello padre Bernardo Cervellera (clicca qui) o leggendo i numerosissimi libri che ha scritto e ci ha lasciato in eredità.
Ma è difficile soprattutto perché non mi è possibile parlare di padre Gheddosenza riprendere in mano la mia vita, tanto importante è stata la sua compagnia: non c’è dubbio che non sarei quel che sono oggi senza quell’incontro provvidenziale. Sono tanti e tali i ricordi e le immagini che affollano ora la mia mente che è difficile dargli un ordine. Non posso però dimenticare che la mia attività giornalistica è iniziata proprio con la sua proposta di fargli da redattore per l’agenzia Asia News che lui stava lanciando. Erano i primi mesi del 1987, Asia News nasceva come quindicinale cartaceo; quella proposta ha indirizzato decisamente e definitivamente la mia vita che in un momento complesso avrebbe potuto prendere direzioni ben diverse.
Padre Gheddo non è stato soltanto un direttore, un datore di lavoro, ma un vero maestro, attento non solo alla redazione degli articoli ma a tutta la vita dei suoi collaboratori. A lui potevi affidare anche le tue scoperte, le tue difficoltà nella vita non perché fosse un prete, ma soprattutto perché era un padre che aveva a cuore la tua santità anzitutto.
Conoscendolo appariva improvvisamente chiaro cosa significasse l’invito di Gesù a tornare come bambini. Era ultraottantenne eppure avevi sempre l’impressione di avere davanti un fanciullo, sempre teso a imparare, sempre colmo di stupore davanti alle opere in cui Dio si manifestava. Aveva girato tutto il mondo e più di una volta, era passato attraverso avventure e rischi di ogni tipo, aveva conosciuto tutte le situazioni più dure ed aveva toccato con mano le tragedie più grandi che possono capitare agli uomini, aveva dovuto affrontare anche l’incomprensione e l’ostracismo di tanti cattolici ed ecclesiastici per la sua cocciutaggine a raccontare la verità, aveva visto soprattutto e testimoniato la crescita della Chiesa nelle più diverse culture e realtà. Si può dire che avesse visto e ascoltato di tutto, eppure era lì che ti ascoltava sempre come se gli stessi raccontando chissà quale novità, sempre pieno di stupore davanti a ogni vita che gli si presentava davanti.
Tale era la sua passione per Cristo che, negli ultimi anni, quando ancora poteva tenere incontri pubblici non riusciva a non commuoversi profondamente parlando delle cose grandi che Dio compiva nella sua vita e nella vita delle persone che aveva incontrato.

La missione ad gentes, in fondo, era solo la logica conseguenza di questa passione: non poteva concepire una vita cristiana che non si concretizzasse nel desiderio di comunicare Cristo a tutti gli uomini. Da qui tante delle polemiche che ha dovuto sostenere nella sua vita con chi tendeva sempre a ridurre la missione a opera sociale, a "promozione umana" che andava di moda dire. Basta leggere i suoi ultimi post nel suo blog per capire che tale tensione alla missione si è sempre conservata intatta, e resta una provocazione per tutti noi.

RICCARDO CASCIOLI

martedì 19 dicembre 2017

SE L’OBIEZIONE DI COSCIENZA PONE PROBLEMI, LI RISOLVEREMO TOGLIENDO L’ACCREDITAMENTO AGLI OSPEDALI CATTOLICI



APPELLO AL CAPO DELLO STATO PERCHÉ RINVII ALLE CAMERE LA LEGGE PER INCOSTITUZIONALITÀ 


A S.E. il Presidente della Repubblica On. Prof. Avv. Sergio Mattarella

LA MOLTO DEMOCRATICA SENATRICE
Sig. Presidente,
nel corso dei lavori relativi al disegno di legge Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, sul quale è arrivato il voto finale del Senato giovedì 14, il CSL-Centro Studi Livatino, formato da magistrati, docenti universitari, avvocati e notai, ha più volte fatto pervenire a Deputati e Senatori propri documenti sui profili critici del provvedimento.
A sua volta, il CDNF-Comitato Difendiamo i nostri Figli, ha accompagnato l’iter del d.d.l. con propri interventi egualmente critici e – come il CSL – li ha esplicitati durante le audizioni in Parlamento di propri rappresentanti, anche con memorie scritte. Analoghe segnalazioni e approfondimenti sono stati pubblicati dalle Associazioni firmatarie della presente lettera.

Non intendiamo riproporre alla Sua attenzione l’insieme dei rilievi problematici già esposti all’interno e all’esterno delle sedi istituzionali di volta in volta interessate, pur restando convinti che le norme approvate qualche giorno fa configgono con più disposizioni della Costituzione italiana, allorché per la prima volta introducono nell’ordinamento la disponibilità della vita umana, parificano impropriamente idratazione e alimentazione ai trattamenti sanitari, formalizzano per minori e incapaci una sorta di eutanasia del non consenziente, stravolgono il profilo professionale del medico e del personale sanitario.

Ci limitiamo – rinviando per il resto a quanto abbiamo lasciato agli atti del Parlamento ed essendo pronti a fornire approfondimenti su aspetti specifici – a rilevare il pregiudizio che l’applicazione delle norme sulle cosiddette d.a.t. reca agli Istituti sanitari religiosi, o comunque di orientamento cattolico, nel quadro dei rapporti tra la Repubblica italiana e la Chiesa cattolica.
 Il 12 giugno 2017, nel corso dell’audizione al Senato dei rappresentanti del CSL e del CDNF, a fronte delle preoccupazioni da costoro manifestate per l’assenza nel testo di una disciplina dell’obiezione di coscienza, ovvero di una esenzione delle strutture sanitarie di ispirazione religiosa, la relatrice del disegno di legge, nonché presidente della Commissione Igiene e Sanità, sen. Emilia De Biasi ha affermato testualmente: “Il tema dell’obiezione di coscienza della struttura noi lo abbiamo già affrontato nella prima audizione che abbiamo fatto. In particolare, parliamo naturalmente della sanità convenzionata (…). E quelle di carattere religioso è evidente che hanno un problema, che è un problema che riguarda però il Concordato. E quindi non è evidentemente la sede legislativa la sede adeguata per poter discutere di questo argomento. Nel senso che ci sono accordi precisi fra Stati e quindi evidentemente ci si richiamerà in eventuali ricorsi alla Corte costituzionale per sciogliere questo nodo. È molto difficile che lo possa fare una legge”.
Chi in quel momento veniva audito ha fatto presente che, dando per scontata l’insorgenza di conflitti così seri da adire la Consulta, fosse il caso di prevenirli con una differente articolazione. La replica della presidente De Biasi è stata che nell’ipotesi di conflitti la soluzione sarebbe stata togliere “le convenzioni” agli enti ospedalieri d’ispirazione cattolica.
Il tutto è consultabile sul sito Internet del Senato – all’indirizzo http://webtv.senato.it/4621?video_evento=3768, a partire dal minuto 35.

CATERINA SOCCI E DJ FABO, LA CULTURA DELLA VITA CONTRO LA CULTURA DELLA MORTE


Giornalisti, politici, uomini di spettacolo, diffondono la cultura della morte, non la vita per cui mia figlia e altri stanno lottando

 Antonio Socci
Marzo 2017
Cara Caterina,
ieri hai voluto che sulla tua pagina facebook - sotto la tua foto sorridente - fosse scritto: "La vita è sempre bellissima". E poi le parole del salmo 138: "Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio...".
So che sei addolorata per Fabiano, questo nostro fratello per cui preghiamo e di cui oggi tutti parlano. Pregare per lui è il modo per volergli ancora bene, ma nessuno invita a pregare perché pensano che sia tutto finito e che si tratti solo di invocare leggi che permettano in Italia ciò che fanno altrove.
"Repubblica" titola: "L'addio di Dj Fabo, ora la legge". Ma c'è qualcuno che invece chiede leggi e interventi pubblici a favore di chi vuole vivere e guarire?
"La Stampa" titola: "Il suicidio di Fabo scuote l'Italia". Purtroppo la vita di tanti che lottano, come te, Caterina, per vivere e per guarire non scuote l'Italia.
Eppure la tua grinta, la tua fede e il tuo coraggio sono una luce che illumina tutti quelli che ti conoscono. E quanti altri giovani come te abbiamo conosciuto durante questa nostra avventura.
Chi chiede leggi per sostenere la loro lotta? E chi difende i più piccoli e indifesi che non hanno voce?
Chi aiuta, per esempio, una grande donna come Paola Bonzi del "Centro di aiuto alla vita" della Mangiagalli, che ha salvato più di 17 mila bambini (e 17 mila mamme) dall'aborto? Eppure nessuno è più debole e indifeso di un bambino nel grembo e della sua madre.
Nessuno racconta coloro che aiutano e salvano le vite.