mercoledì 14 marzo 2018

COSÌ SI MUORE E SI SPERA.


Due storie che aiutano a capire chi bussa alla porta
Marina Corradi
AVVENIRE  14 marzo 2018
Quando la nave della Ong spagnola Proactive Open Arms ha attraccato a Pozzallo, lunedì, i soccorritori sul molo hanno notato subito, tra i 91 sbarcati, un ragazzo eritreo ridotto a pelle ossa, scheletrico. E però cosciente, come se la speranza di arrivare in Italia lo avesse animato e tenuto in vita fino all’ultimo, in quel tragico deperimento. Lo hanno portato all’ospedale di Modica, ma qui, poche ore dopo, il ragazzo è morto.

Di cachessia, cioè di fame, alle soglie dell’Europa. Aveva 24 anni. Alcuni altri sulla nave erano quasi nelle stesse condizioni. «Pelle e ossa, sembravano usciti dai campi di concentramento nazisti», ha detto attonito il sindaco di Pozzallo. Chissà da dove, da quale angolo dimenticato d’inferno al di là del mare provenivano quel migrante e i suoi compagni. Chissà che cos’hanno subìto. Chissà con che fervore pregavano Dio, mentre, ormai a bordo della grande nave, vedevano le coste della Sicilia prima annunciarsi come un’ombra lontana, e poi pian piano delinearsi con il suo profilo: terra, Italia, salvezza. Ma non per lui, per lo sconosciuto che, appena deposto in un letto d’ospedale, ha chiuso gli occhi, credendo di potersi finalmente abbandonare al sonno. E proprio in quell’attimo di pace la sua tempra ha ceduto.
Tra le centinaia di migranti che arrivano ogni giorno, ce ne sono di diversi: quasi guerrieri, militi obbedienti all’imperativo di sperare contro ogni speranza. Come i giovani fratelli libici che l’altro giorno sono approdati a Augusta, in una folla di 280. Ma quei tre, avevano una storia ancora più drammatica degli altri, alle spalle. Il minore, Allah, 14 anni, era malato di leucemia. I suoi fratelli più grandi dalle coste della Libia hanno preso un gommone e 200 litri di benzina, e si sono buttati con lui nel Mediterraneo. Verso l’Italia, dove i ragazzini malati li curano, non li lasciano morire. E dunque quei tre soli, in alto mare. Immaginatevi soltanto se accadesse a noi, se dei nostri figli, per curare il più piccolo gravemente malato, dovessero prendere il mare da soli, allo sbaraglio. Semplicemente folle, non è vero? Eppure accade, e se accade significa che l’unica ragionevole speranza stava in quel traversare il mare, disperatamente, senza nemmeno conoscere la rotta.
Foto Corriere della Sera
Chissà che viaggio, chissà che notte, dentro al mare nero e immenso. I tre sono stati soccorsi dalla nave di una Ong, miracolosamente ce l’hanno fatta. Nelle foto, Allah è un bambino con grandi occhi scuri, il colorito mediterraneo illividito dalla malattia. Ora è in ospedale, a Modica. Lo cureranno. I suoi fratelli sono due giovani, oscuri eroi. Ma, è inevitabile domandarsi, è possibile che simili casi disperati debbano ripetersi quasi ogni giorno, che anche i più deboli e malati si ritrovino ad affrontare la roulette della traversata, per avere una chance di sopravvivere? L’esperienza dei «corridoi umanitari» attuati dalla Cei con il Governo italiano e con la Caritas e Sant’Egidio e 'inventati' da quest’ultima Comunità assieme ai fratelli evangelici e valdesi, dimostrano che esiste un’ alternativa possibile, una strada che altri potrebbero seguire. Si tratta di tentare, si tratta di volerlo. Sappiamo come tanto umore collettivo in quasi tutta Europa, e in buona parte dell’Italia – come ha mostrato anche il voto – sia ormai in preda all’ansia di «invasione», e ostile all’accoglienza.
Eppure, giureremmo che anche nei cuori e nelle teste più chiuse all’altro le due storie di cui scriviamo non lascerebbero nessuno davvero indifferente. Quei tre partiti con 200 litri di benzina e un fratellino sfinito dalla malattia. Quell’altro, poco più che un ragazzo, ischeletrito dalla fame come troppi altri, e però tenacemente cosciente, allo sbarco; e poi falciato, nell’istante del sonno. Ci deve essere una strada, ci devono essere occhi, oltre al Mediterraneo, che vedano, che distinguano, che strappino a una morte quasi certa. Corridoi di umanità, aperti in luoghi in cui di umanità ne è rimasta ben poca. Corridoi più ampi e sorvegliati che alimentino e ravvivino anche la nostra, di umanità, di cittadini d’Europa, un’umanità spaventata e irrigidita – e Dio sa, se non ce ne è bisogno.


Nessun commento:

Posta un commento