venerdì 2 marzo 2018


GIUSSANI : FEDE CULTURA E POLITICA

Brani da una intervista rilasciata nel settembre del 1984 a Luigi Accattoli, e pubblicata sul Corriere della Sera

(…)
Il rapporto con gli altri movimenti cattolici Non è un montarsi la testa quel dare sempre un giudizio negativo della Chiesa italiana?

« Non direi che io abbia un giudizio negativo sulla Chiesa italiana. Anzi ha una grandissima tradizione. Dico che bisogna lottare per la verità di questa tradizione e perché questa tradizione sappia comunicarsi e sappia ispirare atteggiamenti e opere utili al bene comune. Al bene comune degli uomini. Mi pare che la Chiesa italiana dovrebbe assumersi in modo più adeguato il compito di valorizzare la profondità e la sicurezza tradizionale della fede popolare. L'aspetto che può generare più disagio nell'assetto della Chiesa italiana si può riassumere nella preoccupazione, espressa dal Papa a quasi tutte le Conferenze episcopali regionali, sul pericolo del divorzio tra fede e cultura » .

Don Giussani, questa frase la deve spiegare.
«Per abolire il divorzio tra fede e cultura è necessario che la realtà del popolo cristiano, e quindi la Chiesa, sia energicamente presente nella problematica e nel dibattito che angustia la vita del mondo di oggi. Sulla difesa della vita, per esempio, o della libertà. Non sarebbe una fede vissuta quella che non dicesse qualcosa su tutta la vita dell'uomo. Sarebbe una grave iattura favorire una riduzione della vita della Chiesa a culto e rito, con qualche spinta a interessarsi degli emarginati».

Vede questa tendenza nella Chiesa Italiana?
Si, nel tipo di educazione che ora si da: non frequento i centri studi, non praticole statistiche, perciò non vorrei essere ingiusto nel dare un valore assoluto a osservazioni, che comunque potrebbero valere in moli casi. Se abbiamo un difetto è l’entusiasmo
(…)

Ciò che vi crea nemici è la vostra “politica. Io stesso credo di apprezzare la vostra religiosità, ma non la vostra politica.
Forse un approfondimento del nostro concetto di religiosità favorirebbe la comprensione della nostra posizione. La religiosità è l’affermazione di un senso ultimo che ogni coscienza implica, lo sappia o non lo sappia, criticamente o acriticamente. Tutto quello che la persona compie, criticamente o no, è illuminato da quel senso ultimo. Perciò esso funziona come un orizzonte totale, che tende a qualificare e a determinare tutto quello che l’uomo fa. Se questo vale per i rapporti fra genitori e figli, tra uomo e donna, tra uomo e uomo; se questo vale per il lavoro personale e per l’espressione personale, come potrebbe non valere per l’impegno dato alla sfera della politica, intesa come la realtà totale dei rapporti sociali? Dio ha forse detto che la fede deve fermarsi ai rapporti primari e familiari e non cercare di investire il mondo?

(…) Ciò che definisce ultimamente la nostra posizione è una passione per l’uomo. Per l’uomo di questa terra. Che stia meglio come uomo.
E dall’altra parte una passione per Cristo, incontrato come fattore ideale di questo umanesimo migliore.

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